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Autore: Shichan    24/01/2018    0 recensioni
[Apostasia!Ain ; character study]
Ironico come il Caos sia, nel suo disordine, quasi conciliante. Nel buio di un Abisso di cui ora è il sovrano, c’è una risata lontana.
«Io… sono stato abbandonato, vero?»
La risposta ha la voce di Henir.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Giacché Dio mi ha abbandonato, allora anche io abbandonerò Dio”

 

Il motivo per cui le persone piangono quando perdono qualcuno è un aspetto umano che non ha mai compreso. Nella sua testa e nei suoi ricordi, il senso di “perdita” è associabile a una sola persona – no, non persona ma a un’entità – e quella è Ishmael. Seguendo la logica, per quanto si tratti della Dea, questo non dovrebbe comunque impedirgli di comprendere il senso di forte abbandono a cui gli uomini si lasciano andare quando un grave lutto li colpisce o quando, per altre ragioni dipendenti dalle loro scelte o dal destino stesso, non possono più stare al fianco di chi avrebbero voluto vicino a prescindere da tutto il resto. Il desiderio per l’approvazione della Dea Ishmael, la sua guida, il riconoscimento da parte sua sono tutte cose che dovrebbero collimare, pur con le loro differenze, con l’affetto, la complicità e altri sentimenti complessi propri dell’essere umano. Ne consegue come per lui la perdita dovrebbe essere un concetto non solo di semplice comprensione ma anche facile da fare proprio, da inquadrare grazie all’empatia e renderlo parte di sé anche se non è lui a esserne toccato in prima persona. Ha osservato gli uomini abbastanza per esserne in grado, eppure non riesce.
Forse perché, se Ishmael si presentasse di fronte a lui in carne e ossa, la ucciderebbe con le sue mani. Come si può comprendere un sentimento quando l’unica persona (entità) che un tempo lo suscitava è qualcuno di cui ci si vorrebbe liberare più di ogni altra cosa?


Creazione
 Nascita. L’atto di formare qualcosa che in precedenza non c’era.
Affetto: tendenza umana nei confronti della creazione.
Ulteriore definizione: miracolo.



I suoi ricordi sul primo periodo sono confusi. Gli è difficile comprendere se qualcosa dentro di lui abbia semplicemente rimpiazzato quella parte di memoria o se, come forse gli pare più naturale, anch’essa sia ormai parte di tutto ciò che torna a far parte del Nulla.
Creato da Ishmael per un unico scopo, è certo che gli uomini sbaglierebbero e finirebbero con il credere di poter definire la sua una “nascita” al pari di quella di un figlio e che Ishmael, Dea e Creatrice, verrebbe accostata al ruolo di una “madre”. Ma la verità è che Ain è stato uno strumento: con un fine e ben tenuto perché potesse raggiungerlo, non c’è stato amore filiale da parte sua così come Ishmael non lo ha amato nel modo in cui ci si cura della propria progenie. Se proprio, Ain ha la sensazione di aver appreso le emozioni, i sentimenti e i legami umani proprio da questi ultimi – di questo però non ne fa una colpa a Ishmael, non l’accusa per averlo tenuto lontano da essi, rendendo più facile esserne sopraffatti poi. Dopotutto, sarebbe stato meglio non scoprirli e non comprenderli mai.


Colui che vaga
Persona che si sposta di continuo, senza meta.
Conseguenze: senso di instabilità, di non appartenenza.
Possibili cause: abbandono.


Ha avuto un obiettivo, questo sì. Per un tempo che non è più in grado di quantificare , ormai, lui è stato il riflesso di un desiderio e di una volontà, forma fisica di una missione. Un mezzo perfetto per il raggiungimento di uno scopo. Ma se cerca di andare a ritroso e poi ripercorrere quella strada in avanti, per ricostruire, il primo ricordo vivido è la sensazione di qualcosa di sbagliato, la percezione dello sporco sulla pelle e di aver tentato di scrollarselo di dosso, di ripulirlo in qualche modo. Si sente addosso l’ombra di una paura che non prova più – che non è più in grado di provare – e la sensazione di uno sguardo su di sé, di un’inquietudine che lo mangia vivo dall’interno. Poi c’è una vaga, nebulosa calma; di quelle fasulle, che gli uomini si impongono perché devono, perché così si nascondono le debolezze. Non è semplice pensare di se stesso come a qualcuno che si è sentito in obbligo di mostrare qualcosa di fasullo per mascherare un’emozione sbagliata. Ma quando sforza la memoria e raggiunge finalmente il primo, vero ricordo degno di questo nome e chiaro in tutti i suoi dettagli, come un’immagine ferma in questo stesso istante davanti ai suoi occhi, offrendogli tutto il tempo del mondo per studiarla, allora comprende: è paura, quella cosa che strisciava sotto la pelle.
Un terrore così forte da serrare lo stomaco, attorcigliare le viscere; il sapore acido nella bocca, il respiro irregolare, il panico che divora il seme del dubbio e lo cresce, gli dà forza. Lo riconosce, ha imparato a dargli un nome preciso: abbandono. La distruzione di un legame senza che entrambe le parti lo desiderino è ciò che, in chi si era aggrappato alla speranza, causa l’angoscia.
Se la ricorda. La disperazione e la paura sono state due insegnanti impietose, ma lui non le giudica negativamente. Se non le avesse provate, forse ancora oggi si affiderebbe alle cose effimere e prive di forza come la Speranza; una luce così semplice da annientare che è quasi ilare vedere tanti uomini aggrapparsi a essa, fidarsi della promessa di un compenso se saranno bravi abbastanza da non lasciarsi andare all’oscurità. Eppure c’è un tale errore concettuale, di fronte a tutto questo. Lui lo sa meglio di chiunque altro: l’oscurità non è qualcosa che arriva e prende possesso dell’anima, è qualcosa che nell’anima c’è sempre stata – forse lui prima non ne aveva una? Forse è stato quello, l’errore di fondo? Non ci si sofferma mai troppo. Non ha importanza, ormai.
La sua oscurità è l’abbandono di Ishmael, la chiamata a cui non ha mai avuto risposta. Poco male. Anche lui l’ha abbandonata, dopotutto.


