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Autore: Lexy Styles    02/02/2018    0 recensioni
"Non importa quanto tempo l'amore venga rinchiuso, negando ogni suo contatto con il mondo reale, da qualche parte nel nostro animo si trova una porta a cui prima o poi avrà accesso. La chiave potrà essere la costanza, il desiderio forse, ma a volte basta una promessa per spalancare l'uscio e lasciare che il sentimento esca fuori".
Storia non mia, ispirata ad un libro che ho riadattato in ff Larry.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sono solo un vecchio ormai.

Sto qui, davanti alla finestra, mentre il respiratore mi prude sul naso.

Mesi che ho smesso di parlare.

Anni che non cammino più sulle gambe da solo.

Con i miei occhi ho visto i cambiamenti avvicendarsi su questo paesaggio, ma non interessa più a nessuno ormai.

Non ci si rende conto di come le cose importanti restino inosservate, sino a quando non si può più recuperarle.

Come per me.

Vorrei stringere a pugno le mie mani callose, ma non ne sono in grado, non ho le forze per farlo.

Vorrei accarezzare ancora il tuo viso, poter soffiare via la polvere che si è annidata nei pochi ricordi che mi rimangono di te, ma la vita mi ha rubato anche il fiato.

Ci sono giorni in cui il sole riesce ancora a colpirmi il viso col suo calore; ogni volta lascia dietro di se le tracce del suo passaggio, con mille particelle di pulviscolo che danzano nell'aria prima di posarsi sul mio volto, nascondendosi sui suoi solchi.

Chissà se mi puoi vedere.

Chissà se saresti in grado di riconoscermi ancora.

Posso trascorrere le mie giornate spolverando gli avvenimenti delle nostre vite, prima che le parole che non sono in grado di pronunciare ne cancellino il significato.

Quello che non ti ho detto è rimasto con me, sbriciolandosi intorno al rimpianto.

Vorrei che mi portassi via, anche se, ancora, non è arrivato il mio tempo, ma se decidessi di farlo dubito che mi vedresti.

Magari non è ciò che vuoi, forse hai solo paura di cercarmi, come io di ricordarti, perché non potresti riconoscermi davvero.

Un altro giorno ancora, lotto dentro di me, per trascinarmi dietro un nuovo racconto.

Quello che parla di noi.

**

La prima volta che ho sentito parlare di te, avevo avuto uno strano presentimento.

Era stata mia madre a commentare qualcosa sull'averti visto con tua sorella, a dire che eri tornato dal tuo corso di studi.

In paese si mormorava ancora di Harry, il figlio di Des, che era stato mandato a studiare in città.

Le matrone ridevano, dicevano che sin da piccolo eri gracile e aggraziato e che solo studiare si poteva adattare al tuo aspetto.

Era questo il destino a cui ti avevano associato, nessuno sapeva di te, eppure le voci in paese sussurravano, inconsapevoli, di una tua diversità.

Eri differente da tutti noi.

Io avevo ascoltato il discorso distrattamente, ma dentro mi chiedevo come fossi e che cosa davvero potesse suscitare la mia curiosità su di te.

Dopo alcuni giorni, finalmente, ti incontrai.
Noi altri eravamo nei campi, era il tempo per il raccolto e tuo padre si era avvicinato a parlare con il mio.

C'eri anche tu.

Ricordo solo che eri molto magro, gambe infinite, un ammasso di ricci ingestibili sulla testa e uno sguardo verde che emergeva con forza, quasi a voler contrastare quel corpo rinsecchito, di un cucciolo cresciuto in fretta e furia.

Tu e i tuoi vi eravate resi disponibili per raccogliere l'uva che quell'anno abbondava.
Era un lavoro duro, ma che dovevano fare tutti, donne comprese.

Forse per questo nessuno si era premurato di salvaguardare la tua delicatezza, ognuno aveva il suo ruolo e tu, studioso o no, dovevi accettare quello che ti era stato assegnato.nei pochi minuti che eri rimasto a portata di vista, ti avevo osservato con curiosità.

"Sarebbe questo" continuavo a dirmi, cercando, nei tuoi modi immobili o sul tuo corpo flessuoso, i tipici segni della vita di città.

Ma non trovai niente.

Vedevo solo quegli occhi grandi, immensi, che mi ottenebravano la mente e il pensiero.

Quasi temevo che mi potessi scorgere, pensavo che in quello sguardo potesse esserci racchiusa qualche stregoneria.

Eppure non riuscivo a smettere di guardarti, fino a quando non andasti via.

Avevo finalmente constatato quanto fossi diverso tu da tutti noi: gracile, imberbe, quasi trasparente per via non solo della tua magrezza, ma anche di quell'evidente biancore che rendeva la tua pelle simile a seta.

Non sembravi come noi.

