Nel primo pomeriggio, Kiba Inuzuka varcò la
soglia del commissariato, con un braccio fasciato stretto contro il torace e lo
sguardo che vagava incerto tra gli uomini in divisa.
Cercava qualcuno che gli indicasse a chi
rivolgersi, con un macigno sullo stomaco che probabilmente non l'avrebbe
abbandonato per tutto l'interrogatorio; Kakashi poteva intuirlo dai movimenti
esitanti, dall'espressione tesa e dal sospiro di stanchezza che si lasciò
sfuggire non appena un agente gli si avvicinò.
Aveva perso il conto di quante persone aveva
visto entrare in centrale con la voglia di andarsene immediatamente, sperando di
seppellire l'angoscia sotto il ritmo sempre uguale della quotidianità,
nonostante l'amara consapevolezza che il ritmo non poteva più essere lo stesso.
Aveva provato quelle sensazioni sulla
propria pelle anni addietro e non gli era difficile riconoscerle. Non capì cosa
esattamente l'avesse spinto a pensarci, ma si affrettò ad allontanare ogni
possibile ombra di turbamento, prima che il collega accompagnasse il giovane
direttamente da lui.
“Ispettore, il ragazzo è qui per un
interrogatorio”, lo informò con un piccolo cenno della mano diretto verso il nuovo arrivato.
“Grazie, Kuro-san, ci penso io. Per favore,
avvisa l'ispettore Uchiha di raggiungermi.”
L'interrogatorio rappresentava un momento di
svolta per le indagini e vi avrebbero assistito anche Naruto e Sakura, sebbene
da un'altra stanza, ma gli parve superfluo comunicarlo a Kiba Inuzuka. Si
limitò solo a presentarsi e a chiedergli di seguirlo, indossando l'espressione
più rassicurante possibile: riteneva controproducente aggiungere ulteriori
fattori di agitazione all'ansia già palpabile, a meno che la necessità di giungere
alla verità non lo rendesse inevitabile, qualcosa che avrebbe scoperto solo tra
qualche minuto.
Invitò il ragazzo ad accomodarsi, prima di
sedersi a sua volta davanti ai documenti che aveva in precedenza lasciato sul
tavolo: il rapporto della polizia stradale, ma soprattutto i risultati
dell'autopsia, supporti molto utili per creare pressione ma di cui sperava
vivamente di fare a meno.
“Il mio collega arriverà a breve, intanto
puoi iniziare a raccontarmi ciò che ricordi del sinistro” esordì, recuperando
per primo il foglio scritto da Tenzo.
Come al solito la penna dell'amico era
riconoscibile nella precisione e semplicità della descrizione, al punto che gli
sembrava quasi di vedere le fasi dell'incidente scorrere davanti agli occhi e
ciò non poteva che essere un vantaggio; sarebbe stato più semplice intuire
dalle risposte del ragazzo quale fosse il suo stato mentale durante l'accaduto,
se fosse lucido oppure ottenebrato dall'alcool o, peggio, dalla droga.
L'Inuzuka parve raccogliere le idee prima di
replicare, con le labbra strette in
una linea di concentrazione e una luce di amarezza nello sguardo.
Forse non aveva avuto il tempo o le forze di
pensare ad una spiegazione oppure semplicemente ricordare era l'ultima cosa che
avrebbe voluto.
“Non ricordo bene cosa sia successo...”
cominciò titubante, “avevo bevuto un po’ troppo, per questo avevo lasciato che
Shino guidasse.”
L'alcool dunque risultava essere stato il
primo responsabile dell'incidente, mettendo al volante la persona sbagliata,
pensò l'ispettore, mentre lanciava un'occhiata veloce ad alcune frasi del
rapporto. Si chiese però a quanto equivalesse quel “bere un po' troppo”; stava
per accertarsene quando Sasuke entrò nella stanza, con un'espressione anche fin
troppo seria dipinta sul volto.
“Scusa il ritardo, Kakashi, ma dovevo
sistemare una faccenda” gli disse prima di sedersi accanto a lui e presentarsi
all'Inuzuka.
