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Autore: Aryn2703    29/01/2018    0 recensioni
Vi siete mai chiesti perché le meduse sono immortali?
Leggenda breve ambientata in Giappone
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Principessa Kurage

“Spirito Gisei! Spirito Gisei!” Una bambina correva verso la casetta di legno vicina al porticciolo, stringendosi delle alghe sul polso sinistro.
 
Una figura ricurva si alzò da una sedia di vimini posta nella veranda. Non si riusciva a quantificare quanti anni avesse: la schiena formava un angolo retto con le gambe, alcuni ciuffetti grigi comparivano da dietro le orecchie mentre una lunga barba candida cadeva fino a terra. La gente del villaggio lo chiamava “spirito Gisei”, in giapponese fedeltà, e spesso gli offriva in dono fiori e pesci marini: lo credevano una sorta di divinità e, in quanto tale, ne temevano la furia.

“Che cosa c’è Natsume, perché stai piangendo?”, la piccola, tirando via con la mano il muco del naso, disse tra i singhiozzi: “Mi ha punta! La principessa Kurage mi ha punta!”
“Oh… Vieni qui, piccina. Deve fare molto male. Siediti su questa stuoia, ti porto l’antidoto”
Nessuno sapeva chi fosse veramente il vecchio ma una cosa era sicura: era in grado di fabbricare un unguento potentissimo in grado di alleviare i dolori di puntura delle meduse. Secondo alcune leggende una sirena gli aveva mostrato come farlo, altre dicono l’abbia imparato secoli prima durante uno dei suoi viaggi oltre mare.
“E’ vero che è stata una sirena ad insegnarti come fare l’antidoto?” Chiese Natume senza pensarci, spinta dalla curiosità dei suoi dieci anni.
Gisei rise “No, piccola mia. È stata l’esperienza: per anni ho dovuto combattere contro queste ustioni.”

Natsume sembrava molto triste, grosse lacrime le rigavano il volto e, sorprendentemente, era molto silenziosa. Il vecchio si preoccupò nel vederla così e le chiese cosa la turbasse.
“E’ per via della principessa Kurage” disse lei, “Perché è così cattiva? Deve odiarci molto per pungerci in modo così doloroso! Ha fatto male anche a Ryosuke e Sutemaru e al papà e al nonno e al bisnonno. Da secoli ormai rimane in questo mare e ci punge. Deve avere un cuore nero…”
Il saggio ascoltava senza interromperla, qualche volta le accarezzava lievemente la testa e cercava di rasserenarla.
“Natsume, ascoltami.”, disse quando quella finì di sfogarsi, “Ti voglio raccontare una storia.”
La piccola adorava quando il saggio raccontava le sue storie e, mettendosi comoda, si mise ad ascoltare.
Accompagnato dall’odore salmastro e dal canto del vento, Gisei cominciò:

