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Autore: Shikayuki    25/01/2018    2 recensioni
-Kacchan, ti andrebbe di allenarti con me dopo la scuola? Ho prenotato il campo da allenamento tre, quello con la città. Il professor Aizawa ha detto che mi firma il permesso solo se ho un compagno ma Uraraka-chan deve scappare a casa e Todoroki-kun deve andare a trovare sua madre, quindi ho pensato che magari tu saresti voluto venire ad allenarti… con me, nel campo di allenamento tre.-
Katsuki si fermò, si voltò a guardarlo, poi lo prese per il colletto, sbattendolo contro il muro.
-Kaccha- -
-Ascoltami nerd di merda, non te lo ripeterò due volte: smettila di darmi fastidio. Vai a ronzare intorno al tuo gruppo di amici e lasciami in pace, io non sono tuo amico.-
~
Deku, Kacchan e l'evoluzione del loro rapporto... Deku ne uscirà vivo?
Genere: Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: purtroppo i personaggi e le ambientazioni non mi appartengono!

 

• Iniziativa: Questa storia partecipa al "COWT" di Lande di fandom 

• Settimana: Seconda

• Missione: M3

• Prompt: Madness dei Muse

• Numero Parole: 6.088

 

N.B.: mi dispiace, ma non è betata! Sorry not sorry, ma sotto cowt vale il "quantity over quality", verrà fixata prima o poi!



 

Our love is madness

 

Katsuki era incazzato nero quel giorno, ma in fondo quando non lo era. Eppure quel giorno si sentiva particolarmente arrabbiato con il mondo, ma talmente tanto che avrebbe volentieri raso al suolo uno o due, o anche dieci, campi di allenamento senza battere ciglio, ma quello sarebbe stato un grosso problema. Storse il naso al pensiero dell’ennesima telefonata del professor Aizawa a sua madre in merito ai suoi allenamenti distruttivi per l’ambiente circostante e decise che per quel giorno ne avrebbe fatto a meno: la vecchia megera non avrebbe avuto la sua valvola di sfogo, non quel giorno.

«...cchan!»

Katsuki continuò per la sua strada verso il distributore di bevande, totalmente impassibile.

«...acchan!»

Niente, non sentiva nulla, il suo obiettivo era prendere a testate la macchinetta delle lattine fino ad averne una di tè.

«Kacchan!»

Una mano gli si posò su una spalla e lui scattò, tirando un destro micidiale, piccole esplosioni che si liberavano dalla sua pelle, solleticandolo. La persona che aveva osato disturbarlo però lo conosceva troppo bene, e lo schivò senza troppo problemi, facendolo incazzare ancora di più.

«Kacchan, ti chiamo da cinque minuti!»

Katsuki gli ringhiò e si voltò di nuovo, riprendendo il suo cammino verso il distributore. Se non gli avesse dato confidenza presumibilmente si sarebbe stancato di seguirlo, a volte funzionava.

«Kacchan, aspetta, devo chiederti una cosa!»

Katsuki teneva i denti talmente tanto digrignati dal fastidio che per un attimo temette che gli si sarebbero spezzati, ma ignorò la cosa, proprio come stava ignorando quell’altra ‘cosa’, che gli rompeva ormai le scatole da svariati anni.

«Kacchan, mi stai ascoltando? Ho davvero bisogno di te, per favore.»

Katsuki finalmente aveva raggiunto il suo obiettivo, sentendo la pelle degli avambracci ribollire per via delle piccole esplosioni da nervosismo. Stava per dare una testata alla macchinetta quando quel rompiscatole si mise in mezzo.

«Kacchan aspetta, faccio io! Non puoi prenderti un’altra sgridata.»

Non gli chiese neanche cosa voleva, semplicemente inserì una moneta e pigiò un tasto, porgendogli poi esattamente la bevanda per la quale si era trascinato dall’altra parte della scuola. Lo guardò malissimo, mentre quello gli sorrideva, la lattina fresca tra le mani e quegli odiosi capelli verdi ad incorniciargli il volto lentigginoso. Gli dava fastidio, lui ed il suo stupido sorriso. Afferrò la lattina senza neanche ringraziarlo e si voltò, stappandola ed iniziando a berla con rabbia. Sentì un sospiro provenirgli da dietro le spalle e poi di nuovo, la rottura di scatole era lì.

«Kacchan, ti andrebbe di allenarti con me dopo la scuola? Ho prenotato il campo da allenamento tre, quello con la città. Il professor Aizawa ha detto che mi firma il permesso solo se ho un compagno ma Uraraka-chan deve scappare a casa e Todoroki-kun deve andare a trovare sua madre, quindi ho pensato che magari tu saresti voluto venire ad allenarti… con me, nel campo di allenamento tre.»

Katsuki si fermò, si voltò a guardarlo, poi lo prese per il colletto, sbattendolo contro il muro.

«Kaccha-»

«Ascoltami nerd di merda, non te lo ripeterò due volte: smettila di darmi fastidio. Vai a ronzare intorno al tuo gruppo di amici e lasciami in pace, io non sono tuo amico.»

Quegli occhi verdi lo guardavano tranquilli nonostante tutto, sostenendo il suo sguardo e non cedendo di una virgola. Katsuki si perse per un attimo in quel verde smeraldo profondo, rilassante… rassicurante. Era un colore che aveva sempre fatto parte della sua vita, non riusciva a vederlo diversamente, non riusciva a non considerarlo familiare e caloroso. Lo lasciò andare, per poi tornare sui suoi passi.

