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Autore: Andy Black    31/01/2018    2 recensioni
[BootyShipping (Gold x Blue)] - [Sembra una spystory ma in realtà è un disperato tentativo di vedere Blue svestita]
[Scritta in coppia con Levyan per il collettivo Couragerso, ] - [LA CIURMA DI ANNE BONNY]
Ambientata in una luminosa Montecarlo degli anni '30, la vicenda si sviluppa sul disperato tentativo dell'Agente Segreto 069, che noi conosciamo come Gold, di impedire uno scambio d'informazioni che permetterebbe alla Germania nazista di ottenere importanti informazioni per il raggiungimento dell'indipendenza nucleare. Per avvicinare quindi Giovanni, mafioso e malavitoso che ne è in possesso, Gold è costretto a sedurre la sua bella moglie, al secolo Blue Marconi.
Genere: Azione, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blue, Giovanni, Gold
Note: AU | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Manga
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Come quando fuori nevica
 ♥         ♦               
by Andy Black & Levyan, più comunemente noti come
La Ciurma di Anne Bonny



24 dicembre 1933, 19:05, Principato di Monaco, Montecarlo

La Jaguar SSI si fermò docilmente di fronte all’entrata del Coucher Club. Prontamente, uno dei facchini accorse accanto alla portiera del guidatore. Dall’auto uscì un uomo dallo sguardo felino, abbottonandosi i primi due bottoni del suo smoking bordeaux. Era un signore di mezza età, dal volto curato e l’occhio spettrale. Vantava un fisico massiccio e una statura elevata, suscitava rispetto con la sua sola presenza. Lasciò la chiave al ragazzo, stringendo tra le mani una valigetta in pelle nera e fece lentamente il giro del veicolo, andando ad aprire la portiera alla sua signora. Lei si mostrò al mondo nella rara bellezza come un’eclissi solare. Scese elegantemente dal sedile, scoprendo appena le sue morbide gambe. Indossava un abito ceruleo con una notevole scollatura, stringeva con la mano destra una borsetta scintillante. Aveva i capelli castani raccolti in una complessa architettura che ricordava l’increspatura delle onde, accecava i comuni mortali con i suoi occhi glauchi.
L’uomo le tese il braccio, lei lo sfiorò con le sue dita smaltate. La coppia si avviò verso l’entrata.
«Signor Giovanni, è un piacere vederla qui» salutò il receptionist, non appena l’uomo gli si presentò davanti «signorina Blue» accennò un inchino anche alla dama.
Giovanni sorrise, ricambiando il saluto.
«La sua suite vi aspetta, faccio portare dell’Armand de Brignac, come sempre?» chiese il receptionist, poggiando la chiave dorata sul bancone.
«Gentilmente» acconsentì lui, prelevando la chiave.
La coppia sparì nell’ascensore, mentre in contemporanea un secondo facchino si apprestava a portare le loro valige, ma non la valigetta, che era stretta nelle mani del cliente.
Più, in là, seduto al salottino del bar proprio accanto alla hall, un uomo dagli occhi dorati aveva osservato tutta la sfilata con particolare attenzione. Sfiorò con un dito la ricetrasmittente che aveva nell’orecchio.
«È lui?» domandò a voce bassissima.
«È lui» confermò l’assistente, dall’altro lato del comunicatore.
«Il nostro cliente è interessato ai suoi soldi o alla sua donna?»
«Poche storie, fai il tuo lavoro, agente» lo zittì.
«Domani mattina sarò in possesso del contenuto della valigetta, tranquilli» affermò con sicurezza l’altro.
La comunicazione fu interrotta. L’agente bevve l’ultimo sorso del suo Dry Martini e si avviò verso la sua suite. Sapeva quale fosse la sua missione, aveva raccolto abbastanza informazioni a proposito di Giovanni, nei giorni precedenti: era un bancario importante, il cui lavoro consisteva sostanzialmente nel riciclare i soldi delle sue losche attività. Qualcuno era interessato ai suoi soldi, ma tutti volevano la sua testa. Andava sempre così: i boss della malavita erano diventati impossibili da derubare. Il loro patrimonio era tanto frammentato tra conti bancari fasulli e prestanome da essere un tesoro bello e impossibile. La loro fama, invece, era sulla bocca di tutti. Per questo, spesso i loro nemici preferivano ucciderli piuttosto che depredarli, il che poteva sembrare più audace, ma era soltanto molto più semplice. L’agente segreto 069, invece, avrebbe dovuto fare l’esatto opposto: entrare in casa sua e rubare il pane per poi andarsene senza lasciare vittime. Sembrava impossibile, ma era proprio quello il perno del suo lavoro: fare cose impossibili.
