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Autore: Lucifer98    28/01/2018    0 recensioni
Avete presente quella sensazione di disagio? Quel non stare bene con se stessi, quando riuscite, neanche fosse un talento a trovare ogni volta una parte di voi che non vi piace, quando vi guardate allo specchio e non vi sentite felici con voi stessi e sentite una vocina dentro di voi che dice: "non sei bella/o, non piacerai mai a nessuno", non sentirsi mai all'altezza, mai abbastanza belli, mai abbastanza, come vorresti davvero essere, non sentirsi mai la persona che forse…dovresti essere...beh, se avete mai provato una di queste sensazioni, cercate di ricordarla, ricordatela attentamente, fate come se la steste vivendo qui e ora…l'avete fatto?
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Questa è praticamente la storia della mia vita, scritta ormai tempo fa. Buona lettura.






Avete presente quella sensazione di disagio? Quel non stare bene con se stessi, quando riuscite, neanche fosse un talento a trovare ogni volta una parte di voi che non vi piace, quando vi guardate allo specchio e non vi sentite felici con voi stessi e sentite una vocina dentro di voi che dice: "non sei bella/o, non piacerai mai a nessuno", non sentirsi mai all'altezza, mai abbastanza belli, mai abbastanza, come vorresti davvero essere, non sentirsi mai la persona che forse…dovresti essere...beh, se avete mai provato una di queste sensazioni, cercate di ricordarla, ricordatela attentamente, fate come se la steste vivendo qui e ora…l'avete fatto? Bene…prendete quella sensazione e moltiplicatela per dieci, per cento, per mille, moltiplicatela all'infinito, provate, fatelo, tanto è inutile, non capirete, forse mai come si sentiva davvero "L".
Forse ora vi chiederete chi è "L", chi è questa persona, questa semplice lettera, senza nome, senza  identità, o forse no se la storia fino ad ora non vi è piaciuta, ma per chi ha il coraggio, la curiosità, o semplicemente la voglia di continuare, io continuerò a raccontare la storia, e ben presto capirete chi è "L".                                                                                                                                               

Una giornata come le altre, sveglia presto, scuola, casa, pranzo, compiti, studio, la serata dedicata agli hobby e poi a letto. Due cose però erano diverse, erano cambiate nella vita di “L”, la sveglia era diventata più mattiniera e tutto ciò che faceva dopo pranzo, non lo faceva più in totale solitudine come prima, no, ormai lo faceva sempre in compagnia del suo ragazzo, e la sveglia si era magicamente puntata tutte le mattine alle 6 invece che alle 7 proprio per poter parlare con lui prima di andare a scuola.
Un ragazzo il suo, dolce e disponibile, che sapeva sempre come farlo ridere e come renderlo felice, soltanto con qualche parola o anche solo con un gesto, un ragazzo fantastico che ringraziava sempre di aver conosciuto. Uno solo era il problema, nonostante fossero così uniti, la distanza li separava, i pomeriggi “L” infatti li passava davanti ad uno schermo, sul  computer, precisamente su skype, (che dio sia lodato per questa invenzione), mentre svolgeva tutte le sue attività di sempre, anche le più stupide, per avere la parvenza, l’illusione di poter essere davvero vicino a lui, nonostante in realtà ci fossero più di 300 km a dividerli.
Questa è la fine di una storia, ben più lunga di questa, ma che ormai è davvero storia e forse adesso non vale più neanche la pena di raccontarla, ma allo stesso tempo questo è anche l’inizio di una storia ben più bella e che deve essere ancora scritta.
Una relazione nata da un’amicizia, grazie a un’amica comune, che li aveva fatti conoscere e che entrambi non avrebbero mai smesso di ringraziare abbastanza, un’ amicizia che non era durata neanche così tanto, ma forse era stato meglio così, successe quello che si chiama “colpo di fulmine a scoppio ritardato”, tutti voi lo conoscerete ovviamente o forse no, forse semplicemente me lo sto inventando io in questo momento, ma suonava bene, almeno a me, quindi lo lascerò.
Dopo pochi mesi di amicizia l’uno si innamorò dell’altro, confessò i suoi sentimenti, nonostante la paura, la paura lacerante di un rifiuto, che per fortuna si trasformò in gioia, gioia pura e semplice per un amore ricambiato.
