“Shika…?”
Temari non
ricevette nessuna risposta dal suo fidanzato. Sapeva che non stava dormendo, lo
capiva dalla tensione che vedeva sulle sue spalle e dal respiro non profondo.
Lui era arrabbiato con lei, di nuovo, e ne conosceva pure il motivo.
Erano giorni,
se non addirittura settimane, che lui cercava di parlargliene, di intavolare la
discussione e puntualmente lei sviava il discorso o gli rinfacciava
qualcos’altro, come per esempio uno dei tanti lavori in casa che avrebbe dovuto
fare e che aveva rimandato per pigrizia o il fatto che non avesse trovato il
tempo di fare l’albero di Natale con lei. La verità era che lei aveva paura di
affrontare quel discorso, le pesava come un macigno sullo stomaco e la rendeva
talmente tesa, talmente ansiosa da non riconoscersi neppure lei stessa. Dove
era finita la kunoichi più irriverente delle cinque terre? Dov’era finita la
kunoichi più temuta di tutte? Era come guardarsi allo specchio, vedersi
esattamente così come era e non riconoscersi allo stesso tempo, come se ci
fosse un’altra lei, quella piena di dubbi, ansie. La donna pragmatica,
determinata, fredda e tagliente non c’era più da un tre settimane. Al suo posto
c’era una Temari sempre ansiosa, sempre con la testa altrove e che se la
prendeva per qualsiasi cosa.
“Non
ignorarmi!”
Le parole
le erano uscite di getto dalla bocca, piene di astio e di rabbia, pentendosene
un attimo dopo. Non avrebbe dovuto rispondergli in quel modo, eppure, quando
lei aveva paura, il suo modo di difendersi era quello di rispondere male. Lo
vide voltarsi verso di lei, con la sigaretta fra le labbra e lo sguardo coperto
da qualche ciuffo scappato dalla coda.
“Non ti
sto ignorando.”
“Sì,
invece! Quando ti chiamo devi rispondermi subito!”
“E cosa
dovresti dirmi?”
Anche
Shikamaru le aveva risposto nel suo stesso identico modo, con un tono freddo e
tagliente. Aveva esaurito la pazienza, ritrovandosi ai ferri corti e lui, lui
che mai la perdeva, sentiva che l’avrebbe persa da un momento all’altro.
“La legna…
manca la legna. Ho freddo.”
“Se guardi
bene ci sono ancora due ciottoli che puoi mettere dentro al camino e che
basteranno per tutta la notte.”
La bionda
si sentì la gola arida, come se in quel momento si trovasse di nuovo a Suna,
col sole cocente a scaldarle la pelle abbronzata dal sole, ma in quel momento
un brivido di freddo si diramò su tutto il suo corpo. Non ebbe nemmeno il tempo
di rispondere che comparve un ninja messaggero davanti alla porta, porgendo a
Shikamaru un rotolo e scomparendo. Il moro lo aprì e vi scorse poche righe, leggendole.
“Non mi
aspettare per i prossimi giorni.”
“Che vuoi
dire?”
A Temari
era crollata la terra sotto ai piedi. Se ne stava andando via? Si era stancato
di lei o di quel discorso in sospeso?
“È un
messaggio dell’Hokage. Dice che devo andare nel suo ufficio e di portarmi un
cambio perché non uscirò da quell’ufficio molto presto. Burocrazia, che
seccatura.”
Intimamente
Temari fece un sospiro di sollievo. Shikamaru non l’avrebbe mai lasciata, o sì?
“Tem?”
Bastò
quella semplice parola per riportare la donna alla realtà, notando ancora il
suo sguardo arrabbiato.
“Quando
torno continueremo quel discorso, che la cosa ti piaccia o meno. Non possiamo
più rimandare.”
Annuì
semplicemente, vedendolo andare via dalla stanza, sicuramente diretto verso la
camera da letto per prepararsi un cambio. Sbuffò e lo seguì. Shikamaru non era
bravo nemmeno a cucinare, figuriamoci fare un piccolo fagotto con i vestiti
dentro. Si sarebbe dimenticato sicuramente qualcosa.
“Voi due!
Shikamaru e Temari si voltarono in
contemporanea verso la vedova Nara che, nel mentre, brandiva un mestolo nella
loro direzione.
“Siete in ritardo di un minuto. Mi
meraviglio di te, Temari. Da mio figlio me lo sarei immaginato.”
“In realtà il ritardo sarebbe stato
ben oltre se non lo avessi fatto correre.”
