“Giacché Dio mi ha
abbandonato, allora anche io abbandonerò Dio”
Il motivo
per cui le persone piangono quando perdono qualcuno è un aspetto umano che non
ha mai compreso. Nella sua testa e nei suoi ricordi, il senso di “perdita” è
associabile a una sola persona – no, non persona ma a un’entità –
e quella è Ishmael. Seguendo la logica, per
quanto si tratti della Dea, questo non dovrebbe comunque impedirgli di
comprendere il senso di forte abbandono a cui gli uomini si lasciano andare
quando un grave lutto li colpisce o quando, per altre ragioni dipendenti dalle
loro scelte o dal destino stesso, non possono più stare al fianco di chi
avrebbero voluto vicino a prescindere da tutto il resto. Il desiderio per
l’approvazione della Dea Ishmael, la sua guida, il
riconoscimento da parte sua sono tutte cose che dovrebbero collimare, pur con
le loro differenze, con l’affetto, la complicità e altri sentimenti complessi
propri dell’essere umano. Ne consegue come per lui la perdita dovrebbe essere
un concetto non solo di semplice comprensione ma anche facile da fare proprio,
da inquadrare grazie all’empatia e renderlo parte di sé anche se non è lui a
esserne toccato in prima persona. Ha osservato gli uomini abbastanza per
esserne in grado, eppure non riesce.
Forse perché, se Ishmael si presentasse di fronte a
lui in carne e ossa, la ucciderebbe con le sue mani. Come si può comprendere un
sentimento quando l’unica persona (entità)
che un tempo lo suscitava è qualcuno di cui ci si vorrebbe liberare più di ogni
altra cosa?
Creazione
Nascita. L’atto di formare
qualcosa che in precedenza non c’era.
Affetto: tendenza umana nei confronti della creazione.
Ulteriore definizione: miracolo.
I suoi
ricordi sul primo periodo sono confusi. Gli è difficile comprendere se qualcosa
dentro di lui abbia semplicemente rimpiazzato quella parte di memoria o se,
come forse gli pare più naturale, anch’essa sia ormai parte di tutto ciò che
torna a far parte del Nulla.
Creato da Ishmael per un unico scopo, è certo che gli
uomini sbaglierebbero e finirebbero con il credere di poter definire la sua una
“nascita” al pari di quella di un figlio e che Ishmael,
Dea e Creatrice, verrebbe accostata al ruolo di una “madre”. Ma la verità è che
Ain è stato uno strumento: con un fine e ben tenuto perché potesse
raggiungerlo, non c’è stato amore filiale da parte sua così come Ishmael non lo ha amato nel modo in cui ci si cura della
propria progenie. Se proprio, Ain ha la sensazione di aver appreso le emozioni,
i sentimenti e i legami umani proprio da questi ultimi – di questo però non ne
fa una colpa a Ishmael, non l’accusa per averlo
tenuto lontano da essi, rendendo più facile esserne sopraffatti poi. Dopotutto,
sarebbe stato meglio non scoprirli e non comprenderli mai.
Colui che vaga
Persona che si sposta di continuo, senza meta.
Conseguenze: senso di instabilità, di non appartenenza.
Possibili cause: abbandono.
Ha avuto un obiettivo, questo sì. Per un tempo che non è più in
grado di quantificare , ormai, lui è stato il riflesso
di un desiderio e di una volontà, forma fisica di una missione. Un mezzo
perfetto per il raggiungimento di uno scopo. Ma se cerca di andare a ritroso e
poi ripercorrere quella strada in avanti, per ricostruire, il primo ricordo vivido
è la sensazione di qualcosa di sbagliato, la percezione dello sporco sulla
pelle e di aver tentato di scrollarselo di dosso, di ripulirlo in qualche modo.
Si sente addosso l’ombra di una paura che non prova più – che non è più in
grado di provare – e la sensazione di uno sguardo su di sé, di
un’inquietudine che lo mangia vivo dall’interno. Poi c’è una vaga, nebulosa
calma; di quelle fasulle, che gli uomini si impongono perché devono, perché
così si nascondono le debolezze. Non è semplice pensare di se
stesso come a qualcuno che si è sentito in obbligo di mostrare qualcosa di
fasullo per mascherare un’emozione sbagliata. Ma quando sforza la memoria e
raggiunge finalmente il primo, vero ricordo degno di questo nome e chiaro in
tutti i suoi dettagli, come un’immagine ferma in questo stesso istante davanti
ai suoi occhi, offrendogli tutto il tempo del mondo per studiarla, allora
comprende: è paura, quella cosa che strisciava sotto la pelle.
Un terrore così forte da serrare lo stomaco, attorcigliare le viscere; il
sapore acido nella bocca, il respiro irregolare, il panico che divora il seme
del dubbio e lo cresce, gli dà forza. Lo riconosce, ha imparato a dargli un
nome preciso: abbandono. La distruzione di un legame senza che entrambe le
parti lo desiderino è ciò che, in chi si era aggrappato alla speranza, causa l’angoscia.