069 ragionava con attenzione: la suite di Giovanni era all’ottavo piano, lo aveva letto sulla placchetta della chiave, ma sarebbe stato impossibile introdurvisi di nascosto. Tuttavia, lui conosceva il suo bersaglio fin dentro al midollo, sapeva come portarlo in trappola. Giovanni era lì per giocare a poker, si organizzavano sempre dei tornei milionari verso la fine di dicembre, serviva ai grandi imprenditori a riorganizzare i propri possedimenti appena prima dello scoccare dell’anno nuovo, e quindi delle nuove quotazioni. Per loro era un gioco, per tutti gli altri... la vita vera.
Insomma, il piano consisteva nell’introdursi nella sua suite per impossessarsi dei dati in quella valigetta, all’interno della cassaforte di cui era provvista ogni stanza dell'hotel. Tuttavia, come avrebbe potuto entrare nella stanza di quell’uomo senza dare nell’occhio, aprire quella cassaforte e sparire da quel posto il più velocemente possibile?
Non era cosa da niente, si trattava comunque di una prova più che ardua, tuttavia aveva già un’idea.
Un’idea di cui non capiva se la matrice fosse partorita dalla fredda razionalità, essenziale per la sua professione, o dall’istinto animale di una bestia sanguigna e folleggiante. Lo sapeva, lui, che la via più breve per ingannare Giovanni era abbindolare la sua donna, la bellissima Blue.

La suite di 069 era ben ordinata. Girò la chiave nella serratura e sospirò: la missione aveva inizio.
Avanzò verso il centro della stanza e sollevò la valigia sul letto, sul quale le lucide lenzuola di satin erano ben tirate. Dopo averla aperta la svuotò velocemente da tutti gli abiti e sollevò il doppio fondo, estraendo lo speciale stetoscopio che aveva in dotazione, la polvere bianca e il nastro trasparente per i rilievi digitali e un paio di guanti che avrebbero coperto le sue impronte. Avrebbe dovuto portare quell’attrezzatura con sé senza che nessuno se ne accorgesse. Sfilò la giacca. Slacciò la fibbia dell’imbracatura per la Walther PPK che aveva sotto l’ascella sinistra e depositò l’arma nel cassetto del comodino. Doveva rinunciare a qualcosa, altrimenti avrebbe tradito la sua copertura. Nascose stetoscopio, polvere e pellicola nella tasca interna della giacca, rimpiazzando il volume della pistola. Anche ad un occhio esperto, l’attrezzatura sarebbe stata invisibile.
Nodo Windsor per la cravatta dorata, proprio come i suoi particolarissimi occhi. Era pronto per uscire, ma perse ugualmente un secondo in più davanti allo specchio, sorridendo per testare lo charm e sistemando l’impomatatissima acconciatura corvina, tutta ben tirata di brillantina.
Indossò la giacca e chiuse i primi due bottoni, quindi aprì la porta e uscì.
Il corridoio era ben silenzioso, con le pareti rivestite da immensi ghirigori in tessuto azzurro e dorato. Anche la moquette, azzurra e ben lucida, sembrava non essere mai stata calpestata.
Lo fece l’agente 069, continuando il proprio cammino, non rivelando in alcun modo la propria ansia.
Arrivò all’ascensore e guardò l’orologio.
Puntuale.
Premette il pulsante e vide quel meraviglioso Schindler arrivare al piano, avvertendo tutti con un segnale sonoro.
Le porte si aprirono e Gold poté vedere un giovane addetto all’ascensore, con la divisa grigia. Questa aveva delle strisce verticali, rosse e vivide, ai lati delle braccia e delle gambe.
«Buonasera Signore. Scende?».
069 infilò la mano nelle tasche dei pantaloni ed estrasse un biglietto da cinquanta dollari, che lasciò l’altro sbalordito. «Lasciami da solo in quest’ascensore» fece, porgendogli il denaro.
