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Autore: missredlights    24/01/2018    6 recensioni
Ma più se lo chiedeva e più non trovava spiegazione. Lui avrebbe davvero voluto avere un bambino da stringere fra le braccia, da amare, da crescere, insegnandogli tutto quello che sapeva, tutto quello che suo padre e Asuma gli avevano tramandato. Crescere Mirai era bello, ma non sarebbe stata la stessa cosa che crescerne uno proprio.
"4° posto al contest 'Un personaggio in cerca d’autore' indetto da Emanuela.Emy79 sul forum di EFP"
"3° posto al Contest “ Come neve nella notte di Natale " indetto da Nede sul forum di EFP"
"5° posto e Vincitrice del premio “miglior coppia het” al contest "Keep calm e... fatemi amare il vostro personaggio preferito! II edizione" indetto Elettra.C sul forum di EFP"
"1° posto al contest "Segreti e confessioni" indetto da Ile_W sul forum di EFP"
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Shikamaru Nara, Temari | Coppie: Shikamaru/Temari
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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cap

“Shika…?”

Temari non ricevette nessuna risposta dal suo fidanzato. Sapeva che non stava dormendo, lo capiva dalla tensione che vedeva sulle sue spalle e dal respiro non profondo. Lui era arrabbiato con lei, di nuovo, e ne conosceva pure il motivo.

Erano giorni, se non addirittura settimane, che lui cercava di parlargliene, di intavolare la discussione e puntualmente lei sviava il discorso o gli rinfacciava qualcos’altro, come per esempio uno dei tanti lavori in casa che avrebbe dovuto fare e che aveva rimandato per pigrizia o il fatto che non avesse trovato il tempo di fare l’albero di Natale con lei. La verità era che lei aveva paura di affrontare quel discorso, le pesava come un macigno sullo stomaco e la rendeva talmente tesa, talmente ansiosa da non riconoscersi neppure lei stessa. Dove era finita la kunoichi più irriverente delle cinque terre? Dov’era finita la kunoichi più temuta di tutte? Era come guardarsi allo specchio, vedersi esattamente così come era e non riconoscersi allo stesso tempo, come se ci fosse un’altra lei, quella piena di dubbi, ansie. La donna pragmatica, determinata, fredda e tagliente non c’era più da un tre settimane. Al suo posto c’era una Temari sempre ansiosa, sempre con la testa altrove e che se la prendeva per qualsiasi cosa.

“Non ignorarmi!”

Le parole le erano uscite di getto dalla bocca, piene di astio e di rabbia, pentendosene un attimo dopo. Non avrebbe dovuto rispondergli in quel modo, eppure, quando lei aveva paura, il suo modo di difendersi era quello di rispondere male. Lo vide voltarsi verso di lei, con la sigaretta fra le labbra e lo sguardo coperto da qualche ciuffo scappato dalla coda.

“Non ti sto ignorando.”

“Sì, invece! Quando ti chiamo devi rispondermi subito!”

“E cosa dovresti dirmi?”

Anche Shikamaru le aveva risposto nel suo stesso identico modo, con un tono freddo e tagliente. Aveva esaurito la pazienza, ritrovandosi ai ferri corti e lui, lui che mai la perdeva, sentiva che l’avrebbe persa da un momento all’altro.

“La legna… manca la legna. Ho freddo.”

“Se guardi bene ci sono ancora due ciottoli che puoi mettere dentro al camino e che basteranno per tutta la notte.”

La bionda si sentì la gola arida, come se in quel momento si trovasse di nuovo a Suna, col sole cocente a scaldarle la pelle abbronzata dal sole, ma in quel momento un brivido di freddo si diramò su tutto il suo corpo. Non ebbe nemmeno il tempo di rispondere che comparve un ninja messaggero davanti alla porta, porgendo a Shikamaru un rotolo e scomparendo. Il moro lo aprì e vi scorse poche righe, leggendole.

“Non mi aspettare per i prossimi giorni.”

“Che vuoi dire?”

A Temari era crollata la terra sotto ai piedi. Se ne stava andando via? Si era stancato di lei o di quel discorso in sospeso?

“È un messaggio dell’Hokage. Dice che devo andare nel suo ufficio e di portarmi un cambio perché non uscirò da quell’ufficio molto presto. Burocrazia, che seccatura.”

Intimamente Temari fece un sospiro di sollievo. Shikamaru non l’avrebbe mai lasciata, o sì?

“Tem?”

Bastò quella semplice parola per riportare la donna alla realtà, notando ancora il suo sguardo arrabbiato.