«C-Chi c’è lì?!»
Qualcosa sibila, e lui non comprende.
Dentro di sé, continua a chiedere aiuto; vale davvero così poco?
E’ solo una pedina sacrificale nelle mani di un dio?
«Dea Ishmael… ti prego...»


Non esiste alcun dio che si curi degli uomini; non esiste pietà per le armi.


Apostasia
Rinnegare la propria religione al fine di seguirne un’altra.
Sul piano morale: tradimento.


Il vecchio se stesso forse ha sperato a lungo. Invocando il nome di Ishmael ha atteso di sentire la sua voce, la risposta alla sua preghiera, alla sua richiesta di aiuto. Aveva bisogno di una guida ma da parte della Dea c’era solo il silenzio – ma quell’immobilità si è riempita di sussurri, di consigli sibillini e di voci, troppe. L’unica che aveva desiderato non è mai arrivata e lui ha compreso, infine, di essere stato abbandonato. Eppure i sentimenti umani lo avevano avvelenato a tal punto che continuava imperterrito, mosso dalla testardaggine e dal senso del dovere; la missione che era stata la sua ragione d’esistere era diventata una malattia che logorava lo spirito, come il Caos che lo stava divorando senza possibilità di salvezza.
Non si è mai chiesto come sarebbe stato se Ishmael avesse risposto alla sua chiamata, se la sua voce gli si fosse rivelata anche solo per un secondo, concedendogli almeno il conforto. Nella completa agonia avrebbe voluto sentire un suono amico, sentire di essere ancora voluto, necessario. All’improvviso, come un’illuminazione inattesa, era stato come guardarsi allo specchio: aveva visto un riflesso contaminato – aveva compreso il rifiuto e lo aveva detestato con ogni fibra del suo corpo – e in questo aveva visto la volontà della Dea, la scelta che aveva. Avrebbe potuto spingersi oltre, fino al limite, e portare a compimento quel qualcosa di cui non comprendeva più il significato; oppure avrebbe potuto abbandonare quel sentiero la cui meta era già decisa: smettere di esistere. Portare se stesso oltre il sopportabile, fino allo sfinimento, e poi sgretolarsi e diventare niente. Sparire dai ricordi di coloro che aveva incrociato e aiutato.
Perdere di significato.
Ma ne aveva mai avuto uno, in fondo? Se doveva divenire nulla, allora non avrebbe dovuto poter almeno scegliere come? Ishmael non aveva più nulla da dirgli, lui non era più meritevole ai suoi occhi. Era stato gettato via. Perché annientarsi per una voce che non esisteva più?


Ironico come il Caos sia, nel suo disordine, quasi conciliante.
Nel buio di un Abisso di cui ora è il sovrano, c’è una risata lontana.

«Io… sono stato abbandonato, vero?»
La risposta ha la voce di Henir.


Osserva in silenzio il Nulla di fronte ai suoi occhi, tutto ciò a cui ogni cosa finirà col tornare. I segni di Henir sul suo corpo sembrano prendersi gioco di lui, e ricordargli al contempo a cosa abbia rinunciato – e cosa, invece, abbia abbracciato nella sua interezza.
Ain lo guarda, e lascia che quello scherno gli scivoli addosso, anche se di dosso non si toglie mai. In lontananza, dove il Nulla si confonde e sembra incapace di placare quella fame che lo porta a inglobare ogni cosa, l’Abisso sembra inviare un lamento appena percettibile, una voce – l’ennesima che arriva, quando ormai lui non ne avverte più alcun bisogno – che solo Ain è in grado di ascoltare e comprendere.
«La fine si sta avvicinando...»

   
 
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