Quello, confuso, raccolse la banconota e si voltò, uscendo dalla cabina. Era ormai solo. Premette poi il tasto A sulla pulsantiera, vedendo le porte chiudersi.
Era pronto. Si voltò, vedendo l’intera Montecarlo sotto la neve attraverso la grossa finestrata di cui quell’ascensore era dotato. Nessuno sembrava interessato agli acuti nazisti in quei giorni di Natale, men che meno della figura del Cancelliere, tale Hitler Adolf, un omino assai sterile ma dall’ego smisurato.
Hitler non sembrava per niente un brillante statista; 069 aveva fatto ricerche su di lui e aveva ripercorso tutta la sua patetica vita: nacque in una locanda, un sabato di Pasqua del 1889, battezzato con rito cattolico, quarto di sei figli da parte di madre, quattro dei quali morti primo di raggiungere i sette anni. L’ultima aveva evidenti ritardi mentali.
Veniva regolarmente picchiato da un padre adultero e alcolista, non era uno studente brillantissimo e nel 1904 meditò di farsi prete, prima di venire bocciato per la seconda volta durante le scuole. Scambiò la pagella per la carta igienica, una volta finita la scuola dell’obbligo, l’anno dopo, e fu ritrovato privo di sensi per via di un’ubriacatura.
Successivamente provò con scarso successo a iscriversi all’Accademia delle Belle arti, dove fu respinto due volte, e indirizzato presso l’università degli studi di architettura. Ma non poteva, aveva solo la licenza elementare.
Sua madre morì l’anno dopo, proprio nei giorni che precedevano il Natale, tumulata due giorni dopo e ricordata per sempre come una donna affettuosa e amorevole. Scappò quindi a Liverpool, dal fratellastro che prendeva il nome di suo padre, cercando invano fortuna, e quindi ritornò a Vienna, dove s’avvicinò a idee razziste e xenofobe e si convinse della superiorità ariana.
069 non aveva nulla di ariano.
Furono varie le cause per cui divenne apolide, fatto stava che si arruolò come volontario nell’esercito tedesco dopo essere risultato non idoneo in quello austroungarico, divenne caporale e combatté la Grande Guerra, rischiando di morire quando un soldato inglese, tenendolo sotto tiro e vedendolo incapace di reagire, in quanto ferito da una granata, decise di risparmiargli la vita.
La sua carriera politica cominciò negli anni ’20 e nel 1933 culminò con la sua nomina al cancellierato.
Comandava una nazione in pieno fermento e 069 sapeva che un colpo di stato avrebbe ribaltato gli equilibri di tutto il mondo. Quell’uomo era pericoloso e non si faceva scrupoli.
Avrebbe ucciso miliardi di persone.
Avrebbe sterminato popoli e nazioni.
E l’avrebbe fatto grazie a ciò che conteneva quella valigetta, nella suite di Giovanni e Blue Marconi: il nome e il cognome di qualcuno che avrebbe trasformato il nulla in qualcosa di distruttivo.
069 sapeva.
069 era lì apposta.
Pochi secondi dopo l’ascensore arrivò all’attico, aprendosi con quella musichetta fastidiosa e presentando davanti agli occhi dell’elegantissimo agente segreto la donna più bella che avesse mai visto: Blue Marconi, avvolta in uno scialle celeste. Indossava un tubino del color del mare in burrasca, abbinato a un cappello a tesa larga del medesimo colore, che nascondeva il suo sguardo.
Tra la mani teneva una piccola Russell & Bromley di pelle di coccodrillo, all’interno della quale, con ogni probabilità, la signora nascondeva le chiavi della suite.
«Buongiorno, signorina» disse 069. «Immagino che scenda…». Le sorrise con tutta la dentatura, risultando ammaliante. Quella voltò il capo dall’altra parte, mostrando poi sulla mano un enorme diamante su di un anello d’oro.
«Signora, prego. Dov’è François? All’ascensore c'è lui, di solito» rispose lei, con incredibile regalità, sporcata però da un accento del profondo sud Italia.
«François è in vacanza. Del resto è Natale».
«Quasi. Quasi Natale».
«Dove premo?» chiese poi, guardandola dall’alto al basso e squadrandola in ogni suo meraviglioso centimetro. Quella se ne accorse ma rimase a guardare dall’altra parte.