Non mi potevo avvicinare a te, non ero stato tirato in causa, per questo avevo lasciato che la tua figura, con quelle spalle strette, si allontanasse al seguito dei tuoi parenti.

Il mio disagio si sciolse, come libero dallo strano incantesimo che aveva richiamato la mia attenzione.

Eppure, già da allora, se pensavo a te, mi subentravano fitte allo stomaco.

Ero convinto che mi avessi attaccato quel tuo male sconosciuto.

Ma mi sbagliavo.

Avevo soltanto riconosciuto qualcuno a me complementare, non c'era nessuna malattia, si sbagliavano anche in paese.

Eri cresciuto in un campo di sterpaglie e avevi dovuto faticare per poter fiorire.

Ma la vita esigeva ben altro da te.

E io avrei dovuto farne parte.

**

Questa mattina le gocce di pioggia ticchettano sul vetro, disegnano forme singolari: curve, anse, forse anche un viso.

Oggi l'infermiera non si deve essere ancora accorta che piove, o magari è troppo impegnata a far altro per venire qui e tirare la tenda.

Ieri ho visto mia figlia.

Si è seduta, mi ha parlato, quasi come se non sapesse che non riesco a risponderle.
Lei ha preso da me, non ha paura del silenzio.

Può rimanere delle ore solamente a guardarmi, senza dire nulla, oppure si mette a parlare, facendo delle domande a cui, poi, si risponde da sola.

Io continuavo a fissare il vetro, proprio come oggi, a volte vorrei trovare le parole per dirle ogni cosa.

Di te, di noi intendo.

Ma alla fine sento che non sarebbe giusto farlo, potrebbe essere un trauma scoprire che non ho mai amato sua madre quanto ho amato te.

Sarebbe patetico, quasi quanto tutte le occasioni che ho avuto per andare incontro ai miei desideri.

Ci ha pensato poi la natura a fare il resto, impedendomi di esprimermi e rischiare magari di scaricarmi la coscienza.

Credo che, in fondo, sia questa la mia pena: essere obbligato a tenermi dentro il dolore per aver rovinato ogni cosa.

Devo rovistare, ogni sacrosanto minuto, in fondo al rimpianto di tutto quello che poteva essere.

Sono condannato.

Forse sei stato tu il giudice, senza che io me ne fossi accorto.
Ma me lo merito.

Alla fine tu hai avuto il fegato, con tutte le debolezze che ti sei tirato dietro, per andare avanti nei tuoi desideri, io mi sono semplicemente accontentato di fare ciò che ci si aspettava da me.
Nulla di più.

Un'altra goccia, sbattendo sul vetro, ha disegnato una curva che mi sembra familiare.

Mi ricorda la particolare forma della tua mascella, quando magari ti incazzavi con me perché non ti accontentavo abbastanza e dovevo sempre scappare dopo i nostri incontri.

Mi ricordo che una volta mi dicesti "Te ne pentirai.Te ne pentirai Louis. E non piango per il tuo ennesimo rifiuto, ma solo perché ti renderai conto di aver sbagliato quando ormai non ci sarò più".

E' stato poco prima che tu partissi, con un pezzo di carta in mano e una valigia nell'altra.

Dovevi andare lontano, così lontano che non osavo nemmeno immaginarlo.

Guardavi in terra, non lo vedevo, ma sapevo delle tue lacrime, non potevo farci nulla.

"Il mio posto è qui, con mia moglie e i miei figli" ti risposi, prima di voltarmi e andarmene via, senza neanche dirti addio.

La tua mascella era contratta, proprio come la curva che si è formata davanti ai miei occhi spenti.

Prego solo che non venga cancellata troppo in fretta da una folata di vento, perché ho bisogno di rimanere ancora un po' aggrappato al ricordo di te, per non cadere giù, nel buio delle cose dimenticate.

Avevi ragione.

Ci ho messo tanto tempo ma alla fine l'ho capito, che avrei dovuto seguirti.

A volte desidero di potermi muovere ancora, solo per aprire questa finestra, non mi importerebbe se fuori ci fosse il sole o la pioggia.

Desidero che la voce non mi avesse abbandonato, solo per poter urlare "Mi manchi Harry!".

E' vero, te lo giuro sul serio.

Solo ora avrei il coraggio di farlo senza pentirmene.

Che cosa può rimanere di tutta un'esistenza trascorsa nella fatica senza mai aver vissuto sul serio?

Io me lo chiedo da tempo.

Il mio corpo non mi tiene più impegnato e il pensiero è l'unica cosa che rimane.

Ha smesso di piovere.

Poi, stamani è venuto il dottore a visitarmi "Stazionario".

Solo questo ho colto tra i suoi paroloni insensati, avrei voluto fermarlo, solo per domandargli quanto ancora durerà quest'agonia che sembra non dover giungere mai al capolinea.

Gli avrei voluto chiedere se poteva aiutarmi.

