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Autore: clairemonchelepausini    26/01/2018    8 recensioni
Jason Carmack è un uomo d'affari di grande successo ma incapace di pensare ad altro che non siano i soldi e il lavoro. Qualche giorno prima di Natale gli viene detto che la sua vita cambierà; è reticente e fa finta di nulla ma... in un attimo si troverà a fare i conti con il suo passato e con Marianne Colletti, soprannominata anche Mae, la donna che ha amato e che non ha mai dimenticato…
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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NOTE
La storia è stata scritta per il contest “ Sfida di Natale - ti regalo una storia”, indetto da Principe Dracula sul gruppo face book “EFP famiglia: recensioni, consigli e discussioni”.
Il mio prompt era: “Prompt "Il fantasma del Natale passato": scrivetemi una storia riguardante un Natale del passato storico o di un passato che torna come un fantasma a tormentare il protagonista. 
Accettato solo il lieto fine, siamo a Natale! Tutti i generi accolti, stupirmi. (n°3 di Laura Labate)"

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Jason Carmack era il classico uomo ricco e di successo che dimenticava tutti e si curava solo della sua vita o meglio, dei suoi interessi, gli unici cui prestava tutta la sua attenzione. Indossò il suo cappotto nero, gli occhiali e s’incamminò nel più grande centro commerciale di New York per i regali dell’ultimo momento.
«Posso aiutarla?» chiese subito la commessa non appena lui entrò, ammiccando di gradimento.
I suoi occhi squadrano il corpo magro e ben formato della giovane donna, si soffermarono sulle sue curve e quando passò la lingua sulle labbra, ricevette un’occhiata di assenso. Lei a sua volta fece lo stesso, vide i suoi incredibili occhi verdi, le braccia muscolose, il corpo messo in risalto dall’abbigliamento e infine, le labbra le stesse che ripetutamente guardava e che avrebbe voluto mordere.
Era bello e sapeva di esserlo, così il più delle volte lo sfruttava a suo vantaggio. Il suo motto era sesso con tutti, amore con nessuno. A detta di Jason la sua vita era perfetta, aveva tutto ciò che voleva, eppure non si era mai guardato attorno davvero perché, se lo avesse fatto si sarebbe accorto che nulla era come aveva previsto.
«Cosa mi stava dicendo?» domandò riprendendo il controllo delle sue emozioni, passando mentalmente in rassegna la lista dei regali.
«Le chiedevo se le serviva il mio aiuto» rispose sbattendo le ciglia, sorridendo e scuotendo appena i capelli con le mani per evidenziare il suo decolté.
«Ehm… Stavo cercando un regalo per i miei genitori, qualcosa di particolare e non banale, per mia sorella e il marito e poi… Il più bel regalo per mia nipote».
La commessa lo guardò bene cercando di capire i suoi gusti e più che mai quanto fosse disposto a spendere, ma bastò compiere un esame iniziale per notare che vestiva tutto firmato, segno del fatto che sicuramente aveva i soldi.
Jason capì lo sguardo, c’era abituato e quasi con rassegnazione alzò gli occhi al cielo e precisò che non aveva un budget.
Era soddisfatto di essere riuscito a trovare tutto in tempo, quei regali li avrebbero fatti felici: tutti di marca, perfetti ed eccessivamente costosi. Con le mani piene di buste si soffermò a prendere un caffè veloce prima di andare in ufficio e poi tornare a casa, preparare la valigia e partire quattro giorni in direzione casa dei suoi.
«Jason Carmack» lo chiamò, ma era concentrato con il suo palmare che non lo sentì nemmeno. Dopo la terza volta lui alzò gli occhi dal suo telefono e notò un uomo vestito da Babbo Natale davanti a lui e s’infastidì per il disturbo. Stava per replicare, ma qualcosa gli disse di non farlo e mise l’oggetto in tasca, fingendo di esser interessato.
«Lei è stato un bambino cattivo» affermò, mentre la sua bocca si aprì per rispondere, ma non ebbe tempo.
«Le sue azioni sono buone, ma poco meritevoli perché fatte per unico scopo, il proprio. Non si accorge che ciò che la circonda non la rende felice, anche se lei crede il contrario. La sua vita potrà sembrarle perfetta, ma non lo è» esordì a gran voce, alzandosi ripetutamente gli occhiali e guardandolo con occhi rammaricati.
«Lei crede di conoscermi, ma sono solo frasi già fatte. Io lavoro sodo e ciò che ho me lo sono guadagnato e chi mi vuole bene è fiero di me» si difese, mentre cercò di girarsi e voltargli le spalle.
«Ed è la stessa cosa che si ripete tutte le volte che annulla le cene del venerdì con i suoi genitori o, quando salta le recite di sua nipote o, quando sposta gli appuntamenti a data da destinarsi con sua sorella?»
«Io….»
Jason rimase a bocca aperta, guardava quell’uomo che sembrava sapere tutto della sua vita con sfida, ma in cuor suo sapeva che era la verità e detestava ammetterlo.
«Non le credo. Lei è solo un uomo travestito che è venuto qua per farmi perdere tempo, inventandosi due frasi per essere credibile» ribatté adirato lui, mentre passava le mani tra i capelli e spostava il peso da una gamba all’altra innervosito.
«Sarà» ammise con indifferenza, cosa che fece infuriare Jason ancora di più. Era sul punto di diglierne quattro quando udì parole già note e sentite.
«Riceverà la visita di tre fantasmi: quello del presente che gli farà vedere la sua vita attuale, ma non dai suoi occhi, quello del futuro che la illuminerà su come sarà la sua situazione e infine, avrà l’ultima visita. Il fantasma del passato sarà quello più importante perché tutte le risposte si nascondono in quegli eventi, gli stessi che lei nasconde e di cui ha più paura».
E prima di ritornare in sé, ancora stordito per quelle parole, guardò avanti e vide la figura di quell’uomo scomparire.
“Sono solo stressato” si disse conscio che era impossibile aver incontrato il vero Babbo Natale. Non ci credeva più dall’età di sei anni e… e di certo non avrebbe iniziato a farlo a trent’anni, qualcosa non tornava ma decise di non prestargli attenzione.
Ci stava riflettendo ancora quando il suo telefono prese a squillare e il pensiero del lavoro gli permise di riavere il controllo della realtà.
«Seth, fermalo in studio, sto arrivando» si affrettò a dire al suo assistente, pagando in fretta il caffè, prendendo i regali e correndo verso la Porsche per rientrare in ufficio.
Il tempo dei ripensamenti era finito, in quel momento contava firmare il contratto da miliardi di dollari e assicurarsi un nuovo cliente cosicché Jason avrebbe avuto una maggiore visibilità in un nuovo settore in espansione.
 