“Quando torno continueremo quel discorso, che la cosa ti piaccia o meno. Non possiamo più rimandare.”

Annuì semplicemente, vedendolo andare via dalla stanza, sicuramente diretto verso la camera da letto per prepararsi un cambio. Sbuffò e lo seguì. Shikamaru non era bravo nemmeno a cucinare, figuriamoci fare un piccolo fagotto con i vestiti dentro. Si sarebbe dimenticato sicuramente qualcosa.

 

“Voi due!

Shikamaru e Temari si voltarono in contemporanea verso la vedova Nara che, nel mentre, brandiva un mestolo nella loro direzione.

“Siete in ritardo di un minuto. Mi meraviglio di te, Temari. Da mio figlio me lo sarei immaginato.”

“In realtà il ritardo sarebbe stato ben oltre se non lo avessi fatto correre.”

Assottigliando leggermente lo sguardo, Yoshino fece segno a suo figlio e a quella che considerava a tutti gli effetti sua nuora segno di entrare dalla porta di dietro, da dove lei era sbucata. Non appena la oltrepassarono si trovarono davanti la tavola apparecchiata e piena di ogni leccornia. Si vide a colpo d’occhio quanto Yoshino tenesse particolarmente a quel giorno, visto che era l’unico che la coppia poteva dedicarle.

“Eppure ero sicura che mi avresti aspettato per cucinare.”

“Mio figlio ti sta impigrendo.”

“Suo figlio oggi era peggio di un bambino di due anni.”

Shikamaru era avvezzo a quel botta e risposta dove parlavano di lui, anche con lui davanti, incuranti se la cosa gli desse fastidio o meno.

“A proposito di bambino. Ino è incinta.”

“Lo sapevamo, mamma.”

“E voi? Quando me lo farete un nipotino?”

Calò il gelo. Shikamaru e Temari si sentirono come se la spada di Damocle fosse caduta sopra le loro teste. Rigidi e nervosi si sedettero a tavola. Yoshino si era resa conto di aver toccato un tasto dolente, ma non si rese conto di essere stata lei a far iniziare una guerra fredda fra suo figlio e la sua ragazza.

 

Shikamaru era davanti la porta di quella che considerava a tutti gli effetti casa sua e della sua seccatura personale, eppure lui sentiva che c’era qualcosa che mancava e sapeva che quel qualcosa era un bambino. Si era ritrovato a volerlo nell’esatto istante in cui Naruto era corso da lui a dargli la notizia, tutto emozionato e con un sorriso che si estendeva da una parte all’altra. Aveva sentito una morsa allo stomaco e una al petto, ritrovandosi a essere felice e invidioso al tempo stesso di quello che reputava uno dei suoi più cari amici. Se l’era chiesto più volte il motivo, fino a quando anche Ino non gli disse di aspettare un bambino e lì aveva capito. Era invidioso che gli altri stessero mettendo su famiglia e lui no, invidioso che gli altri, presto, avrebbero avuto un figlio. Temari evitava il discorso, sbraitandogli contro di fare quella o quell’altra cosa. Aveva smesso di chiedere quando, all’ennesimo tentativo, Temari lo aveva mandato a dormire nell’altra stanza dicendogli che in quei giorni lui si muoveva nel sonno e la colpiva. Sapeva che non era vero, ma aveva ceduto piuttosto che litigare ancora e ancora.

“Ci vediamo al tuo rientro.”

Le fece un cenno di saluto e seppe che aveva chiuso la porta alle sue spalle. In quel momento si ritrovò a correre, a mettere quanta più distanza possibile fra lui e lei, come a volersi allontanare da quel dolore sordo che sentiva nel petto.

Lei non vorrà mai un figlio.

Quel pensiero gli era piombato addosso quella sera che lo aveva spedito sul divano.

Perché?

Ma più se lo chiedeva e più non trovava spiegazione. Lui avrebbe davvero voluto avere un bambino da stringere fra le braccia, da amare, da crescere, insegnandogli tutto quello che sapeva, tutto quello che suo padre e Asuma gli avevano tramandato. Crescere Mirai era bello, ma non sarebbe stata la stessa cosa che crescerne uno proprio.

“Shikamaru, sei arrivato in fretta.”

Senza che se ne rendesse conto era arrivato a destinazione, ritrovandosi davanti la porta dell’Hokage, il quale stava tornando proprio in quel momento al suo ufficio.

“Mi ha fatto chiamare.”

“Sì, ci sono delle questioni che non possono aspettare.”