“C’era una volta, tanto tempo fa, una piccola città sul mare. La maggior parte degli uomini esercitava la professione di pescatori mentre le donne rimanevano in casa ad accudire i loro figli.
Tra queste famiglie ce n’era una in particolare, la famiglia Nagawa. Questi erano molto poveri: il padre, infatti, era stato inghiottito dal mare una notte che era uscito per pescare.
La signora Nagawa si ritrovò da sola a dover sfamare i suoi cinque figli. Il fratello maggiore si fece assumere in un peschereccio e iniziò anch’egli l’attività di pescatore così da aiutare la famiglia.
Le cose non erano facili per loro ma, con il tempo e la dedizione, il piccolo nucleo imparò a fare affidamento su se stesso e a crescere l’uno accanto all’altro.
Tra i figli vi era Kurage, una giovane dai lunghi capelli neri che più cresceva più diventava bella.
Kurage era ben voluta da tutti, molti pensavano che fosse l’incarnazione di qualche spirito e in tanti la chiesero in moglie ma ella rifiutò ogni proposta: il suo cuore apparteneva ad un'altra persona.
La giovane Nagawa, infatti, nutriva una passione segreta per un giovane marinaio, tornato a casa dopo aver ottenuto un congedo per i mesi freddi. L’uomo aveva girato tutta l’Asia e portava con sé un enorme bagaglio di esperienze.
Egli si intratteneva spesso a raccontare le sue avventure e Kurage era una delle sue ascoltatrici preferite: silenziosa e aggraziata, beveva come una spugna ogni parola stillata dalla bocca del ragazzo.
Non passò molto prima che fiorisse l’amore tra i due: lei dedicò se stessa a lui, lui le aprì gli occhi su mari mai solcati.
Nessuno sapeva di loro tranne Yanagi, l’amico di infanzia di Kuruge che da sempre la seguiva e da sempre l’adorava da lontano.
Poi l’inverno finì e, con esso, ogni felicità per Kurage.
Il fratello maggiore della ragazza, infatti, rimase coinvolto in una rissa e perse la vita. La famiglia Nagawa si ritrovò improvvisamente senza cibo, di nuovo.
La vedova cercò di fare dei lavoretti manuali ma la malattia e la vecchiaia non le permisero di lavorare a lungo.
Fu così che decise l’inevitabile: Kurage sarebbe entrata in un Okiya, casa del piacere giapponese.
“Tu sei la sorella maggiore adesso”, diceva la madre mentre sputava del sangue su un fazzoletto, “è compito tuo mantenere la nostra famiglia. Non importa quanto piangi, è la mia decisione finale.”
Kurage era disperata. La gente attorno a lei non faceva altro che decidere la sua vita, non aveva alcuna importanza la sua opinione? Come poteva sua madre proporle di prostituirsi! Che ne era dell’orgoglio, della dignità? Dell’amore che provava per un altro uomo?
La ragazza corse verso la casa del suo amante.
Bussò, nessuna risposta.
Bussò ancora, più forte. Nessun cenno di movimento.
Lentamente aprì la porta ed entrò nel cucinino dove spesso aveva mangiato insieme a lui. Vi trovò un biglietto, solo alcune parole, scarabocchiate di fretta: “è arrivato per me il tempo di tornare in viaggio. Porterò per sempre nel cuore questi mesi trascorsi insieme. Sii felice, addio”
Codardo, pensò Kurage.
Tutti l’avevano abbandonata: il padre, il fratello, l’uomo che amava.
Presa dallo sgomento e dall’angoscia, la ragazza si diresse verso la spiaggia; si sfilò il vestito color ocra ed entrò nelle onde del mare, con il cuore colmo di disprezzo, finché le sue lacrime salate non si fusero con il resto dell’acqua.
Il povero Yanagi, che da tempo non riusciva a trovarla, corse verso la spiaggia dove vide l’abito d Kurage.
Preso dal panico entrò anch’egli nell’acqua, afferrò con fatica il corpo della sua amata e cercò di rianimarla ma era ormai troppo tardi: Le labbra erano diventate blu e il corpo rigido e gonfio.
Yanagi pianse, come mai nessuno aveva visto piangere un essere umano. Chiamò più e più volte lo spirito del mare finché quello, sotto forma di murena dai denti affilati, non si presentò a lui.
“Cosa vuoi, umano? Perché disturbi il mio sonno?”
“Ti imploro spirito del mare! Salva l’anima di Kurage, non posso vivere senza di lei!”
“Esaudirò il tuo desiderio, Yanagi. Ma questo ha un prezzo te ne rendi conto?”
“Sono disposto a pagare tutto pur di sapere di non averla persa per sempre”
“Ebbene ti accontenterò, ma bada”, disse lo spirito mostrando un ghigno, “L’anima è immortale e come tale diventerà Kurage. La sua esistenza sarà legata al mio spirito così come la tua: non avrai il permesso di morire finché la tua amata sarà parte di me”.
Disse questo e scomparve. Era una notte di marzo e la luna piena brillava alta nel cielo.
Il corpo di Kurage, ancora tra le braccia di Yanagi, iniziò a rimpicciolirsi e a cambiare forma finché non divenne un piccolo essere trasparente dal corpo a forma di fungo e dai lunghi tentacoli arricciati.
Yanagi cercò di toccarla ma quella lo bruciò istantaneamente, il dolore fece urlare il giovane che non capiva. Da lontano arrivò la risata dello spirito del mare: “Yanagi, Yanagi. L’anima di Kurage è piena di odio e risentimento nei confronti del genere umano che l’ha abbandonata e tradita. Poiché la sua anima è nera è destinata a ferire ogni essere che prova a sfiorarla.”
Fu così che Yanagi imparò a convivere con quelle bruciature e ad amare ogni loro cicatrice: il suo destino era ormai legato a quella riva, regno della principessa Kurage, e mai più sarebbe stato in grado di abbandonarla.
Ogni anno, durante la prima luna piena di Marzo, Kurage assumeva di nuovo le sembianze umane e, sotto forma di spirito, si sedeva sulla riva accanto a Yanagi che, per il resto della sua secolare vita, visse per quell’unico momento in cui si ricongiungeva con l’amata.”

Natsume aveva di nuovo le lacrime agli occhi ma stavolta erano di compassione, aveva sbagliato a giudicare la principessa Kurage come un essere cattivo: era solo vittima delle ingiustizie della vita.
In fondo, inoltre, si vergognava di essersi lamentata per quell’ustione: Yanagi aveva sofferto molto più di lei!
La bambina ringraziò lo spirito Gisei e tornò a casa con il sorriso.

Era marzo e la luna piena si alzò nel cielo.

Il vecchio rimase seduto sulla veranda quando Kurage si sedette accanto a lui. Ormai non parlavano più: dopo tutti i secoli trascorsi avevano imparato a conversare in silenzio, capendo ognuno le emozioni dell’altro.
Quella notte, però, Kurage parlò.
“Sei stanco, Yanagi?”
“Sì” disse l’anziano in un soffio.
“Anche io, caro amico. Ormai l’odio e l’asprezza hanno abbandonato la mia anima. Sono stanca di provocare inutile dolore agli uomini che mi stanno attorno.
È arrivato per me il momento di riposare…” Kurage si girò e guardò negli occhi Yanagi: “… e per te di lasciarmi andare”.
Il saggio annuì debolmente, una lacrima si formò agli angoli dei suoi occhi.
“Come faremo a scappare allo spirito del mare?”
“La mia anima è legata all’acqua”, disse lo spirito della donna “Rimarrò qui fuori finché il sole non sorgerà e allora saremo entrambi liberi”.
Disse questo ed entrambi si sdraiarono sul pavimento legnoso, mano nella mano.

Il giorno dopo si diffuse la notizia che la medusa Kurage non era più stata avvistata nel mare della cittadina, molti uomini si recarono alla casa dello spirito Gisei, pensando che fosse lui l’artefice del miracolo, ma tutto quello che trovarono fu una pozzetta d’acqua e un cumulo di sabbia accanto ad essa.
   
 
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