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Autore: daffod_ils    25/01/2018    1 recensioni
E' ambientata nell'episodio in cui Athos deve tornare alla sua vecchia abitazione per difendere le sue terre e le persone che ci vivono. D'Artagnan lo guarda e capisce che c'è qualcosa che non va.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aramis, Athos, D'Artagnan, Porthos
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Salve! Non pubblico da un po' su questo sito, ma avevo questa os da parte e ho pensato: perché no? L'ho scritta guardando un episodio della seconda stagione di The Musketeers che mi ha particolarmente ispirata e ne è uscito questo. Buona lettura, sentitevi liberi di esprimere le vostre opinioni e critiche che sono sempre ben accette. 




Aveva a lungo sperato di non dover più tornare in quel posto, ma quando gli avevano chiesto aiuto Athos non aveva saputo dire di no. Quella povera gente aveva vissuto in quelle terre -le sue terre- per tutta la vita; erano lì quando c'era lui, quando era felice, innamorato, e sono rimasti quando lui è andato via con il cuore spezzato. Il suo viso riflette tutti i suoi pensieri mentre cavalca con i moschettieri verso la sua vecchia casa. Aramis e Porthos scherzano, chiacchierano, D'Artagnan non ha smesso di mandargli occhiate nemmeno un secondo. 
 
Pensava davvero di non doverci mai tornare, di potersi semplicemente lasciare tutto alle spalle e dimenticarsi di aver mai vissuto quella vita, ma lui era un moschettiere e quelle erano state le sue terre un tempo; i contadini e le persone che avevano lavorato per lui non avevano esitato a chiedergli protezione quando si erano sentiti minacciati da un nobiluomo che intendeva appropriarsi delle sue terre, lui sì. Aveva aspettato prima di accettare, prima di voler sapere di cosa si trattasse, prima di decidere di tornare in quella casa. 
Ogni punto di quella terra, ogni angolo di quella casa, di quei profumi e di quei suoni... ogni cosa portava con sé ricordi che gli si insinuavano dentro, partivano dalle viscere e gli riempivano la testa, gli occhi. C'era qualcosa di dolce nel dolore che gli provocavano certe immagini -certi sentimenti-, come se niente fosse reale, niente avesse peso; si sentiva fluttuare, sentiva la realtà allontanarsi e si sentiva come se la morte lo stesse solo cullando prima di stringere la sua morsa su di lui.  
I polmoni gli facevano male per la respirazione irregolare e l'improvvisa mancanza d'aria ed intorno a lui ogni cosa perdeva forma... poi, d'improvviso, il calore, il calore umano, una mano poggiata sulla sua spalla, delle parole... Athos, che ti succede... 
D'Artagnan non aveva detto nulla fino a una decina di minuti dopo, non aveva avvisato nessuno; se ne stavano in silenzio, la schiena poggiata contro una delle mura laterali della grande casa. 
"Che ti è successo?"  
Athos non aveva proprio bisogno di sentirsi fare quella domanda, né tantomeno voglia di rispondere. Cercò di evitarlo, aveva lo sguardo perso nel vuoto e tutta l'aria di non star ascoltando.  
"Athos!" D'Artagnan richiamò la sua attenzione, mosse vigorosamente la spalla contro la sua. 
"Cosa c'è, D'Artagnan?"  
"Ti ho chiesto che è successo..." 
"Perché pensi che sia successo qualcosa?" 
"Perché sei quasi svenuto" 
"Sono stanco, ho bevuto poco ed oggi fa parecchio caldo" 
"Non dirmi sciocchezze, ho visto come stavi mentre ve-" 
"NO! Tu pensi di conoscermi, D'Artagnan, ma non è così!"  
Athos l'aveva interrotto e gli aveva quasi urlato contro; D'Artagnan aveva prontamente fatto silenzio, aveva sospirato, per nulla scoraggiato.  
"Insegnami, allora"  disse, senza nemmeno guardarlo. Athos si girò verso di lui e prese ad osservarlo. Aveva il viso stanco, la pelle olivastra imperlata di sudore e sembrava... nervoso -preoccupato?-, stava lì fermo accanto a lui ma non riusciva a smettere di muovere nervosamente le mani, di giocare con i fili d'erba su cui erano seduti. Era bellissimo, lì fermo ad aspettarlo.  
"Cosa?" chiese, il tono di voce tranquillo. Anche D'Artagnan si girò a guardarlo e Athos si sentì profondamente toccato dai suoi occhi.  
"Insegnami a conoscerti" disse ancora, lentamente, senza smettere di guardarlo e di sorridergli. D'Artagnan si era avvicinato impercettibilmente e Athos era rimasto immobile. "Proprio come mi hai insegnato tutto il resto" D'Artagnan aveva aggiunto, in un sussurro.  
Era vero, profondamente vero. La prima volta che l'aveva visto, D'Artagnan voleva ucciderlo perché pensava che fosse l'assassino di suo padre e detestava i moschettieri per un crimine che non avevano commesso. Pochi mesi dopo, era un moschettiere e Athos si era preso il compito di supervisionare personalmente il suo allenamento. Gli aveva insegnato a difendersi, gli aveva insegnato come e dove colpire, a sparare con il moschetto e gli aveva insegnato cose più importanti come i valori, le virtù, il coraggio e il sacrificio. Athos gli aveva dato quello che D'Artagnan aveva chiesto, ma questa volta si trovava in difficoltà con la richiesta che aveva ricevuto. Insegnargli a conoscerlo voleva dire scoprirsi ed aveva troppo timore di perderlo nel processo.  
"Non sono sicuro che sia una buona idea"  
D'Artagnan si era girato nuovamente e Athos non riusciva a leggere l'espressione sul suo volto da dov'era seduto, però aveva visto il suo sorriso sparire poco prima che si girasse.  
"Che ne dici di tornare dagli altri?" Il più giovane si era alzato, gli aveva parlato senza guardarlo nemmeno un momento e gli aveva offerto una mano per alzarsi -tipico di D'Artagnan, infastidito ma sempre premuroso e attento.  
 