I mesi trascorsero, felici, con giornate passate su skype, al telefono o semplicemente a messaggiare, ormai era diventato normale, era diventato così normale che “L” quasi riusciva a sentire la sua presenza, lì vicino a lui, di quel ragazzo dall’altra parte dello schermo e a volte da piccolo ingenuo aveva anche provato a sfiorare con le dita quel viso, quei capelli, convinto di poterli sentire, per accorgersi un secondo prima di riuscire a toccare lo schermo  che in realtà non avrebbe sentito nulla sotto le sue dita, ma semplicemente una superficie liscia e fredda.
Ma dopo la tristezza iniziale, si ripeteva che prima o poi quelle dita, le sue, lo avrebbero sfiorato, lo avrebbero accarezzato, lo avrebbero stretto forte, lo avrebbero fatto suo ed “L” non vedeva l’ora che arrivasse quel momento e pensando a ciò ritornava a sorridere e a scherzare con Andrea.
Passarono esattamente due mesi, un giorno di dicembre, inizio dicembre precisamente, “L” parlò con sua madre. Di punto in bianco si ritrovò una madre disperata, triste, arrabbiata e forse anche distrutta, e come magicamente, senza forse neanche rendersene conto, si ritrovò da un dottore, che parlava di psichiatri e medicine e bipolarità e attacchi d’ira e tutto ciò che “L” riusciva a pensare era...niente, solo lacrime incontrollate scendevano dai suoi occhi e gli rigavano le guance, e quasi come se fossero stati collegati, dagli occhi della madre.
La paura e l’ansia altre volte lo avevano accolto tra le loro braccia e sta volta si era lasciato scivolare, abbracciare senza tentare di divincolarsi, e la paura sorridente gli sussurrava piano: “Andrà tutto bene” . Entrambi sapevano che non era così e lo stesso “L” adesso rideva, insieme alla paura, per non piangere, perché ormai si era stufato anche di piangere.
Per il mese a venire, “L” non era più “L”, la paura si era impossessato completamente di lui, la paura per ciò che aveva detto il dottore, la paura di non riuscire a vivere, la paura di non riuscire a sopportare più nulla e neanche Andrea riusciva a confortarlo, neanche quel ragazzo che pochi mesi prima era riuscito a farlo sentire amato, come non mai, ora non poteva nulla e inerme, guardava “L” cadere e cadere, in quell’oscurità dalla quale, Andrea lo sapeva bene, non sarebbe più riuscito a uscire fuori.
Come nelle sabbie mobili, “L” stava precipitando senza sosta, risucchiato da una paura perenne di tutto e di tutti, anche di se stesso, non rimaneva quasi nulla in superficie, quasi tutto era ormai dentro quell’infinito spazio buio, dove la luce non entra mai e le tenebre regnano, solo una mano, anzi, solo le dita, si sforzavano, si protraevano verso la luce, verso l’uscita, verso la riva, ma quelle dita, protese così in avanti in modo quasi innaturale, così affaticate, non erano arrivate a nulla, non erano riuscite a raggiungere nulla...anche loro allora si arresero, e si lasciarono andare, troppo stanche per riuscire a sopportare di più.
E proprio quando quelle dita stavano per affondare in un oscurità senza ritorno, una presa, salda le afferrò, e le tirò, le tirò con tutta la sua forza, tirò quelle dita ormai così stanche, che semplicemente si lasciavano tirare, senza fare nulla, inermi, ma la forza di quella presa, la sua sola forza di volontà bastò per tirare fuori quella mano e poi il braccio e poi la spalla e il collo e la testa e tutto il resto del corpo per poi appoggiarlo a riva e sdraiarsi accanto a quel corpo e aspettare che quegli occhi si aprissero.
Quegli occhi, tanto belli, così scuri, così grandi, si aprirono e la prima cosa che videro fu Andrea, seduto, che li guardava, con un sorriso sereno e gli occhi lucidi, pieni di un pianto, ma non di tristezza, bensì di gioia, la gioia di essere riuscito a salvare quella persona che lui amava così tanto e che per un attimo aveva temuto di perdere per sempre.