 
Una settimana dopo…
 
Aveva passato quei giorni di festa in allegria e gioia, e non si era più fermato a pensare a ciò che gli era stato detto. L’aveva completamente cancellato e, assorbito dai nuovi contratti e da un lavoro sempre in crescita, continuava a ripetere gli stessi errori.
Quel mattino si svegliò all’alba, si accorse di non essere a casa propria e quando allungò una mano nell’altra parte del letto notò che era calda. Ripensò alla sera di prima, la figura che compariva dal bagno, i sorrisi..
«I patti erano chiari. Era solo sesso» affermò iniziando a vestirsi per poi uscire da quella stanza senza nemmeno voltarsi di sfuggita.
Poco prima di varcare la soglia udì parole che lo descrivevano alla perfezione, ma di cui non si curava minimamente. Jason aveva bisogno di uno sfogo e l’aveva trovato in una rossa rifatta, qualche giorno prima in una bionda e prima ancora... Beh, erano due gemelle.
La sua vita sessuale andava alla grande, quanto in quella sentimentale… Era un work in progress costante.
La giornata si accorciò in fretta e appena entrato in casa non trovò nessuno ad aspettarlo, si versò un bicchiere di vino, si sedette sul divano e aprì il suo palmare.
Concentrato sugli ultimi aggiornamenti non si accorse che la stanza si riempì di luce intensa, bianca e splendente.
«Co- co- Corinne» farfugliò sgranando gli occhi e vedendo che la sua segretaria era lì davanti a lui, ma quando cercò di stringerle la mano, le passò attraverso.
Era confuso, non riusciva a capire cosa stesse succedendo ma fu necessario chiederlo perché la donna lo conosceva bene e lo anticipò.
«Sono il fantasma del presente» annunciò, mentre Jason si alzò e d’un tratto il suo volto sbiancò, ricordandosi le parole di Babbo Natale.
«Speravo davvero che capissi, che l’avvertimento… Pensavo che l’avresti preso in considerazione, ma di cosa mi stupisco? Se non ci sono soldi e contratti tu non li noti nemmeno» ammise afflitta, afflosciando le spalle e abbassando gli occhi per la delusione.
La donna non cercò nemmeno di spiegare, schioccò le dita e lasciò che fossero i momenti che lui non aveva mai visto a parlare per lei. Jason riconobbe subito il primo luogo, casa dei suoi genitori, ma non capiva cosa centrasse.
«Ha chiamato qualcuno?» domando Nora, la madre di Jason, alla sua cameriera quando rientrò a casa dalla chiesa quella domenica.
«No, signora. Mi spiace, il signorino Jason non ha chiamato» la informò l’anziana, guardando l’espressione che rispecchiava la sua.
Non era consono farlo, ma si avvicinò e appoggiò una mano sulla sua spalla mentre l’altra vi poggiò la propria come segno di riconoscenza e di affetto.
«Nora» la chiamò il marito rimproverandola, ma persino nei suoi occhi si leggeva lo stesso dolore.
«E’ troppo impegnato anche per chiamare i suoi genitori e sapere se stanno bene» con tono duro affermò il padre, cingendo la moglie e baciandole la fronte.
Jason rimase senza parole, non aveva mai dato peso a quello, non si era soffermato per capire che i suoi genitori aspettassero una sua chiamata nè quanto fosse importante per loro.
«Hai dato più valore alle chiamate di lavoro che non a quelle personali» di rimando disse Corinne, mentre lui guardava i suoi e non riusciva a staccare gli occhi dal viso di sua madre.
Ritornò al suo presente e si accorse che perfino la sua casa non sapeva di vissuto, che sembrava uscita da una rivista. La segretaria riconobbe quello sguardo, era fiduciosa che avrebbe capito, così non disse nulla e se ne andò.
Jason Carmack il giorno dopo andò in ufficio e quando la vide, sentì di avere uno strano legame con la donna e pensò che meritasse di più. Riuscì a svolgere tutti i suoi impegni in agenda, ebbe pure due incontri non programmati e quando in ufficio rimasero solo lui e Corinne capì che era ora di andare.
La guardò dalla porta finestre del suo ufficio, vide le rughe sul suo viso, gli occhi stanchi e le spalle tese, dettagli che non aveva mai notato. Notò che stava nevicando e ritornò lo stronzo di sempre.
«Puoi portarmi un ombrello e il giaccone che ho dimenticato in sala riunione?» domandò dal suo interfono ricevendo risposta affermativa dalla stessa donna che fino a pochi minuti prima stava osservando quasi preoccupato. Uscì dall’ufficio senza considerare che Corinne stava tornando a casa a piedi con quel freddo, la neve e a quell’ora tarda.

