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Autore: Le VAMP    01/02/2018    1 recensioni
[Questo racconto partecipa al concorso indetto da Ayr, "Asylum", sui disturbi mentali]
Definire l’autismo come un disturbo mentale ostile alla comunicazione tra esseri umani significa affermare che ne siamo quasi tutti affetti.
Eve era una bambina muta, trovata per la strada da un gruppo di ragazzi che da allora le promisero di cercare chi volesse assassinarla.
Genere: Angst, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The Sound of Silence[1]

Eleanor Rigby picks up the rice
In the church where a wedding has been
Lives in a dream

Definire l’autismo come un disturbo mentale ostile alla comunicazione tra esseri umani significa affermare che ne siamo quasi tutti affetti.

Eleanor Rigby raccoglie il riso 
che è stato lanciato a un matrimonio.
Vive in un sogno.

Waits at the window
(Aspetta alla finestra)
Wearing the face that she keeps in a jar by the door
(ha lo sguardo che di solito conserva in una brocca dalla porta)
Who is it for?
(Per chi è?)

Sebbene si trovassero tutti riuniti solo per dare la caccia ad un pericoloso trafficatore di organi Eve si trovava davvero bene nella loro casa, spesso prendeva una sedia e rimirava la finestra.
Al calar del sole si metteva lì, serena nel suo silenzio, e quella luce rossastra le sfiorava il viso ed i bruni capelli che per alcuni attimi divenivano d'oro.
Un giorno di quelli passò di lì un insetto, credeva fosse una mosca, e si era messa lì a ronzare...ronzare...girò attorno al vetro, poi si posò su di esso ed ella la fissò finché questa non volò via.
La mattina non poteva guardar da quella finestra: aveva le lezioni private con quella dottoressa, sia lei che Marylin. Si trattava di una signorina piuttosto fredda ed inquietante ai suoi occhi, che sapeva come sorridere alle piccine.  
Il pomeriggio invece uscivano con tutti i ragazzi; c'era almeno un pomeriggio alla settimana che passavano al parco insieme...quei giorni erano pieni di sole e dal cielo chiaro, cosa che a Bloocents si vedeva molto raramente. Sebbene fosse un posto pieno di cartacce, bottiglie di vetro e qualche siringa sparsa in giro, loro riuscivano a trovare il modo di oscurare tutto quel marciume e goder semplicemente della brezza invernale che bussava alle porte, come quella famiglia che nessuno aveva mai avuto. Erano in tutto almeno una decina di ragazzi a far parte della “banda” –come amava chiamarli Bernard–, alcuni dei quali vivevano assieme, come lei e Marylin. 
Non ricordava molto di quel periodo che ora pareva così lontano, ma le piaceva, anche se non si esprimeva a parole.
Tempo fa, quando ancora non conosceva nessuno di loro, divenne molto silenziosa nel momento in cui venne a sapere, dalle badanti dell’orfanotrofio, che la mamma era morta perché l'aveva nascosta da un pericoloso assassino. Da allora seppe solo pronunciare il suo nome.
In quelle circostante non fu facile: gli altri non le si avvicinavano perché la temevano.
Quando si avvicinava a qualcuno e ne osservava lo sguardo capiva che lei portava solo sofferenza: quel terrore poteva giustificarlo. Avrebbe voluto tanto salutare una bambina che incrociava spesso all’entrata delle aule e complimentarsi per quella coroncina di fiori che si costruiva ogni giorno nel cortile, ma questa teneva lo sguardo basso e non le prestava attenzione –cosa che, mancandole la parola, Eve non riusciva proprio a richiamare-, e allora in istanti come quelli riusciva ad esprimersi soltanto in sorrisi, che nel momento in cui venivano ricambiati la rendevano felice. Qualche volta capitava con l’anziano custode, quando la vedeva tutta sola seduta sui gradoni del giardino sul retro: “Va bene se non hai nessun amico. Avere amici ti rende felice ma non ti rende una buona persona. Sai chi era realmente popolare? Hitler”.

Non riuscendo a parlare quella piccina aveva sviluppato un ottimo udito e ammirevole pazienza. Ascoltava i discorsi dell’altra bambina senza interromperla o aggiungere altro, furono amiche finché lei non fu adottata da una nuova famiglia ed Eve non rimase sola. Lo fu per un lungo periodo, prima di incontrare Marylin. Vedeva in tutti quei ragazzini solo delle ombre, la spaventavano quelli che giocavano con i barattoli di latta per le strade del quartiere, e le insegnanti le parevano dei giganti che avrebbero potuto divorarla. La sua unica arma fu il sorriso, per tutto.