«Pian terreno» disse.
«Proprio dove vado io».
069 premette il tasto T e si voltò, guardando Montecarlo che si avvicinava sotto i suoi piedi. Accanto a lui aveva la chiave di volta per quella guerra che sarebbe sicuramente scoppiata: fonti interne alla CIA, infiltrate nei ranghi della fazione nazionalsocialista tedesca, parlavano di un colpo di stato imminente.
Le porte si aprirono nella hall, dove un giovane pianista di colore impilava note su note, addolcendo l’atmosfera. La donna si mosse con garbo in avanti, avvicinandosi al bar e sedendosi su di uno sgabello.
069 le si accostò, sedendosi accanto a lei, e passando accanto al cartello che sponsorizzava il grande torneo di poker che si stava tenendo, proprio in quei minuti, all’interno della grande sala presidenziale dell’hotel.
Blue Marconi si voltò verso di lui, ruotando gli occhi e sbuffando. 069 invece si sporse lungo tutta la lunghezza del grande bancone di mogano, indossando una smorfia di disappunto.
«Dov’è il bartender?» domandò.
La donna non accennò a rispondere.
069 si guardò ancora attorno e poi sospirò, saltando oltre il bancone con grande classe e agilità e sorridendo alla bella.
«Vuol dire che oggi la servirò io, signora» sorrise pacatamente, guardando per un attimo gli scaffali accanto a lui e sorridendo. «Cosa le preparo?».
La donna non se l’aspettava, reagendo con un sorriso divertito.
«Prenderò un French Seventy-five».
«Allora ne preparerò due. Ma prima vorrei presentarmi: il mio nome è Micheal Aurelio Goldberg, oggi per servirla» sorrise, vedendo la signora porgergli il dorso della mano che lui baciò educatamente.
«Molto piacere».
«E qual è il suo nome, bellissima signorina in cerca di superalcolici?»
Lei sembrò venir colta alla sprovvista da una domanda semplice come quella: era abituata ad essere riconosciuta da tutti coloro che incontrava e non a presentarsi come una donna qualsiasi.
«Mi chiami soltanto Blue» rispose, con uno smagliante sorriso spontaneo.
«Va bene... Blue» il ragazzo posò gli occhi sulla fede nuziale «suo marito preferisce lavorare piuttosto che godersi il soggiorno in così buona compagnia?» azzardò 069, agitando lo shaker e versandone il contenuto in due flûte.
«Veramente, mio marito sta giocando a poker con altri uomini della sua levatura» rispose lei, tagliente «e io dovrei essere lì con lui».
«Ma lei non ha voglia di mischiarsi a quei noiosi uomini d’affari» improvvisò l'altro, aggiungendo dello champagne e mescolando in maniera pacata.
«E lei che uomo è?»
«Un uomo che sa quello che vuole». 069 porse il cocktail alla signorina, poggiandolo delicatamente sul bancone.
«Insomma, un cacciatore» Blue assaggiò la bevanda.
«Se preferisce».
«E mi dica, si concentra sempre sulle prede più difficili per un eccessiva stima di se stesso o perché così se sbaglia può sempre scendere al gradino inferiore?» chiese la donna.
«Io non sbaglio» rispose 069, scandendo bene le parole.
«Opterei più per la prima, allora» lo canzonò lei.
«E’ buono, il cocktail?» domandò lui.
«E’ ottimo».
Ci fu un momento di silenzio.
«Lei sta solamente al gioco, signor Goldberg» sorrise Blue, con una sottile aria di superiorità «quando la finirà con questa messinscena?»
«Dipende, potrei continuare per tutta la notte» rispose lui, lasciando intendere.
I loro occhi si scontrarono con forza, incontrandosi a metà strada, dove la fame e il fuoco divampavano.
«Direi soltanto per le prossime tre ore... poi mio marito tornerà in camera» ribatté lei.
«Me le farò bastare» rispose 069, poggiando il bicchiere sul bancone.

