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Autore: Angelika_Morgenstern    30/01/2018    12 recensioni
Una coppia, una vacanza, un aereo.
Siamo davvero sicuri che i gesti dovuti ci rendano felici, oppure... ?
Storia scritta per il contest "Sfida natalizia" del gruppo Facebook " EFP famiglia: recensioni, consigli e discussioni".
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Londra, 24 dicembre:

 

— Sbrigati o perderemo l’aereo!

Alzo lo sguardo verso l’altra parte del taxi: Claudio è già sceso in strada a scaricare le valigie, mentre io pago la corsa al tassista turco che non la finisce un attimo di parlare.

Partire da Londra è sempre un’impresa sotto Natale, ma questa volta ci siamo organizzati con largo anticipo. Io e Claudio ci siamo trasferiti in Inghilterra dopo il fallimento della ditta in cui lui lavorava, stiamo insieme da dieci anni ormai e non vediamo più le nostre famiglie spesso come una volta.

Inoltre i nostri genitori sono anziani per viaggiare e facciamo molti sacrifici per poter stare tutti insieme durante le feste: chiedere le ferie da giugno giocandoci così qualche giorno di quelle estive, lo stress del viaggio, soldi extra che se ne vanno così, regali, pacchi e pacchettini…

Non ci pensare.

Inforco la borsetta col braccio, trascinandomela dietro con semplicità nello scendere dall’auto, tanto che non m’intralcia neanche chiudendo la portiera. Ed è raro! Si vede che oggi Dio mi vuole particolarmente bene.

Del resto a Natale siamo tutti più buoni, no?

La stazione degli autobus diretti all’aeroporto ci appare come un vulcano in procinto di esplodere: tante famiglie che si muovono avanti e indietro, pianti di bambini, urla di genitori che intimano loro di restargli accanto, e dammi la mano, e non correre, poi lamentele, litigi, imprecazioni…

Dobbiamo avventurarci lì dentro?!

Nonostante sia abituata a certe scene, nel giro di trenta secondi mi è comunque già esploso un tremendo mal di testa e fatico a tenere il passo del mio compagno, che invece avanza deciso con il suo solito fare da carro armato.

E aspettami, essere odioso!

Continua a guardare il biglietto che tiene in mano e poi volta gli occhi alla ricerca del bus giusto, ripetendo tutto da capo mentre il borsone che tiene appeso sulla spalla miracolosamente non urta nessuno e il trolley segue diligentemente il percorso del suo padrone.

Solo io fatico così tanto a stargli dietro? La prossima volta rinasco valigia.

— Eccolo! – esclama sollevato, il che mi porta a sorridere: il bus grigio perla è di fronte a noi, lucido, pulito e pronto per la traversata. La carrozzeria nuova di zecca che lo fa sembrare un tacchino col petto gonfio d’orgoglio, sembra invitarci a stare tranquilli, che penserà a tutto lui.

Beh, proprio tutto no.

Inizia l’infinita attesa per il carico dei bagagli.

I turisti si riconoscono subito, chi dalle facce stanche e chi dal casino che combina, qualcuno anche dalla lingua parlata e ovviamente nella nostra fila ci sono molti italiani poco inclini alla pazienza.

Fortunatamente non siamo tutti così polemici.

Mi volto appena per poi essere ripresa da Claudio che avanza. Lui sì che di pazienza ne ha poca! L’ansia, poi… stendiamo un velo pietoso.

Saliamo sul bus per ultimi, sedendoci dopo aver attraversato un corridoio pieno di mocciosi urlanti, genitori prede di crisi di nervi, vecchietti intontiti con annessi badanti, e dopo appena cinque minuti il motore si accende.

Il mio compagno tira un sospiro di sollievo e gli stringo la mano: conosco bene i suoi problemi ed è per questo che lascio che controlli tutto fino al minimo dettaglio. Se lo facessi io, non si sentirebbe tranquillo, e anche quando ci provo ha l’abitudine di ricontrollare tutto da capo.

Brutta cosa.

Lui mi guarda e sorride, negli occhi un ringraziamento silenzioso pregno d’importanza, il succo della nostra storia che si concentra lì, nel suo fidarsi di me, lasciare che io possa entrare nella sua vita e aiutarlo a gestire le sue cose.

Anche se poi le ricontrolla tutte.

Sempre.

Siamo tranquilli, stiamo per partire, siamo in perfetto orario e andrà tutto bene: meraviglioso!