In realtà non avrebbe avuto alcun bisogno di
scusarsi, ma quell'esordio sottintendeva un chiaro messaggio: Naruto e Sakura
erano nella stanza attigua, in ascolto, pronti anche loro a carpire qualsiasi
informazione potesse risolvere le indagini a cui lavoravano ormai da mesi.
L'immagine di Sakura si affacciò nella sua
mente con prepotenza, forse sulla scia della decisione maturata recentemente,
ma per quanto piacevole la scacciò, relegandola nell'angolino delle questioni
in sospeso da affrontare il prima possibile.
“Quindi cosa ti è rimasto impresso della
dinamica dell'incidente?” riprese, concentrandosi sulla conduzione
dell'interrogatorio.
“È successo nei pressi di un incrocio, era
buio e forse Shino correva troppo...” replicò il giovane, scandendo con calma
le parole, ma esitando nel pronunciare il nome dell'amico.
Ingoiò un grumo d'ansia prima di proseguire.
“Non ho visto arrivare il motorino, ho solo
sentito qualcosa schiantarsi contro la portiera e poi... niente, è successo
tutto troppo in fretta... Shino non è riuscito a frenare in tempo, credo...”
terminò abbassando lo sguardo, con i pugni stretti in un moto di irritazione.
Kakashi riusciva a leggere sui lineamenti
dell'Inuzuka l'oppressione del senso di colpa, uno stato d'animo per lui anche
fin troppo familiare.
L'alcool in circolo nel suo corpo non gli
aveva permesso di notare il sopraggiungere di un veicolo con diritto di
precedenza e l'imminente pericolo dovuto alla noncuranza del conducente; che
l'esito fosse stato la morte di un caro amico rendeva sicuramente l'errore
insostenibile e imperdonabile.
Era quello il momento più opportuno per
insinuare che la poca chiarezza dei ricordi e l’incidente dipendessero anche
dall'assunzione di stupefacenti: l'instabilità emotiva del testimone avrebbe
reso più facile ottenere una risposta veritiera.
Prima che riuscisse a dire qualcosa Sasuke
intervenne, sfruttando in modo immediato l'occasione presentatasi.
“Non ti sei reso conto che il tuo amico era sotto
l’effetto della droga?” chiese in tono asciutto, con una domanda così diretta
che spiazzò non solo l'interrogato ma anche il collega.
Era forse la più semplice e ovvia da porre,
eppure ascoltarla fu per Kakashi come un sasso scagliato nelle acque placide di
un lago, capace di turbarne la superficie piatta, smuovendo nel contempo i
detriti del fondale. E scrutare in lontananza i detriti del suo passato, celati
sotto l'apparente tranquillità del presente, era sempre un affacciarsi sul vuoto.
“Oppure per voi era qualcosa di così
naturale da non essere un problema?” sentì l'Uchiha proseguire, col chiaro
intento di strappare un'ammissione di colpevolezza.
Sul volto di Kiba Inuzuka comparve però il
più genuino stupore e a quel punto gli sembrò persino di tuffarvisi, nel vuoto.
Rimase in silenzio, impassibile, tentando di
conservare un saldo controllo sulle proprie emozioni, mentre il collega poneva sotto
lo sguardo perplesso del ragazzo una pagina dell'autopsia che illustrava, con
poche ma precise parole, lo stato fisico del defunto al momento
dell'incidente.
Non avrebbe saputo dire se il giovane stesse
leggendo davvero gli ideogrammi impressi sul foglio bianco, ma l'incredulità e
l'angoscia si confondevano in piena libertà nei suoi occhi scuri tanto che
insistere in quella direzione gli sembrò tutto ad un tratto inutile.
Sasuke non fu però
dello stesso avviso.
Come gli avevano insegnato alla scuola di
polizia, era stato attento anche alle più piccole reazioni dell’interrogato,
comprendendo sia come fosse all’oscuro
della causa profonda dell’incidente, sia quali fossero gli effetti della scoperta improvvisa; tuttavia, il dolore e il
rimpianto non gli sembravano nulla in confronto ad una vita spezzata.
Il crimine, come la legge, non ammette
ignoranza, pensò con ferma convinzione mentre l’irritazione si accendeva
silenziosa, alimentata dall’eco di ricordi lontani eppure sempre più vicini da
quando aveva scoperto la presenza di Itachi in città.