Avevano combattuto duramente per tutto il resto della giornata, Aramis e Porthos non erano venuti a sapere del piccolo problema che aveva avuto, anche perché nessuno aveva davvero avuto un momento per fare conversazione fra moschetti e polvere da sparo. D'Artagnan era stato al suo fianco, gli aveva coperto le spalle, eppure non gli aveva rivolto la parola, sembrava distante. Alla fine della serata, Athos non aveva più resistito ed era andato a parlargli.  
"C'è qualcosa che non va?"  
D'Artagnan aveva messo su un sorriso beffardo. "No" 
"D'Artagnan, guardami" Athos l'aveva richiamato, il suo tono era leggermente severo. D'Artagnan s'era fatto serio, aveva obbedito.  
"Ho fatto qualcosa?" Aveva chiesto Athos, questa volta più dolcemente.  
"Tu pensi che io non possa sopportare di vedere il tuo lato peggiore" Gli era bastato poco per aprirsi ad Athos, per dirgli chiaramente cosa l'aveva ferito. Erano seduti accanto al tavolo dove avevano cenato, entrambi su una panca di legno. D'Artagnan gli aveva sfiorato leggermente una mano quando aveva visto l'altro abbassare lo sguardo. 
Aramis e Porthos avevano lasciato la stanza, probabilmente perché avevano notato che fra di loro c'era qualcosa da risolvere -o semplicemente perché loro stessi avevano bisogno di... prendersi del tempo da soli.  
"Non è questo, D'Artagnan" 
"E' esattamente questo. Senti-" Sospirò, a guardarlo era chiaro come stesse cercando di mettere insieme le parole. 
"Mi interessi tu, non mi interessa chi sei stato, non mi interessa il tuo passato o cosa potresti diventare. Mi interessi tu adesso, quello che provi in questo momento, non sono qui per giudicare i tuoi errori" 
Se solo sapesse, pensò Athos. Era toccato, come sempre, D'Artagnan riusciva sempre a colpire dove bisognava colpire, sia in campo che con lui.  
Non gli aveva lasciato la mano mentre parlava e non la lasciò quando ebbe finito, quando Athos lo guardava per chiedergli pietà, perdono.  
"Lo so che sono giovane e che avevo tanto da imparare quando sono arrivato da voi... e so che hai ancora tanto da insegnarmi"  
Athos si era lasciato cadere su di lui, aveva poggiato la testa sul petto di D'Artagnan e lui aveva emesso un sospiro di sorpresa prima di avvolgerlo con le sue braccia.  
"Mi dispiace"  
D'Artagnan l'aveva preso il mento e l'aveva baciato dolcemente sulle labbra. 
"Forse ho qualcosa da insegnarti anch'io" aveva sussurrato.  
Athos aveva ghignato ed aveva alzato gli occhi per guardarlo.  
"Già" Aveva detto prima di baciarlo sul serio, "Aspetta a dirlo"
   
 
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