Quella presa, quella presa così forte e così tenace che nonostante la sconfitta iniziale non si era arresa, era di Andrea, un ragazzo che come “L” aveva provato quella caduta, in quelle sabbie mobili, in quel baratro così profondo da cui nessuno però l’aveva salvato, lui, si era salvato da solo, aveva scacciato la paura, l’odio di se, la depressione, che fino a quel momento gli avevano sorriso mentre lo trascinavano sempre più giù.
Andrea era un ragazzo forte, molto più di quanto pensasse, che era riuscito a salvare se stesso e anche a salvare gli altri.
Su quella riva, “L” appena vide Andrea, scoppiò in un pianto disperato quanto felice, disperato perché non credeva di aver potuto neanche pensare una cosa del genere e felice, perché non era mai stato così felice di vederlo, l’unico che lo capiva davvero e l’unico che poteva salvarlo addirittura da se stesso. E con gli occhi pieni di queste lacrime, abbracciò forte Andrea e si strinse a lui, singhiozzando e ringraziandolo, come non aveva mai fatto e sentendo, sapendo che il loro rapporto ora era più forte e che Andrea non l’avrebbe mai lasciato.
Quello era stato un mese difficile, pieno di paura, preoccupazioni, fraintendimenti, incomprensioni, odii, amori, riconciliazioni, ed “L” ci mise un po’ a rimettersi in piedi e a tornare chi davvero era, abbandonando la paura, e smettendo di sorridere insieme a lei. Alla fine ci riuscì e tutto tornò quella che era la “normalità”, o forse no. “L” in effetti, non era lo stesso di prima, era cambiato, aveva abbandonato tante paure, ma la più grande ancora faceva fatica a salutarla, d’altronde erano cresciuti insieme, sempre vicini, mano nella mano, sin dalla più tenera età ed “L” non riusciva a smettere di sorriderle, ormai era diventata quasi un amica, la sua migliore amica e non sarebbe riuscito ad abbandonarla tanto facilmente.
Quella, una paura forse comune, forse che hanno tutti, ma “L” sentiva che al primo posto, lei aveva messo proprio lui.  La paura della morte aveva lasciato un posto speciale ad “L”, il posto d’onore, il posto che forse nessuno vorrebbe, o almeno così pensava lui.
Fin dalla più tenera età questa paura non aveva mai smesso di angosciarlo e anche se a volte poteva sembrare che lui non avesse paura, facendo finta di essere spavaldo, facendo finta di essere felice a volte, facendo finta di essere chi non era, per non sembrare debole e per mostrare a quella paura che lui era più forte di lei, quando in realtà non era così, ma lei lo lasciava fare, per un po’ gli dava l’illusione di essersi liberato di lei, fino a quando di colpo non tornava e sempre, come tutte le paure, con quel sorriso lo guardava, con aria di sufficienza e carezzandogli la guancia gli diceva: “Lo sai vero che non ti libererai mai di me?….” “L” lo sapeva, sì, lo sapeva fin troppo bene, ma almeno ci aveva provato, almeno aveva finto che non fosse così e, ancora una volta, si lasciava abbracciare da lei, coccolato da quella paura, accarezzato da quelle sue mani così fredde, quanto belle, così bianche, quanto affascinanti, così odiate da “L” quanto amate, così, semplicemente, distruttive.
La paura della morte credeva che avrebbe potuto tenerselo tutto per se, per sempre, fino a quando lo avrebbe portato via davvero, ma si sbagliava e mai lo avrebbe immaginato.

Ora,  provate a immaginare un treno, che non ha fermate, che semplicemente va avanti, inarrestabile e all’interno, un solo passeggero, che seduto in uno dei tanti posti vicino a un finestrino, guarda in modo attento cosa succede al di là di quel vetro, osserva il tempo che trascorre inesorabile e ciò che il tempo porta: cambiamenti, novità, distruzione, innovazione, vita, morte. Vede le persone e le loro vite, i loro comportamenti, le loro storie, le loro gioie, le loro speranze, i loro dolori e infine la loro fine.