«Subito dopo le lezioni al campo tre! Metti la divisa da allenamento!»

Deku imperterrito glielo aveva urlato dietro, incurante dei compagni che si erano radunati intorno a lui per sincerarsi che stesse bene. Sentì persino qualcuno chiedergli del perché si ostinava nel voler fare amicizia con lui, ma nonostante avesse aguzzato le orecchie non sentì una risposta, o forse Deku proprio non ne diede una. Che poi loro due erano stati amici un tempo, un tempo che adesso gli sembrava lontanissimo, e lo erano stati fino a quel maledettissimo giorno in cui a Deku avevano diagnosticato l’assenza di quirk. Se ci ripensava, Katsuki riusciva ancora a ricordare il giorno in cui tutto era cambiato, il giorno in cui loro avevano iniziato a cambiare. Lui era diventato quello più forte, il bambino prodigio, il futuro eroe, quello che senza inpegnarsi riusciva in tutto; mentre Deku era diventato l’inetto, l’avanzo della società, eppure quello che si impegnava più di tutti, ammirando Katsuki stesso per la sua naturale attitudine. Deku era sempre stato un passo dinanzi a lui nel diventare eroe, anche senza quirk, perché era intelligente, un grande stratega, dotato di umiltà e buon cuore, qualità che a lui mancavano fin troppo.

Il tempo di perdersi in quei viaggi mentali ed improvvisamente suonò la campanella che segnava la fine delle lezioni. Guardò con la coda dell’occhio dietro di se, mentre buttava le cose alla rinfusa nella cartella, ma del nerd sfigato neanche l’ombra, forse si era già avviato al campo di allenamento. Katsuki schioccò la lingua infastidito e con il suo solito passo da battaglia, si diresse verso casa, le cuffiette ben calcate nelle orecchie per evitare seccature. Su fermò nell’atrio per cambiarsi le scarpe, ma mentre lo faceva sentiva la rabbia montargli di nuovo e la pelle delle mani prudergli. Non sarebbe andato al campo di allenamento, non avrebbe dato quella soddisfazione a Deku. Chiuse l’armadietto delle scarpe e lo fissò, immobile, per tirargli un pugno rabbioso.

«Maledizione!»

Si diresse al campo di allenamento tre, fermandosi velocemente negli spogliatoi per mettersi la divisa da allenamento, con il sentore che alla fine di quel pomeriggio avrebbe dovuto buttarla. Si allacciò le scarpe e poi fece il suo ingresso nell’arena. Di Deku non c’era traccia da nessuna parte, il che era strano, ed in realtà era già rimasto stupito di non averlo trovato ad aspettarlo speranzoso negli spogliatoi. Si ritrovò a pensare che tanto meglio, avrebbe dovuto cercarlo, rendendo il tutto più interessante.

Fu solo uno spostamento d’aria ad avvertirlo e non fece a tempo a voltarsi che un pugno lo colpì dritto in faccia, eludendo la sua difesa tirata su all’ultimo. Cadendo riuscì a riprendersi, poggiandosi su un braccio ed aiutandosi con un esplosione a tirarsi subito in piedi, scattando in una posizione di difesa.

«Kacchan, sei venuto...»

Deku era davanti a lui, in posizione d’attacco, scariche di elettricità statica lo attraversavano, mentre un’aura di potenza lo permeava, creando intorno a lui una pressione indifferente. Katsuki non s’impressionava facilmente, ma doveva riconoscere che davanti a lui non c’era più il ragazzino debole, spaventato e senza quirk d’un tempo. No, davanti a lui c’era un futuro eroe e con un quirk degno di quel nome. Sentì una scintilla di eccitazione andare a mischiarsi alla rabbia che provava, e passò in posizione d’attacco, sorridendo in modo folle.

«Avevo giusto voglia di picchiare qualcuno, perché non approfittarne?»

Senza preavviso, Katsuki partì all’attacco, ma Deku fu decisamente più veloce e schivò il suo gancio destro senza problemi.

«Sei prevedibile Kacchan, parti sempre con un destro!»