Non avrebbe mai tollerato la cecità o
l’ottusità in questioni di così vitale importanza; se qualcuno avesse alzato lo
sguardo dal proprio orticello, la morte di suo padre e lo sfascio della sua
famiglia sarebbero stati evitati.
“Come accidenti è possibile che non ti sei
mai accorto che si drogasse?” domandò, le sopracciglia aggrottate in
un'espressione quasi contrariata e il consueto tono atono intaccato da schegge
di sorpresa e di accusa. “Eravate amici e non hai mai avuto nemmeno un
sospetto?”
Prima che potesse razionalmente pensare
Kakashi lo interruppe, riprendendolo con voce roca.
“Sasuke.” disse secco, con lo sguardo inespressivo e i pugni
serrati sulle ginocchia.
Per un attimo, si sentì distante da tutto e
tutti, finché non percepì l’occhiata di disapprovazione scoccatagli
dall’Uchiha.
Sospirò interiormente, ignorando il collega
e richiamando a sé la calma perduta; rilassò le mani e lasciò scivolare le dita
sul tessuto morbido dei pantaloni.
“Non mi sembra sia quello che ci interessa”
aggiunse, spezzando il silenzio calato all’improvviso.
Al suo fianco, Sasuke storse le labbra in
una piega di nervosismo.
Non sopportava essere rimproverato, tanto
meno sul lavoro, ma l’incontestabilità dell’obiezione rivoltagli lo costrinse a
trattenere il caos che aveva dentro.
La sua ultima domanda conduceva
obiettivamente ad un punto morto, come dimostrava l’espressione sempre più
contrita del giovane.
Emise un respiro strascicato, reprimendo in
esso rabbia e irrequietezza.
Kakashi proseguì al suo posto
l’interrogatorio, affrettandosi a riportare la conversazione sul binario giusto.
“Dove siete andati quella sera?”
Con lo sguardo ancora basso, incollato alla
prova inconfutabile del suo errore, Kiba Inuzuka ingoiò la frustrazione che gli
impediva di parlare, troncandogli il respiro, poi cercò nella nebbia dei suoi
pensieri la risposta richiesta.
Era un'informazione banale eppure difficile
da recuperare, in quegli istanti in cui niente sembrava avere più una reale importanza.
"Eravamo in discoteca..." disse
flebile.
Si schiarì la gola e continuò.
"La discoteca Alba. "
Ancora stretto tra l'irritazione e il
disappunto, Sasuke sentì la notizia come si percepisce un brusio lontano, con
distratta indifferenza, finché la sua mente non realizzò il peso di quelle due
semplici parole e un fremito di soddisfazione lo smosse con un violento
scossone; in un attimo, tutti i sentimenti negativi si dissolsero in un senso
di appagamento, inaspettato quanto inebriante: nessun altro ostacolo si
frapponeva più tra lui e il suo obiettivo.
"Hai visto il tuo amico parlare con
qualcuno in particolare?" intervenne con una nota di aspettativa nella
voce.
Desiderava una conferma definitiva o
semplicemente maggiori dettagli, tracce di Itachi che potessero ravvivare le
foto di anni passati? Probabilmente entrambe le cose, ma evitò di chiederselo
fino in fondo; si limitò ad attendere una risposta.
Il ragazzo si sforzò di ricordare chi
potesse aver avvicinato l'amico per il tempo necessario allo scambio di una
dose di droga; tuttavia nessun momento di quella maledetta sera si fissava in
modo nitido nella sua mente.
In un moto di rabbia strinse i pugni, ma le
unghie che penetravano nella pelle
non scalfivano minimamente il dolore sordo che l'attanagliava.
Al suo ennesimo silenzio l'entusiasmo
dell'Uchiha subì una brusca battuta d'arresto, lasciando una scia amara di
delusione.
"Possibile che fossi già ubriaco
fradicio per capire qualcosa?" domandò infastidito.
Insofferente, l'Inuzuka lo guardò dritto
negli occhi.
"Perché non hai mai bevuto un bicchiere
di troppo, ispettore?!" sbottò, i lineamenti segnati da nervosismo e
stanchezza. "Non hai mai sbagliato?!"