La notte dopo la precedente ricevette un altro fantasma, stavolta Jason si sconvolse maggiormente, la figura che si trovò davanti era dell’uomo che aveva stimato di più nella sua vita.
«Nonno Michael!» esclamò quando a passo affrettato lo raggiunse per abbracciarlo e gli passò attraverso.
I suoi occhi si sbarrarono, non riusciva a crederci.
«Pensavo fossi stato più intelligente di me» affermò osservando il nipote dalla testa ai piedi con sguardo amareggiato.
«Ho fatto come tu e papà mi avete insegnato. Ho lavorato sodo, ho costruito una società e…»
«Ma hai dimenticato le cose più importanti» gridò l’uomo, mentre prese il braccio del giovane e lo costrinse a guardare una scena che ancora non era avvenuta.
«Mamma, zio Jason verrà a trovarmi oggi?» domandò piagnucolando Emma, la nipotina che negli ultimi anni era stata costretta a vivere su una sedia a rotelle per una malattia fulminante alla spina dorsale.
«Tesoro, sta lavorando tanto, ma mi ha detto che ti vuole bene e che verrà presto» rispose sua sorella, mentre i suoi occhi si riempirono di lacrime, cercando di cullare la piccola.
«Mi aveva promesso che… stasera avremo visto Frozen insieme» provò di nuovo Emma, mentre la donna le accarezzò i capelli e iniziò a farle il solletico cercando di distrarla, ma persino Jason poteva vedere le lacrime della piccola.
L’uomo distolse lo sguardo da quella scena, si asciugò in fretta gli occhi e li puntò sul nonno.
«La mia morte avrebbe dovuto insegnarti che la vita è preziosa, che… Jason, sono morto da solo, circondato da me stesso e dal nulla più totale» disse urlando, riportando alla sua mente quei ricordi dolorosi che lui aveva superato solo con l’aiuto della sua famiglia, ma che ancora oggi lo facevano soffrire.
Si fece numerose domande, ma non ebbe nemmeno il tempo di formularle che fu trascinato al presente.
«Mi hai deluso» ammise, mentre il fantasma del passato scomparve oltre il muro, Jason si buttò sul letto prendendo il viso tra le mani e lasciando andare la frustrazione, la rabbia e tutte le emozioni che stava provando in quel momento.
La mattina dopo si svegliò dolorante e si accorse che era a casa propria con ancora i vestiti della sera di prima. Slacciò le scarpe, si svestì buttando tutto sul letto e s’infilò sotto la doccia. Mentre l’acqua tiepida scorreva sul suo corpo palestrato, la mente correva veloce agli ultimi avvenimenti, a ciò che aveva condiviso con quei “fantasmi” e alle verità che aveva scoperto. Passò più volte le mani tra i capelli, si fermò davanti allo specchio e ammirò la sua figura, notando che i suoi addominali erano un po’ più fiacchi e la sua figura da sempre perfetta sembrava risentire delle lunghe ore passate in ufficio.
«Sono Corinne, segretaria del signor Jason Carmack, come posso esserle d’aiuto?» domandò meccanicamente la donna, mentre schiacciava i tasti del computer per portarsi avanti con il suo lavoro.
«Sono Jason, Corinne» sussurrò appena e sentendo la sua voce, la donna raddrizzò le spalle guardandosi intorno.
«Mi potresti spostare tutti gli appuntamenti di oggi a domani e… poi vai a casa» affermò con una voce d’ordine mista a dolcezza quasi sconosciuta per lui, mentre lei stessa sgranava gli occhi per la sorpresa.
Quando Jason chiuse la chiamata mise il telefono in tasca, indosso il cappotto nero, gli occhiali da sole e uscì da casa.
«Jason» esclamarono in coro i suoi, mentre l’anziana cameriera lo seguiva una volta chiusa la porta.
Erano in salotto - le tre figure più importanti della sua vita- e, non fecero che abbracciarlo e piangergli addosso, ma per una volta lui ricambiò il tutto e si strinse a loro come in cerca di perdono.