Sorrideva Deku, come se per lui quella danza della morte fosse un gioco divertente. Lo schivava e lo contrattaccava con fluidità, ed erano perfettamente in sincronia. Nessuno dei due era ancora riuscito a danneggiare l’altro, ma già avevano riempito la zona intorno a loro di rovine fumanti. Continuarono a danzare ancora per un po’ ma poi Katsuki notò un cedimento nella velocità di Deku e ne approfittò per lanciare un attacco quasi a piena potenza, che andò a segno, scagliandolo a schiantarsi contro un mezzo muro già crivellato di colpi. Vide chiaramente l’aria abbandonare i polmoni del ragazzo nell’impatto, e poi lo vide annaspare in cerca d’ossigeno mentre si rimetteva in piedi nel minor tempo possibile. Un rivolo di sangue gli colò da sotto la manica della divisa e Katsuki pensò che dovesse essersi ferito a livello della spalla. Deku non fece nulla per fermare quella scia rossa, mettendosi di nuovo in posizione d’attacco e richiamando il suo quirk. Katsuki fece di nuovo un sorrisetto e si lanciò subito all’attacco, non dandogli tregua. Ripresero la loro danza, ma Katsuki si ritrovava spesso a distrarsi con quegli occhi verdi, illuminati dalle sue esplosioni o dalle scariche del quirk dell’altro. Erano occhi così appassionati, così determinati e di nuovo così familiari, che gli facevano male. Anche se quello che gli faceva più male era vedere che Deku si stava divertendo in quell’allenamento, nonostante Katsuki non smettesse di offenderlo, non dandogli mai tregua, desideroso di sfogare la sua rabbia perenne, la sua frustrazione e magari cancellare quel sorriso. Deku aveva sempre vissuto nella sua scia, ammirandolo, prendendosi i suoi insulti senza mai piangere e sempre pronto a tendergli la mano nei rari momenti di difficoltà, preoccupandosi prima di lui che di se stesso. Perché non lo odiava? Perché continuava a cercarlo ogni singolo giorno, sorbendosi le sue offese e le sue sfuriate? Perché non lo lasciava indietro quando ormai era evidente che lo stava superando come eroe? Durante il torneo scolastico nessuno lo aveva selezionato e lui aveva pensato dentro di se che tutti gli eroi dovevano essere stupidi a non aver selezionato un ragazzo come Deku, intelligente, osservatore, grande stratega e con un quirk che una volta controllato avrebbe potuto fare grandi cose. Erano pochi mesi che il suo quirk si era magicamente risvegliato, eppure già la sua padronanza e la sua forza avevano fatto un salto mostruoso. Perché era stato selezionato lui, cane rabbioso neanche in grado di avere una conversazione normale con chiunque, piuttosto che qualcuno come Deku? Questa cosa lo faceva incazzare.

Notò un altro cedimento nella velocità del suo avversario e ne approfittò per colpirlo di nuovo a piena potenza, mandandolo questa volta contro un palazzo, a sfondare due finestre e poi schiantarsi contro il muro dall’altra parte della stanza. Lo aveva preso in pieno petto con un’esplosione non proprio delicata e per un attimo si chiese se magari non avesse esagerato. Ma Deku aveva resistito altre volte a colpi del genere, sicuramente gli stava tendendo un agguato dentro il palazzo, pronto a colpirlo non appena si fosse affacciato.

«Ehi, nerd di merda, se pensi che io cada nella tua trappola hai proprio sbagliato. Sbrigati ad uscire e concludiamo questa farsa.»

Da dentro non venne nessuna risposta, ne sentore di movimenti. Katsuki aspettò il giro di altri due respiri e poi la sua impazienza ebbe la meglio. Carico delle esplosioni e si catapultò nel palazzo, pronto a contrattaccare, solo che quello che trovò lo lasciò spiazzato.

Deku era carponi, con una mano si premeva subito sotto al petto, annaspando per provare a respirare, mentre del sangue gli usciva dalla bocca.

«Ka-Kacchan…»

Provò a parlare, ma subito gli venne da tossire per la mancanza d’aria. Katsuki corse da lui, capendo la gravità della situazione e provò a toccarlo per girarlo, cercando di capire cosa avesse di preciso e l’effettiva urgenza della questione. Non appena provò a muoverlo però il ragazzo urlò di dolore, provando a ritirarsi dal suo tocco, sentendo ancora più male ed urlando di nuovo, non riuscendo ancora a respirare.

«Devi avere un paio di costole rotte, devo portarti immediatamente in infermeria, potresti avere un polmone compromesso.»

Le lezioni di primo soccorso dovevano pur servire a qualcosa e infatti stavano dando il loro frutto.

«Devo sollevarti da per terra e ti farà male, ma non provare ad urlare di nuovo, altrimenti giuro che ti lascio qua a morire.»

Deku annuì, il respiro corto, la pelle più pallida del normale, il terrore involontario negli occhi. Katsuki a quella vista sentiva un’emozione strana da qualche parte nella zona del petto e a livello dello stomaco, ma non riusciva a trovargli un senso e non ne aveva neanche il tempo, doveva agire.

Si mise il braccio destro di Deku, quello della parte sana, intorno al collo e senza preavviso lo sollevò senza troppe cerimonie, tirandolo in piedi e sostenendolo per non farlo ricadere a terra. Nonostante tutto il ragazzo ferito non emise un suono, se non uno sbuffo dolorante quando fu in piedi.

«Ce la fai a camminare?»

Deku annuì in risposta, provando a conservare quanto più ossigeno possibile, ma non appena provò a fare il primo passo, le ginocchia gli cedettero e il fiato gli si mozzò. Fortunatamente Katsuki era abbastanza forte per sorreggerlo, evitandogli di finire di nuovo con la faccia a terra. Schioccò di nuovo la lingua infastidito e poi lo prese in braccio, senza troppe cerimonie. Deku strinse i denti ma non urlò, limitandosi semplicemente a raggomitolarsi per cercare di alleviare il dolore che provava. Un’altra fitta colpì Katsuki da qualche parte intorno al petto, forse verso il lato sinistro, ma un’altra volta accantonò la sensazione per concentrarsi sul portare quel nerd infermeria il prima possibile.

Per tutto il tragitto il ragazzo tra le sue braccia non emise un suono e Katsuki capiva che stava soffrendo solo dal respiro che gli si mozzava spesso, la faccia accartocciata in pura sofferenza.

«Spero almeno che tu non ti sia rotto per usare il tuo quirk, stupido.»

