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Autore: Francine    24/01/2018    2 recensioni
«Tutti noi siamo ponti tra la realtà e quello che si nasconde nelle pieghe del suo mantello. Io, te, Clark, Barry, Victor. Anche Athena. Siamo la dimostrazione che esiste una terza strada.»
«Dimentichi Bruce», ti fa notare Arthur giocherellando con il proprio bicchiere.
«Anche Bruce è un ponte», ribatti.
Ma dove conduca questo ponte, non lo so…
[Cross-over! Saint Seiya/Justice League]
Genere: Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Saori Kido
Note: Cross-over, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Primo Tempo


 
1.
 

Pensavi di essere pronta. Credevi che sarebbe stato semplice. Facile no, ché la facilità va a braccetto con la banalità, con quella leggerezza di mente che non ti appartiene. La semplicità, invece, racchiude in sé il rassicurante senso del dovere. Ti libera dall’angoscia dell’errore che si annida nelle pieghe della distrazione. L’ansia evapora quando non hai più altre scelte. Esaurite le opzioni possibili, quello che resta è l’inevitabile, la certezza che le svolte sono terminate e che il cammino può essere uno, e uno solo. Puoi solo andare avanti, a testa alta. Rasserenata.
E allora, perché ti tremano le gambe?
Perché il tuo cuore batte come i tamburi di guerra durante l’assedio di Ilio?
Perché qualcuno non è d’accordo.
Qualcuno non si è ancora arreso e quel qualcuno, che pesta – caparbio e disperato – i piedi come fanno gli asini sui sentieri di montagna, è Saori. Saori che si chiede – ancora! – se non ci sia un’altra strada. Se non sia possibile ripercorrere i passi all’indietro e magari trovare una svolta diversa. O tracciarla, anche a costo di uscire dal sentiero battuto e scivolare per i prati e le forre e il fango armati di un paio di ballerine rosso ciliegia di Salvatore Ferragamo.
Saori che non s’è rassegnata a percorrere il cammino che Tyche ha tracciato per lei. Saori che nel suo vestito bianco – un vestito da principessa! – vorrebbe solo voltarsi, raccogliere le gonne in grembo e mettere quanta più strada possibile tra lei e tutta quella storia, senza sospettare, la sventurata, che quelle scarpette di pelle rossa la tradirebbero dopo pochi passi.
La suola di cuoio sdrucciolerebbe sulla prima pozzanghera. I suoi piedini delicati si riempirebbero di vesciche. E alla prima buca dispettosa, o alla prima radice che spunta dal terreno come un calappio, ci guadagnerebbe una bella storta.
No, quelle scarpette non sono fatte per correre, per scappare fino al faro in capo al mondo, in cerca di salvezza, di un muro sbeccato contro cui gridare «Tana!»; sono fatte per incedere, maestosa, sotto gli sguardi del mondo intero.
Athena risponde con queste considerazioni. Athena conosce i rischi, li calcola, li pondera, li soppesa; Saori no; Saori è ancora un cuore d’uccellino che vorrebbe frullare le ali e far finta che sia stato tutto un brutto, bruttissimo sogno.
«Signorina, è ora», e la voce di Tatsumi ti mozza il respiro, la stilettata del congiurato che si infila tra le tue costole e nei tuoi polmoni mentre lui guarda altrove; un volo di rondini, una nuvola che passa, il gioco d’acqua di una fontana. «Dobbiamo andare», ed è la voce di Athena che riverbera nella sua. Acciaio temprato e affilato, che chiama il tuo nome e sulla cui superficie lucida puoi scorgere il tuo viso dall’espressione sperduta, nemmeno ti fossi persa nel bosco con un paniere di leccornie per la nonnina ammalata, o sentissi i passi pesanti del guardiacaccia che la Regina Cattiva ha inviato a prendere il tuo piccolo cuore.
È Athena, la tua personale Matrigna Crudele? È lei che vuole il tuo cuore, la tua vita, il tuo sangue?
Probabile. Ma quando Athena chiama – e la sua voce sta chiamando proprio te – nessuno può tirarsi indietro. Neppure tu.
«Arrivo.»
Inspira. Espira. Ecco, così. Brava. Le ginocchia non tremano più, è solo un lieve guizzo dei muscoli; lo stomaco si fa di pietra, ma ha smesso di contorcersi; il cuore si placa. Adesso è troppo tardi per avere paura. I giornalisti aspettano e a te non piace farli aspettare.
Le porte si aprono. I flash ti accecano. Apri la bocca. Si va in scena.


 
2.
 