Mi rilasso e vedo dal finestrino le famiglie salutarsi con la mano, il mezzo si muove, ma ad un tratto un boato riempie l’aria e il bus si ferma.

Ci guardiamo tutti attorno e solo dopo pochi secondi il puzzo di bruciato giunge alle nostre narici, preambolo di questioni ben peggiori.

Non faccio in tempo a realizzare la situazione e voltarmi: Claudio è una maschera di cera, gli occhi che si sgranano ogni secondo di più, le pupille dilatate come monete, i denti che si muovono su e giù.

Ha già capito tutto.

— Che… che succede?

— Non lo so. – rispondo, sporgendomi dietro di me – Forse un guasto.

— Un guasto? Come un guasto? Che significa?

— Stai cal…

— Non dirmi di stare calmo! – strepita – Sono mesi che organizziamo tutto! Non può essere così, che gli prende a questo stupido autobus? Eh? Eh?! Che gli prende?

Lo ignoro e noto che l’autista scende dal mezzo per verificare che problemi ci siano alla macchina. Apre il vano motore mentre si avvicina un altro autista, scuote il capo, indicano, si scambiano qualche parola e poi si girano, facendo cenno ai vigilanti di avvicinarsi.

— Stanno aprendo il portabagagli. – dico. Claudio ha quasi un infarto, bene illustrato dal volto cianotico — Oh Dio, ci fanno scendere?! – ha appena la forza di mugugnare con la bocca impastata.

Chissà se imparerà mai che nella vita esistono gli imprevisti.

— Non so… anzi, sì, ci cambiano autobus. – rispondo, notando che stanno aprendo la pancia di un mezzo parallelo al nostro, sul quale si affrettano vari addetti ai lavori per velocizzare il tutto: in fondo l’aereo mica aspetta noi per decollare!

Forse Claudio ha ragione ad agitarsi.

Ma nel giro di dieci minuti ci ritroviamo già in fila per la seconda volta, salendo sul bus che ha il motore acceso ed è pronto a condurci in aeroporto.

— Avranno caricato i nostri bagagli? – domanda il mio compagno mordendosi un dito.

— Alle brutte ricompriamo tutto. – rispondo con noncuranza, guadagnando un gemito melodrammatico da parte sua.

Volto gli occhi al cielo: a volte il suo pessimismo cosmico mi sfianca.

Il percorso dura circa venti minuti e spero che si addormenti, senza buon esito: se ne sta tutto il tempo a guardare l’orologio e scrutare il cielo.

Se continua così ce la tira e non partiamo, vedi tu come finisce.

— Cos’hai? – domando.

Lo so, è una retorica la mia, però se prendo il discorso mi risponde male. Meglio che si esprima da solo.

— Controllo il cielo. Sembra che sia in arrivo vento forte e spero solo che faremo in tempo per evitarlo. Se l’aereo prendesse vento di coda, o peggio, si originassero delle correnti ascensionali, una volta sotto di esse, si schianterebbe al suolo.

— Claudio questa tua ansia…

— L’ha detto il telegiornale!

Taccio.

Inutile mettersi contro di lui, è peggio di Leopardi.

Quando arriviamo è il primo ad alzarsi e scende dal bus velocemente, affrettandosi a ritirare la sua valigia per poi correre verso i gate mentre sto ancora impugnando la mia.

— Aspettami! – urlo, inciampando nello scalino del marciapiede.

Faccio per attraversare la strada ma vengo quasi investita da un taxi, che esprime il suo dissenso grazie al clacson. Non so cosa mi trattenga dall’alzargli un medio, ma quando la visuale è libera, Claudio è sparito alla vista.

Poco male, conosco a memoria numero del volo e gate.

Mi affretto verso l’imbarco, sicura di trovarlo lì, in fila, ma così non è.

Controllo che non sia avanti a me: niente.

Idem dietro.

Lancio uno sguardo ai bagni nei dintorni, aspettando pazientemente che qualcuno esca.

Niente.

Nei dieci minuti di fila che faccio non c’è l’ombra del mio compagno.

Che abbia sbagliato fila?

E se l’avessi sbagliata io?

Il dubbio mi assale e i miei sensi vengono stravolti fino all’arrivo alla cassa: cedo alla signorina il mio bagaglio — Mi scusi, dove va questo aereo?

La ragazza mi guarda strabuzzando gli occhi cerulei. Sembra che anche le lentiggini sul suo naso mi stiano guardando come fossi una perfetta idiota e arrossisco — A Roma, signora.