Fece cenno di diniego con il capo, stringendo i denti e provando ad aprire gli occhi per guardarlo male, cosa che non gli era mai riuscita in tutta la sua vita, neanche quando Katsuki gli aveva bruciato il suo preziosissimo quaderno di appunti sugli eroi, buttandolo poi nella fontana in cortile.

Katsuki lo aveva visto piangere, anche fin troppe volte, resistere, essere frustrato, sconsolato, fiducioso, ma mai in quindici anni che erano insieme lo aveva visto arrabbiato. Semplicemente non era nella sua natura. Quando erano piccoli ed ancora sullo stesso livello, prima che Katsuki ricevesse il suo quirk e a Deku venisse negato il suo, erano stati amici, ma per davvero. Deku era quello che piangeva e Kacchan quello che lo vendicava, Kacchan quello che si buttava giù anche se non lo dava a vedere e Deku quello che lo tirava su, senza farsi notare. Quando poi Katsuki era diventato la causa delle lacrime e dello sconforto di Deku, sapeva perfettamente dirlo, ed era il momento esatto nel quale tutti quanti avevano preso a dirgli che il suo era un quirk di classe superiore e che sarebbe diventato sicuramente un eroe, mentre a Deku veniva negato anche di sognare di diventarlo. Si era creato un abisso tra di loro, che mano mano cresceva, dilatandosi ed allontanandoli sempre di più, con Katsuki che tentava di rifuggirne il ciglio, mentre Deku continuava a provare a stendersi al di sopra, a tendergli la mano, a tenerlo con se.

«Ka-Kacchan…»

Fu appena un sospiro, ma tanto bastò a Katsuki per accorgersi che involontariamente aveva stretto la presa sul ragazzo ferito, facendogli del male. Subito l’allentò, senza scusarsi ne niente, tanto Deku era abituato al dolore che gli causava.

Finalmente arrivarono in infermeria e Recovery girl era già pronta all’azione.

«Quando ho visto i vostri nomi nelle prenotazioni dei campi di allenamento, già sapevo che mi sarei ritrovata il giovane Midoriya qua. Siete degli incoscienti.»

Katsuki non si disturbò neanche a rispondergli, mostrando un po’ di rispetto per una persona più anziana, per di più suo superiore, limitandosi a scaricare Deku su uno dei lettini, con tutta la grazia che possedeva, praticamente pari allo zero. Il ragazzo ferito di nuovo non emise un fiato, limitandosi a fare un’espressione dolorante, mentre passava dalle braccia di Katsuki al lettino scomodo dell’infermeria.

«Cosa abbiamo qui?»

Recovery girl prese a tastarlo per tutto il torace, e Katsuki decise che il suo dovere era stato fatto ed adesso poteva anche andarsene, ma proprio quando l’eroina dottoressa tasto il punto critico e Deku urlò, sentì una mano aggrapparsi alla sua felpa.

«Non-non lasciarmi Kacchan, p-per favo-»

Urlò di nuovo, questa volta perché Recovery girl gli stava affondando le dita nel punto esatto dove prima teneva lui le mani. La dottoressa gli aveva aperto la felpa, o meglio quel che ne rimaneva, lasciandolo a petto nudo. La sua pelle era pallida, ancora di più sotto le luci al neon dell’ambulatorio, ma poteva esattamente vedere l’enorme livido viola che gli colorava il costato subito sotto al petto, sulla sinistra. L’anziana donna continuo a tastare e premere, facendosi un’idea generale.

«Hai due costole rotte ed una ti ha perforato un polmone. Posso guarirti, ma dovrò attingere alla tua stessa forza. Le costole non guariranno completamente, quindi riposo assoluto per due mesi. Sei esonerato da tutte le prossime attività fisiche, mi premurerò di comunicarlo ai tuoi docenti. Mi dispiace Midoriya.»

«Ma questo è un periodo molto importante! Ci sono i secondi stage dell’anno ed io…»

«La situazione è davvero pericolosa e le costole sono davvero spezzate in punti ostici, inoltre le tue ossa sono già state abbondantemente provate dalle tue svariate prodezze dei mesi precedenti. Saresti da operare, ma potrebbe essere troppo per te al momento. Spero che questo vi serva da lezione per la prossima volta che vi allenerete pensando davvero di essere in un campo di battaglia, dove nessuno è veramente amico di nessuno.»

Recovery girl li lasciò soli, andando a prendere un qualche tipo particolare di bende per fasciarlo in modo appropriato. La mano di Deku era rimasta esattamente dove si era aggrappata poco prima ed anche Katsuki era rimasto esattamente dove era prima, con le spalle rivolte a Deku. Forse provava un senso di colpa per lo stage mancato di Deku, forse si era pentito ad aver riversato tutta la sua rabbia non troppo repressa su di lui, che come sempre c’entrava tutto e niente con la sua frustrazione perenne.

«Kacchan, grazie!»

Katsuki si voltò a guardarlo con gli occhi sgranati, pensando di non aver ben capito, visto che comunque la sua voce era appena un soffio sofferente.

«Come scusa?»

«Grazie per essere venuto all’allenamento e grazie per avermi portato in infermeria.»

Katsuki lo guardò malissimo, aspettando che qualcuno urlasse “sorpresa! Questo è tutto uno scherzo e Deku in realtà sta solo fingendo!”

«Tu, mi stai ringraziando?»

Deku fece cenno affermativo con il capo, provando sempre a conservare il fiato.

«Mi ringrazi per cosa? Averti precluso i due mesi di stage? Oppure per l’averti picchiato fino a quando non sei quasi morto?»