Con queste parole i due chiusero la porta alle loro spalle.

Se da una parte Shikamaru aveva cominciato a lavorare, dall’altra parte Temari stava da sola in casa, a guardarsi intorno. L’aveva sentita sua dal primo momento in cui Shikamaru l’aveva portata lì, dicendole che quella era la residenza del capo clan della sua famiglia, che quella sarebbe stata casa loro. Lei aveva accettato la proposta chiedendogli se ci fosse un camino dove potersi scaldare. Se ci pensava le sembrava ieri e invece era appena trascorso un anno, un anno in cui, fra alti e bassi, erano riusciti ad andare avanti, ad amarsi e a conoscersi, sapersi prendere e sapersi accettare.

Come ci siamo arrivati a questo punto?

Vide le poche foto messe sul camino. Ritraevano lei e Shikamaru, i genitori di lui, i fratelli di lei, gli amici ormai in comune, fino a soffermarsi sulla foto del matrimonio di Naruto. La prese in mano, accarezzando il vetro con due polpastrelli.

“Dovrei dirglielo, vero?”

Non lo chiese a nessuno di quella foto in particolare, ma in quel momento prese una decisione. Posò la foto da dove l’aveva presa, andò in camera e preparò un piccolo fagotto con qualche vestito dentro. Tornata in cucina, prese un foglio e vi scrisse qualcosa al volo, prendendo il fagotto, l’immancabile ventaglio e uscendo di casa.

 

Erano usciti di casa dopo quelle che a loro erano sembrati secoli. Il gelo e l’imbarazzo era durato fino a quando la conversazione non si era spostata sul lavoro di entrambi, distendendo l’atmosfera.

“Tem…”

La ragazza in questione si girò verso la voce che l’aveva chiamata, squadrando il suo fidanzato dalla testa ai piedi. C’era qualcosa che non andava, lo capiva dal modo in cui poggiava il peso del corpo da un piede all’altro, dal modo in cui teneva la sigaretta fra le labbra e quello sguardo che significava solo una cosa: dobbiamo parlare.

“Dimmi, ti ascolto.”

Shikamaru si sedette a tavola mentre Temari prendeva due bicchieri e una bottiglia di sakè, poggiandoli sopra il tavolo e sedendosi di fronte al fidanzato. Stappò la bottiglia e versò il liquido bianco nei bicchieri. Il moro era interdetto. Di solito Temari non beveva mai e se lo faceva non voleva dire niente di buono. Prese il bicchiere, imitato dalla ragazza, e bevvero un lungo sorso, versandosene ancora.

“Riguardo quello che ha detto mia madre oggi…”

“Che mi sto impigrendo a causa tua?”

Un altro bicchiere mandato giù.

“No, riguardo la questione dei figli, Tem.”

Bevvero un altro bicchiere in religioso silenzio. Si sentiva solo il ticchettare dell’orologio alla parete che scandiva il tempo fra una risposta e l’altra.

“Da quanto tempo ci stai pensando, Shikamaru?”

“Da quando Naruto mi ha detto che aspetta il suo primogenito.”

La risposta l’aveva spiazzata. Non si era resa conto che il suo ragazzo pensava da mesi ad argomenti di questo genere e lei non se n’era nemmeno resa conto.

“La questione è una, Tem. Tu lo vuoi un bambino? Vuoi creare una famiglia con me?”

Gli vide le guance rosse e accaldate per colpa dei sakè - o forse dell’argomento? - che stavano bevendo in quel momento, alcuni ciuffi di capelli che erano scappati dalla solita coda e trovò tutto questo maledettamente eccitante, tanto da prendergli una mano e mettersela fra i suoi seni. Sentì la sua mano avere come uno spasmo, forse dovuta alla reazione inaspettata del gesto di Temari. Quando la guardò attentamente vide che anche lei aveva le guance accaldate e rosse, gli occhi leggermente lucidi e pieni di qualcosa che non seppe riconoscere in quel momento.

“Lo senti? Lo senti come batte il mio cuore?”

Temari aveva bevuto troppo e Shikamaru se ne sarebbe anche accorto se non fosse stato anche lui ubriaco, come lei.

“Lo sento.”

“Tu mi chiedi se voglio da te un figlio. La risposta è sì, lo voglio, ma ho paura. Non voglio diventare come mio padre e non ricordo molto di mia madre. Che madre potrei essere non avendo mai avuto una figura femminile dalla quale prendere esempio?”