Questo è un treno che non si ferma e mai si fermerà, che gira per il mondo, all’infinito, poiché il passeggero che è all’interno non morirà mai, è immortale, ma il prezzo per la sua immortalità è quello di non poter mai uscire dal treno, di non poter vivere una vita al di fuori di quel posto, avrebbe solo potuto girare per i vagoni, vagoni vuoti, senza nessuno, solo qualche oggetto utile e del cibo, poteva solo vagare come un fantasma, sarebbe stato come se non fosse mai esistito e non avrebbe potuto crearsi una vita, una famiglia, non avrebbe affrontato i dolori, i sogni infranti, le false speranze, soprattutto non avrebbe dovuto affrontare la morte, ma allo stesso modo, non avrebbe goduto le gioie, non avrebbe condiviso la sua vita con qualcuno che amava, non avrebbe avuto una famiglia, non avrebbe potuto assaggiare l’effimerità della vita, che ha un gusto troppo aspro per alcuni e forse troppo dolce per altri.
Quel giorno “L” e Andrea si stavano sentendo su skype, quando ad un certo punto, così dal nulla Andrea chiese una cosa a “L”, una domanda gli frullava nella testa, era curioso di sapere, era una domanda strana a primo avviso ma che a sentirla bene, in fondo era normale e semplice, semplicemente posta in modo...strano, anche se chi può definire cosa è strano e cosa no? Nessuno, ma ognuno alla fine si prende la libertà di farlo; ma qui inizierebbe un discorso troppo lungo, che forse affronterò in un altro racconto o forse mai.
Andrea chiese ad “L”: “ Se tu avessi la possibilità di salire su un treno, un treno che non si ferma mai, infinito, che ti donerebbe l’immortalità, ci saliresti?”  “L” dopo un primo momento di smarrimento e confusione rispose affermativamente, d’altronde pensava che avrebbe potuto portare con se su quel treno altre persone...una in particolare, ma dopo la sua risposta, Andrea andò avanti. “C’è una condizione però: l’immortalità ha un prezzo, come ogni altra cosa e questa ha un prezzo anche molto alto, infatti, tu saresti l’unico passeggero di questo treno, unico testimone eterno dello scorrere del tempo infinito, condannato o se preferisci felicemente condannato a stare da solo, su quel treno, per l’eternità. Adesso, rispondimi, ci saliresti? Ti sembra essere questo un prezzo ragionevole?”
Sta volta “L” era più spiazzato di prima, non sapeva cosa rispondere in un primo momento, ma dopo qualche minuto di silenzio rispose sicuro: “No, non ci salirei” “E perché?” chiese Andrea. “L” rispose: “Semplice, perché non potrei condividere la mia eternità con te…”
Quella frase. Il vero senso di quella frase, il suo significato, quello che nascondeva, forse neanche in modo troppo velato, quello che voleva dire, quello che stava davvero a significare, anche se forse non tutti l’hanno capito, non tutti l’hanno colto,  Andrea lo capì e sorrise e questo bastava a “L”.
La paura della morte, così forte, così presente, così insistente, quasi opprimente nella vita di “L” si era assopita, stava pian piano scomparendo, a piccoli passi, grazie ad Andrea, quel ragazzo lo stava facendo cambiare, in meglio, secondo lui e forse in peggio per altri,  ma a “L” non interessava, sarebbe rimasto con lui per molto, moltissimo tempo.
“L” avrebbe preferito vivere una vita normale, con una fine, con la morte che lo aspettava al traguardo, ma con Andrea al suo fianco, piuttosto che una vita eterna, in compagnia solo di se stesso.
Forse voi a questo punto, vi starete dicendo che tutti avrebbero fatto la scelta di “L” perché tanto quel treno non esiste, non potrebbe mai esistere e mai esisterà, ma questa è una storia, tanto vera quanto falsa, tanto possibile quanto impossibile, tanto reale quanto fantastica, tutto è possibile nelle storie, nei racconti, nelle favole e “L” se avesse voluto avrebbe davvero potuto salire su quel treno, d’altronde sono io che tesso le fila di questa storia, almeno in parte e io l’avrei fatto salire, se solo lui avesse voluto e “L” lo sapeva,  ma come abbiamo detto, preferiva assaporare quell’effimerità della vita insieme ad Andrea, piuttosto che bere dalla coppa dell’immortalità.