Si fermò il tempo di un the e dei biscotti, li aggiornò dei nuovi miglioramenti in azienda, dei contratti che aveva firmato recentemente e con lo sguardo basso chiese perdono per non esserci stato.
«Torna a trovarci» gli chiese la madre quasi con una supplica prima di abbracciarlo e baciargli la fronte proprio come quando era piccolo, mentre il padre gli diede una pacca sulla spalla guardandolo con ammirazione.
Era appena salito sulla sua Ferrari nera lucida quando il suo cellulare prese a squillare e senza guardare il display rispose.
«杰森先生,我是米超[Signor Jason, sono Mi Chao]» lui sgranò gli occhi quando sentì che il suo interlocutore era l’imprenditore cinese di cui a lungo avevano discusso in azienda.
«米超先生,很高兴收到你的来信。 你有没有和我的秘书预约?[Signor Mi Chao, che piacere sentirla. Ha preso un appuntamento con la mia segretaria?]» affermò con il suo perfetto cinese, mentre sfrecciava veloce sulla strada verso casa di sua sorella Chloe.
Parlarono per circa dieci minuti, Jason ci provò e stavolta davvero, ma Mi Chao era a New York solo per una notte.
«Fratellone, stai per arrivare?» domandò la sorella felice, prima di udire il suo sospiro e sapere già la risposta.
«Mi dispiace, non posso più passare stasera» farfugliò rammaricato.
«Jason l’avevi promesso. Mi avevi detto che non avresti annullato l’appuntamento e mi hai giurato che avresti letto una storia a Emma» disse infuriata, mentre stringeva i pugni sui fianchi e lui le mani sul volante.
Jason spiegò tutta la situazione, le fece capire quanto era importante quell’affare, che non poteva rimandare e… lei lo capì, ma stavolta non gli bastò, doveva proteggere sua figlia.
Rientrato a casa, appoggiò la giacca sulla poltrona, allentò la cravatta e si mise a ballare per essere riuscito a concludere il contratto. Era al settimo cielo e dopo essersi versato un bicchiere di Sauvignon scrisse alla sorella e per risposta ebbe un altro vaffanculo. Rimase a fissare il telefono sconvolto, i suoi occhi diventarono lucidi, ma per la terza sera di fila non ebbe il tempo di riordinare i pensieri che si presentò una nuova figura.
«Tu» esclamò indicandolo, mentre sembrava guardarsi allo specchio, ma facendo un salto nel passato.
A quell’affermazione non dovette nemmeno chiedere, sapeva che quel momento tanto temuto era arrivato.
«Jason io ero te quando… Ma non c’è bisogno di dirtelo. La tua faccia mi dice che sai» ammise da gradasso e, dopo che fece un giro veloce della casa, annuì contrariato per quello che vi trovò all’interno.
All’improvviso fu catapultato in un passato molto lontano, ma che non avrebbe dimenticato, sopratutto quando vide due giovani - Jason e Marianne - essere lì, in quel granaio insieme.
«Sei venuta» timidamente ammise lui prima di abbracciare la piccola bimba riccia bionda.
«Te l’ho promesso Jay» affermò lei convinta, come poteva esserlo una bambina di dieci anni.
«Questo è il nostro ultimo giorno di vacanza insieme e…»
Mae, proprio come la chiamava lui, si alzò sui piedi, si spinse in avanti e posò un delicato bacio sulle labbra di Jason. Arrossirono clamorosamente per un attimo; si afferrarono per mano e stavano per baciarsi di nuovo se non fossero stati interrotti dalle urla dei rispettivi genitori che li chiamavano.
«Sei la mia ragazza» sussurrò Jason prendendo la sua mano e mettendole al polso il bracciale che lui stesso aveva realizzato. Era il segno del suo amore.
«E tu sei il mio» confermò lei baciandogli la guancia e facendo lo stesso gesto prima di stringersi in un abbraccio.