"Di sicuro non ho mai lasciato crepare
un amico," replicò d’istinto Sasuke.
E lo stridio metallico di una sedia spostata
bruscamente vibrò nell'aria tesa della stanza.
In piedi, le mani strette introno al bordo
del tavolo, Kakashi rimase in silenzio per qualche istante, con la vivida
sensazione di aver ricevuto uno schiaffo in pieno viso.
La sferzata di quelle parole era stata più
profonda di quanto credesse.
Trasse un sospirò e in tono asciutto informò
i presenti che avrebbero fatto una pausa, ben consapevole che per lui sarebbe
stata un po’ più lunga, poi se ne andò raggiungendo i colleghi nella stanzetta
attigua, dove avvisò Naruto che avrebbe proseguito l'interrogatorio al suo
posto.
Quanto tempo era passato da quando aveva
messo piede nella casa di un liceale? Cinque anni o forse di più? Ino non riusciva
a ricordarlo con precisione, ma ricordava con chiarezza il disordine che poteva
regnarvi: confezioni di cibo e vestiti sparsi qua e là, fogli e libri in posti
non ordinari.
Eppure lì, a casa di Sai, non trovava nulla
di tutto questo: ogni cosa era dove
doveva essere, forse anche troppo. L’aveva notato mentre le mostrava le varie
stanze e aveva provato una insolita sensazione; era come se in fondo qualcosa
fuori posto ci fosse davvero, ma non capiva di cosa si trattasse.
Sorseggiò un altro po’ del caffè che le
aveva offerto ed allontanò quei pensieri superflui, concentrandosi piuttosto sulla
strategia da attuare. Il ragazzo era andato a recuperare in camera l’album da
disegno e il resto dell’occorrente; ciò le lasciava margine di tempo per
riflettere. Doveva escogitare un espediente che le permettesse di controllare
il suo cellulare abbastanza a lungo da ricavarne le informazioni utili.
Ispezionò con lo sguardo il salone alla
ricerca dell’oggetto in questione, ma non lo vide. Doveva dunque averlo con sé
e se magari l’avesse lasciato in camera...
Il filo dei suoi pensieri fu interrotto
dall’arrivo del liceale.
“Com’è il caffè?” le chiese, stringendo tra
le mani il consueto album, un astuccio scuro e nessun telefonino.
Doveva scoprire assolutamente dove diavolo
l’avesse messo, pensò con decisione.
“Non è male,” commentò sorridendo lievemente.“Ma
piuttosto, ora che hai tutto il necessario per il ritratto, non rischiamo di
essere interrotti, vero?” domandò, poggiando la tazza sul tavolino davanti a sé
e lasciando che una nota di malizia risuonasse nella sua voce.
“Oh, no, di sicuro mio zio ha ben altro a
cui pensare,” rispose Sai pragmatico, poi proseguì con un’espressione scaltra
sul viso, “ma in caso, il mio cellulare è in camera, lontano dalle nostre
orecchie.”
Ino gioì interiormente per la scoperta e si
alzò dal divano con un sorriso entusiasta, recuperando la sua borsa con un
rapido gesto.
“Quindi, se approfitto per rinfrescarmi e
sistemarmi un po’ prima del ritratto, non sprecherò certo tempo prezioso,” disse
guardandolo sorniona, poi lasciò il salone senza attendere nessun cenno
d’assenso, i lunghi capelli che ondeggiavano sulle spalle.
Si incamminò lungo il corridoio, seguendo il
percorso precedentemente mostratole, ma piuttosto di entrare nel bagno si
intrufolò nella stanza del ragazzo alla ricerca dell’oggetto desiderato, che
trovò su un comodino, accanto ad una lampada da notte.
Come risvegliata dalla tensione del momento,
la voce di Shikamaru la raggiunse attraverso la ricetrasmittente nascosta sotto
la camicetta.
“Ora che hai smesso di filtrare con un
liceale, dovresti recuperare gli ultimi messaggi,” esordì, strascicando le
parole come se fossero un peso sgradito.
Era stanco, preoccupato o infastidito? Si
chiese la poliziotta mentre afferrava il cellulare, conscia che avrebbe ricevuto
la sua risposta appena sarebbe tornata in macchina.