Assottigliando leggermente lo
sguardo, Yoshino fece segno a suo figlio e a quella che considerava a tutti gli
effetti sua nuora segno di entrare dalla porta di dietro, da
dove lei era sbucata. Non appena la oltrepassarono si trovarono davanti la
tavola apparecchiata e piena di ogni leccornia. Si vide a colpo d’occhio quanto
Yoshino tenesse particolarmente a quel giorno, visto che era l’unico che la
coppia poteva dedicarle.
“Eppure ero sicura che mi avresti
aspettato per cucinare.”
“Mio figlio ti sta impigrendo.”
“Suo figlio oggi era peggio di un
bambino di due anni.”
Shikamaru era avvezzo a quel botta
e risposta dove parlavano di lui, anche con lui davanti, incuranti se la cosa
gli desse fastidio o meno.
“A proposito di bambino. Ino è
incinta.”
“Lo sapevamo, mamma.”
“E voi? Quando me lo farete un
nipotino?”
Calò il gelo. Shikamaru e Temari si
sentirono come se la spada di Damocle fosse caduta sopra le loro teste. Rigidi
e nervosi si sedettero a tavola. Yoshino si era resa conto di aver toccato un
tasto dolente, ma non si rese conto di essere stata lei a far iniziare una
guerra fredda fra suo figlio e la sua ragazza.
Shikamaru
era davanti la porta di quella che considerava a tutti gli effetti casa sua e
della sua seccatura personale, eppure lui sentiva che c’era qualcosa che
mancava e sapeva che quel qualcosa era un bambino. Si era ritrovato a volerlo
nell’esatto istante in cui Naruto era corso da lui a dargli la notizia, tutto
emozionato e con un sorriso che si estendeva da una parte all’altra. Aveva
sentito una morsa allo stomaco e una al petto, ritrovandosi a essere felice e
invidioso al tempo stesso di quello che reputava uno dei suoi più cari amici.
Se l’era chiesto più volte il motivo, fino a quando anche Ino non gli disse di
aspettare un bambino e lì aveva capito. Era invidioso che gli altri stessero
mettendo su famiglia e lui no, invidioso che gli altri, presto, avrebbero avuto
un figlio. Temari evitava il discorso, sbraitandogli contro di fare quella o
quell’altra cosa. Aveva smesso di chiedere quando, all’ennesimo tentativo,
Temari lo aveva mandato a dormire nell’altra stanza dicendogli che in quei
giorni lui si muoveva nel sonno e la colpiva. Sapeva che non era vero, ma aveva
ceduto piuttosto che litigare ancora e ancora.
“Ci
vediamo al tuo rientro.”
Le fece un
cenno di saluto e seppe che aveva chiuso la porta alle sue spalle. In quel
momento si ritrovò a correre, a mettere quanta più distanza possibile fra lui e
lei, come a volersi allontanare da quel dolore sordo che sentiva nel petto.
Lei non vorrà mai un figlio.
Quel
pensiero gli era piombato addosso quella sera che lo aveva spedito sul divano.
Perché?
Ma più se
lo chiedeva e più non trovava spiegazione. Lui avrebbe davvero voluto avere un
bambino da stringere fra le braccia, da amare, da crescere, insegnandogli tutto
quello che sapeva, tutto quello che suo padre e Asuma gli avevano tramandato.
Crescere Mirai era bello, ma non sarebbe stata la stessa cosa che crescerne uno
proprio.
“Shikamaru,
sei arrivato in fretta.”
Senza che
se ne rendesse conto era arrivato a destinazione, ritrovandosi davanti la porta
dell’Hokage, il quale stava tornando proprio in quel momento al suo ufficio.
“Mi ha
fatto chiamare.”
“Sì, ci
sono delle questioni che non possono aspettare.”
Con queste
parole i due chiusero la porta alle loro spalle.
Se da una
parte Shikamaru aveva cominciato a lavorare, dall’altra parte Temari stava da
sola in casa, a guardarsi intorno. L’aveva sentita sua dal primo momento in cui
Shikamaru l’aveva portata lì, dicendole che quella era la residenza del capo
clan della sua famiglia, che quella sarebbe stata casa loro. Lei aveva
accettato la proposta chiedendogli se ci fosse un camino dove potersi scaldare.
Se ci pensava le sembrava ieri e invece era appena trascorso un anno, un anno
in cui, fra alti e bassi, erano riusciti ad andare avanti, ad amarsi e a
conoscersi, sapersi prendere e sapersi accettare.
Come ci siamo arrivati a questo
punto?