Jason scuotè la testa, era troppo tempo che non pensava a quel momento.
«Perché?» domandò infastidito, ma bastò farsi un esame di coscienza per capirlo.
Gli occhi divennero lucidi, il cuore pesante e le mani iniziarono a sudare. Era quello che cercava di dimenticare, ma invano. Lei… lei era sempre nei suoi ricordi. Stava per replicare, ma il giovane Jason spinse quello adulto in un altro momento, ma nello stesso luogo.

«Non ci posso credere. E’ ancora intatto» affermò sbalordita Marianne, mentre girava su se stessa guardando il granaio dei nonni di Jason, proprio come lo avevano lasciato loro otto anni fa.
«Ti ricordi la nostra ultima estate insieme?» chiese lui, mentre passava le mani tra i capelli e la guardava con occhi di chi voleva, ma non pretendeva.
Mae abbassò lo sguardo, sfiorò il braccialetto ormai consumato al polso e alzò gli occhi nei suoi e vi trovò la stessa luce.
«Mi avevi fatto una promessa…»
«Lo so e… non l’ho mantenuta» ribadì Jason, mentre si dondolava sui talloni incrociando le mani dietro la schiena.
Si erano allontanati, eppure quella promessa era ancora là. Riecheggiavano ancora quelle parole, l’impegno era di vedersi in quel granaio l’ultimo giorno d’estate, proprio come anni prima, ma Jason non si era mai presentato fino a quel giorno.
«Perché sei qui?» domandò Marianne, mentre si guardava le scarpe cercando di nascondere il rossore sul suo viso.
«Per lo stesso motivo perché tu indossi ancora quel bracciale» affermò a spada tratta, ma persino lui sapeva che erano passati troppi anni per far finta di nulla.
Lei ci provò, lo aveva odiato a lungo, ma nell’esatto momento in cui varcò quella porta, seppe che tutti i suoi sentimenti erano ritornati come uno tsunami. Era consapevole che l’avrebbe ferita di nuovo, ma con lui aveva vissuto gli anni più belli della sua vita.
«Ti amo Mae» di colpo disse, mentre lei sgranava gli occhi e le sue mani si posavano sulla bocca già spalancata.
«Ti ho amato sempre, all’età di otto anni quando ti feci quella promessa, ti ho amato dopo, in tutti quegli anni lontani e ti amo adesso, proprio ora che sei qui con me e…»
«Anch’io ti amo Jay» si affrettò a rispondere lei, lasciando cadere le braccia sui fianchi per poi sporgersi verso di lui.
Quell’estate fu quella che lui non dimenticò mai. Il primo amore, il primo ti amo e la prima volta. Tante prime volte che aveva voluto vivere solo con lei.
«Ora hai capito?» domandò il fantasma, ma Jason rimase colpito da quella scena più di quanto avrebbe mai pensato.
«Che sono stato avventato o solo troppo giovane per capire cos’è  davvero l’amore?» di rimando rispose con altre domande, lasciando il suo io più giovane senza parole e con il fumo che gli usciva dalle orecchie. Avrebbe dovuto ribattere, dire o fare qualcosa, ma lo rimandò indietro con una manata e sparì, proprio com’era apparso.
 