Gli avrei voluto chiedere, con un groppo in gola, se fosse normale, dopo tanti anni, vedere il tuo viso pararmisi dinanzi, la notte.

I tuoi occhi verdi che mi sorridono, gentili.

La mia mano che vorrebbe stringersi alla tua.

Introno a me sono appese foto che contengono ricordi di tutta una vita, ma la più importante manca tra le mie pareti, è appesa sull'unico posto che mi mantiene vivo nonostante tutto.

Nel mio cuore ci sei solo tu.

Ogni singolo momento che pesco da quei ricordi, assume un impalpabile gusto di nostalgia.

Una volta partito per andare incontro alla tua vita, ricevevo da parte tua delle cartoline, o qualche lettera.

Interiorizzavo ogni singolo tratto della tua calligrafia così morbida.

Mi scrivevi senza mai comprometterti apertamente, penso per paura che qualcuno potesse arrivarci prima di me, non riuscivi mai a risponderti, ma tu sapevi che, nelle mi e brevi missive sconclusionate, c'erano le parole nostalgiche e ricche di sospensioni alle tue frasi non dette, ma comunque sentite.

Non trascorreva un mese senza che non ricevessi tue notizie.
Non tornavi mai in paese.

Proprio allora che finalmente eri diventato per tutti loro qualcuno, il concittadino che aveva fatto fortuna con l'arte, loro che ti avevano emarginato e per il quale adesso sentivano la mancanza, adesso che eri motivo di lustro.

Anche se non osavo chieder nulla, le voci su di te arrivavano, dai tuoi genitori, o dai cugini in visita la paese, l'unica che evitava di parlare era Gemma, tua sorella maggiore.

Non avevo mai capito il perché, allora.

Fuori si sta avvicendando il buio alla luce, tra poco l'infermiere mi farà mangiare, poi spegnerà la luce.

E finalmente sarò tuo.

Chissà se stanotte riuscirò a dirtele quelle parole così maledette che mai ho saputo pronunciare in tua presenza, vedrai che non ti deluderò questa volta.

Aspetto sempre la notte, per rimanere da solo con te.
Solo con te.

**

Non avevo una destinazione precisa.

Camminavo, senza un motivo.

Quella mattina ero stato più distratto del solito, tanto che, alla fine, mio padre mi aveva rimandato a casa brontolando su qualche malanno che poteva compromettere la mia partecipazione alla vendemmia.

Andavo avanti, sporco e madido di sudore, mi chiedevo perché.

Ti avevo a malapena scorto, eppure mi eri rimasto impresso.
Troppo.

Non mi era mai successo prima, che fosse il tuo maleficio ad aver iniziato ad agire Harry?

Mancava ancora qualche ora al tramonto, superai l'ingresso di casa addentrandomi per la via maestra, verso il centro abitato, tutto intorno a me sembrava silenzioso, o forse ero io ad aver escluso il resto.

Non facevo che pensare a quel corpo sottile, agli occhi grandi, che avevano l'immenso potere di rimanere marchiati, marchiati a fuoco nella mia povera testa vuota.

Ero posseduto?

Ero ossessionato dal turbamento che mi aveva stretto le viscere in una morsa, non mi era mai capitato prima, ti avrei rivisto l'indomani, non avrei potuto evitarlo nemmeno se mi fosse venuto il febbrone.

La vendemmia era sacra per la nostra comunità.
Tutti dovevano presenziare, a partire proprio da noi Tomlinson che possedevamo una delle vigne più grandi.

Continuavo il mio percorso, silenzioso, chiuso nei miei ragionamenti, dovevo liberarmi dell'inquietudine, c'era poca gente in giro, gli uomini ancora a lavoro e le donne a casa, da alcune di esse proveniva il profumo di cena.Io superavo vicoli, cercavo la mia redenzione, le case degli Horan, quelle dei Payne, sentivo sulla strada i canti delle donne anziane, alla mia destra il campanile, modesto, proiettava la sua ombra sul selciato.

Non potevo.

Rallentai senza fermarmi, ansimavo, credevo che proseguendo avrei placato l'ansia che sentivo dentro.

Girai alla traversa successiva, diretto verso la fine del paese.

"Poi tornerò indietro" mi convinsi.

Tu non sapevi nemmeno cosa sentissi dentro di me, mi facevi paura, per un motivo che ancora non ero in grado di comprendere, sapevo soltanto che ti riguardava.

Che la colpa era tua.

Mi fermai sgomento, poco più in là c'era la strada e le ultime case, ma il mio spavento non era causato dalla stanchezza.

Perché ero arrivato sino a casa tua Harry?

Avvertii dei rumori vicino al portone, schiamazzi che si avvicinavano, con un impeto tornai sui miei passi, nascondendomi dietro al primo viottolo che incontrai, le strade iniziavano ad adombrarsi con l'imbrunire, se qualcuno dei tuoi passò di li, non fece caso a me, né io a loro.