Vide le
poche foto messe sul camino. Ritraevano lei e Shikamaru, i genitori di lui, i
fratelli di lei, gli amici ormai in comune, fino a soffermarsi sulla foto del
matrimonio di Naruto. La prese in mano, accarezzando il vetro con due
polpastrelli.
“Dovrei
dirglielo, vero?”
Non lo
chiese a nessuno di quella foto in particolare, ma in quel momento prese una
decisione. Posò la foto da dove l’aveva presa, andò in camera e preparò un
piccolo fagotto con qualche vestito dentro. Tornata in cucina, prese un foglio
e vi scrisse qualcosa al volo, prendendo il fagotto, l’immancabile ventaglio e
uscendo di casa.
Erano usciti di casa dopo quelle
che a loro erano sembrati secoli. Il gelo e l’imbarazzo era durato fino a
quando la conversazione non si era spostata sul lavoro di entrambi, distendendo
l’atmosfera.
“Tem…”
La ragazza in questione si girò
verso la voce che l’aveva chiamata, squadrando il suo fidanzato dalla testa ai
piedi. C’era qualcosa che non andava, lo capiva dal modo in cui poggiava il
peso del corpo da un piede all’altro, dal modo in cui teneva la sigaretta fra
le labbra e quello sguardo che significava solo una cosa: dobbiamo parlare.
“Dimmi, ti ascolto.”
Shikamaru si sedette a tavola
mentre Temari prendeva due bicchieri e una bottiglia di sakè, poggiandoli sopra
il tavolo e sedendosi di fronte al fidanzato. Stappò la bottiglia e versò il
liquido bianco nei bicchieri. Il moro era interdetto. Di solito Temari non
beveva mai e se lo faceva non voleva dire niente di buono. Prese il bicchiere,
imitato dalla ragazza, e bevvero un lungo sorso, versandosene ancora.
“Riguardo quello che ha detto mia
madre oggi…”
“Che mi sto impigrendo a causa
tua?”
Un altro bicchiere mandato giù.
“No, riguardo la questione dei
figli, Tem.”
Bevvero un altro bicchiere in
religioso silenzio. Si sentiva solo il ticchettare dell’orologio alla parete
che scandiva il tempo fra una risposta e l’altra.
“Da quanto tempo ci stai pensando,
Shikamaru?”
“Da quando Naruto mi ha detto che
aspetta il suo primogenito.”
La risposta l’aveva spiazzata. Non
si era resa conto che il suo ragazzo pensava da mesi ad argomenti di questo
genere e lei non se n’era nemmeno resa conto.
“La questione è una, Tem. Tu lo
vuoi un bambino? Vuoi creare una famiglia con me?”
Gli vide le guance rosse e
accaldate per colpa dei sakè - o forse dell’argomento? - che stavano bevendo in
quel momento, alcuni ciuffi di capelli che erano scappati dalla solita coda e
trovò tutto questo maledettamente eccitante, tanto da prendergli una mano e
mettersela fra i suoi seni. Sentì la sua mano avere come uno spasmo, forse
dovuta alla reazione inaspettata del gesto di Temari. Quando la guardò
attentamente vide che anche lei aveva le guance accaldate e rosse, gli occhi
leggermente lucidi e pieni di qualcosa che non seppe riconoscere in quel
momento.
“Lo senti? Lo senti come batte il
mio cuore?”
Temari aveva bevuto troppo e
Shikamaru se ne sarebbe anche accorto se non fosse stato anche lui ubriaco,
come lei.
“Lo sento.”
“Tu mi chiedi se voglio da te un
figlio. La risposta è sì, lo voglio, ma ho paura. Non voglio diventare come mio
padre e non ricordo molto di mia madre. Che madre potrei essere non avendo mai
avuto una figura femminile dalla quale prendere esempio?”
Anche da ubriaca i discorsi di
Temari filavano lisci, pieni di significato e non semplici parole campate in
aria. Aveva il terrore di diventare fredda e distaccata come suo padre, di
diventare una madre non degna di avere un bambino. Shikamaru lasciò andare il
seno di Temari e si alzò, mettendosi accanto a lei. Era come se in quel momento
i suoni, i rumori, gli odori, ogni cosa fosse scomparsa, lasciandoli soli.
“Io ho il terrore di non esserne
all’altezza. Vorrei essere come mio padre o Asuma e ho il terrore di fallire.
Tem, non si ha un manuale di istruzioni su come crescere i figli, ma possiamo
farlo insieme, possiamo provarci.”