Anche da ubriaca i discorsi di Temari filavano lisci, pieni di significato e non semplici parole campate in aria. Aveva il terrore di diventare fredda e distaccata come suo padre, di diventare una madre non degna di avere un bambino. Shikamaru lasciò andare il seno di Temari e si alzò, mettendosi accanto a lei. Era come se in quel momento i suoni, i rumori, gli odori, ogni cosa fosse scomparsa, lasciandoli soli.

“Io ho il terrore di non esserne all’altezza. Vorrei essere come mio padre o Asuma e ho il terrore di fallire. Tem, non si ha un manuale di istruzioni su come crescere i figli, ma possiamo farlo insieme, possiamo provarci.”

Lei lo baciò prima che lui si rendesse conto delle lacrime che gli bagnavano le guance, perché quel discorso l’aveva emozionata e aveva attenuato leggermente le sue paure, ritrovandosi a fare l’amore, lì, in quella stanza col camino acceso, a sussurrarsi che sarebbe andata bene e addormentandosi l’uno fra le braccia dell’altro, inconsapevoli che, l’indomani, nessuno dei due si sarebbe ricordato di quest’episodio.

 

“Shikamaru, sicuro di stare bene?”

Naruto sventolava una mano davanti gli occhi del moro, riportandolo alla realtà. Erano tre giorni che non aveva notizie di Temari, non facendosi nemmeno vedere per portargli il pranzo a lavoro. Non che fosse obbligata, ma qualche volta si premurava di portarglielo e stare un poco insieme.

Dove sei?

Più si diceva che non aveva motivo di pensare a qualcosa di brutto e più sentiva uno strano peso sul petto.

Forse ho esagerato con lei. Eppure io volevo solo parlarne.

Non poté fare a meno di pensare di aver costretto la sua Temari a fare qualcosa che non voleva. Rivedeva davanti agli occhi quelle tre settimane, dicendosi di aver sbagliato a comportarsi e a dire determinate parole. Sapeva perfettamente in che modo era fatta Temari, come prenderla, eppure era stato così cieco da non capire, da non riuscire dove aveva sempre eccelso: capirla.

“Sensei, pensa che Shikamaru stia dormendo?”

“Naruto, puoi andare. Shikamaru è solo stanco dal lavoro. Il tuo ultimo rapporto non è stato dei migliori e l’ha dovuto aggiustare. Dove hai la testa?”

Naruto si portò una mano dietro la nuca, scompigliandosi i capelli. La sua testa era da Hinata e dalla creatura che le stava crescendo in grembo, ma non poteva dirlo davanti all’Hokage, sebbene quest’ultimo se lo immaginasse.

“Va bene, ci vediamo domani, Shikamaru. A domani, Sensei.”

“Hokage, per te sono l’Hokage.”

Ma Naruto aveva già chiuso dietro di sé la porta. Fu in quel momento che Kakashi spostò tutta la sua attenzione sul suo consigliere di fiducia. Non aveva di certo mancato di notare come Temari non si fosse fatta vedere in quei giorni, rendendo il suo consigliere più propenso a fumare che a parlare.

“Dovresti andare a casa. Qualsiasi cosa sia successa con Temari non è bene prolungarla oltre.”

Shikamaru ponderò quelle parole, rendendosi conto che Kakashi aveva ragione.

“Ti do mezza giornata libera. Stasera torna qui a finire quel lavoro.”

L’Hokage non ebbe il tempo di finire di parlare che il capoclan dei Nara era fuggito dalla stanza, correndo a perdifiato. In un altro contesto si sarebbe scusato con le persone che urtava, in un altro contesto non avrebbe corso così tanto, come se ne andasse della sua vita. Tutti quelli che lo riconoscevano stentavano a credere che il pigro e misogino capoclan Nara fosse anche capace di correre o di fare qualcosa al di fuori del fumare o fare sonnellini guardando le nuvole.

Temari… aspettami!

Prese varie scorciatoie per andare a casa, passando fra i tetti ed evitando lenzuola stese smosse dal vento. Se aveva pensato che correre sui tetti fosse più veloce che correre fra le strade affollate si sbagliò di grosso. Maledisse le persone che gli intralciavano la strada, maledisse se stesso per non esserci arrivato prima. Aveva dato per scontato che anche Temari fosse pronta per questo discorso, non rendendosi conto del disagio procurato alla sua compagna di vita.

“Tem!”

Aveva urlato il suo nome davanti al ciglio di casa, aprendo le varie porte, entrando nelle varie stanze, non trovandola.

“Temari?”