Ero sconvolto.

Il cuore mi percuoteva dentro, come se avessi visto un fantasma.

"Perché?" mi chiedevo.

Non capivo il motivo del mio giungere nella strada degli Styles, non ero cosciente di quel gesto, speravo forse di rivederti?

In preda agli spasmi, preoccupato per il non riuscire a dare un nome a quello che sentivo, posai le spalle al muro cercando di afferrarmi il petto con le mani.

"Che cosa mi hai fatto?" sospiravo nella mia testa.

*

Avevamo iniziato la raccolta dell'uva presto, poco dopo l'alba.

Come al solito ci avevano suddiviso in aree, ma quella mattina era diverso, ero in piedi da poco, avevamo mangiato un pasto frugale al capanno, vicino ai terreni.

Mio padre, che di parole non ne aveva mai tante da dire, se non per impartire gli ordini quotidiani, mi aveva fermato, dicendomi solo "Oggi dovrai lavorare con Harry. Seguilo!".

Non ero riuscito a replicare in nessun modo, ero rimasti interdetto, in preda a una nuova inquietudine.

Ti avevo trovato già pronto al filare che ci era stato assegnato, eri quasi ridicolo con quei vestiti da lavoro rattoppati e troppo grandi per te.

Avevo appositamente evitato di guardarti dritto negli occhi, per paura che mi attaccassi di nuovo qualche maleficio, o forse solo per imbarazzo, ti avevo salutato con un cenno del capo, senza aspettare una tua risposta e mi ero avviato.

Tu mi seguivi in silenzio, quasi non volessi disturbare.

Ero convinto che avremmo ritardato, perché pensavo che il tuo apporto nelle ore di lavoro sarebbe stato inesistente.

"Non ce la fa" mi ripetevo.

Quell'eventualità mi seccava alquanto.

Mi ero fermato troppo a pensare, già da allora avevo sbagliato totalmente il mio giudizio.

"Allora, per raccogliere devi..." avevo iniziato a dire prima di guardarti sul serio per la prima volta in quella mattina.

Tu ti eri fermato.

Avevi le cesoie e il tuo secondo grappolo in mano.

Non ero riuscito a dire altro, i miei occhi si erano fissati qualche secondo di troppo sulle tue labbra carnose finché non avevi iniziato a sorridere.

"Non ti preoccupare, so quello che devo fare" poi avevi ripreso il lavoro.

Mi ero limitato a seguirti in silenzio, per tutte quelle ore nessuno aveva parlato, mi ero rinchiuso nei miei pensieri, a contrastare l'evidente vergogna che provavo con la tua vicinanza.

Solo una volta mi ero soffermato su di te.

Avevamo riempito una nuova cassa d'uva, mi stavo apprestando a caricarmela sulla spalla per portarla al punto di raccolta.

Chiamala coincidenza, io voglio invece pensare che il destino mi stesse regalando il primo segno su di noi.

Non mi ero accorto che anche tu stavi cercando di afferrarla, le nostre mani si sfiorarono, quasi incrociandosi, ho posato i miei occhi sul tuo viso proprio mentre tu facevi lo altrettanto.

Sguardo su sguardo, le mie mani che tardavano a levarsi dalle tue, di nuovo i tuoi denti bianchissimi che evocavano un istinto atavico di attrazione.

Dovevo essere diventato rosso per tutto quel disagio, e in modo brusco avevo preso la cassetta, quasi fuggendo da te.

Non mi sono mai sincerato di quale fosse stata la tua reazione.

Ma lo so Harry, lo so, come è vero che il monte si stagliava alle tue spalle.So che eri li in piedi.

Fissavi la mia schiena, la mia andatura evidentemente turbata, eri li e avevi capito cosa stesse nascendo dentro di me.

Sorridevi ancora nella mia direzione.

**

Un'altra notte è passata.

Sento in lontananza tuoni, non so dirti che ore siano, ormai il mio sonno è incompleto, in questa casa vuota non c'è più nulla che riesca ad affaticarmi tanto da farmi dormire.

Sono stanco soprattutto di vivere.

Una folata di vento ha scosso le persiane, io sono in attesa, aspetto la fine.

Non puoi sapere quanto mi tormenti questa coscienza del risveglio, la comprensione, quando ho ancora gli occhi chiusi, che un altro giorno indesiderato, invece, è arrivato costringendomi con violenza a prendere atto che il mio tempo non vuole finire.

Dirlo, anche pensarlo, lo so, è quasi una bestemmia.
Ma non ce la faccio proprio a intravedere nulla di buono su altre ventiquattro ore che il mio corpo, sfibrato e inutile, trascorre inattivo.

Per me non è dignitoso sopravvivere così.