Lei lo baciò prima che lui si
rendesse conto delle lacrime che gli bagnavano le guance, perché quel discorso
l’aveva emozionata e aveva attenuato leggermente le sue paure, ritrovandosi a
fare l’amore, lì, in quella stanza col camino acceso, a sussurrarsi che sarebbe
andata bene e addormentandosi l’uno fra le braccia dell’altro, inconsapevoli
che, l’indomani, nessuno dei due si sarebbe ricordato di quest’episodio.
“Shikamaru,
sicuro di stare bene?”
Naruto
sventolava una mano davanti gli occhi del moro, riportandolo alla realtà. Erano
tre giorni che non aveva notizie di Temari, non facendosi nemmeno vedere per
portargli il pranzo a lavoro. Non che fosse obbligata, ma qualche volta si
premurava di portarglielo e stare un poco insieme.
Dove sei?
Più si
diceva che non aveva motivo di pensare a qualcosa di brutto e più sentiva uno
strano peso sul petto.
Forse ho esagerato con lei. Eppure
io volevo solo parlarne.
Non poté
fare a meno di pensare di aver costretto la sua Temari a fare qualcosa che non
voleva. Rivedeva davanti agli occhi quelle tre settimane, dicendosi di aver
sbagliato a comportarsi e a dire determinate parole. Sapeva perfettamente in
che modo era fatta Temari, come prenderla, eppure era stato così cieco da non
capire, da non riuscire dove aveva sempre eccelso: capirla.
“Sensei, pensa
che Shikamaru stia dormendo?”
“Naruto,
puoi andare. Shikamaru è solo stanco dal lavoro. Il tuo ultimo rapporto non è
stato dei migliori e l’ha dovuto aggiustare. Dove hai la testa?”
Naruto si
portò una mano dietro la nuca, scompigliandosi i capelli. La sua testa era da
Hinata e dalla creatura che le stava crescendo in grembo, ma non poteva dirlo
davanti all’Hokage, sebbene quest’ultimo se lo immaginasse.
“Va bene,
ci vediamo domani, Shikamaru. A domani, Sensei.”
“Hokage,
per te sono l’Hokage.”
Ma Naruto
aveva già chiuso dietro di sé la porta. Fu in quel momento che Kakashi spostò
tutta la sua attenzione sul suo consigliere di fiducia. Non aveva di certo
mancato di notare come Temari non si fosse fatta vedere in quei giorni,
rendendo il suo consigliere più propenso a fumare che a parlare.
“Dovresti
andare a casa. Qualsiasi cosa sia successa con Temari non è bene prolungarla
oltre.”
Shikamaru
ponderò quelle parole, rendendosi conto che Kakashi aveva ragione.
“Ti do
mezza giornata libera. Stasera torna qui a finire quel lavoro.”
L’Hokage
non ebbe il tempo di finire di parlare che il capoclan dei Nara era fuggito
dalla stanza, correndo a perdifiato. In un altro contesto si sarebbe scusato
con le persone che urtava, in un altro contesto non avrebbe corso così tanto,
come se ne andasse della sua vita. Tutti quelli che lo riconoscevano stentavano
a credere che il pigro e misogino capoclan Nara fosse anche capace di correre o
di fare qualcosa al di fuori del fumare o fare sonnellini guardando le nuvole.
Temari… aspettami!
Prese
varie scorciatoie per andare a casa, passando fra i tetti ed evitando lenzuola
stese smosse dal vento. Se aveva pensato che correre sui tetti fosse più veloce
che correre fra le strade affollate si sbagliò di grosso. Maledisse le persone
che gli intralciavano la strada, maledisse se stesso per non esserci arrivato
prima. Aveva dato per scontato che anche Temari fosse pronta per questo
discorso, non rendendosi conto del disagio procurato alla sua compagna di vita.
“Tem!”
Aveva
urlato il suo nome davanti al ciglio di casa, aprendo le varie porte, entrando
nelle varie stanze, non trovandola.
“Temari?”
Le parole
gli morirono in gola, sentendola farsi secca di botto. Rifece mente locale sui
possibili impegni di Temari, ma non gliene venne in mente nemmeno uno. Dov’era
finita? Dov’era andata? Lentamente rifece il giro della stanza, ispezionandole
tutte, fino a quando non arrivò in cucina e venne attirato da un pezzo di carta
poggiato sul tavolo. Lo prese in mano e ne lesse il breve contenuto.
Torno fra una settimana. Ho delle
faccende in sospeso a Suna.