Il magnate ricco si svegliò con un forte mal di testa, scacciò con rabbia le lenzuola di seta, andò a sciacquarsi il viso, prese una pillola per il dolore alla testa e si fermò davanti al suo comò; proprio sotto le sue eleganti e costosissime camice vi era il bracciale d’amore nascosto. Sì, era lo stesso che avevano al polso il giovane Jason e Marianne a dieci anni e poi ai diciotto. Lo prese tra le mani sentendo un brivido lungo tutta la schiena, sfiorò le piccole palline di vari colori e rimase a fissarlo, lasciando che emozioni e ricordi camminassero di pari passo.
 
“Maledetti fantasmi” digrignando i denti disse, poi volse lo sguardo allo specchio è noto un lieve sorriso, rimise l’oggetto al suo posto e uscì.
 
«Buongiorno Corinne» affermò sorridente, mentre percorreva il corridoio prima di entrare in ufficio.
«Signor Carmack, oggi ha l’agenda piena. Il suo primo appuntamento è… Tra dieci minuti» asserì prontamente, mentre entrò posando una tazza di caffè e il giornale del giorno sulla scrivania.
La mattinata volò, era già ora di pranzo e Jason non si era fermato, il suo volto si scurì quando notò che il suo corpo era rigido, le spalle contratte e la schiena a pezzi. Prese il cappotto e s’incamminò al bar di sotto, anche se sembrava una brutta idea a priori; così quando varcò l’ingresso, notò subito una bellissima ragazza di spalle alta, con i capelli mossi biondi e che sembrava urlare “Marianne”.
«Mae» affermò Jason toccando la spalla della sconosciuta, convinto che fosse proprio lei, ma non appena si voltò, notò che era un’altra ragazza.
Aveva agito senza nemmeno pensarci, si maledì per quello e si scusò sbalordito.
Passò la restante giornata in ufficio, ma sembrava turbato e il suo lavoro ne risentì, forse per la prima volta. Era appena entrato in casa quando si tolse la giacca, slacciò la cravatta e notò che la segreteria del suo telefono lampeggiava.
«Jason, sono la mamma» urlò la donna gioiosa e lui sorrise perché non la sentiva così da tanto.
«Ma la sai l’ultima? Certo che no, sei sempre troppo impegnato! Comunque, oggi è venuta Louise, la vicina di casa di Nicole, e… Mi ha detto che Marianne sta per sposarsi, ma ti rendi conto?» affermò tutto d’un fiato, mentre in sottofondo si sentiva il marito che la rimproverava; Jason sentendo la notizia fece cadere la tazza che teneva tra le mani.
«Scusa, tuo padre mi sta facendo dei segni, ma dovevi saperlo. Io gli ho detto che volevi, ti conosco e so che… Hai capito Jay? La tua Mae, si sta per sposare» esclamò felice lei, mentre Jason era allibito. Guardò i cocci per terra, il caffè che macchiava il suo prezioso tappeto e un dolore sordo riempire la stanza mentre il bip del telefono suonava insistentemente.
Stava per cancellare il messaggio quando comparve il fantasma del passato a impedirglielo. Non chiese nemmeno dove stavano andando, perché persino lui aveva capito che era meglio non farlo.

«Jay, perché mi hai fatto correre qui?» quasi senza fiato lo interrogò guardandolo con occhi curiosi.
«Per farti vedere casa nostra» con nonchalance affermò, prendendo la sua mano e facendole varcare il cancello bianco di legno.
«Che cosa hai fatto tu?»
«Questa è casa nostra» ripeté Jason, sicuro come non lo era mai stato.
«E… me lo chiedi così?» arrabbiata disse, ma non resistette molto alla sua faccia da cucciolo che gli saltò addosso e iniziò a riempirlo di baci.
«E’ solo una formalità questa.  I nostri collage sono vicini ed è più il tempo che dormiamo insieme - nella mia o nella tua stanza- che le notti che passiamo separati» gli fece notare, lei alzò gli occhi al cielo per quell’affermazione e notò che i suoi continuavano a studiarla.
«Sei serio?» incredula chiese e spalancò la bocca quando la testa di Jason confermò.
«Sei tutto quello che chiedevo e tutto quello che voglio» confessò, circondando il suo collo con le braccia, facendo sfiorare i loro nasi e passare le labbra sulle sue.
Jason non attese a lungo, passò le mani sui suoi fianchi, ricambiò il bacio e la sollevò sulle sue braccia, spinse la porta con lei in braccio e varcò la soglia di casa.
Era un nuovo inizio.
 