Tutto questo dolore è generato dalla mia stessa mente testarda che rimane ancora vigile.

I miei pensieri non vogliono spegnersi.

L'unica consolazione sei tu.

Anche stanotte sei stato con me, eri giovane come la prima volta che ti ho incontrato, poi eri adulto, come quando lavoravi a Parigi.

Le tue cartoline provenivano dalla Francia.

Nessuno, nemmeno i tuoi familiari, sapeva che mi scrivevi.

Tenevo ogni tuo scritto in una scatola di latta, inaccessibile anche per mia moglie, riposta tra gli attrezzi da lavoro nel capanno.

Ogni tanto, nei momenti liberi o in quelle notti che disertavo il bar per fumare solo e tranquillo, le tiravo fuori, per immergermi, con una candela accesa, nelle tue parole.

A volte ti capitava di raccontare della vita che conducevi all'estero, delle piccole cose che ti succedevano.

Non so descrivere la malinconia che si impossessava di me quando ero così assorto a immaginare il luogo dove stavi, a vivere la tua vita attraverso la penna, mi risvegliavo dal torpore, rendendomi conto di tutto quello che ci separava.

Se chiudevo gli occhi, cercavo di ritagliare le immagini di quanto descrivevi, chissà cosa vedevi, Harry.

Cosa c'era nella stanza in cui alloggiavi, dalla quale mi scrivevi?

Parlavi di pioggia fredda, di neve, di un clima freddo e diverso da quello a cui eri abituato qua, mi dicevi che c'erano palazzi ben più alti della nostra montagna, mi pareva quasi di sentire la tua voce ironica uscir fuori da quelle righe.

Mi mettevo a odorare quella carta, alla ricerca di un segnale, un profumo che mi aiutasse ad afferrare ciò che dalle tue parole non era possibile sentire, o capire.

Quel pezzo della tua vita che era lontano da me.

Desideravo che tu tornassi, che potessi perdere ogni cosa, ma che tornassi in questo piccolo paese che ti faceva soffrire di claustrofobia, ti volevo qua per me soltanto, nonostante non avessi nulla da offrirti.

Mi fermavo a pensare, con le tue parole tra le dita, quasi a immaginare di perdermi nel tuo corpo caldo e morbido, di essere padre dei tuoi figli, di vivere tutta una vita con te vicino.

Ancora non capivo che il tuo stesso amore aveva chiesto a me di fare altrettanto, scappando via con te.

La verità è che non volevo ancora dirti addio, e sei stato, per tutto questo tempo, l'unico per me.

Ogni volta che ero solo con le tue lettere sognavo soltanto di riappropriarmi di te, riempiendo quel vuoto che la tua mancanza mi aveva dato.

Aspetto ancora in questa mattina piovosa.

Aspetto solo che finisca.

Spero che non ci sia domani, soltanto così non sentirò più quel vuoto rimbombare nella mia mente.

**

Ricordo, come fosse ieri, le sensazioni e le voci festanti a cui quella sera non prestavo alcuna attenzione, vagavo per le vie del paese, come l'ombra di me stesso, in piazza si suonava e si cantava, festeggiando la fine della vendemmia che era stata buona per quell'annata.

Era un evento.

Ma quella volta non lo era per me.

I giovani ballavano, luci di candele illuminavano il selciato dai davanzali delle case e il grande fuoco ardeva nella piazza della chiesa.

In sequenza, nella mia mente si aprivano le stesse immagini che non mi davano pace.

"Il monte si ergeva silente su di noi, eravamo nella zona della chiesa, vicina a tutte le campagne e ai nostri territori.
Le grandi tinozze erano già piene del raccolto, le donne e alcuni uomini pigiavano già in cerchio per trasferire il mosto nelle botti.

L'aria calda di Ottobre che ci faceva ancora sudare costringeva tutti noi uomini a levarci di dosso le camicie da lavoro, un lieve venticello diffondeva l'ebbro profumo delle fatiche di quelle settimane.

A un tratto riuscii a scorgerti tra gli altri, davi il tuo contributo, pestando anche tu con tua sorella.

La tua pelle bianca come il latte, contrastava in tutto quell'ubriaco rossore.

Tu che ti voltavi verso di me e poi continuavi la tua danza del vino.

Le tue rosse labbra carnose che si contraevano per gli sforzi, quel tuo corpo magro e glabro che si muoveva con delicatezza, tutto quel bianco su di te che illuminava risaltando i tuoi capezzoli scuri e grandi come fragole mature e i tuoi grandi occhi verdi, che sembravano volerla ingioare tutta quell'aria.

Era...era troppo per me".

Da quel momento, nulla era rimasto come prima.

Il senso di possessione, in quella notte di festa, aveva raggiunto l'apice della frustrazione, io non volevo più stare così, io dovevo ritrovarti.