Quando il Sacerdote manda a chiamare una mezza cartuccia come te è perché c’è da togliersi di dosso qualche rogna. Troppo piccola per inviare un Santo d’Argento, ma troppo fastidiosa per ignorarla oltre. Così tocca a te, Kåre dell’Ippocampo, ultimo – e unico – Santo di Bronzo presente al Santuario, risolvere la questione. Hai salito le scale fino alla Tredicesima Casa, ti sei fatto la tua ora e mezza di anticamera – bisogna pur adattarsi ai tempi del Sacerdote, ché il Sommo Sion ha una certa età, pover’uomo, e trova conforto nella meditazione e in lunghe e prolungate abluzioni – e hai ascoltato a capo chino un monologo che è durato per quarantacinque minuti, intervenendo al momento opportuno.
La mia cervicale, pensi, massaggiandoti il collo mentre fai il percorso a ritroso.
Pare che in Giappone ci sia un’esaltata che sta infangando il buon nome del Santuario, organizzando un torneo di lotta con l’Armatura del sagittario come posta in palio.
E già questo, pensi, è di per sé una balla colossale.
L’Armatura del Sagittario è al sicuro, al Santuario, sotto la vigile custodia del Sacerdote. Ma balla o non balla, questa tizia – Saori Kido, ti ripeti, come a fissarti il suo nome bene in mente – non può indire alcun torneo. Né i Santi di Athena possono prendervi parte.
E che stiamo facendo? Una scampagnata?, pensi, stiracchiando il collo all’insù. Il cielo è un tappeto di stelle sparse a pioggia contro il velluto nero della notte. Ti dà le vertigini, alle volte; ma è così rilassante, da guardare, mentre si cerca qualcosa: un tassello, una risposta, il bandolo di una matassa ingarbugliata.
«È solo una bambina con troppi soldi e troppa noia contro cui scontrarsi, che ha scelto di attirare l’attenzione nella maniera sbagliata», ha detto il Sacerdote, con un tono di voce comprensivo, «ma il nome del Santuario e dei Santi di Athena deve restare segreto. Per il bene di tutti.».
In un altro momento, il Sommo Sion avrebbe chiesto la testa di quella ragazzina annoiata, ma il sant’uomo deve aver sviluppato negli anni una notevole dose di pazienza; oppure non vuole perdere elementi preziosi contro una mocciosa, ché solo il Cielo sa quando Ade attaccherà. In una notte di primavera, dicono gli Annali che hai mandato a memoria durante gli anni dell’addestramento, ma non è quello a lasciarti un sapore viscido in bocca.
Io sono sacrificabile, ti dici. Non è una novità, ma fa male lo stesso. Non resta che prendere la corazza, imbarcarti in una traversata mica da ridere e spiegare a quella pazza folgorata che è meglio se la faccenda finisce qui. Un bel gioco dura poco. Abbiamo scherzato, ma adesso basta. E sarà meglio che ti dia retta. Meglio per lei. Il sacerdote ti ha dato licenza di uccidere, come James Bond, e lei non ha né l’età né il fisico per interpretare una Bond girl.
Sì, basterà fare la voce grossa e assestarle un paio di sculacciate come si deve.
Sarà meglio studiare un’entrata ad effetto, ti dici, massaggiandoti il collo mentre riprendi a scendere le scale.


 
3.
 