“È quello che sto facendo,” replicò, le dita
che scorrevano veloci sulla tastiera. “E se ci servisse ancora qualche
conferma, il maggior numero di messaggi sono stati scambiati con un certo
Sasori,” lo informò provando un pizzico di compiacimento personale.
Erano messaggi generici, quelli di due normali
amici che decidevano di incontrarsi, ma ritornavano spesso gli stessi elementi:
la palestra, un borsone, il suggerimento di qualcun altro. Uno stesso schema presente
anche nel messaggio più importante: quello sull’incontro per il lunedì
successivo.
“Dicono quello che serve?”
La domanda del compagno era sintetica, ma ne
racchiudeva molte altre.
“Sì, risalgo al numero e te lo mando” disse
in modo altrettanto conciso.
Recuperò il suo cellulare dalla borsa, copiò
il numero dello spacciatore dalla rubrica e lo inviò al collega con un
messaggio. L'operazione le impiegò pochi secondi, scanditi dal battito
accelerato del suo cuore. Era più tesa di quanto pensasse e la conferma
dell'invio le trasmise un senso immediato di liberazione. Trasse un sospiro di
sollievo e rimise ogni cosa al suo posto.
Ora non le restava che tornare in salotto e
riprendere la recita: scrutandosi nello specchio dell'armadio, si sciolse i
capelli, li sistemò dietro le spalle e si rinfrescò il trucco.
"Fatto!" esclamò soddisfatta.
"Fatto cosa?"
"Trucco e parrucco" rispose al poliziotto
in ascolto, tentando di immaginarne l'espressione non senza un certo
divertimento.
Un po' interdetto dalla situazione generale, Naruto
era rimasto a fissare Kakashi che si allontanava.
Senza dubbio Sasuke si era lasciato trascinare da
motivi privati, che lui purtroppo conosceva troppo bene, ma anche la reazione
del collega doveva celare qualcosa di altrettanto personale.
Per un attimo pensò di chiedere a Sakura, però
l'espressione perplessa sul suo viso lo spinse a desistere.
Scrollò le spalle nell’impotente constatazione
della svolta subita da quell'interrogatorio: a quanto sembrava, poteva rendere
più attivo il suo turno di lavoro.
Gettò un'occhiata verso Sasuke e lo vide ancora
seduto, con un'espressione assorta sul viso e i pugni stretti sul tavolo
davanti a sé.
Lo conosceva abbastanza bene da poter interpretare
il corso dei suoi pensieri.
L'impazienza, innescata dalla loro conversazione
della sera prima, era trapelata distintamente nelle sue domande e nei suoi
atteggiamenti, così come la frustrazione per la difficoltà di ottenere qualche
dettaglio in più.
L'unica cosa che voleva in quegli istanti era agire
il piú in fretta possibile: scalpitava dalla voglia di arrestare suo fratello e
di rinchiuderlo in una cella.
Si era sempre chiesto se sarebbe mai stato davvero
in grado di chiudere in quel modo anche i conti col passato; dopo tanti anni ed
energie spese a perseguire quell'obiettivo, temeva che voltare pagina non
sarebbe stato semplice.
L'aveva dopotutto sperimentato in prima persona:
aveva odiato così a lungo suo padre per ritrovarsi dopo la sua morte in preda
solo ad un'infinita amarezza.
Quando tutto sarebbe finito, sarebbe dovuto restare
accanto a Sasuke, anche se l'orgoglio e la testardaggine l’avessero spinto a rifiutare il suo aiuto,
affermando di non averne alcun bisogno.
Per il momento avrebbe iniziato col non fargli
perdere il controllo, se ci teneva davvero a partecipare alle indagini fino in
fondo.
"Sakura, io vado a parlargli prima di
riprendere. Abbiamo una copia in piú dell'identikit dell'assalitore della
ragazza? Potrebbe risultare utile fare qualche domanda... " disse,
esprimendo a parole la conclusione delle sue riflessioni, ma non ottenne alcuna
risposta.
"Sakura?" la richiamò con un tono piú
deciso ma sempre pacato.