Se qualcuno mi parlò, quella notte, non me ne ricorderei mai.

Ancora ubriaco, mi misi alla ricerca di te, tra la gente, in mezzo ai balli, in mezzo agli anziani che riposavano battendo all'unisono le mani.

Se qualcuno mi avesse detto che ti avrei trovato li, avrei anche scavato tra le braci, in mezzo al fuoco.

Il tuo corpo si era impossessato già da allora di ogni mia azione.avevo riattraversato la piazza, avevo intralciato le danze.

"Era la danza del tuo corpo seminudo ad aver svegliato un richiamo antico, non potevo farne a meno, quel pomeriggio, di osservarti zittendo ogni stupore razionale su quanto stava accadendo.

Le mie mani diventarono pungi, ma in realtà, se ne avessero avuto l'iniziativa, avrebbero voluto avviluppare il tuo corpo magro per stringerlo al mi.

Per un secondo solo mi hai guardato.

I tuoi occhi mi sembravano ingrandirsi ancora di più.

Le mie dita che avrebbero voluto impossessarti di te.

La tua pelle bianca riluceva quasi nel sudore, una goccia che cadeva sul tuo petto inerpicandosi tra i tuoi capezzoli, richiamandomi.

Un lieve sorriso che spuntò sul tuo viso, quasi un invito, un inchino leggero del capo prima di riprendere quella danza collettiva, dove io vedevo te soltanto.

Percepivo con chiarezza che la stavi dedicando a me".

Avevo deciso che ti avrei trovato, dovunque fossi andato a finire.

Mi allontanai dalla festa, i cui rumori erano a malapena attutiti, ero troppo occupato da quel sogno a occhi aperti che tu eri diventato per me.

Una fantasia a cui non sapevo dare un nome.

Un desiderio che la mia bocca non osava pronunciare.

Avevo visto tutta la tua famiglia in piazza, ma neanche una traccia di te.

Così me n'ero andato anch'io, chiedendomi se tu fossi esistito realmente oppure se fossi stato io a immaginare ogni cosa, come un ragazzino che ancora non aveva conosciuto niente della vita.

Nessuno, posso dire che nessuno aveva notato la mia assenza quella notte.

Tra le stelle rincorrevo il tuo profumo di mosto e di sapone, le mie gambe da sole aveva tracciato il percorso che dovevo seguire, lo stesso di qualche giorno prima ma, stavolta, ero consapevole della mia meta.

La bramavo.

Mi ero ritrovato nelle tua casa, accostandomi dietro il portone, non mi ero affacciato nelle stanze, avevo costeggiato il giardino, diretto verso il retro della casa.

Con l'unica luce, quella della luna, la pelle del tuo viso, se fosse stato possibile, era ancora più bianca, le mie gambe traballanti si avvicinavano a te.

"Mi hai trovato, finalmente" mi avevi detto.

"Nessuna parola, nessun cenno era stato manifestato da entrambi, solo un patto chiaro di quel che per me sarebbe stato l'inizio del mio tomento.

Mi colava il sudore addosso, le mie gambe tremavano talmente tanto che dovetti sedermi, scostando la mia vista da quel desiderio immondo che ti ricercava, le mie mani sulla fronte, grondavano e io non osavo risollevare lo sguardo per rivivere la visione di quella danza innominabile e voluttuosa.

La tua danza per me.

Non potevo cedere, andare oltre.

Nessuno si era accorto del mio malessere, al riparo dal tuo corpo cercavo soltanto di riprendere in mano i miei movimenti".

Con le mani, ti avevo condotto al sicuro da eventuali sguardi indiscreti, da una finestrella entrava un poco di quella luce che così bene ti adornava, senza che te lo chiedessi, ti eri tolto la camicia esponendo di nuovo il tuo corpo magro a me.

Quasi tremavo dall'eccitazione, rapito nei sensi, rapito nel cuore che batteva il ritmo del desiderio incontrollato.I tuoi occhi verdi magnetici.

Erano state le mie mani a toccarti con venerazione il petto, desideroso com'ero di nutrirmi del tuo sapore fresco.

"Non preoccuparti, queste cose le ho già fatte".

Eri stato tu a guidare ogni mio gesto, io volevo solo sentire che eri mio.

Bocche, labbra, lingue defluivano fra loro con delicatezza, accendevano il ritmo dei baci.

Le tue mani che mi spogliavano, che scorrevano tra la corta barba del mio viso e la rada peluria del mio petto, quasi esplorando i muscoli che tu ancora non avevi sviluppato.

La tua schiena perlacea brillava di luce propria, quasi ti strappai il resto del vestiario di dosso, mentre tu direzionavi con il baricentro l'itinerario che il mio corpo doveva prendere su di te nel possederti.