Deku gli sorrise e quello fece male a Katsuki, più di quanto gli piacesse affermare.

«Qual è il tuo problema, sei stupido? Ho sempre pensato tu lo fossi, eppure non pensavo a questi livelli… non capisci cosa vuol dire saltarti questo stage?»

Non era vero, Katsuki non aveva mai pensato che Deku fosse scemo, anzi, tutto il contrario, solo che se ne guardava bene dal dirlo.

«Ce ne saranno altri, questo è solo il primo anno…»

«Sei stupido, stupido!»

Tirò un pugno al cuscino di fianco la testa di Deku e fortunatamente non emise delle esplosioni, altrimenti avrebbe potuto fargli seriamente male, o per lo meno ferirlo più di quanto già non fosse.

«Stai piangendo, Kacchan?»

Katsuki non se n’era accorto finché non aveva visto delle macchioline umide iniziare a punteggiare le lenzuola candide del lettino. Deku allungò una mano e gli toccò il viso, delicatamente, tirandogli via le lacrime calde dalle guance in fiamme. Katsuki odiava piangere e soprattutto odiava piangere davanti a alle persone, Deku in particolare. Aveva smesso di piangere all’asilo, quando una volta aveva attaccato briga con un bambino più grande e quello gli aveva tirato un pugno, facendolo piangere. Mentre piangeva Deku si era messo in mezzo e lo aveva difeso, prendendole anche lui ed iniziando a piangere a sua volta. In quel momento aveva deciso che non lo avrebbe più fatto piangere, e non avrebbe più permesso ad altri di farlo piangere. Doveva diventare il più forte, doveva proteggere Deku, ma allora perché era diventato la causa principale delle sue lacrime? Perché non era più riuscito a mantenere la promessa che aveva fatto a se stesso, distruggendola con le eue stesse mani? Si odiava per questo.

«Non piangere Kacchan, non è nulla, davvero! Guarirò, starò a riposo e il prossimo anno darò il massimo.»

Quando era successo che Deku, il suo Deku che piangeva anche quando schiacciava una formica, tra i due era diventato quello forte e maturo? Oppure era sempre stato così e dietro le sue lacrime si nascondeva la sua vera forza? Ma soprattutto che cosa provava lui per Deku?

«Ka-Kacchan, ho bisogno di dirti una cosa. Qui ed ora, anche se presumibilmente potresti finire di uccidermi.»

Rise sommessamente, ma così facendo si fece solo del male e subito la sua espressione divertita si trasformò in una sofferente. Katsuki non gli rispose neanche, continuando a guardare a terra, i pugni stretti lungo il corpo, i denti digrignati, cercando di ricacciare indietro lacrime e pensieri.

«Sai Kacchan, per me sei sempre stato il più forte, quello da raggiungere, quello da ammirare. Eravamo amici un tempo, giocavamo insieme e sognavamo di essere eroi, ricordi? Poi mi hanno diagnosticato la mancanza di quirk e quel giorno le cose sono iniziate a cambiare. Tu avevi il tuo quirk di classe alta, io nulla, se non i miei sogni. Tu cambiasti, ma io no. Ero sempre lo stesso, con i miei sogni e le mie convinzioni, anche se sapevo che non avrei mai potuto realizzare nulla nella mia vita. Continuavo a guardare te e a voler essere forte come te, solo che con con il passare degli anni la mia concezione di te deve essere cambiata e credo… credo di essermi innamorato di te, nonostante tutti i dispetti e le cattiverie. Eri comunque il mio Kacchan di sempre e capivo che il tuo cambiamento era dovuto alla pressione che ti avevano messo tutti gli altri. Sentivo ancora l’impulso di mettermi tra te ed il resto del mondo per farti scudo nei tuoi momenti di debolezza.»

Deku smise di parlare per riprendere fiato, reggendosi il costato, mentre Katsuki se ne stava immobile, scioccato da quelle parole, incapace di respirare a aua volta. Non riusciva ad alzare la testa, ad incrociare quegli occhi limpidi, per paura di vedere la loro sincerità. Si chiese cosa fosse l’amore e come poteva Deku provare un sentimento del genere per lui, che aveva praticamente passato gli ultimi dieci anni della sua vita a torturarlo. Che razza di masochista poteva mai essere?

«So che non dovrei provare questo tipo di sentimenti nei tuoi confronti, ma oggi quando mi hai detto di no… però poi sei arrivato ed io mi sono sentito felicissimo e l’ho capito. So che dentro di te sei ancora il Kacchan che mi difendeva da chiunque da piccoli, solo che lo tieni soffocato sotto strati di rabbia ed ansia…»

«Smettila.»

Katsuki sembrò ritrovare finalmente la voce e riuscì a ringhiare solo quella parola. Cos’era l’amore? Come faceva Deku a sapere che quello che provava fosse effettivamente amore? Come faceva Deku a sapere esattamente quello che provava lui dentro?

Lo vide allungare una mano tentativamente verso la sua, ancora serrata in un pugno rabbioso, un po’ titubante. Katsuki voleva schiaffeggiarla via, eppure lo lasciò fare, ed appena le loro mani si toccarono, sentì un calore nuovo nel corpo. Finalmente alzò gli occhi, trovando il coraggio d’incontrare quegli occhi che quasi temeva. Erano esattamente come se li era aspettati: limpidi, onesti e senza vergogna.