Giunse la notte in cui l'omicida tornò per finire il suo lavoro: Eve fu invitata ad abbandonare il suo letto da alcuni strani biglietti –Marylin giocava spesso con lei a questo modo– e a raggiungere il cortile; non sapeva che Cindy la stava seguendo, ma ricordava solo che nell’attimo in cui udì lo sparo fuggì da qualche parte e si nascose chissà dove: la prima notte cadde svenuta dopo una lunga corsa, ed il mattino dopo si risvegliò avvolta da un cartone sulla panchina del parco della Città Vecchia. Furono all’incirca tre giorni di lungo cammino, senza una meta né uno scopo. Un pomeriggio di quelli si diresse sul ponte che collegava le due città e si fermò a rimirare l’acqua torbida per tutto il tempo fino al calar del sole.
Il quarto giorno venne ritrovata da quei ragazzi –Marylin era con loro–, nascosta in una chiesa. Ascoltò tutti i loro discorsi mentre la recuperarono: “ecco perché la tua amica è morta, Angie. Cindy voleva solo proteggerla...dannato Drawell”.

Da allora, sì, la sua lingua si arrestò per sempre, ed i ragazzi continuavano a chiedersi cosa avesse mai potuto farle il temuto trafficatore di organi da cui era miracolosamente fuggita; inizialmente provavano tutti compassione per lei. Quando realizzarono che non avrebbe mai più parlato cominciarono a comunicare anche loro con dei sorrisi. Essere una squadra diventava sempre più difficile: non sembravano molto compatibili tra loro; Eve sentiva certe scenate i pomeriggi durante le loro riunioni!
Le dispiaceva che si sforzassero per mostrarsi sereni ai suoi occhi, le pareva così strano che lo facesse anche Gary. Era un ragazzo molto gentile e vispo, era quello che dedicava del tempo a tutti loro; da quanto Eve sapeva era già conosciuto da bambino come un vivace giocherellone. Pareva aver mantenuto l’abitudine anche ora che aveva delle responsabilità verso gli altri e verso suo padre mandato in prigione; era per lui che ogni sera, dopo le riunioni con i ragazzi, ripeteva a memoria gli articoli del codice penale. La piccola se ne rendeva conto di questo e preferiva lasciarlo in pace, ma era come se quel giovane volesse dimenticare ogni problema quando raccontava a lei e Marylin le storie per farle addormentare. Si rifiutava di parlare dei suoi studi o delle indagini quando era con loro due.

Poco alla volta conobbe tutti loro: ognuno era unico, aveva dei tratti che lo rendevano speciale agli occhi della bambina. Era estasiata quando riusciva a scambiare sorrisi anche con chi si mostrava schivo e pauroso del mondo come Violet.

Col passare del tempo, prima delle settimane e poi dei mesi, le cose cambiarono, ed Eve tornò ad essere uno spirito errante.
Marylin era come lei. L’aveva conosciuta all’orfanotrofio, si trattava di una pestifera bimba dai capelli d’oro che vedeva nel fantastico mondo di giochi e fantasie l’unica via di fuga verso la collera che spesso la investiva.
Eve era sicura che Marylin non lo faceva a posta a prendere a calci le insegnanti quando queste la rimproveravano, non voleva davvero ricevere quelle dure punizioni che vedevano le sue mani arrossate, non aveva davvero intenzione di spaventarla quando le mostrava divertita il disegno preferito di suo padre –sapendo che all’amica sarebbero venuti gli incubi–: un mostriciattolo con due fauci che si copriva le orecchie, senza capelli e con una di queste bocche cucita. Eve sapeva che si trattava di sciocchezze, non doveva crederci, eppure era un disegno che la inquietava terribilmente.

In fondo, era l’unica a starle sempre vicino e a sentire con lei i litigi dei compagni; le diceva, prendendole il braccio: “andiamo a giocare fuori, Eve. Non voglio ascoltarli”.
Uno di quei pomeriggi diluviava e non potevano uscire. Eve ebbe paura di Marylin: la vide un attimo prima calma, seduta sul pavimento a fissare il muro con un pastello di cera in mano, e l’istante dopo lo scaraventò via, mettendosi a stramazzare e strappandosi via tutti i capelli. La dottoressa fu la prima a intervenire e a portarla con sé, guardò Eve prima di uscire dalla stanza. Ultimamente la dottoressa Davies si faceva vedere spesso a casa loro, e quando l’avvistava la scrutava con degli occhi che le rinfacciavano la sua fortuna: a quell'ora doveva essere già sottoterra.