«E poi che successe?» domandò il giovane Jason a quello adulto e di risposta ricevette solo un’occhiataccia così gelida da far invidia persino al polo nord.
Se lo ricordava bene, avrebbe voluto cancellare quel momento dai suoi ricordi, da quelli di Mae e dalla sua vita.
«Ti sei comportato come uno… », non completò la frase, il concetto era chiaro, anzi cristallino.
 
«Perché?» domandò con le lacrime agli occhi Marianne, mentre non riusciva a distogliere lo sguardo da lui e dalla donna che aveva al suo fianco.
«Io…» solo allora Jason si accorse del terribile errore che aveva compiuto.
Mae stava piangendo e quando lui si avvicinò, ricevette uno schiaffo che risuonò in tutta la stanza.
«Non ci provare» lo ammonì, ma era testardo così gli cinse la vita, ma ebbe di risposta solo ciò che meritava.
Jason aveva orecchiato una conversazione tra sua madre, Mae e sua suocera, parlavano di matrimonio, ma avrebbe dovuto esserci dall’inizio: non era del loro che stavano parlando. Quelle parole vorticavano nella mente come punte affilate, era felice con lei ma non era quello che voleva in quel momento. Aveva appena iniziato la sua carriera e non poteva pensare al matrimonio, a una famiglia; preso dal terrore fece l’unico gesto che sapeva l’avrebbe allontanata da lui per sempre.
«Ho sentito che parlavi con tua madre e la mia di matrimonio ed io…» tentò lui di spiegare, di giustificarsi, ma quando lo sguardo gelido di lei lo pervase, nulla aveva più davvero importanza.
«Non si trattava del nostro» singhiozzando ammise e lui sgranò gli occhi per quell’affermazione.
Cambiava tutto, ma non ciò che era stato fatto. Provò a parlare, ma non uscì nessun suono ancora.
«Hai solo peggiorato la situazione. Un conto era trovarti qui con… lei, ma… Stiamo insieme da quasi dieci anni e la sola idea di matrimonio ti ha messo così paura che… Non ci posso credere» farfugliò frasi sconnesse, ma che lui capì chiaramente.
E non provò nemmeno a fermarla quando lei girò i tacchi e uscì da casa senza nemmeno girarsi a guardarlo.
Era finita.

Il giovane Jason rimase affascinato da quel momento, rideva anche, ma Carmack adulto non era dello stesso pensiero.
«Quello è stato il motivo per cui tu hai chiuso l’amore fuori e sei diventato…» e lasciò la frase in sospeso dando a lui le conclusioni.
«La cosa buffa e che… Avevi tutto e lo sapevi, ma sei stato in grado di buttarlo al vento. Hai lasciato che una paura inesistente ti paralizzasse e ti facesse commettere l’errore più grande della tua vita. Beh, da quel momento hai mandato anche la tua vita in rovina, ti sei concentrato su storie brevi, a volte anche solo di una notte e non hai lasciato più nessuno avvicinarti».
Jason lo guardò irritato.
«E’ sempre stata lei quella che cercavi ma che non hai mai trovato» udì in un sussurro poco prima di ritornare nella sua casa alla sua realtà.