— Ah, ok.

Dalla sua espressione deduco di aver fatto trasparire della delusione.

— Si sta dirigendo lì?

— Prego? – chiedo frastornata.

La ragazza si sporge — Sicura che questo sia il suo aereo, signora?

Sono risentita: come osa mettere in dubbio le mie azioni?

— Certo che sono sicura.

Ho solo perduto il mio compagno, vorrei rispondere, il che forse non sarebbe un’idea malvagia: potrei far fare un annuncio al microfono, magari quell’ansioso verrebbe da me e saliremmo insieme sul volo giusto…

— Bene, allora buona giornata. – replica quella, facendomi capire che devo sganciarmi da lì.

I miei sogni di gloria sono morti sul nascere.

Sconfortata mi avvio dando le spalle alla ragazza, senza fare caso al fatto che si sta abbassando leggermente. Forse le è caduto qualcosa, ma alla fine ‘sti cazzi, devo trovare Claudio altrimenti morirà d’infarto.

Guarda tu se quello non fa venire l’ansia pure a me!

Sono quasi arrabbiata con lui, innervosita dal suo fare da checca isterica, mi ha davvero stancata e non mi accorgo che – presumibilmente mentre camminavo – sono stata accerchiata da due tipi che dalle dimensioni sembrano più gorilla che esseri umani.

— Tutto bene, signora? – domanda un ragazzo dalle sopracciglia spesse e scure semi celate da occhiali a goccia neanche fossimo in Miami vice.

— Insomma…

— Come?

Mi riprendo subito — Certo, volevo dire sì, tutto bene, grazie.

— Non vorrebbe seguirci?

— No, perché?!

Ma che razza di domande sono? Devo prendere l’aereo!

...e trovare Claudio, giusto.

— Forse il mio collega si è spiegato male. – dice il secondo gorilla, quello coi capelli rasati. Si avvicina minaccioso — Lei deve venire con noi.

Guardo prima uno, poi l’altro.

Ripeto il gesto una seconda volta.

E una terza.

— Perché?

— Ha due biglietti quando risulta essere una sola persona. – risponde il ciglione.

— Dobbiamo risalire ai veri viaggiatori, restituire il maltolto e tenerla in stato di fermo per un po’.

Stato di fer…

— State pensando che io abbia rubato i biglietti?!

 

Tra cinque minuti l’aereo partirà e io mi trovo in questa stupida, minuscola stazione di polizia dell’aeroporto di Stansted.

E dire che è la vigilia di Natale!

E meno male che avevamo prenotato mesi fa per non avere problemi.

Sbuffo nel sentire nuovamente i nostri nominativi scanditi nel microfono da quei due tizi che li pronunciano pure male, per giunta.

— Claudio Seretto e Nadia Lonba sono pregati di raggiungere la Stazione di polizia. Ripeto…

Il secondo ragazzo, quello rasato, siede di fronte a me, penna in mano e foglio da stampante immacolato sotto la biro.

— Bene – esordisce – nome?

— Nadia.

— Cognome?

— Lonba.

Mi fulmina con lo sguardo. Cosa posso farci? È il mio nome!

— Signora, se non la pianta di prenderci in giro…

— Vi dico che sono io! – ripeto. Sarà la trentesima volta che lo faccio, ma non vogliono credermi.

Certo, forse la foto del passaporto fatta quando avevo vent’anni non aiuta dato che ormai ne ho quaranta, dieci chili in più, la tinta mogano e le sopracciglia disegnate, ma che volete? Si cambia nella vita.

— Veda di smetterla o saremo costretti a fare trascorrere la notte di Natale al fresco! – minaccia il primo contraendo la mascella.

Si fanno grandi con una donna, eh?

E poi lo vedo, attratta all’improvviso dai rumori dei reattori: l’aereo sta rollando sulla pista.

Ecco, adesso oltre al ragazzo ho perso pure il bagaglio!

Lancio uno sguardo carico di odio versi quei due, il primo inarca un sopracciglio scuro.

— Resistenza a pubblico ufficiale? — azzarda.

Sto valutando se affibbiargli un cartone sul viso o limitarmi a mandarlo a quel paese in romano, quando con un tonfo si spalanca la porta — Nadia!

È Claudio.

Sia ringraziato il cielo!

Mi alzo per abbracciarlo — Ma dov’eri?