Strinse il
foglio nella mano e corse fuori, pensando di aver tardato solo qualche minuto.
Quando arrivò davanti alle porte di Konoha e chiese se avessero visto
l’ambasciatrice della Sabbia i ninja si guardarono fra loro, leggermente
spaesati.
“Sì, l’ho
vista io, ma è andata via tre giorni fa.”
Se a
Shikamaru avessero dato un pugno nello stomaco avrebbe fatto meno male. Se
n’era andata dopo di lui, mentre domande su domande gli affollarono la mente.
Perché andava a Suna? Che faccende in sospeso aveva? Rimase lì, a fissare
l’orizzonte oltre la porta per quella che gli parve un’infinità di tempo, fino
a quando non si riscosse e tornò a lavorare.
Mi dispiace, Tem…
“Cosa ci
fai qui?”
Temari non
si voltò verso la voce che si era rivolta a lei, conoscendo benissimo il
possessore della suddetta voce.
“Dovresti
essere più cordiale con tua sorella maggiore.”
“Tem, cosa
ti porta qui a Suna? E dov’è Nara?”
A dispetto
del tono in cui si era rivolto a lei, aveva notato una sfumatura più dolce, più
rispettosa quando aveva pronunciato il cognome del suo ragazzo. Kankuro aveva
accettato di buon grado la sua relazione con Shikamaru, compatendolo per
essersi innamorata di quell’arpia di sua sorella, il tutto sotto lo sguardo
impassibile di Gaara, quello di fuoco di Temari e quello svogliato di
Shikamaru.
“Aveva
delle faccende da sbrigare con l’Hokage.”
“E tu?
Perché ti trovi qui?”
Ma perché sei così insistente?
“Non sono
affari tuoi. Adesso vado a casa a riposarmi.”
Si
incamminò, lasciando suo fratello indietro mentre gli chiedeva, ancora una
volta, perché si trovasse lì. Che avesse capito che ci fosse qualcosa di
strano? Che avesse capito che fosse successo qualcosa con Shikamaru?
No, non può essere. Kankuro non
capisce queste cose. Inoltre non ha nemmeno una ragazza!
Convinta
che il fratello non avesse capito nulla, si incamminò verso casa, con le
persone che si giravano a guardarla, non credendo di vederla lì. Era di
pubblico dominio che ormai abitasse a Konoha con il suo ragazzo. Li ignorò e in
poco tempo arrivò in quella che esattamente un anno fa era la sua casa. Chiuse
la porta alle sue spalle e si diresse verso la sua camera, buttandosi nel letto
e chiudendo gli occhi. Istintivamente si portò una mano sul grembo.
Corse verso il bagno, arrivando
appena in tempo per vomitare dentro la tazza del water. La sua unica
consolazione fu trovarsi da sola. Non avrebbe sopportato che Shikamaru la
vedesse in quello stato. Aveva un ritardo di due settimane e se all’inizio aveva
pensato che era a causa dello stress dovuto al lavoro, adesso non ne era più
tanto certa. Non riusciva a capire per quale motivo avesse quelle assurde
nausee che si scatenavano con il minimo odore o cibo che le capitava sotto mano,
ma la verità era che aveva capito e non riusciva ad accettarlo. Quando era
successo? Lei che era sempre così attenta a prendere le dovute precauzioni per
lei e per lui…
“Non può essere che sono incinta…”
Ma più si ripeteva che era
impossibile e più si rendeva conto che non poteva essere altro. Cosa poteva
fare? Se fosse andata in ospedale si sarebbe sparsa la voce della sua presunta
gravidanza e questa era l’ultima cosa che voleva in quel momento, ma come
poteva fare per avere la conferma?
“Temari-san, è in casa?”
Temari alzò la testa, pulendosi con
dell’acqua e andando verso la porta. A chiamarla era stata una voce gentile e
melodiosa, una voce che riconobbe subito: la voce di Hinata.
“Hinata-san, che ci fai qui?”
“Disturbo, Temari-san?”
Hinata si morse un labbro mentre la
timidezza prendeva il sopravvento su di lei. Forse Temari aveva da fare e lei
l’aveva disturbata, ma non sapeva quando chiederglielo ed era sicuro che Naruto
se lo sarebbe scordato, ancora una volta.
“No. Vieni, entra. Preparo del tè.”
Si fece da parte per far entrare la
signora Uzumaki che ebbe il buon senso di non rifiutare. Hinata aveva capito
che c’era qualcosa che non andava, anche Naruto lo aveva notato dal
comportamento distaccato di Shikamaru, lascandogli il proprio spazio, pensando
che l’amico si sarebbe confidato prima o poi, eppure non era successo. Non che
Hinata si trovasse lì per indagare, ma…
“Cosa posso fare per te, Hinata-san?”