Per Eve fu terribile perché più passavano i giorni, più gli altri ragazzi sembravano dimenticarsi di lei. Era come se quella donna fosse l’Angelo della Morte che se li stava portando tutti via: continuava a parlare con loro, discutere, imporre la sua voce gelida e razionale durante i confronti di gruppo.
Spesso durante quei pomeriggi le chiedeva se voleva uscire con lei e Marylin a prendere una boccata d’aria fresca, ma Eve scuoteva sempre il capo. Mentre ascoltava i litigi dei compagni lei sistemava la sedia vicino alla finestra della camera, attendendo il calar del sole.
La notte si mise a piangere, terribilmente in colpa per i suoi cattivi pensieri. 

~Ahh look all lonely people~

Una volta capitò che Angie la svegliò dal suo sonno. Sembrava che fossero giorni che non dormiva. Era una giovane sedicenne che stava comprendendo l’importanza di farsi gli affari suoi in questioni che non la riguardavano
«Devi parlare per me, Eve» la prese per le spalle, era disperata.
«Devi dirmi cos’hai visto quella notte...io non ho fatto nulla, vero? Vero?» pianse e scosse la bambina come un albero da cui si vogliono ricavare dei frutti
«C’ero anch’io, mi accusano, Eve! Io non ricordo nulla, ma c’eri solo tu; ti prego, dimmi che non sono un’assassina!» le sue lacrime la spaventarono. Guardò intensamente Eve, sperò fino all’ultimo istante che sconfiggesse quel blocco alla lingua che aveva.  
«Accidenti a te, Eve!» la lasciò, e con violenti movimenti spense la luce ed uscì dalla camera.

Il giorno dopo Bernard andò dalla bambina e si scusò con lei, posandole amichevolmente una mano sulla spalla.

~Ahh look all lonely people~

Una notte fu la sete a destarla. Quando terminò stette per spegnere la luce e lasciare la cucina, ma vide un’ombra seduta sul divano del soggiorno, e si diresse lì a curiosare. Prima non l’aveva notato?
Era Michael ad essere lì –un altro dei ragazzini del gruppo–, rinchiuso nella sua perfetta compostezza, intento ad ascoltare il rumore delle lancette dell’orologio. Parve non accorgersi che qualcuno l’osservava, finché non intervenne:
«Non dovresti essere a letto, Eve?» e la piccina rimase in piedi a non far nulla, preoccupata a studiare la morte che lo stava divorando. Erano due statue, parti stesse dell’arredamento di quel vecchio salotto, fregiati da un’obliqua e accecante luce bianca proveniente dalla cucina.
Quando stette per andarsene il ragazzo la fermò un istante, pronunciando un’ultima richiesta: «Promettimi che ti prenderai cura di lei». Non sapeva rispondere, cennò un sorriso e attese una risposta prima di spegnere la luce rimasta accesa. Quella fu la prima volta in cui non le venne ricambiato un sorriso...forse se n’era accorto che lei fingeva. Il pendolo s’impose col suo frastuono, segnando le tre del mattino.
Eccolo, era finito: un cadavere vivente. Eve preferì non pensarci e tornare a dormire.
Dopo quella notte, improvvisamente non lo vide più a casa...
Una mattina l’aiutarono a vestirsi di nero; erano tutti terribilmente seri.
Una bara fu la prima cosa che videro, ed una chiesa fu il loro luogo d’appuntamento per quel giorno.

~Ahh look all lonely people~

Un episodio che ricordava dopo il funerale, durante quei tempi così duri, fu quello con Cleo, una ragazzina che le sorrideva spesso e che a volte le parlava anche se sapeva che non avrebbe ricevuto risposta.
Un giorno di quelli si inginocchiò di fronte ad Eve, in lacrime, porgendole un vecchio e scucito orsacchiotto di peluche. La piccina non sapeva esattamente perché Cleo piangesse, ma intuì che quello le sarebbe dovuto mancare molto: semplicemente le tirò la gonna quando stette per andare via e glielo restituì, e questa prese ad abbracciarla, stritolarle le ossa, versando acqua dagli occhi come una fontana.
Da quel giorno Eve non l’ebbe mai più rivista, ma sapeva che in salotto cominciarono ad inveire il suo nome come se fosse una maledetta criminale.