Le porte dell’ascensore non fecero in tempo a chiudersi; Blue lasciò che 069 le prendesse i fianchi e l'avvolgesse in un voluttuoso bacio. Fortunatamente, François non era ancora rientrato nella cabina. La donna percepiva le forti braccia di lui che tentavano di stringerla a sé e le sue mani che andavano gradualmente alla ricerca delle sue grazie femminili. Lei lo lasciò fare, ma si staccò appena prima che potesse raggiungerle: le porte dell’ascensore si erano aperte. Gli sorrise fatalmente e uscì. 069 non si scompose. Si pulì dal rossetto che gli era rimasto sulle labbra con il polsino della camicia e seguì la donna nel corridoio. I due amanti mantennero la massima compostezza fino al momento in cui la serratura della camera scattò. Blue si lasciò trasportare dentro, accompagnando con delle fusa i movimenti invadenti e mascolini di Goldberg.
Quest’ultimo, dal canto suo, osservava la suite, individuava le uscite e le possibili posizioni di armi e altri oggetti contundenti e provava a individuare la posizione della cassaforte che era il suo obbiettivo primario.
I due si abbandonarono sul letto matrimoniale ancora intonso, scostando copriletto e lenzuola, sbattendo la cornice contro il muro decorato a motivi floreali. Il vestito di Blue scivolò via, e così la giacca che 069 fu abbastanza accorto da lanciare il più lontano possibile, su una poltroncina, in modo da non lasciare che i suoi strumenti fossero scoperti. Ad ogni modo, Blue sembrava non sospettare nulla, occupata com’era a gemere sotto le mani esperte dell’agente.

Due ore dopo, la situazione si era calmata. 069 riposava sul materasso e Blue si nascondeva nelle lenzuola, sorridendo al suo amante.
«Facciamo così, io vado a ricompormi» ruppe il silenzio lei «quando esco dal bagno, devi essere scomparso» gli intimò.
069 chiuse gli occhi «abbiamo ancora tempo» tentò.
«Io sarò qui per tutta la settimana» alluse lei, provocatrice.
«Vedremo, raramente attracco due volte sullo stesso porto» la snobbò lui.
Blue non colse la provocazione e si alzò dal letto, completamente nuda. Lasciò 069 con una carezza e ancheggiò fino all’altro lato della suite. Lui la osservò per qualche secondo, apprezzandone l’ultima visione. Poi la porta del bagno interruppe la sua linea visiva.
069 scattò in piedi, rimettendosi i vestiti alla ben e meglio. Infilò i pantaloni, strinse la cinta, abbottonò la camicia a intervalli irregolari e si gettò la cravatta sulle spalle. Infilò la giacca, tastandola per saggiare se l’attrezzatura fosse ancora lì. Mise i guanti sottili per evitare di lasciare impronte quindi girò per qualche secondo nella suite, nel massimo silenzio. Aveva studiato alla perfezione le planimetrie di quella stanza e sapeva che la locazione della cassaforte era una e una soltanto.
Quindi si mosse lentamente, inginocchiandosi sul letto e spostando il quadro che c'era sulla parete che aveva davanti.
«Bingo».
La scatola di sicurezza era incassata nel muro e presentava una serratura a combinazione meccanica, il che rendeva inutile l’attrezzatura per la rilevazione digitale. Estrasse invece lo stetoscopio e iniziò ad auscultare il rumore interno al metallo. Ruotava lentamente il congegno, fermandosi in corrispondenza di quei debolissimi scatti che lo strumento captava. Finalmente, dopo un tempo da record per un intrusione di tale difficoltà, riuscì a spalancare lo sportellino. La valigetta era lì, in tutto il suo splendore di pelle.
Rabbrividì, pensando di aver portato a termine tale missione. 069 allora la prelevò, stringendola sotto l’ascella, per maggiore sicurezza. Non tralasciò nulla, aveva ancora parecchio tempo prima che Giovanni Marconi rientrasse dal suo giro di poker. Chiuse la cassaforte, rimise il congegno nella stessa posizione, allineò il quadro parallelamente al terreno e si diresse verso l’uscita. Dal bagno non provenivano suoni, il che lo mise un po’ a disagio.
Stava per poggiare la mano sulla maniglia ed uscire, ma qualcuno sbloccò la serratura prima di lui.
La porta si aprì come il cancello dell’inferno.
069 si trovò una Beretta M32 puntata alla testa e la mano che la stringeva era quella di Giovanni. Nei suoi occhi, ardeva il disprezzo. Nessuna forma d’ira, solo il contegno dell’uomo inscalfibile che era.