«Da qualche parte dentro di me so che questo sentimento è sbagliato, ma non posso fare a meno di provarlo. Sento costantemente il bisogno di abbracciarti e dirti che andrà tutto bene, che già sei un grande eroe così, puoi rilassarti, ma tu non mi permetti di avvicinarti.»

«Io non sono un grande eroe, non sono come dovrebbe essere un grande eroe.»

Deku strinse la presa sulla mano di Katsuki.

«Se solo ti aprissi di più, se solo permettessi a qualcun’altro di vedere oltre la tua scorza dura…»

«E quel qualcun’altro dovresti essere tu?»

«Potrei, ma non sono così fiducioso… forse un giorno…»

Eppure il suo sorriso lo era e ferì Katsuki. Come poteva essere così puro, così innocente eppure così maturo da riuscire a parlare così apertamente dei suoi sentimenti e di cose che per lui erano così inconcepibili, come l’amore.

«E perché tu non potresti essere tu?»

Quella domanda gli era sfuggita involontariamente, ma voleva sentire la risposta e voleva sentirla direttamente da Deku, che adesso lo guardava con gli occhi sgranati.

«Non farmi ridere Kacchan, lo sappiamo entrambi che non sarò mai al tuo livello.»

«Tu non capisci. Non hai mai capito niente ma vuoi credere di sapere tutto, di poter decidere per gli altri vero?»

Questo Katsuki lo aveva urlato, di nuovo pieno di rabbia.

«Un bel giorno sei arrivato con il tuo bel quirk, dopo anni di assoluta nullità, sei entrato alla U.A. ed hai brillato, anche se tu non riesci ad accorgertene. Chi è che non è al livello di chi, eh?»

Katsuki fece esplodere leggermente il palmo della mano, separando la sua da quella di Deku in modo brusco.

«Io non capisco cosa sia questo amore e non capisco il tuo sentirti costantemente inferiore, cresci Deku, apri gli occhi ed accorgiti di te stesso!»

«E tu Kacchan? Tu quando ti accorgerai di te stesso?»

Katsuki gli voltò le spalle, erano ad un punto di stallo. Nessuno dei due riusciva ad immedesimarsi nell’altro e ognuno rimaneva fermo sulle sue posizioni, sentendosi inferiore.

«Eccomi, ho trovato le bende.»

Recovery girl rientrò in infermeria proprio in quel momento, portando una cassettina piena di bende e appoggiandosi sul suo peculiare bastone a forma di siringa.

«Bakugo-kun mi dai una mano?»

Katsuki sbuffò arrabbiato e senza neanche rispondere uscì dall’infermeria, non guardando in faccia né Deku né Recovery girl.

«Kacchan!»

Si sbattè la porta alle spalle con forza, rischiando quasi di mandare in frantumi il vetro della porta. Sentì la dottoressa chiedere spiegazioni a Deku, ma si perse la risposta, mentre iniziava a percorrere il corridoio a passo di marcia verso l’uscita. Non si fermò né a cambiarsi le scarpe, né a recuperare i vestiti nello spogliatoio del campo d’allenamento, incurante del fatto che avrebbe girato per le strade con la divisa stracciata e bruciacchiata e la pelle esposta ricoperta di graffi. Aveva anche un occhio nero presumibilmente, ma non gli importava. Iniziò a vagare a caso, non prestando troppa attenzione a dove metteva i piedi o dove andava, doveva camminare, sfogarsi senza distruggere qualcos’altro possibilmente. Mentre camminava si ritrovò in un parchetto e guardandosi meglio intorno lo riconobbe come il parchetto dietro casa sua, quello dove lui e Deku erano soliti giocare da piccoli, o meglio dove lui si divertita a bullizzare Deku.

Deku. Lo rivide riverso a terra, dolorante, stesso sul lettino senza fiato, lui che non si zittiva mai. Lo aveva visto svariate volte ferito, eppure quel giorno gli era particolarmente rimasto impresso e non riusciva neanche a capire il perché. Forse perché di nuovo la causa del suo dolore era stata lui, o forse perché gli aveva precluso quegli stage che lo avrebbero fatto rimanere indietro, dandogli un vantaggio che Katsuki non voleva avere nella gara a chi sarebbe diventato il numero uno. Che poi di nuovo, neanche ricordava da dove era iniziata quella gara, quella competizione silente, nonostante Deku fosse destinato a non avere un quirk a causa della sua genetica.

Raggiunse un albero, ci si fermò davanti e ci diede una testata, talmente tanto forte che subito il sangue prese a colargli sugli occhi, colorandogli la vista di rosso. Dentro il tumulto non si placava e passava dalla rabbia ad un sentimento che veramente non riusciva a capire, il tutto intervallato costantemente dal ricordo dell’ora appena passata.

Il cellulare prese a vibrargli nella tasca e fu quasi tentato di non vedere neanche chi fosse, anche perché già immaginava chi potesse essere. Controvoglia si frugò nella divisa e lo estrasse, guardando truce lo schermo e constatando che aveva ragione. Era Deku.

Non gli rispose, non gli riappese, semplicemente guardò lo schermo del cellulare ormai silenzioso tornare nero, oscurando i caratteri cubitali rossi che lo avvertivano di avere una chiamata persa. Deku però non si arrese e, conoscendolo bene, invece di richiamarlo, gli mandò un messaggio.