La televisione non ti piace.
È chiassosa, volgare e spesso – troppo spesso – riempie un silenzio che non ha bisogno di essere colmato. Per questo hai esiliato il televisore sul fondo di un armadio e tanti saluti. Meglio la radio. Oppure la puntina del giradischi che cala, delicata come una carezza, sul solco del vinile.
Ma anche un orologio rotto segna l’ora giusta. Due volte al giorno, ha detto un uomo, un tedesco pacifista ossessionato dalla colpa e dal potere salvifico dell’amore. E a volte anche la televisione si rivela utile, come oggi, al bistrot di Jean-Marie, lo Chez Papa, in rue Gassendi, proprio al confine meridionale di Montparnasse.
Il piccolo televisore d’angolo è acceso come sempre, ma oggi, diversamente dal solito, hai deciso di non dargli le spalle e concentrarti sul tuo pasto in solitaria prima di rientrare a casa e correggere quelle versioni di greco che hanno fatto sudare i tuoi allievi. Oggi ti siedi proprio di fronte a quell’aggeggio infernale. E chiedi a Jean-Marie se può alzare il volume, per cortesia, ché quel servizio al tg dell’una ti interessa. E molto. Jean-Marie esegue, puntando il telecomando contro lo schermo come fosse la bacchetta di un rabdomante.
Il giornalista parla, accerchiato da un numero impressionante di colleghi, uno schieramento di mezzi e uomini – e quattrini – senza precedenti e bla bla bla; quello che ti interessa è altro e ha a che fare con la corazza in bella vista alle spalle di quella ragazzina dal vestito demodé. Una ragazza di tredici anni, di nome Saori Kido.
Ha un bel suono, pensi, mentre ti dici che non stanno raccontando tutta la storia. Se lei è giapponese, io sono un pinguino, pensi; ma non è tanto questo a suonarti strano, quanto l’armatura che si staglia luccicante sul piedistallo alle spalle di quella ragazza dagli occhi fierissimi che guarda dritto in camera con lo stesso cipiglio di tua madre quando ti ordinava di ricacciare indietro le lacrime e di rialzarti, ché lei era ancora in piedi e l’allenamento non era ancora finito.
Tua madre e i suoi racconti sull’esercito della dea Athena che, ogni duecentocinquanta anni – anno più, anno meno – si raduna attorno alla Fanciulla per combattere contro le schiere dello Sconosciuto, il dio il cui nome è sempre bene evitare di pronunciare a cuor leggero.
I loro pugni fendono l'aria e i loro calci spaccano la terra; ma i loro corpi sono quelli di normali esseri umani, ti ripeti, mormorando quella frase a fior di labbra. Una leggenda, diceva tua madre, che non faceva mistero di non gradire che le donne di quest’armata dovessero celare il loro volto dietro una maschera; ma le leggende hanno sempre un fondo d verità, ed eccotela lì, la tua leggenda, in carne, ossa e lunghissimi capelli lisci come seta, sbattuta in prima pagina nell’edizione dell’ora di pranzo.
«Questi giapponesi! Non sanno più cosa inventarsi!», chiosa Jean-Marie al termine del servizio, e mentre riprende la sua bacchetta personale e abbassa il volume ad un brusio di sottofondo, ti dici che sì forse è vero, forse ha ragione lui, nella sua beata ignoranza, e si tratta solo dell’ennesima trovata pubblicitaria.
Ma se invece le cose stessero diversamente?
Se invece la leggenda si fosse fatta realtà?
«Che ti porto, Didì?»
«Il piatto del giorno, Jean-Marie», rispondi, senza riuscire a staccare gli occhi dallo schermo del televisore.
«Oggi abbiamo il manzo alla borgognona», dice,  e quando la tua testa gli fa cenno che va bene, lui se ne torna nel suo regno, dietro quel bancone sempre ordinato che tra poco verrà preso d’assalto dagli impiegati delle Assicurazioni AXA, dai turisti di ritorno dal Cimitero e dagli studenti universitari che hanno deciso di saltare le lezioni e bighellonare per il centro godendosi una mattinata stranamente calma e assolata, per essere settembre.
«E una bottiglia di beaujolais», gli gridi dietro, tornando a concentrarti sulla tovaglia a quadretti bianchi e rossi e sulle tue perplessità. Avrai bisogno di pensare. E non si può pensare a stomaco vuoto. E i pensieri si fanno più scorrevoli quando c’è il dono dello Straniero a fare da fluido.  Più coraggiosi. E ne avrai bisogno, di coraggio, quando uscirai dal bistrot di Jean-Marie con la pancia piena e deciderai che le versioni creative dei tuoi alunni possono aspettare, e ti andrai a ficcare di testa in una situazione che non ti convince.
Quella ragazza sta attirando l'attenzione, ma l'attenzione di chi?



Note: ed eccoci col secondo capitolo.
Vogliate scusare l'attesa.
L'azione si colloca qualche giorno prima dell'inizio della Guerra Galattica. Saori ha organizzato una conferenza stampa per pubblicizzare l'evento, e Seiya, con ogni probabilità, se non ha ancora vinto la sua corazza, poco ci manca.
Kåre è un nome scandinavo di origine norrena che significa
riccioluto e capita proprio a fagiuolo con la costellazione dell'Ippocampo.
Sì, lo so. Lo so. L'Ippocampo - il Cavallo del Mare - è la corazza assegnata a Baian della Colonna del Pacifico del Nord - lo smargiasso che Seiya pesta dopo aver preso una sana dose di mazzate, ricordate? -; tuttavia, nei tempi remoti, esistevano tutta una serie di costellazioni che, per un motivo o per l'altro, sono cadute in disuso. La faccenda la spiego meglio qui, e siccome nel mio
headcanon esiste il Santo dell'Ippocampo, eccovi tirato in scena il povero Kåre, con somma gioia sua e della sua cervicale.
Ma che credevate che non ci fossero altri Santi di Bronzo fino all'avvento di Seiya e soci? Brr, Athena dev'essere messa davvero malaccio, allora...

Il bistrot
Chez Papa esiste davvero all'indirizzo che vi ho fornito. Fateci un salto, si mangia benissimo ed è assiepato da ragazzi e turisti (il Cimitero di Montparnasse è proprio ad un tiro di schioppo); s'intende che non sto facendo pubblicità a quell'esercizio commerciale, ma mi piaceva fornire un piccolo spaccato di vita vissuta all'interno di una storia di fantasia.
Settembre è, di solito, un mese uggioso a Parigi: o almeno, tutte le volte che ci sono stata - e sempre di settembre - ho trovato il cielo nuvoloso, e a volte anche la pioggia.

Diana, in questo momento della sua vita, è professoressa di greco in un qualche liceo classico francese (Lycée Sezione L). Non potrà spacciarsi in eterno per restauratrice, no? Anche loro, invecchiano!

La frase
I loro pugni fendono l'aria e i loro calci spaccano la terra; ma i loro corpi sono quelli di normali esseri umani vorrebbe essere l'epigrafe che il Cialtronissimo ha scelto per il manga, ma non ricordando io le parole esatte - ad una certa età, la mente vacilla! - e non avendo i volumetti a portata di mano, mi sono rivolta a google, che mi ha indicato la fidatissima avalon9 e la sua Arms. Di battaglie e di memorie che ho usato come fonte più che attendibile.

   
 
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