“Avrei il piacere di invitare te e
Shikamaru-san una di queste sere a cena. Chiedo sempre a Naruto di
chiederglielo a Shikamaru, ma puntualmente se lo dimentica. Spero che per te
non ci siano problemi.”
“Non mi sento molto bene in questi
giorni, a dirti la verità.”
Le parole le erano uscite di getto,
rendendosene conto un attimo dopo. Era come se il suo subconscio cercasse
qualcuno con la quale sfogarsi, alla quale chiedere consiglio. Hinata poteva
essere la persona giusta alla quale chiedere?
“Potrebbe essere l’influenza che si
sta diffondendo in questo periodo?”
Bastò un cenno di diniego del capo
della bionda a far sospirare di sollievo, interiormente, la Hyuuga.
“Tu potresti con Byakugan vedere se
c’è qualcosa che non va?”
“Potrei, ma perché questa domanda,
Temari-sama?”
La risposta arrivò da sola, senza
bisogno di parole. Hinata lo capì dallo sguardo di Temari, da quel velo di
preoccupazione e dall’irrigidimento del corpo. Attivò il Byakugan e vide
all’interno del corpo di Temari il suo chakra e un altro chakra all’altezza del
ventre.
“Sono…”
Temari non continuò il discorso, ma
Hinata annuì col capo.
“Da quanto tempo? Puoi capirlo?”
“Non da molto. Circa due
settimane.”
Tutti i sospetti di Temari vennero
confermati da Hinata. Sbiancò e dovette stringere il bordo del tavolo con le
mani per non cadere, cercando di respirare e di calmarsi.
“Temari-san, state bene?”
“Hinata… non dire questa cosa a
nessuno. Nessuno deve saperlo, nemmeno Shikamaru.”
La mora si ritrovò ad annuire,
rendendosi conto che, forse, quella gravidanza non era voluta.
“Non dirò nulla a nessuno. È un
compito che spetta a te.”
Il discorso cadde con il rumore di
due tazze poggiate sul tavolo, mentre discorsi privi di parole di espandevano
per la stanza.
“Shikamaru,
cosa succede?”
Choji era
andato a casa del suo migliore amico, preoccupato che non si facesse vedere in
giro, ma soprattutto dal messaggio che l’Hokage gli aveva inviato. Gli diceva,
esplicitamente, che Shikamaru aveva qualcosa e che in tutto questo c’entrava
Temari. Preoccupato, aveva preso tre pacchi di patatine e si era diretto a casa
Nara, trovandolo disteso sul portico a guardare le nuvole, incurante del freddo
che facesse e della neve che copriva il giardino.
“Se n’è
andata.”
Bastò
questo a mettere in allarme il povero Akimichi che posò i pacchetti accanto
all’amico ed entrò dentro casa, prendendo una coperta pesante e coprendo il
capoclan Nara. Si sedette accanto a lui e aprì un pacchetto di patatine,
offrendo la prima all’amico, il quale rifiutò.
“Vi siete
lasciati?”
“No…”
Il tono
con la quale lo disse fu categorico, facendo fare un sospiro di sollievo a
Choji.
“E allora
cosa c’è che non va? In che senso se n’è andata?”
Shikamaru
prese un foglio di carta che teneva accanto a sé e lo porse all’amico, il quale
lo prese e lesse il contenuto. Una semplice frase.
“È andata
a Suna. Cosa c’è che non va?”
“No, non è
semplicemente andata a Suna. Non aveva nessun impegno, Choji. Li conosco tutti
gli impegni di Temari come lei conosce i miei. So quando ha un meeting di
lavoro, quando deve andare a Suna per lavoro o per piacere, ma non stavolta.”
“Avete
litigato?”
“La
verità, Choji, è che io voglio un bambino e Temari no. Sono settimane che cerco
di prendere il discorso, chiederle di mettere su famiglia, ma lei ogni volta si
arrabbia con me per un motivo qualsiasi. Poi mi ritrovo questo biglietto. Se
n’è andata subito dopo di me, subito dopo essere stato convocato dall’Hokage.”
“Pensi che
se ne sia andata per non dover prendere il discorso? Shika, Temari non è
stupida, sa benissimo che lo dovrete prendere prima o poi e…”
“Se n’è
andata perché l’ho costretta a prendere questo discorso, come se l’avessi
costretta con qualcosa che non voleva. Pensavo che anche lei fosse pronta ma
forse mi sbagliavo.”