— Ho avuto un attacco di diarrea. Sai, l’agitazione…

Arrossisce nel confessarsi, ma neanche la sua faccia resa buffa dalla colorazione delle gote riesce a lenire il mio nervoso.

— Abbiamo perso l’aereo. – dico.

Non fa in tempo a rispondere che i due gorilla si mettono in mezzo, schiarendosi la gola per attirare la nostra attenzione— Lei sarebbe?

— Claudio Seretto, mi avete chiamato poco fa per i biglietti. – risponde risoluto.

Tira fuori dalla tasca del giubbotto il passaporto, porgendolo ai due che lo esaminano con occhio critico, senza nulla da ridire. Sfido, l’ha fatto un mese fa!

Sorrido soddisfatta quando i due mi porgono le loro scuse, scrutandomi con sguardi dubbiosi mentre io e il mio compagno ce ne andiamo verso la sala d’attesa.

— E ora come faremo? – chiedo.

Mi sento a pezzi per aver perso l’aereo, ma lui mi bacia la testa — Sai, per una volta possiamo anche passare il Natale qui.

— A Londra?

Sorride — In aeroporto.

Il senso di colpa mi sta attanagliando — Cla, mi disp…

— Lo so.

— Ho perso il bagaglio!

— Manderemo i tuoi a prenderlo.

La sua risolutezza mi sorprende — Che ti succede?

Lui sospira — Abbiamo perso l’aereo per colpa mia. Sono stato in bagno mezz’ora per via di quella dannata ansia, e quando sono uscito era ormai troppo tardi.

Mentre ti cercavo ho riflettuto e ho concluso che forse è ora che inizi a combattere questa cosa.

Sorrido: non mi sembra vero! Claudio sta valutando davvero l’ipotesi di andare da uno psicologo?

Ne abbiamo parlato varie volte in passato, specie da quando la sua ansia è diventata fisicamente invadente come oggi, ma ha sempre rifiutato la questione con fermezza.

Non pensavo potesse avere dei ripensamenti.

— Come mai oggi accetti l’idea? – domando.

Lo ammetto, ho il sospetto che ora dica così, ma che domani sia di nuovo al punto di partenza.

Sospira — Abbiamo perso l’aereo, tu hai perso la valigia e io stavo per perdere anche te.

La sua frase è così dolce da stordirmi.

Certo, magari domani saremo punto e a capo, ma ci vorrebbe comunque tempo per cambiare.

Nadia, un po’ di fiducia, diamine!

L’atmosfera magica è rotta dagli altoparlanti, che annunciano la cancellazione di vari voli per via del maltempo, e facciamo appena in tempo a girarci per notare che una bufera di neve ha appena preso possesso del meteo.

Sospiro — E adesso abbiamo anche perso qualsiasi speranza di tornare a casa.

Annuisce.

Minuto di silenzio.

— Cenone al Mc?

— Avranno il menù natalizio?

— Vediamo che succede.



Ciao a tutti!
Finalmente sono riuscita a terminare almeno questa storia.
Volevo scrivere due parole perché è la prima "commedia" in assoluto, anche se non ho idea tecnicamente di cosa sia una commedia. Ho iniziato questo prompt del "Natale inusuale" scrivendo una roba drammatica, come al solito.
Però non mi piaceva.
Poi ho avuto l'idea degli oggetti di cui non parlerò poiché verrà trattata più in la... ma idem, non mi è piaciuta.
E non era nemmeno inerente al prompt!
...come al solito ho avuto questa idea ieri.
O la va o la spacca, mi sono detta, ed eccola qua.
Devo dire che scrivendo, ridevo da sola come una perfetta idiota, tanto che il mio compagno - influenzato, poverino - ogni tanto si girava cercando di capire cos'avessi tanto da ridere.
So che troverete molti errori, è stata scritta di getto, l'ho rivista e ho modificato qualcosa, e sinceramente non ho voglia di cambiarla per la quarta volta. A parte che manca il tempo, ma non mi dispiace com'è venuta.
Anche perché, ripeto, è la prima volta che scrivo qualcosa di NON drammatico.
Credo che nevicherà per l'evento.
Mea culpa, scusatemi.
Beh, che dire, spero che quest'azzardo di cambio genere non vi dispiaccia.

Adesso corro a pulire il bagno e passare l'aspirapolvere, perché io volevo riposare oggi, invece no, col cavolo.
Questa convivenza è una prigione.
Voglio tornare da mamma!

Have fun.
- A.

 

   
 
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