~Ahh look all lonely people~  

Ancora una volta accadde di sera.  
Violet era una giovane che aveva tante domande sul mondo, e proprio quella sera dopo che si fermò da loro per la cena, cominciò a tenersi il capo con le mani terribilmente frastornata, chiedendo ad Eve come facesse ad essere così tranquilla. Disse che era troppo pacifica, non riusciva a capire da dove provenisse la sua calma mentre tutti loro stavano passando l’Inferno.
Non ottenendo risposta la frustrazione s’impadronì della ragazza che cominciò a sputare veleno tra i denti:
«Sei una vigliacca, pensi che evitandoci potrai sfuggire per sempre alle tue responsabilità. Non essere idiota, lo sai che in questa città non esistono i bambini; non comportarti come se lo fossi! Non fare finta di niente!» e prese a urlarle contro, finché Gary che era lì non intervenne per calmarla e poi invitarla ad andare via.
Mentre cercava di sedersi vicino a Eve –che era rimasta piuttosto sconvolta– si tirava di continuo il colletto, cercò più volte di allentare la cravatta. Riuscì comunque nei suoi intenti
«Non temere piccola Eve, ultimamente i ragazzi stanno diventando invidiosi della vostra infanzia. Goditela, non lasciarti fregare dai loro discorsi» si assicurò che lo fissasse intensamente negli occhi prima di andarsene, voleva accertarsi che la bambina non avrebbe mai ceduto. Infine si allontanò, con quella cravatta che continuava a strozzarlo.

~Ahh look all lonely people~ 

Venne l’ultimo pomeriggio che trascorse seduta alla finestra. Questa volta aveva sentito degli spari provenire dal salone e successivamente un assordante rumore di cocci infranti; quindi giunse immediatamente lì, spaventata, per vedere cosa stesse accadendo.
Erano lì, tutti –o quasi–, alcuni seduti sul divano e altri in piedi, e Violet aveva una pistola. Sul pavimento c’erano dei cocci che una volta erano parte di un vaso, e nel mucchio di terra ch’era cascato s’intravedeva un proiettile.
In quel momento tornò la dottoressa con Marylin, e quando aprirono la porta d’ingresso assistettero anche loro a quello scempio. I giovani avevano gli occhi sbarrati e la bocca spalancata, sentendosi accusati da quegli sguardi spaventati della dottoressa e delle due bambine.
Layla Davies non avanzò di un passo, ma tese una mano ad Eve. La accettò.
In fin dei conti, le pareva da un po' di tempo ormai che la casa si stesse svuotando: era giunta anche la sua ora. Gary guardò le tre andar via e richiudere la porta, e se ne dispiacque terribilmente.

Eleanor Rigby died in the church
(Eleanor Rigby è morta nella chiesa)
And was buried along with her name
(ed è stata sepolta in lungo con su scritto il suo nome)
Nobody came
(Nessuno è venuto –a vegliarla–)


Padre McKenzie si pulisce 
le mani sporche mentre cammina vicino alla tomba.
Nessuno fu salvato.

 

Tutte quelle persone che restano da sole
Da dove vengono?
Tutte quelle persone che restano da sole
A che terra appartengono?

 

___________

Canzone: Beatles – Eleanor Rigby
Consigliata la cover di
Marla Singer, e le numerose versioni eseguite alla chitarra acustica.

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Questo testo, scritto appositamente per il concorso indetto da Ayr –che si è rivelata un’ottima occasione per lavorare sul personaggio di Eve–, è parte dell’“universo contestuale” di “The Lives Trader”, un testo originale che io e Laura stiamo scrivendo e che intendiamo trasformare in un libro, sperando un giorno lontano di riuscirci.
Facendo un po’ di attenzione, per chi ci conosce, avrà già capito la storia di questi personaggi e da cosa sono stati ispirati. Come abbiamo detto molte volte li adoriamo come nostri figli e non potremmo mai rimpiazzarli.
Mi auguro di non essere andata fuori tema: l’intenzione qui era descrivere tale disturbo mentale non solo come sofferenza di una singola persona, ma come qualcosa di più astratto, da interpretare sul piano concettuale.

Ringrazio per la lettura e per aver avuto l’opportunità di partecipare con questo racconto al concorso.


[1] Riferimento al brano di Simon&Garfunkel

   
 
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