Aveva lo sguardo assente, proiettato verso chissá
quali pensieri, e le labbra leggermente schiuse, come se qualcosa d'imprevisto
l'avesse turbata.
Al suo nome ripetuto per la seconda volta, si
ridestò sobbalzando appena.
"Cosa?" chiese disorientata.
"L'identikit del nostro caso. Potresti
recuperarne una copia e portarmela dopo? Se siamo fortunati, il ragazzo avrà visto
qualcosa e riuscirà a ricordare qualche dettaglio in piú sulla serata" le
spiegò con calma.
Doveva essere preoccupata per il comportamento di
Kakashi, ma preferì non soffermarsi sulla questione, perché non avrebbe saputo
cosa dirle nel poco tempo a disposizione. Due parole di circostanza non
sarebbero servite a molto.
Sakura si sforzò di scacciare gli interrogativi che
l'avevano assalita e si affrettò a rispondergli.
"Sì, scusa, vado a prenderne una e te la
porto," disse uscendo dalla stanza.
Naruto la guardò andare via, ripromettendosi di
parlarle piú tardi, poi raggiunse Sasuke.
Quella
notte Kakashi non era riuscito a prendere sonno. Si era rigirato nel letto
diverse volte, pungolato da un immotivato senso d'inquietudine che gli aveva
impedito di chiudere gli occhi e dimenticare l'esistenza del proprio corpo. Non
ricordava per quanto tempo si fosse mosso alla ricerca di una posizione più
comoda, condannando anche il cuscino ad una notte agitata; ma ricordava il
momento esatto in cui il suo tormento era cessato, lasciando solo un vuoto
terribile, per poi ricominciare con un botto assordante.
L'ansia
misteriosa annidatasi nel suo petto aveva alla fine trovato voce: la voce roca
di Rin prima incrinata dalla paura e dall'angoscia, quando con poche parole
gli aveva chiesto di raggiungerla, poi spezzata da un grido silenzioso di
dolore non appena gli aveva comunicato la notizia.
I suoi
singhiozzi gli echeggiavano ancora nelle orecchie e nell'animo, mentre
parcheggiava e scendeva dall'auto.
La
discoteca era ben visibile in lontananza, nonostante il caos di veicoli e
persone che la circondava. La sirena lampeggiante di un'ambulanza proiettava
sulla folla una luce blu intermittente, che si sovrapponeva a quella rossa di
un'auto della polizia.
Rimase
immobile a fissare quello scenario, come se potesse trovare una risposta
nell'intreccio di luci, colori e volti. La telefonata dell'amica l'aveva
lasciato sconcertato e incredulo; se la sofferenza nella sua voce non fosse
stata palpabile, forse avrebbe continuato a non crederci anche in quel momento,
di fronte all'evidente confusione di un evento improvviso e drammatico.
L'immagine
di una Rin sconvolta lo scosse dallo stato catatonico in cui era caduto. Era
giunto fin lì anche perché lei aveva bisogno del suo sostegno; non poteva
fermarsi a contemplare il nulla, nonostante lo squarcio sanguinante che quelle parole
simili a lame gli avevano aperto dentro.
Avanzò,
superando sconosciuti e autovetture, dirigendosi verso una meta precisa, il
punto in cui la calca si diradava formando una sorta di semicerchio. Cercò
l'amica con lo sguardo e alla fine la trovò: in ginocchio sull'asfalto, i
lunghi capelli a coprirle il viso e la mano stretta a pugno sul lembo di un
telo bianco.
Per un
istante infinito, il suo battito cardiaco sembrò arrestarsi e l'aria gli mancò,
mentre la strada diventava instabile sotto i suoi piedi. Non crollò, aveva
promesso a se stesso che sarebbe stato forte per entrambi, ma qualcosa nel
fondo del suo animo si frantumò e le schegge si conficcarono in una vecchia
ferita, riaprendola e approfondendola.
Quando
riuscì a respirare di nuovo, il cuore gli balzò in gola pulsando dolorosamente.
Si sforzò di controllarlo e di recuperare una parvenza di calma, stringendo i
pugni per impedire alle proprie mani di tremare.