«Volevi fottermi?» domandò lui, avanzando lentamente. «Credevi di fottermi come una lurida puttana? Beh, ti sbagli...» sorrideva. «Nessuno può fottermi».
«Giovanni Marconi...» sospirò invece Goldberg, indietreggiando e stringendo forte la valigetta sotto il braccio. «Non hai idea di ciò che stai per scatenare, andando a vendere il contenuto di questa valigetta».
L'uomo con la Beretta si lasciò scappare un ghigno, mostrando l'incisivo dorato giusto per un istante. Abbassò leggermente la testa e poi sorrise.
«La cosa non m'interessa. Hitler farà ciò che deve e io diventerò ancora più ricco. Inoltre in Italia saremo protetti... Spingeremo a creare un'asse con Berlino e questo mi farà stare al sicuro da qualsiasi bomba atomica vorrà creare».
«Bomba atomica...» impallidì 069, ingoiando sassi e puntine di metallo. «Perché?» domandò, mentre sudori congelati percorrevano l'interezza della sua schiena.
«Perché la vita ha un prezzo. Oggi decido io che valore dargli. Domani deciderà Adolf Hitler. Ciò che conta è che il contenuto di quella valigetta si trasformi in miliardi di franchi e che io riesca ad arricchirmi» sorrise ancora. Goldberg ebbe il tempo per analizzare la situazione, guardando quell'uomo muscoloso e alto che dimostrava meno anni di quanti in realtà ne possedesse.
Forse era il potere, forse la sicurezza che ne derivava. Solo una cosa del genere poteva attirare donne del calibro di Blue Marconi, che ancora non usciva dal bagno.
«Tu... tu uccideresti miliardi di persone per denaro?!» impallidì l'agente segreto.
«La mia coscienza è pulita. In quella valigetta ci sono solo un nome e un cognome. E basta...».
«Sei un uomo di merda!» urlò quindi l'altro, spinto da un moto ardente di passione che lo fece scattare verso l'uomo con la pistola. Pensò che forse, prendendolo di sorpresa, sarebbe riuscito a dargli una forte spallata e a fuggire dall'albergo in tutta fretta.
Ma così non andò.
Rapidamente, Giovanni premette il grilletto della sua pistola, perforando il centro della fronte con un grosso proiettile. Il sangue schizzò ovunque, lordando le pareti circostanti e continuando a fuoriuscire da quel corpo ormai privo di vita.
Il mafioso avanzò e strappò dalle mani della salma la valigetta, pulendola dal sangue con un fazzoletto che gettò sul corpo esanime, quindi chiuse la porta e andò verso l'armadio.
«Blue! Esci dal bagno! Dobbiamo nascondere il corpo di questo stronzo prima che la polizia ne senta la puzza!».
La serratura del bagno scattò, e la porta s'aprì, mentre Giovanni era ancora di spalle.
«Tra un paio d'ore avverrà lo scambio di valigette. Prenderemo i nostri dieci miliardi e spariremo da Montecarlo» faceva, aprendo una valigia e riempiendola coi propri vestiti.
«Non avere fretta, amore mio» sussurrò al suo orecchio la donna, che lentamente gl'infilò dietro la base della nuca un piccolo coltello dal manico in avorio.
Giovanni ricadde senza forze sul letto, sporcando di sangue nero e caldo quelle preziosissime lenzuola.
La valigetta cadde per terra, vicino la mano dell'agente segreto sparato al centro della fronte. Blue la prese e si guardò allo specchio, coi capelli bagnati avvolti in un asciugamano e un grosso accappatoio bianco ad avvolgerle il corpo.
Gli occhi blu sparirono per un attimo oltre le palpebre, prima che la sua ricetrasmittente trillasse.
Con la valigetta tra le mani, si spostò verso il comodino e ne aprì il primo cassetto, prendendo l'apparecchio.
«Sì, qui agente 007, nome in codice Fairyhands. L'obiettivo è a terra, la valigetta è tra le mie mani e un agente del controspionaggio inglese è stato fatto fuori».
«Qui Langley, ottimo lavoro, Fairyhands. Un volo privato per Richmond ti aspetta all'aeroporto di Parigi. Troverai lì un agente del Dipartimento di Stato Americano che ti scorterà fino ai nostri uffici. Passo e chiudo».
«Ricevuto».
   
 
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