 

Kacchan, possiamo vederci domani mattina per parlare? Mi sono accorto di aver fatto un’idiozia e vorrei chiarire.

 

«Maledetto Deku.»

Soppresse l’istinto di far esplodere il cellulare o lanciarlo dall’altra parte del parco e lo rimise in tasca, cercando poi una fontanella per sciacquarsi la fronte e non tornare proprio come un completo disastro a casa. Mentre si lavava la faccia con l’acqua gelida, a Katsuki tornarono in mente tutte quelle volte che Deku gli aveva sorriso dopo l’ennesima cattiveria o scherzo di pessimo gusto, cercando di trattenere le lacrime per non dimostrarsi debole. Gli tornarono in mente anche tutte le volte che era tornato da lui, con gli occhi ancora pesti dal pianto, ma il suo sorriso radioso al solito posto.

Si asciugò il volto con un lembo rovinato della divisa di allenamento, ma un urlo lo mise subito in allerta. Si drizzò in posizione di difesa, ma si rilassò subito, quando vide che ad urlare era stato un ragazzino dai capelli neri come la pece, che doveva essere caduto dal castello di legno dal quale partivano gli scivoli del parco. Si chiese per un attimo se dovesse aiutarlo o meno, ma non fece in tempo a fare nulla che un altro bambino saltò giù dal castello, correndo dal bimbo a terra.

«Haru, stai bene? Scusami, non dovevo sfidarti, è stato stupido farlo!»

Il bimbo aiutò l’amichetto a rialzarsi ed iniziò a scrutarlo preoccupato, cercando eventuali ferite o altro, mentre l’altro continuava a piagnucolare, strofinandosi il sedere, che doveva aver battuto nella caduta.

«Siamo entrambi forti, siamo entrambi i numeri uno, giuro che non ti sfiderò più ad arrampicarti fino alla punta del castello, giuro! È stato stupido!»

«Aki, sono debole vero?»

Il bimbo a terra prese a piangere più forte e l’amichetto lo abbracciò stretto.

«No, non sei debole, siamo entrambi forti, te l’ho detto! E poi sei caduto da lì e non ti sei fatto nulla, sei forte Haru!»

Il bimbo caduto smise di piangere e i suoi occhi diventarono grandi ai complimenti dell’amichetto.

«Dici davvero Aki?»

«Te lo giuro, Haru! Ma adesso alzati, vieni, ti devi lavare la faccia, che sembri un mostro… il mostro del castello sulla sabbia!»

«Non sono un mostro, Aki!»

Aki aiutò Haru a rialzarsi ridendo ed insieme corsero fino alla fontanella dove stava Katsuki, ignorandolo completamente ed iniziando poi a spruzzarsi a vicenda. Katsuki rimase ad osservarli, dovevano avere più o meno otto anni e gli ricordavano tantissimo se stesso e Deku di un tempo, prima che la competizione rovinasse tutto. Le parole che Aki aveva rivolto ad Haru gli continuavano a rimbalzare in testa, facendogli scattare una molla.

«Tu...»

I bambini accanto a lui si fermarono e lo guardarono, forse accorgendosi di lui per la prima volta.

«Dici a me Onii-san?»

«Sì, proprio tu.»

Guardò quello che si chiamava Aki dritto negli occhi e quello tremò lievemente ad incrociare quello sguardo da pazzo.

«Ti chiami Aki, vero?»

«S-sì, onii-san.»

«Bene Aki, non osare mai più spingere il tuo amico a fare gesti estremi, come hai detto tu siete entrambi numeri uno.»

«Ricevuto onii-san, non lo farò mai più, promesso.»

«Bene. Tu, invece ti chiami Haru?»

Il bimbo si nascose dietro la schiena dell’amico, facendo appena capolino e tremando visibilmente.

«S-sì.»

Lo rispose in un soffio, mentre Aki faceva cenno di fargli scudo.

«Non ascoltare mai chi ti dice che vali meno di lui, sei sempre un numero uno, ricordatelo.»

«Va-va bene onii-chan.»

Katsuki li guardò e sorrise malefico.

«E adesso filate a casa, che è tardi e gira gente poco raccomandabile!»

Glielo abbaiò praticamente contro e quelli fuggirono terrorizzati emettendo gridolini e tenendosi per mano. Katsuki li seguì con lo sguardo finché non li vide sparire oltre l’uscita del parchetto. Rimase ancora un po’ ad osservare quel posto e poi ricominciò il suo cammino, ben sapendo il da farsi.

 

Izuku si era appena messo a letto dolorante, quando qualcuno suonò alla porta. Sua madre era uscita da poco per andare a lavoro, dopo una lunga opera di convincimento da parte sua, visto che la povera donna voleva rimanere a casa ad accudirlo. Era convinto che prima o poi a sua madre sarebbe preso un infarto a causa della sua sconsideratezza, ma non sapeva come rimediare, lui ci provava davvero a stare attento, ma forse essere prudente non faceva parte del suo DNA.

«Maledetto Deku, apri questa porta, so che ci sei.»

Izuku avrebbe riconosciuto quella voce tra mille e sicuramente era l’ultima voce che si sarebbe aspettata a sbraitare contro la sua porta a quell’ora. Pensò che Kacchan avesse letto il messaggio e fosse venuto per ammazzarlo definitivamente e, il più velocemente possibile, si alzò dal letto e raggiunse la porta.

«Ka-Kacchan?»