Le parole gli morirono in gola, sentendola farsi secca di botto. Rifece mente locale sui possibili impegni di Temari, ma non gliene venne in mente nemmeno uno. Dov’era finita? Dov’era andata? Lentamente rifece il giro della stanza, ispezionandole tutte, fino a quando non arrivò in cucina e venne attirato da un pezzo di carta poggiato sul tavolo. Lo prese in mano e ne lesse il breve contenuto.

Torno fra una settimana. Ho delle faccende in sospeso a Suna.

Strinse il foglio nella mano e corse fuori, pensando di aver tardato solo qualche minuto. Quando arrivò davanti alle porte di Konoha e chiese se avessero visto l’ambasciatrice della Sabbia i ninja si guardarono fra loro, leggermente spaesati.

“Sì, l’ho vista io, ma è andata via tre giorni fa.”

Se a Shikamaru avessero dato un pugno nello stomaco avrebbe fatto meno male. Se n’era andata dopo di lui, mentre domande su domande gli affollarono la mente. Perché andava a Suna? Che faccende in sospeso aveva? Rimase lì, a fissare l’orizzonte oltre la porta per quella che gli parve un’infinità di tempo, fino a quando non si riscosse e tornò a lavorare.

Mi dispiace, Tem…

 

“Cosa ci fai qui?”

Temari non si voltò verso la voce che si era rivolta a lei, conoscendo benissimo il possessore della suddetta voce.

“Dovresti essere più cordiale con tua sorella maggiore.”

“Tem, cosa ti porta qui a Suna? E dov’è Nara?”

A dispetto del tono in cui si era rivolto a lei, aveva notato una sfumatura più dolce, più rispettosa quando aveva pronunciato il cognome del suo ragazzo. Kankuro aveva accettato di buon grado la sua relazione con Shikamaru, compatendolo per essersi innamorata di quell’arpia di sua sorella, il tutto sotto lo sguardo impassibile di Gaara, quello di fuoco di Temari e quello svogliato di Shikamaru.

“Aveva delle faccende da sbrigare con l’Hokage.”

“E tu? Perché ti trovi qui?”

Ma perché sei così insistente?

“Non sono affari tuoi. Adesso vado a casa a riposarmi.”

Si incamminò, lasciando suo fratello indietro mentre gli chiedeva, ancora una volta, perché si trovasse lì. Che avesse capito che ci fosse qualcosa di strano? Che avesse capito che fosse successo qualcosa con Shikamaru?

No, non può essere. Kankuro non capisce queste cose. Inoltre non ha nemmeno una ragazza!

Convinta che il fratello non avesse capito nulla, si incamminò verso casa, con le persone che si giravano a guardarla, non credendo di vederla lì. Era di pubblico dominio che ormai abitasse a Konoha con il suo ragazzo. Li ignorò e in poco tempo arrivò in quella che esattamente un anno fa era la sua casa. Chiuse la porta alle sue spalle e si diresse verso la sua camera, buttandosi nel letto e chiudendo gli occhi. Istintivamente si portò una mano sul grembo.

 

Corse verso il bagno, arrivando appena in tempo per vomitare dentro la tazza del water. La sua unica consolazione fu trovarsi da sola. Non avrebbe sopportato che Shikamaru la vedesse in quello stato. Aveva un ritardo di due settimane e se all’inizio aveva pensato che era a causa dello stress dovuto al lavoro, adesso non ne era più tanto certa. Non riusciva a capire per quale motivo avesse quelle assurde nausee che si scatenavano con il minimo odore o cibo che le capitava sotto mano, ma la verità era che aveva capito e non riusciva ad accettarlo. Quando era successo? Lei che era sempre così attenta a prendere le dovute precauzioni per lei e per lui…

“Non può essere che sono incinta…”

Ma più si ripeteva che era impossibile e più si rendeva conto che non poteva essere altro. Cosa poteva fare? Se fosse andata in ospedale si sarebbe sparsa la voce della sua presunta gravidanza e questa era l’ultima cosa che voleva in quel momento, ma come poteva fare per avere la conferma?

“Temari-san, è in casa?”

Temari alzò la testa, pulendosi con dell’acqua e andando verso la porta. A chiamarla era stata una voce gentile e melodiosa, una voce che riconobbe subito: la voce di Hinata.

“Hinata-san, che ci fai qui?”

“Disturbo, Temari-san?”

Hinata si morse un labbro mentre la timidezza prendeva il sopravvento su di lei. Forse Temari aveva da fare e lei l’aveva disturbata, ma non sapeva quando chiederglielo ed era sicuro che Naruto se lo sarebbe scordato, ancora una volta.