Se la ricorda. La disperazione e la paura sono state due insegnanti impietose,
ma lui non le giudica negativamente. Se non le avesse provate, forse ancora
oggi si affiderebbe alle cose effimere e prive di forza come la Speranza; una
luce così semplice da annientare che è quasi ilare vedere tanti uomini
aggrapparsi a essa, fidarsi della promessa di un compenso se saranno bravi
abbastanza da non lasciarsi andare all’oscurità. Eppure c’è un tale errore
concettuale, di fronte a tutto questo. Lui lo sa meglio di chiunque altro:
l’oscurità non è qualcosa che arriva e prende possesso dell’anima, è qualcosa
che nell’anima c’è sempre stata – forse lui prima non ne aveva una? Forse è
stato quello, l’errore di fondo? Non ci si sofferma mai troppo. Non ha
importanza, ormai.
La sua oscurità è l’abbandono di Ishmael, la chiamata
a cui non ha mai avuto risposta. Poco male. Anche lui l’ha abbandonata,
dopotutto.
«C-Chi c’è lì?!»
Qualcosa sibila, e lui non comprende.
Dentro di sé, continua a chiedere aiuto; vale davvero così poco?
E’ solo una pedina sacrificale nelle mani di un dio?
«Dea Ishmael… ti prego...»
Non esiste alcun dio che si curi degli uomini; non esiste pietà
per le armi.
Apostasia
Rinnegare la propria religione al fine di seguirne un’altra.
Sul piano morale: tradimento.
Il
vecchio se stesso forse ha sperato a lungo. Invocando
il nome di Ishmael ha atteso di sentire la sua voce,
la risposta alla sua preghiera, alla sua richiesta di aiuto. Aveva bisogno di
una guida ma da parte della Dea c’era solo il silenzio – ma quell’immobilità si
è riempita di sussurri, di consigli sibillini e di voci, troppe. L’unica che
aveva desiderato non è mai arrivata e lui ha compreso,
infine, di essere stato abbandonato. Eppure i sentimenti umani lo avevano
avvelenato a tal punto che continuava imperterrito, mosso dalla testardaggine e
dal senso del dovere; la missione che era stata la sua ragione d’esistere era
diventata una malattia che logorava lo spirito, come il Caos che lo stava
divorando senza possibilità di salvezza.
Non si è mai chiesto come sarebbe stato se Ishmael
avesse risposto alla sua chiamata, se la sua voce gli si fosse rivelata anche
solo per un secondo, concedendogli almeno il conforto. Nella completa agonia
avrebbe voluto sentire un suono amico, sentire di essere ancora voluto, necessario.
All’improvviso, come un’illuminazione inattesa, era stato come guardarsi allo
specchio: aveva visto un riflesso contaminato – aveva compreso il rifiuto
e lo aveva detestato con ogni fibra del suo corpo – e in questo aveva visto la
volontà della Dea, la scelta che aveva. Avrebbe potuto spingersi oltre, fino al
limite, e portare a compimento quel qualcosa di cui non comprendeva più il
significato; oppure avrebbe potuto abbandonare quel sentiero la cui meta era
già decisa: smettere di esistere. Portare se stesso
oltre il sopportabile, fino allo sfinimento, e poi sgretolarsi e diventare
niente. Sparire dai ricordi di coloro che aveva incrociato e aiutato.
Perdere di significato.
Ma ne aveva mai avuto uno, in fondo? Se doveva divenire nulla, allora
non avrebbe dovuto poter almeno scegliere come? Ishmael
non aveva più nulla da dirgli, lui non era più meritevole ai suoi occhi. Era
stato gettato via. Perché annientarsi per una voce che non esisteva più?
Ironico come il Caos sia, nel suo disordine, quasi conciliante.
Nel buio di un Abisso di cui ora è il sovrano, c’è una risata lontana.
«Io… sono stato abbandonato, vero?»
La risposta ha la voce di Henir.
Osserva in silenzio il Nulla di fronte ai suoi occhi, tutto ciò a
cui ogni cosa finirà col tornare. I segni di Henir
sul suo corpo sembrano prendersi gioco di lui, e ricordargli al contempo a cosa
abbia rinunciato – e cosa, invece, abbia abbracciato nella sua interezza.
Ain lo guarda, e lascia che quello scherno gli scivoli addosso, anche se di
dosso non si toglie mai. In lontananza, dove il Nulla si confonde e sembra
incapace di placare quella fame che lo porta a inglobare ogni cosa, l’Abisso
sembra inviare un lamento appena percettibile, una voce – l’ennesima che
arriva, quando ormai lui non ne avverte più alcun bisogno – che solo Ain è in
grado di ascoltare e comprendere.
«La fine si sta avvicinando...»