Scrutò
con sguardo vacuo gli unici sprazzi visibili del corpo privo di vita del suo
migliore amico: un ciuffo di capelli scuri, il palmo della mano rivolto verso
l'alto, le punte delle scarpe. Le avevano comprate insieme, quelle scarpe.
La
voce di un agente della polizia spazzò via quel pensiero banale ma talmente
quotidiano da causargli una fitta di dolore.
Era il
poliziotto che stava invano tentando di convincere Rin ad alzarsi e
allontanarsi da Obito.
"Lo
conoscevi, ragazzo?" Gli chiese.
Kakashi
lo guardò, per un attimo incapace di pronunciare una sola parola.
Lo conoscevi.
Quelle
due semplici parole si impressero come fuoco nella sua mente, pronte a
immergere l’esistenza dell’amico tra i ricordi del passato.
Il
senso di ineluttabilità lo costrinse a ingoiare un grumo di afflizione."Era
un amico." Sussurrò.
"Cosa
è successo?" Domandò dopo un attimo di pausa, non più sicuro di voler
sapere.
Una
spiegazione dell’accaduto avrebbe davvero allentato il suo tormento? Avrebbe
riempito il vuoto che minacciava di risucchiarlo?
Quando
aveva lasciato il suo appartamento aveva sperato che fosse possibile, ma in
quegli istanti, con la concretezza di un corpo inerte a pochi passi e l’inconsolabile
disperazione di Rin davanti agli occhi, si sentiva vittima dell’ennesima
illusione.
"Un
malore durante una rissa. Pensiamo sia stato causato da droga tagliata male.
Aveva una dose aperta in tasca." Lo informò il poliziotto con poche e
veloci parole.
Kakashi
sbarrò gli occhi, travolto da un'onda improvvisa di stupore e incredulità. Per
un secondo pensò di aver capito male, sperò che fosse solo uno scherzo della
sua immaginazione, ma l'espressione seria dell'uomo e il silenzio successivo
alla sua risposta non sembravano lasciare spazio a dubbi.
Tornò
a guardare il tessuto bianco che copriva Obito, la voce intrappolata in gola e
lo stomaco stretto in una morsa di inquietudine, quella stessa inquietudine che
l’aveva tenuto sveglio nel buio della notte.
Come
aveva potuto non accorgersi mai di nulla? Era la prima fatale volta che l’amico
aveva fatto uso di droga? O era stato davvero così cieco da non cogliere i
segnali di una disastrosa dipendenza?
Frammenti
delle loro ultime conversazioni e degli ultimi momenti trascorsi insieme si
affollarono nella sua mente senza far risaltare nessuna nota stonata, niente
che rivelasse il disagio interiore di Obito.
Appariva
tutto tremendamente assurdo, ma il pesante fardello di essersi lasciato
sfuggire qualcosa di importante si piantò con forza nel suo petto.
Chiuse
gli occhi per non fissare più il bianco fastidioso del telo.
Gli sembrava di averlo ancora conficcato nell'animo,
il bianco assoluto che nascondeva Obito, e avvolti in quel bianco ritrovava
tutti i tormenti dei mesi successivi.
Dopo l'intensa incredulità delle prime ore,
il suo cuore era stato afflitto da un
unico sentimento: un profondo e irreparabile senso di colpa.
Troppo preso dal proprio dolore,
dall'illusione di poterlo placare con l'amicizia, non aveva intuito quello di
chi gli stava accanto. Si era lasciato ingannare dall’esuberanza dell’amico,
dalla maschera di allegria sotto cui nascondeva tutto. Pur di rimarginare la
ferita lasciata dalla morte di suo padre, aveva preferito credere che intorno a
lui andasse tutto bene, perdendo così gli indizi importanti di un altro dramma.
Dopo il tempo interminabile trascorso in
ospedale, tra Rin singhiozzante contro il suo petto e la madre di Obito
totalmente apatica, non aveva avuto il coraggio di chiedere loro se avessero
compreso qualcosa: il timore di sentirsi rinfacciare la propria completa cecità
era stato troppo forte. Avrebbe potuto scavare nei silenzi delle loro
conversazioni, negli sguardi persi nel vuoto e nei gesti compiuti
distrattamente; avrebbe potuto salvarlo e invece era riuscito unicamente a
farlo morire da solo.