Choji non
aveva mai visto l’amico in quello stato. Era come se Temari lo animasse, come
se gli desse la carica giusta, lo spronasse. Ora invece il moro sembrava un
corpo vuoto senza un’anima.
“Tornerà
fra tre giorni…”
“Fra tre
giorni è Natale, Shika. Fossi in te farei qualcosa per risolvere la situazione.
Si vede lontano miglia e miglia che non riesci più a fare a meno di lei.”
Non si
dissero più nulla, ma la presenza di Choji fu d’aiuto al povero Nara.
Se i due
rimasero sul portico di casa, chi a mangiare e chi a guardare le nuvole, di
tutt’altro avviso era Temari, la quale si svegliò presto quella mattina e si
diresse appena fuori dal Villaggio della Sabbia. Le temperature erano
leggermente più basse, essendo in inverno, ma faceva piacere quel caldo che le
scaldava le membra.
“Ciao
mamma…”
Un vento
leggero mosse le vesti e i capelli di Temari, ricoprendoli di leggeri granelli
di sabbia. Davanti alla kunoichi più forte delle cinque terre c’era una lapide
logorata dal tempo, dove una piccola scritta si leggeva a stento. La bionda si
inginocchiò davanti a quel pezzo di pietra e ne baciò il nome, mentre due
lacrime solcavano il suo viso.
“Mamma…
sono incinta, aspetto un bambino.”
Non
ricevette risposta, ma il vento si calmò, come se Karura fosse davvero lì con
lei. Una presenza che c’era ma che non si vedeva.
“Non so cosa
fare. Voglio tenerlo ma ho paura di non saper fare da madre. Come si fa? Te ne
sei andata troppo presto.”
Le lacrime
si erano arrestate, ma la voce rimaneva leggermente incrinata, come il fiato
corto. Si sforzava di non piangere, si sforzava di trovare delle risposte a
delle domande impossibili.
“Shikamaru
non lo sa che aspetto un bambino da lui. So che glielo dovrei dire, ma ho
paura. Essere un ninja è molto più facile che essere un genitore.”
Rimase lì,
a raccontare a sua madre tutte le sue paure e le sue angosce, a riversare
finalmente tutto quello che l’angustiava da tre settimane, fino a quando non
sentì dei passi. Voltandosi vide una chioma rossa e degli occhi molto simili ai
suoi.
Gaara…
“Non
dovresti essere in ufficio a sbrigare pratiche burocratiche?”
“Ho
bisogno di cinque minuti di pausa, e poi Kankuro mi ha detto che eri qui al
villaggio.”
Le si
avvicinò e guardò anche lui il nome di sua madre, accarezzandolo con una mano.
“Perché
sei qui, Temari?”
“Avevo
bisogno di parlare con nostra madre.”
“È
successo qualcosa con Shikamaru?”
Temari non
disse nulla, ma distolse lo sguardo, fissando anche lei quel nome: Karura.
“Qualsiasi
cosa sia successa, chiarisci con lui. Siete forti abbastanza da superare
qualsiasi avversità.”
Quando la
principessa della Sabbia si voltò verso suo fratello gli vide sul viso l’ombra
di un sorriso. Erano così rari che li custodiva gelosamente nei suoi ricordi.
“E poi fra
tre giorni è Natale. Non credo che Nara se la sappia cavare senza di te.”
Temari
sorrise a sua volta, l’accenno di una risata su per la gola e il cuore più
leggero.
“Torno a
Konoha. Ci vediamo al meeting, giusto?”
Gaara
annuì, vedendo sua sorella prendere il ventaglio e correre fra le dune del
deserto, diretta verso il paese del fuoco.
E come sparire senza
rumore, scivolare nel corso degli anni e non pesare sul cuore degli altri, ma
non è semplice.
Temari
correva senza sosta per poter arrivare in tempo, riposando quel poco che le
bastava e mangiando giusto qualcosa per non soffrire la fame. Stare davanti
alla lapide di sua madre, confessarle tutti i suoi dubbi e le sue paure,
raccontarle la parte più intima di se stessa era stata una liberazione, come lo
era stato l’incoraggiamento di Gaara. Era stata una sciocca a non dire prima a
Shikamaru del bambino, a non prendere quel discorso. Forse nemmeno Shikamaru
sapeva come essere un genitore, forse era nella sua stessa situazione, ma lei
aveva pensato solamente a se stessa, senza tenere in considerazione i suoi
sentimenti.