“No. Vieni, entra. Preparo del tè.”

Si fece da parte per far entrare la signora Uzumaki che ebbe il buon senso di non rifiutare. Hinata aveva capito che c’era qualcosa che non andava, anche Naruto lo aveva notato dal comportamento distaccato di Shikamaru, lascandogli il proprio spazio, pensando che l’amico si sarebbe confidato prima o poi, eppure non era successo. Non che Hinata si trovasse lì per indagare, ma…

“Cosa posso fare per te, Hinata-san?”

“Avrei il piacere di invitare te e Shikamaru-san una di queste sere a cena. Chiedo sempre a Naruto di chiederglielo a Shikamaru, ma puntualmente se lo dimentica. Spero che per te non ci siano problemi.”

“Non mi sento molto bene in questi giorni, a dirti la verità.”

Le parole le erano uscite di getto, rendendosene conto un attimo dopo. Era come se il suo subconscio cercasse qualcuno con la quale sfogarsi, alla quale chiedere consiglio. Hinata poteva essere la persona giusta alla quale chiedere?

“Potrebbe essere l’influenza che si sta diffondendo in questo periodo?”

Bastò un cenno di diniego del capo della bionda a far sospirare di sollievo, interiormente, la Hyuuga.

“Tu potresti con Byakugan vedere se c’è qualcosa che non va?”

“Potrei, ma perché questa domanda, Temari-sama?”

La risposta arrivò da sola, senza bisogno di parole. Hinata lo capì dallo sguardo di Temari, da quel velo di preoccupazione e dall’irrigidimento del corpo. Attivò il Byakugan e vide all’interno del corpo di Temari il suo chakra e un altro chakra all’altezza del ventre.

“Sono…”

Temari non continuò il discorso, ma Hinata annuì col capo.

“Da quanto tempo? Puoi capirlo?”

“Non da molto. Circa due settimane.”

Tutti i sospetti di Temari vennero confermati da Hinata. Sbiancò e dovette stringere il bordo del tavolo con le mani per non cadere, cercando di respirare e di calmarsi.

“Temari-san, state bene?”

“Hinata… non dire questa cosa a nessuno. Nessuno deve saperlo, nemmeno Shikamaru.”

La mora si ritrovò ad annuire, rendendosi conto che, forse, quella gravidanza non era voluta.

“Non dirò nulla a nessuno. È un compito che spetta a te.”

Il discorso cadde con il rumore di due tazze poggiate sul tavolo, mentre discorsi privi di parole di espandevano per la stanza.

 

“Shikamaru, cosa succede?”

Choji era andato a casa del suo migliore amico, preoccupato che non si facesse vedere in giro, ma soprattutto dal messaggio che l’Hokage gli aveva inviato. Gli diceva, esplicitamente, che Shikamaru aveva qualcosa e che in tutto questo c’entrava Temari. Preoccupato, aveva preso tre pacchi di patatine e si era diretto a casa Nara, trovandolo disteso sul portico a guardare le nuvole, incurante del freddo che facesse e della neve che copriva il giardino.

“Se n’è andata.”

Bastò questo a mettere in allarme il povero Akimichi che posò i pacchetti accanto all’amico ed entrò dentro casa, prendendo una coperta pesante e coprendo il capoclan Nara. Si sedette accanto a lui e aprì un pacchetto di patatine, offrendo la prima all’amico, il quale rifiutò.

“Vi siete lasciati?”

“No…”

Il tono con la quale lo disse fu categorico, facendo fare un sospiro di sollievo a Choji.

“E allora cosa c’è che non va? In che senso se n’è andata?”

Shikamaru prese un foglio di carta che teneva accanto a sé e lo porse all’amico, il quale lo prese e lesse il contenuto. Una semplice frase.

“È andata a Suna. Cosa c’è che non va?”

“No, non è semplicemente andata a Suna. Non aveva nessun impegno, Choji. Li conosco tutti gli impegni di Temari come lei conosce i miei. So quando ha un meeting di lavoro, quando deve andare a Suna per lavoro o per piacere, ma non stavolta.”

“Avete litigato?”

“La verità, Choji, è che io voglio un bambino e Temari no. Sono settimane che cerco di prendere il discorso, chiederle di mettere su famiglia, ma lei ogni volta si arrabbia con me per un motivo qualsiasi. Poi mi ritrovo questo biglietto. Se n’è andata subito dopo di me, subito dopo essere stato convocato dall’Hokage.”