«Chi pensi che sia altrimenti? Apri questa dannata porta oppure la butto giù, sai che ne sono capace.»

Sentì il rumore di piccole esplosioni provenire da dietro la porta e si affrettò ad aprire terrorizzato, pentendosi delle grandi parole che si era lasciato sfuggire quel pomeriggio in infermeria, forse fin troppo rintronato dalle cure massicce di Recovery girl.

«Kacc-»

Kacchan non gli diede il tempo di aprirla né di parlare che si catapultò dentro, afferrandolo per le spalle e attaccandolo al muro, anche se non lo fece con troppa violenza, rispetto ai suoi standard normali.

«Tu adesso mi fai parlare e per una volta tieni chiusa quella bocca del cazzo che ti ritrovi, hai capito stupido nerd?»

Izuku si limitò ad annuire, ben guardandosi dall’aprire anche minimamente la bocca.

«Mi ci sono voluti due fottutissimi marmocchi che si facevano i dispetti al parco per capirlo, ma finalmente dopo anni ce l’ho fatta. Siamo entrambi i numeri uno, stupido Deku, lo siamo entrambi. Per anni ci siamo fatti la guerra, siamo stati in competizione, ci siamo odiati… o forse ero solo io a farlo. Tu sei sempre stato lì, a prenderti tutto e tornare sempre, a non dire mai nulla, a sopportare in silenzio, le lacrime trattenute e il sorriso sempre sulle labbra, ed io? Io sono stato uno stronzo, un grandissimo stronzo e ascoltalo bene, che non lo ripeterò due volte. Io non voglio essere il numero uno, non più, o meglio non voglio esserlo se non lo sei anche tu. Non voglio sapere da dove sia uscito fuori il tuo quirk, quale miracolo divino sia accaduto o che so io, voglio solo che smetti di sottostimarti. Smetti di sottostimare te e sovrastimare me, proprio come io farò la stessa identica cosa. Siamo pari e lo siamo sempre stati, anche quando tu non avevi il tuo dannato quirk ed eri buono solo a piangere e metterti in mezzo quando non serviva. Continua a stare al mio fianco, a sorridermi quando non lo fa nessuno e a tendermi una mano quando non lo fa nessuno, per favore. Non so se questo sia amore o come si chiama questo sentimento strano, so solo che non è rabbia, non più.»

Kacchan fece una pausa e Izuku non osò comunque aprire bocca, troppo traumatizzato da quello che le sue orecchie stavano ascoltando. Forse la botta che aveva preso durante l’allenamento era più seria di quello che sembrava e oltre alle costole rotte si era guadagnato anche una commozione cerebrale e le allucinazioni. L’indomani mattina sarebbe dovuto andare di nuovo da Recovery girl… sempre se fosse sopravvissuto a Kacchan, ovvio. Kacchan si morse il labbro, l’indecisione sul volto, e poi riprese a parlare.

«Non è rabbia, ma è qualcosa di simile. Me lo sento nel petto come quando sono arrabbiato, ma non voglio far esplodere nulla… più o meno, non riesco a spiegarlo, io...»

Continuava a blaterare cose senza senso ed Izuku iniziò a sorridere dolcemente, vedendolo imbrogliarsi nei suoi stessi sentimenti.

«Kacchan?»

«Che cosa vuoi? Non ti avevo detto che non dovevi inter-»

Izuku gli prese il viso tra le mani e lo baciò, dolcemente, mettendo finalmente a tacere quelle labbra esagitate. Kacchan s’immobilizzò completamente, preso alla sprovvista da quella situazione nuova e a Izuku fece un po’ ridere, con gli occhi sgranati come un cervo di fronte ai fari di una macchina. Era così strano vederlo così diverso dal solito, spiazzato, silenzioso, che scoppiò a ridere e il suono delle sue risate pare far riprendere il ragazzo immobilizzato.

«Cosa ti ridi, stupido nerd.»

Kacchan era paonazzo, un po’ per l’imbarazzo, un po’ per la presa in giro.

«Ti va di scoprirlo insieme cos’è questo nuovo sentimento?»

«Muori, stupido nerd.»

«Muori? Lo prendo come un sì.»

Izuku lo attirò a sè e lo baciò di nuovo, sperando che l’indomani si sarebbe svegliato e che tutto quello non fosse stato solo il frutto di una potente commozione cerebrale.

 

And now, I need to know is this real love

Or is it just madness keeping us afloat?

And when I look back at all the crazy fights we had

Like some kind of madness

Was taking control

[Muse - Madness]

 

Shikayuki's corner: Okay, patti chiari, amicizia lunga: mi scuso immensamente per la cagata che avete appena letto. Nella mia testa era decisamente uno storia molto più cool e sensata, invece Kacchan mi è uscito mezzo ooc (anche se io sono convinta che possa starci, considerando quanto sta confuso il poverino), e RIPPISSIMO il COWT non perdona. Se ci sono errori evidenti, fatemelo notare please, purtroppo non ho avuto tempo di rileggerla, devo assolutamente postarla ora o mai più e sono nel panico, quindi mi scuso anche per la low quality lessicale, giuro che quando mi betano non faccio così schifo (beh, certo, brava Shika, tu sì che sei furba). *coff-coff* Beh, ringrazio i coraggiosi che sono arrivati fin qui, un biscotto per tutti voi, davvero. Richiedetemeli per MP come risarcimento, che a Lucca ve li porto davvero XD

 
  
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