Aspettami…
La sabbia
del paese del Vento si era tramutata in terra, arrivando nel paese del Fuoco in
quasi tre giorni di corsa. Non dava peso al dolore alle gambe, non dava peso al
ventaglio che le sbatteva senza sosta sulla schiena. Per lei contava solamente
arrivare in tempo, arrivare a Natale e passarlo insieme a lui.
“Tem…”
La bionda
si fermò di botto non appena varcò le porte della città, voltando la testa da
una parte all’altra. Avrebbe riconosciuto la sua voce fra un milione di voci,
l’avrebbe riconosciuta anche col mare in tempesta o con una bufera di sabbia.
Vide un piccolo movimento alla sua destra e una piccola luce rossa. Shikamaru
si mise davanti al cono di luce, uscendo dall’ombra. Teneva in mano una
sigaretta che venne gettata lontano, insieme alle altre. Difficile dire quante
ne avesse fumate quella sera. Si era messo lì ad aspettare che lei tornasse,
varcasse le porte della città per tornare da lui, come aveva scritto nel
biglietto. La neve cadeva giù dal cielo a coprire le prove della sua
impazienza, lasciandolo coi capelli umidi di neve e leggermente bianchi.
“Cosa ci
fai sotto la neve?”
“Ti
aspettavo…”
Non ho fatto altro nell’ultima
settimana.
Temari non
si aspettò quella dichiarazione così spontanea, portandola ad avvicinarsi al
suo fidanzato. Quando fu vicina a lui, il moro allungò un braccio e strinse
leggermente il suo, strattonandola e facendola finire contro il suo petto.
Portò le braccia a stringere quel corpo caldo contro il suo, come a non farla
andare via. In quel momento la principessa della Sabbia si rese conto di quanto
in pena doveva essere stato il suo fidanzato, stringendolo a sua volta.
“Perché
sei andata a Suna?”
“Perché
dovevo parlare con una persona.”
“Chi?”
Shikamaru
scostò leggermente il viso per poter vedere meglio il viso della sua fidanzata.
“Mia
madre. Shika… sono incinta, aspetto un bambino.”
Era tipico
di Temari sganciare bombe a mano senza tenere conto delle conseguenze, come in
quel momento, in cui Shikamaru sbiancò leggermente, guardandola con una faccia
da ebete.
“Da… da
quanto tempo?”
“Circa
quattro settimane. Facendomi un calcolo deve essere successo quando siamo
andati a trovare tua madre, ma non mi ricordo nulla.”
“Abbiamo
bevuto un bel po’ quella sera.”
La presa
sulle spalle della ragazza si fece più gentile, mentre il moro sentiva una
strana euforia nel petto. La sua ragazza era incinta, aspettavano un bambino.
“Già.”
“Tem, tu
lo vuoi questo bambino?”
La vide
trattenere il respiro e si maledisse per essere stato così diretto, ma lui
doveva sapere quello che le passava per la testa, doveva sapere se lei voleva
quello che voleva lui.
“Shika…
sì, lo voglio, ma ho paura. Non voglio diventare come mio padre e non ricordo
molto di mia madre. Che madre potrei essere non avendo mai avuto una figura
femminile dalla quale prendere esempio?”
“È per
questo che sei andata a Suna? A cercare le risposte?”
Temari
annuì, maledicendo il suo fidanzato per averla letta con una facilità estrema.
Era come se non riuscisse a tenergli nulla nascosto e la cosa la infastidiva.
Quando però vide l’ombra di un sorriso sul suo volto e la mano che si posò
sulla sua guancia in una breve carezza non poté fare a meno di pensare che
solamente lui sarebbe stato in grado di sconvolgerla così tanto.
“Io ho il
terrore di non esserne all’altezza. Vorrei essere come mio padre o Asuma e ho
il terrore di fallire. Tem, non si ha un manuale di istruzioni su come crescere
i figli, ma possiamo farlo insieme, possiamo provarci.”
La Sabaku
no nascose il viso sul petto del suo ragazzo, mentre quest’ultimo sorrideva e
le dava dei baci fra i capelli.
“È il
regalo più bello che potessi farmi per Natale, Tem.”
“Sarà il
primo e l’ultimo di questa natura, sia chiaro. Spero per te che tu abbia
tagliato della legna per il camino. Sto gelando.”
La risata
di Shikamaru li accompagnò sulla strada di casa, mentre la neve copriva le loro
orme, di nuovo vicine.