Un mese dopo…
 
Quei ricordi non facevano che tormentarlo, le notti erano le peggiori e le giornate sembravano non essere mai abbastanza lunghe o impegnative per dimenticare. Si scontrava con se stesso, ma erano quei volti, quelli di due bambini felici che non riusciva a togliersi dalla mente. Erano stati giorni duri, ma mai come quella mattina perché ancor prima di svegliarsi sognò la sua dolce nonna, la persona che amava di più dopo sua madre. Si sentì invadere da un forte dolore, consapevole di averla delusa e…
D’un tratto ricordò.
«Hai mai detto ti amo, non posso più vivere senza di te? Tu hai cambiato la mia vita. L'hai mai detto? Fai dei progetti, trova un obiettivo, lavora per raggiungerlo, ma di tanto in tanto guardati attorno… Goditi ogni cosa. Perché è tutto qui… E domani potrebbe non esserci più» [Grey’s Anatomy –Meredith 5x24]
Quelle parole erano sempre state un mantra per lui e agì ancor prima di capire ciò che stava facendo.
Bussò insistentemente e, quando apparve lei, perse il respiro.
«Sei bellissima» esclamò in un sussurro mentre i loro occhi si scontravano ritrovandosi.
«Che cosa vuoi?» domandò adirata Mae, mentre cercò di chiudere la porta.
«Io ti amo, Mae. Ti ho amato sempre. Ti amavo all’età di otto anni quando ti feci quella promessa, a diciotto anni quanto te lo dissi nel granaio e ti ho amato dopo, in tutti questi anni lontani. E… e ti amo adesso» confessò velocemente Jason, mentre i suoi occhi si allargavano felici e quelli di lei si chiudevano in due piccoli spiragli.
«Vieni qua, a casa mia, il giorno del mio matrimonio e mi dici che mi ami… Che ti aspetti? Che mollo tutti e ti seguo?» domandò, mentre fece cadere le mani lungo i fianchi stringendoli in pugni chiusi.
«Dirti di non sposare lui, stai commettendo un grandissimo errore e lo sai… so che mi ami anche tu» ebbe la presunzione di affermare e la guardò con sfida.
«Dopo tutto quello che mi hai fatto, dopo che sono passati cinque anni tu... Che cosa pretendi?» gli urlò di rimando facendo uscire la rabbia, la collera e tutte quelle emozioni che aveva trattenuto, scatenando l’inferno.
Era finita, lo capì nel momento in cui alzò gli occhi azzurri e guardò i suoi verdi; lo vide, vide tutto ciò che negli ultimi anni aveva perso.
Ci aveva provato, salì sulla macchina e partì senza voltarsi indietro.
Era quasi ora di pranzo e lui aveva passato la mattinata in giro, apparentemente senza meta; quando volse lo sguardo fuori dal finestrino, si accorse che era proprio davanti quella chiesa. Lo trovò buffo, ma l’attenzione fu richiamata dagli invitati sparpagliati e dallo sposo senza dubbio sconvolto. Jason ingranò la marcia e cambiò strada.
«Sapevo di trovarti qui» affermò affaticato e senza fiato.
«Non sapevo dove altro andare» sospirò mentre si guardava intorno osservando quel granaio impolverato e mal ridotto.
«Ho appena annullato il mio matrimonio… Oddio ho lasciato Matthew sull’altare ed io…» iniziò a straparlare tra lo sgomento e le risate, consapevole di aver buttato all’aria tutta la sua vita.
«Mi vuoi sposare?» domandò d’un fiato, ancor prima di rendersi conto di ciò che aveva detto; i loro occhi si incrociarono affermando ciò che avevano sempre saputo.





 
 
Certe volte ci si deve perdere per ritrovarsi l’un l’altro.
Basta così poco e, forse altre troppo.
Due destini che erano già scritti.
 
 










Spazio d'autrice:
Buongiorno.... Finalmente sono riuscita a pubblicare questa storia. L'ho scritta di getto, ma ci ho messo una vita per correggerla, spero di non aver fatto errori e, nel caso ci fossero perdonatemi, ma comunque il grazie per tutto va a mia cugina che mi supporto, mi aiuta e mi consiglia.
Questa storia partecipa al contest natalizio, so che è Natale è finito, ma per una storia d'amore c'ès empre tempo. Mi è piaicuta scriverla, ho amato vivere con questi personaggi e, seppure la consegna chiedeva solo il fantasma del passato ho voluto avvicinarmi anche un pò agli altri due, un pò come succede con Christmas Carol, film a cui mi sono ispirata, ovviamente, ma con una struttura diversa.
E' strano che nel mondo reale esistano questo genere di cose, ma l'ho pensato io un pò come al subconscio che agisce per noi e ci mette davanti situazioni che diversamente non avremmo viste.
Beh, non voglio scrivere un'altra storia ahahahah ma spiegarvi solo ciò che ho pensato per questa idea. E' stato davvero bello e mi sono divertita nel creare Mae e Jay, così come le loro storie, forse può sembrare affrettato quel finale, forse lo è, eppure mi ha ricordato tanto April e Jackson di Grey's Anatomy. Il finale di questa storia coincide un pò con il loro, Jackson interrompe il matrimonio di April, confessa che  l'ama e scappano insieme... Beh, questo è un pò quello che succede anche a Jason e Marianne.
Spero che vi piaccia e... Grazie per ogni lettore silenzioso, per ogni commento e per tutti voi.

Alla prossima,
Claire

 
   
 
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