La paura, quella paura così sicura di poter stare al fianco di “L” per sempre, si sbagliava, e si stava amaramente accorgendo del suo errore, mentre pian piano si stava allontanando da lui, l’abbraccio, non era più così saldo, le sue mani, non erano più così ammalianti per “L”, le sue parole non erano più così efficaci, veritiere, adesso era la paura stessa ad avere paura, paura di perdere la sua vittima preferita, il suo piccolo giocattolo, e cominciava anche ad odiare, odiare quel ragazzo, quell’uomo mortale che riusciva ad avere più potere di lei, un essere immortale che da secoli terrorizza l’umanità, la forza di quel ragazzo, la spaventava, la impauriva, ma comunque, lei imperterrita voleva continuare a provare, a tenersi stretto “L” ancora e ancora, non voleva arrendersi, anche se ben presto, si sarebbe accorta che tutto quello che aveva fatto, tutti i suoi sforzi per tenerselo stretto, erano stato inutili.

Vi ricordate quel treno? Quello infinito, che non ha fermate e che in questo racconto esiste, allora, ve lo ricordate?Bene, ora vi dimostrerò, se ancora avevate dei dubbi, che in questo racconto quel treno esiste davvero e che per questa volta, per la prima ed ultima volta, avrebbe fatto un eccezione, quel treno sarebbe stato diverso, solo per loro. Quel treno, infatti, è cambiato, non è più quello che dona l’immortalità in cambio della solitudine, no, ora è quel treno che ha accolto due persone, e non una e che non dona più l’immortalità, ma la serenità, è un treno che, come una bolla di sapone, racchiude due persone e la loro vita, dove il tempo per loro passa, un tempo tutto loro, mentre fuori, oltre le pareti di quel treno, il tempo ormai non scorre più, si è fermato, è come... rallentato.
“L” e Andrea vivono dentro questo treno, insieme, consapevoli ormai che non potranno avere l’immortalità, poiché non hanno pagato quel prezzo, ma a loro non interessa, non era quello che volevano, non era quello a cui aspiravano, loro aspiravano soltanto ad una vita insieme, felice, non senza difficoltà, litigi, momenti duri, tristi, ma erano comunque felici, consapevoli di star correndo una corsa, con quel treno, che sarebbe finita. Quel treno infatti, sta volta aveva una fermata, una sola ed unica fermata, quel traguardo, che tutti vorremmo non raggiungere mai, la morte.
Questo però non li spaventava, come non spaventava Andrea, ormai non spaventava neanche “L”, ormai, quella paura della morte, lo aveva definitivamente lasciato, non lo stava più abbracciando, anche lei, si era resa conto che le sue parole non avevano più alcun effetto su di lui, erano ormai semplici parole buttate al vento, che non ascoltava, ormai anche lei si era arresa, arresa all’evidenza che ormai quel piccolo mortale era riuscito a mandarla via, a scacciarla, e aveva anche capito che ormai non sarebbe più riuscita a riprendersi il cuore di “L”, riempendolo di quel nero di paura, di quel nero così scuro e denso, sapeva, a quel punto, che ormai ogni suo tentativo sarebbe stato inutile e con odio, misto a rabbia, lo spinse via ma senza perdere il suo tipico sorriso, con cui ammaliava le persone. Gli disse addio e sparì alle sue spalle, spingendolo con forza nelle braccia di Andrea e forse, questa volta anche lui sorrise, sorrise alla paura, un sorriso di vittoria, di soddisfazione e strinse “L” forte tra le sue braccia, finalmente al posto di quell’abbraccio freddo e scuro della paura aveva preso il posto un abbraccio molto diverso, un abbraccio caldo e sereno, un abbraccio che adesso, per davvero, non l’avrebbe mai più lasciato andare.
Su questo treno Andrea ed “L” liberi ormai dalle paure più grandi che da sempre li avevano distrutti, continuando sempre a sorridere e ad abbracciarli stretti, vivevano la loro vita, insieme, strappando le pagine dei calendari, mese per mese e cambiando quegli stessi calendari, anno per anno, e così passò il tempo, quel tempo che porta gioie, dolori, felicità, tristezza, novità, distruzione, pace, odio, amore, guerra, quel tempo che dà e che toglie, quel tempo che fa nascere e distrugge, semplicemente, il tempo.