“Pensi che se ne sia andata per non dover prendere il discorso? Shika, Temari non è stupida, sa benissimo che lo dovrete prendere prima o poi e…”

“Se n’è andata perché l’ho costretta a prendere questo discorso, come se l’avessi costretta con qualcosa che non voleva. Pensavo che anche lei fosse pronta ma forse mi sbagliavo.”

Choji non aveva mai visto l’amico in quello stato. Era come se Temari lo animasse, come se gli desse la carica giusta, lo spronasse. Ora invece il moro sembrava un corpo vuoto senza un’anima.

“Tornerà fra tre giorni…”

“Fra tre giorni è Natale, Shika. Fossi in te farei qualcosa per risolvere la situazione. Si vede lontano miglia e miglia che non riesci più a fare a meno di lei.”

Non si dissero più nulla, ma la presenza di Choji fu d’aiuto al povero Nara.

Se i due rimasero sul portico di casa, chi a mangiare e chi a guardare le nuvole, di tutt’altro avviso era Temari, la quale si svegliò presto quella mattina e si diresse appena fuori dal Villaggio della Sabbia. Le temperature erano leggermente più basse, essendo in inverno, ma faceva piacere quel caldo che le scaldava le membra.

“Ciao mamma…”

Un vento leggero mosse le vesti e i capelli di Temari, ricoprendoli di leggeri granelli di sabbia. Davanti alla kunoichi più forte delle cinque terre c’era una lapide logorata dal tempo, dove una piccola scritta si leggeva a stento. La bionda si inginocchiò davanti a quel pezzo di pietra e ne baciò il nome, mentre due lacrime solcavano il suo viso.

“Mamma… sono incinta, aspetto un bambino.”

Non ricevette risposta, ma il vento si calmò, come se Karura fosse davvero lì con lei. Una presenza che c’era ma che non si vedeva.

“Non so cosa fare. Voglio tenerlo ma ho paura di non saper fare da madre. Come si fa? Te ne sei andata troppo presto.”

Le lacrime si erano arrestate, ma la voce rimaneva leggermente incrinata, come il fiato corto. Si sforzava di non piangere, si sforzava di trovare delle risposte a delle domande impossibili.

“Shikamaru non lo sa che aspetto un bambino da lui. So che glielo dovrei dire, ma ho paura. Essere un ninja è molto più facile che essere un genitore.”

Rimase lì, a raccontare a sua madre tutte le sue paure e le sue angosce, a riversare finalmente tutto quello che l’angustiava da tre settimane, fino a quando non sentì dei passi. Voltandosi vide una chioma rossa e degli occhi molto simili ai suoi.

Gaara…

“Non dovresti essere in ufficio a sbrigare pratiche burocratiche?”

“Ho bisogno di cinque minuti di pausa, e poi Kankuro mi ha detto che eri qui al villaggio.”

Le si avvicinò e guardò anche lui il nome di sua madre, accarezzandolo con una mano.

“Perché sei qui, Temari?”

“Avevo bisogno di parlare con nostra madre.”

“È successo qualcosa con Shikamaru?”

Temari non disse nulla, ma distolse lo sguardo, fissando anche lei quel nome: Karura.

“Qualsiasi cosa sia successa, chiarisci con lui. Siete forti abbastanza da superare qualsiasi avversità.”

Quando la principessa della Sabbia si voltò verso suo fratello gli vide sul viso l’ombra di un sorriso. Erano così rari che li custodiva gelosamente nei suoi ricordi.

“E poi fra tre giorni è Natale. Non credo che Nara se la sappia cavare senza di te.”

Temari sorrise a sua volta, l’accenno di una risata su per la gola e il cuore più leggero.

“Torno a Konoha. Ci vediamo al meeting, giusto?”

Gaara annuì, vedendo sua sorella prendere il ventaglio e correre fra le dune del deserto, diretta verso il paese del fuoco.

 

E come sparire senza rumore, scivolare nel corso degli anni e non pesare sul cuore degli altri, ma non è semplice.

 

Temari correva senza sosta per poter arrivare in tempo, riposando quel poco che le bastava e mangiando giusto qualcosa per non soffrire la fame. Stare davanti alla lapide di sua madre, confessarle tutti i suoi dubbi e le sue paure, raccontarle la parte più intima di se stessa era stata una liberazione, come lo era stato l’incoraggiamento di Gaara. Era stata una sciocca a non dire prima a Shikamaru del bambino, a non prendere quel discorso. Forse nemmeno Shikamaru sapeva come essere un genitore, forse era nella sua stessa situazione, ma lei aveva pensato solamente a se stessa, senza tenere in considerazione i suoi sentimenti.