Io che mi avvinghiavo al tuo ventre, mentre assaporavo l'odore della tua nuca, i tuoi singulti soffocati stimolavano ancora di più il mio ansimare, mentre le mie dita stringevano forte lasciandoti il segno.

In tutte quelle parole che non potevamo dire, quella notte ti eri concesso per la prima volta.

Eri diventato mio.

Continuavo ad avere sete e ogni volta erano le tue labbra che la estinguevano.

Ci consumavamo nel falò della nostra passione.

"Non osavo, non era giusto dare una precisa collocazione agli stimoli che il solo vederti mi stava provocando, mi ero allontanato in silenzio, nascondendomi ansimante dietro il primo muro che potesse occultarmi dagli sguardi indesiderati degli altri, ma che soprattutto potesse salvarmi da te.

Il sole non era ancora tramontato, ma i suoi raggi iniziavano ad accarezzare la cima della montagna.

Sembrava, e quasi temevo, che addirittura il nostro monte sapesse cosa provassi e il perché fossi scappato con tanta fretta, i suoi occhi invisibili mi scrutavano, presagendo ogni cosa.

"Quanto ancora vuoi fuggire?" sembrava che mi chiedesse.

Ero solo, cercando a ogni costo di contrastare un desiderio che mai sarebbe dovuto esistere.

Qualcosa che nella mia testa non doveva succedere mai più".

Non ci cercarono durante la nostra prima volta.

In quelle ore ci siamo conosciuti, abbandonati tra le membra stanche, nel sudore, per poi riprenderci ancora.

Eri il maestro che sapeva leggere ogni desiderio non appena quest'ultimo prendeva forma.

Io conoscevo a malapena il tuo nome, e tu, sussurrando con quella tua voce calda e roca che ti contraddistingueva, mi raccontavi qualche spezzone della tua vita fuori dal paese, poi salivi di nuovo sopra di me, mi baciavi, nascondevi il tuo bellissimo viso nel mio corpo.

Raccontavi nuovamente qualcosa sugli studi, i tuoi compagni e gli uomini che ti avevano toccato per la prima volta.

Morivo di gelosia per non essere il primo, e per non essere stato l'unico.

Non c'era malizia nelle tue parole, dai tuoi occhi liquidi leggevo tutta l'innocenza possibile.

Ti ho stretto al mio corpo fino all'arrivo dell'alba, per poi andarmene da li, mezzo rivestito e mezzo no, tra le scapole sentivo ancora il dolce peso del tuo sguardo.

Un desiderio in sospeso, il tuo.

Mi accompagnò, sin da allora, in ogni passo che ho compiuto da quella notte in poi.

**

Se fossi una foglia, mi lascerei trasportare dal vento che sconquassa le fronde e i campi del nostro paese.

Sarei libero, nell'aria, non vincolato al peso morto delle mie membra stanche.

Verrei a cercarti Harry.

Non saprei come, ma sono convinto che riuscirei a riconoscere ogni singolo frammento di questo pianeta toccato dal tuo passaggio, mi ci appoggerei sopra, solo per carpire il tuo odore, non quello della carta e dell'inchiostro, non quello della polvere.

Il tuo.

Quello di muschio e sapone che mi aveva rapito quando ti ho toccato per la prima volta.

Dopo la tua partenza, sono arrivati anche qua gli anni facili, ho visto le prime macchine circolare liberamente in mezzo alle strade.

Freddie e Doris crescevano, per la gioia di Eleanor, che, nonostante tutte le mie mancanze, adempiva con dedizione al ruolo di madre.

La mia vita in tua assenza è stata scandita dalle stagioni, nonostante io non l'abbia conosciuta fino in fondo, la vita in paese si riprendeva solamente allora, dopo la Grande Guerra.

L'ultima era finita prima del nostro incontro, ma aveva condizionato l'esistenza di ognuno di noi per tutti gli anni a venire.

Soltanto dopo quella guerra sei arrivato tu, ci siamo amati, sei andato via per la tua guerra personale con il mondo, lasciandomi qui con la mia famiglia.

Eri partito per la Francia in cerca di fortuna, io non osavo mai chiedere tue notizie, temevo che un mio interessamento destasse qualche sospetto, era solitamente tua sorella Gemma a riferire qualche novità a mia moglie, ma quasi mai veniva fatto il tuo nome.

Credimi, per tanti anni mi sono chiesto come mai lei non parlasse volentieri di te, ma dentro di me possedevo già la risposta che mai sarei riuscito ad ammettere a me stesso.

A quei tempi vedere la televisione era un avvenimento.

Era la prima finestra sul mondo per un paese nato sulla polvere, paese convinto che la fine del mondo si trovasse poco oltre i confini, sul mare dei paesi vicini.

Io ero persuaso che prima i poi ti avrei visto su quello schermo.

Francia era l'unico confine che concepivo, lo leggevo sul retro di quelle cartoline che negli anni si assottigliavano di numero, e che erano sempre più formali.