E a loro, quel tempo, portò grandi gioie, come i loro figli e i loro nipoti e addirittura un pronipote, come portò anche grandi dolori, come la morte dei rispettivi genitori, insomma, la vita, da cui si raccolgono i frutti che dà, cercando di gustare solo quelli più buoni, come avevano cercato di fare loro, in tutti quegli anni, anni di sofferenze e di dolori, che hanno portato al compimento del loro sogno più grande, o meglio, del sogno di “L” che divenne anche il sogno stesso di Andrea e che li ha fatti cominciare davvero a vivere. Sì, perché “L” ha dovuto soffrire tanto per riuscire ad essere chi davvero era, perché era nato in un corpo sbagliato, in un corpo che non era il suo.
Quella persona, senza identità, senza nome, senza faccia, di cui ho parlato finora, quel fatidico “L” che ho detto che ben presto avreste capito chi era, ed ecco, “L” è lui, un ragazzo che è stato intrappolato in un corpo di una ragazza, per fin troppo tempo. Quelle paure, quell’abisso, quel dottore, quella madre piangente, quelle medicine, quello psichiatra, tutto questo era collegato in un modo o nell’altro al suo essere, al suo essere “diverso”, al suo non essere chi era, al suo disagio, al suo odio verso se stesso, verso il suo corpo, al suo dover affrontare battaglie per poter diventare chi davvero era, con una madre che forse, voleva aiutarlo, o forse semplicemente aveva paura.
E insieme ad Andrea, quel ragazzo che lo capiva fino in fondo, e che lo aveva aiutato ad affrontare tutte quelle battaglie, contro tutti, anche contro se stesso, senza di lui infatti,  probabilmente a quest’ora “L” sarebbe ancora quella figura, semplicemente senza identità, senza volto, senza nome, insieme a lui, “L” aveva sopportato molti interventi, cure, difficoltà, sempre con Andrea al suo fianco, che non lo aveva mai lasciato, e mai lo avrebbe fatto,
Ora dopo tutto questo, quel ragazzo che tutti hanno sempre conosciuto come Isabella, ora non lo è più e mai più lo sarà,  ora è “L”, o  meglio, Luca, che ringraziando la vecchia se stessa e salutandola è diventato chi è davvero. Un uomo.
Ora lo capite? Vi ricordate, quelle sensazioni che vi ho chiesto di ricordare? Sì, quelle che moltiplicate anche per mille, mai avrebbero raggiunto quello che provava davvero Luca verso se stesso, ecco...ora lui non le provava più, si erano azzerate, adesso si accettava, il suo corpo gli piaceva, il suo corpo ora, rispecchiava la sua mente, il suo vero essere.
Insomma, adesso ormai erano passati molti anni, e insieme erano diventati vecchi, passando dal vedersi su skype, al finalmente incontrarsi, crescendo separati e poi finalmente insieme.
Ora i tempi della giovinezza erano finiti, e quell’unica fermata, quel traguardo, si stava avvicinando a gran velocità, su uno dei vagoni di quel treno, l’ultimo, l’ultima tappa della vita, che sembrava quasi una stanza d’ospedale: due lettini, uniti, vicini, e una famiglia, che li circondava, una famiglia che li amava, figli, nipoti e quel piccolo pronipote, tutti insieme, intorno a loro due, alcuni seduti, altri in piedi a vegliare su di loro, ormai stanchi ma comunque con un sorriso sulle labbra. Nessuno stava piangendo, erano tutti sereni, nessuno era triste, come di solito si è o forse si dovrebbe essere, perché Andrea e Luca avevano vissuto la loro vita, come avevano voluto, e non avevano nessun rimpianto.
Per Luca ormai la paura della morte, nonostante adesso quella fatidica morte fosse così vicina, nonostante quella paura stesse per diventare realtà, ormai era un lontano ricordo, ben impresso nella sua mente era invece quell’abbraccio nel quale quella paura lo spinse, l’abbraccio caldo e forte di Andrea, così simile a quello che Andrea gli diede quando lui stesso si buttò tra le sue braccia, dopo che capì che era stato proprio lui a salvarlo da quel baratro così profondo e dal quale da solo non sarebbe mai riuscito a uscire. Luca sorrise ancora di più a questo pensiero, si girò e guardò Andrea che adesso accanto a lui dormiva, serenamente. Forse vederlo dormire mise sonnolenza a Luca più di quanta già non ne avesse e così, si addormentò anche lui e fece un sogno, o almeno credette che fosse stato un sogno.