Aspettami…

La sabbia del paese del Vento si era tramutata in terra, arrivando nel paese del Fuoco in quasi tre giorni di corsa. Non dava peso al dolore alle gambe, non dava peso al ventaglio che le sbatteva senza sosta sulla schiena. Per lei contava solamente arrivare in tempo, arrivare a Natale e passarlo insieme a lui.

“Tem…”

La bionda si fermò di botto non appena varcò le porte della città, voltando la testa da una parte all’altra. Avrebbe riconosciuto la sua voce fra un milione di voci, l’avrebbe riconosciuta anche col mare in tempesta o con una bufera di sabbia. Vide un piccolo movimento alla sua destra e una piccola luce rossa. Shikamaru si mise davanti al cono di luce, uscendo dall’ombra. Teneva in mano una sigaretta che venne gettata lontano, insieme alle altre. Difficile dire quante ne avesse fumate quella sera. Si era messo lì ad aspettare che lei tornasse, varcasse le porte della città per tornare da lui, come aveva scritto nel biglietto. La neve cadeva giù dal cielo a coprire le prove della sua impazienza, lasciandolo coi capelli umidi di neve e leggermente bianchi.

“Cosa ci fai sotto la neve?”

“Ti aspettavo…”

Non ho fatto altro nell’ultima settimana.

Temari non si aspettò quella dichiarazione così spontanea, portandola ad avvicinarsi al suo fidanzato. Quando fu vicina a lui, il moro allungò un braccio e strinse leggermente il suo, strattonandola e facendola finire contro il suo petto. Portò le braccia a stringere quel corpo caldo contro il suo, come a non farla andare via. In quel momento la principessa della Sabbia si rese conto di quanto in pena doveva essere stato il suo fidanzato, stringendolo a sua volta.

“Perché sei andata a Suna?”

“Perché dovevo parlare con una persona.”

“Chi?”

Shikamaru scostò leggermente il viso per poter vedere meglio il viso della sua fidanzata.

“Mia madre. Shika… sono incinta, aspetto un bambino.”

Era tipico di Temari sganciare bombe a mano senza tenere conto delle conseguenze, come in quel momento, in cui Shikamaru sbiancò leggermente, guardandola con una faccia da ebete.

“Da… da quanto tempo?”

“Circa quattro settimane. Facendomi un calcolo deve essere successo quando siamo andati a trovare tua madre, ma non mi ricordo nulla.”

“Abbiamo bevuto un bel po’ quella sera.”

La presa sulle spalle della ragazza si fece più gentile, mentre il moro sentiva una strana euforia nel petto. La sua ragazza era incinta, aspettavano un bambino.

“Già.”

“Tem, tu lo vuoi questo bambino?”

La vide trattenere il respiro e si maledisse per essere stato così diretto, ma lui doveva sapere quello che le passava per la testa, doveva sapere se lei voleva quello che voleva lui.

“Shika… sì, lo voglio, ma ho paura. Non voglio diventare come mio padre e non ricordo molto di mia madre. Che madre potrei essere non avendo mai avuto una figura femminile dalla quale prendere esempio?”

“È per questo che sei andata a Suna? A cercare le risposte?”

Temari annuì, maledicendo il suo fidanzato per averla letta con una facilità estrema. Era come se non riuscisse a tenergli nulla nascosto e la cosa la infastidiva. Quando però vide l’ombra di un sorriso sul suo volto e la mano che si posò sulla sua guancia in una breve carezza non poté fare a meno di pensare che solamente lui sarebbe stato in grado di sconvolgerla così tanto.

“Io ho il terrore di non esserne all’altezza. Vorrei essere come mio padre o Asuma e ho il terrore di fallire. Tem, non si ha un manuale di istruzioni su come crescere i figli, ma possiamo farlo insieme, possiamo provarci.”

La Sabaku no nascose il viso sul petto del suo ragazzo, mentre quest’ultimo sorrideva e le dava dei baci fra i capelli.

“È il regalo più bello che potessi farmi per Natale, Tem.”

“Sarà il primo e l’ultimo di questa natura, sia chiaro. Spero per te che tu abbia tagliato della legna per il camino. Sto gelando.”

La risata di Shikamaru li accompagnò sulla strada di casa, mentre la neve copriva le loro orme, di nuovo vicine.

   
 
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