Io ti rispondevo per Natale, augurandomi ogni volta di vederti tornare.

Ma ciò non accadeva mai.

Per quanto potessi essere stanco, non mancavo mai un appuntamento con la televisione, per la mia famiglia era un avvenimento, per me la speranza di rivederti.

Lo vivevo con ansia.

Non avevo mai scordato il tuo viso, ma il tuo ricordo cominciava ad ingiallire sul peso degli anni che passavano inquieti.

Le tue mani erano diventate callose come le mie?
Avevi la barba?
I tuoi bellissimi ricci iniziavano a ingrigirsi sulle tempie come i miei?

Tutte domande che continuavano a rimanere senza risposta, immote, appena visibili anche ora che la polvere viene scossa da un'altra folata di vento che passa.

Se la porta via, lontano, rimestando i ricordi nella mia testa malandata.

Maledetto vento, che ancora mi lasci qua senza porta via anche me.

**

Eri stato una tempesta.

Unico e solo, avevi invaso la mia mente con la tua presenza e ogni mio senso, per poi scomparire subito dopo la prima scrosciata.

Nei giorni successivi alla nostra fuga notturna, non avevo avuto il coraggio di venirti a cercare, forse ero ancora ubriaco di passione, o forse tutto ciò che era stato liberato dal vino aveva fretta di rientrare dentro di me, in un luogo inaccessibile a chiunque , temendo la luce accusatoria della vergogna.

Quello che avevamo fatto era sbagliato, ciò che avevo sentito per te lo era ancora di più, ma ormai mi avevi magnetizzato con la tua semplicità disarmante.

Col tuo esistere, forse.

Ti cercai troppo tardi, venendo a sapere che eri ripartito due giorni dopo la nostra notte insonne.

Mi avevi aspettato, magari?
Sei stato, in quei due giorni, in attesa di me?

All'epoca preferii pensare che invece tu non avevi attribuito tutto il peso che stavo dando io all'accaduto.

Evitavo lo sguardo indagatore di chiunque, vedendo spettri di sospetto anche laddove non ce n'erano.

Mi avevi lasciato da solo a gestire lo sconvolgimento dei nostri atti, con l'unica certezza che ero in grado di darmi: non era successo nulla, quello che avevamo fatto non poteva significare niente.

La mia povera mente cercava con disperazione di pensare oltre, era l'unica cosa che potevo fare, e la tua lontananza provvisoria mi agevolava in questo.

Fu nell'inverno successivo che mi parlarono di lei.

Era stato mio padre, ritenendo che fosse arrivato il tempo, con i miei ventidue anni, di accasarmi.

Eleanor era molto nota in paese, aveva diciassette anni ed era molto bella, mora, due occhi castani sottili e già formosa nonostante la sua età.

Era la figlia più piccola di un amico di famiglia e mia madre, con la sua, discutevano già da qualche anno di una nostra probabile unione.
Io la conoscevo, come potevo conoscere altre ragazze del posto, in maniera piuttosto schiva, per una sorta di pudore, quello che tutti dovevano tirarsi dietro per convenzione.

La trovavo gradevole, ma non ero in grado di cogliere appieno il potenziale che mi si stava prospettando.

Non appena solo, eri tu a riemergere dall'angolino buio in cui ti avevo rinchiuso con forza, la tua pelle bianca, i tuoi occhi grandi, il tuo corpo che, così accogliente, sembrava aderire perfettamente al mio.

Ma io non dovevo, non potevo pensarci.

Non dovevo aspettare un tuo ritorno per capire cosa dovessi fare.

Così mi fidanzai con lei.

Ancora non avevo stretto nemmeno la sua mano tra le mie che in paese tutti sapevano della nostra imminente unione, ci saremmo sposati in estate, alla luce del sole.

Io ero salvo da qualsiasi sospetto.

Comincia a non pensare più a te.

Cercavo di levarmi di dosso lo sporco effimero che mi sentivo nell'animo, per essere redento, normale tra i normali.

Sono stato uno stupido, lo so.

Ma le nostre famiglie avevano deciso per noi quel passo, tu non eri contemplato, tu non eri reale, scomparso velocemente così come il tuo arrivo nella mia vita.

"Harry Styles è soltanto un sogno, un sogno malato" mi dicevo per dimenticarmi del tutto di te.

Passavano i giorni, trascorrevano i mesi e i preparativi per una nuova vita tutta mia si infervoravano, tutto era nuovo e noi due, che ci eravamo appena sfiorati, sotto gli occhi attenti dei parenti, a malapena imparavamo a conoscerci.

Era così che funzionava.

Il destino per me era ormai spianato, pensavo che nulla o nessuno avrebbe mai potuto scalfire questa manciata di certezze.

Ma mi sbagliavo.

Non avevo fatto i conti con te.
   
 
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