Sognò quel fantastico giorno, lo ripercorse tutto e lo sentì come se stesse davvero succedendo di nuovo, tutta l’agitazione nel suo corpo, le mani che tremavano, la gioia incontenibile, ma anche la paura, che qualcosa potesse cambiare. Ripercorse il giorno, quel giorno, in cui si incontrarono per la prima volta, a quella Fiera del Libro a Torino, che Luca non aveva mai amato così tanto come in quel momento e come adesso.
Era un sogno così nitido, così reale, le sensazioni erano troppo reali per essere un sogno, si sentiva di nuovo giovane, si sentiva così bene. E poi quel bacio, il loro primo bacio, così impacciato, ma allo stesso tempo così bello, così unico, era stato così reale, sentì di nuovo quel brivido che gli percorse tutta la schiena, di nuovo il calore del viso di Andrea sotto la sua mano, sotto le sua dita, tutto gli sembrava così vero che quando riaprì gli occhi si chiese se quello che era appena successo fosse davvero un sogno o forse, quel treno aveva deciso di fargli un regalo, tornando indietro a quel momento e facendoglielo rivivere per l’ultima volta.
Nessuno saprà mai se quello fu veramente un sogno o altro, ma non è importante, Luca l’aveva rivissuto, non importa in che modo, quello che conta è che ne era davvero felice.
Quando si svegliò, come fosse un normale riflesso, si girò verso Andrea, che adesso era sveglio e lo guardò, guardò i suoi occhi, coperti da quegli occhiali che tante volte gli aveva chiesto di togliere, per poterli vedere meglio e poi anche perché, e Andrea lo sapeva bene, a Luca lui piaceva di più senza occhiali. Occhiali che Andrea si tolse solo per Luca, che lo ringraziò con un sorriso, uno di quei sorrisi un po’ timidi che ad Andrea piacevano tanto.
Luca lo fissò per non poco tempo, guardando anche quel bel barbone biondo, ora ormai diventato bianco, di Andrea, che gli piaceva tanto, e che Andrea un giorno, mentre erano su skype e parlavano del futuro, di come sarebbero stati, di come sarebbero voluti essere, ridendo e scherzando come sempre, aveva definito “da vichingo”, e in effetti sì, sembrava da vichingo, ma Andrea era un vichingo molto carino. Luca rise a questo pensiero e allungò la mano per prendere quella di Andrea e stringerla forte, con tutte le forze che gli rimanevano.
Lo guardò fisso negli occhi: “Andrea…” “Sì Luca?” “Ti amo” “Anche io ti amo...”
E di colpo, quasi fossero stati collegati allo stesso elettrocardiogramma, divennero entrambi piatti, i loro cuori avevano smesso di battere, insieme, come insieme avevano iniziato a battere davvero, l’uno per l’altro.
Finalmente il treno si era fermato, aveva raggiunto l’unica fermata, la prima e l’ultima, e loro due l’avevano raggiunta con il sorriso sulle labbra, con un volto sereno e felice, mano nella mano, dopo aver rispettato per tutta la vita quella promessa che avevano fatto l’uno all’altro, “Finché morte non ci separi”, ma forse, neanche la morte sarebbe riuscita a separarli, anzi, ne sono certo.
La morte li avrebbe guardati, dal suo posto d’onore e, ancora una volta, come tutte le altre paure, avrebbe sorriso, ma non un sorriso come quello delle altre, un sorriso falso, che serve solo come apparenza, quei sorrisi ammalianti, quanto distruttivi, per attirare a se vittime da portare sul fondo, in un baratro oscuro, come quelle paure avevano fatto con Luca e Andrea, no, quello era un sorriso diverso, per la prima volta un sorriso felice, davvero felice, per averli potuti finalmente accogliere tra le sue braccia, un sorriso sereno, che Luca e Andrea ricambiarono, mentre lei li abbracciava, non uno per uno, ma insieme, racchiusi in unico caldo abbraccio, tra le braccia della morte, senza lasciare che le loro mani si separassero e dicendo: “Benvenuti".



 

  
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