Ogni tentativo di capire cosa l'avesse
spinto verso la tossicodipendenza si era rivelato inutile e privo di senso,
rafforzando sempre di più la dolorosa convinzione di aver commesso un errore
che avrebbe rimpianto per sempre. Dal funerale dell'amico fino agli ultimi
giorni del liceo, scanditi dalla decisione di Rin di proseguire gli studi
all'estero, aveva lottato contro un vortice di angoscia e sofferenza,
rischiando di essere risucchiato totalmente in un oscuro pessimismo, finché una
strada inaspettata non gli si era aperta davanti: non poteva tornare indietro
per aiutare Obito, ma avrebbe potuto diminuire il rischio che altri giovani
subissero la sua stessa sorte, reprimendo la criminalità che alimentava la
diffusione della droga.
Dopo la morte di suo padre, l'idea di
entrare in polizia non l'aveva mia sfiorato, anzi l'aveva sempre esclusa
categoricamente; eppure, in quel momento, gli era apparsa come l'unica scelta
possibile, l'unica in grado di concedergli un modo per placare la sua
coscienza. Anche se aveva impiegato altri lunghi anni prima di superare la
paura di creare legami profondi, vincendo la desolata rassegnazione che la
morte di Obito aveva accentuato, la decisione di seguire le orme di suo padre
gli aveva permesso di andare avanti senza arenarsi nelle sue debolezze.
Ogni volta che qualcosa gli ricordava
l'amico, però, niente evitava che i sentimenti del passato lo travolgessero e
che vecchie cicatrici bruciassero come nuove.
"Continuare a metterlo sotto pressione non
porterà a nulla," esordì Naruto entrando nella sala degli interrogatori. "Se
vogliamo ottenere qualche informazione sulla discoteca e, magari su tuo
fratello, é meglio un'atmosfera piú tranquilla" proseguì nel modo piú
disinvolto possibile.
Sasuke gli lanciò uno sguardo che non avrebbe
decifrato facilmente se la loro lunga
conoscenza non gli avesse permesso di scorgere la lieve ruga di disappunto
comparsa tra le sopracciglia.
"Non c'é bisogno che sia tu a dirmelo,"
si limitò tuttavia a replicargli in tono asciutto, senza aggiungere
nient'altro.
Il suo era un silenzio fin troppo eloquente:
l'esito di una meditazione, una decisione chiara, la risposta ad un avvertimento
che non era necessario esternare.
Sapevano entrambi cosa si erano detti la sera precedente
e cosa avevano omesso; non avrebbero ricorso in quel momento a parole superflue
e ingombranti.
"Comunque a conclusione, se non vuoi farlo tu,
informerò io il commissario," affermò Naruto appena gli fu accanto.
Sasuke stirò le labbra in una linea dritta, con un
movimento quasi impercettibile.
Attendeva quell'inevitabile frase e l'incassò senza
scomporsi, emettendo un semplice mugugno di assenso.
Le sue priorità coincidevano in qualche modo con
quelle delle indagini; nasconderlo era inutile e compromettere il risultato
finale lontano dalle sue intenzioni.
"No, spiegherò io la situazione," rispose
conciso.
Naruto lo fissò, cogliendo la determinazione nei
lineamenti tesi, e in qualche modo si sentì tranquillizzato.
Trasse un sospiro interiore di sollievo e si
sedette accanto al collega.
"Per quanto riguarda l'interrogatorio, invece,
Sakura é andata a prendere l'identikit del nostro caso. Lo stupro é avvenuto
all'Alba, forse l'Inuzuka ha notato qualcosa e gli si potrebbe rinfrescare la
memoria", prosegui anticipandogli le sue intenzioni.
Sasuke vagliò per qualche istante l'ipotesi: temeva
che il ragazzo non sarebbe riuscito a ricordare qualcosa, a causa di tutto
l'alcool ingerito quella notte, tuttavia erano ancora lì e tentare non costava
nulla.
Si alzò per andare a chiamarlo, ma fu anticipato
dalla porta che si apriva, da cui Sakura entrò seguita dall'Inuzuka.
La poliziotta lo invitò ad accomodarsi, poi si
avvicinò ai colleghi consegnando loro una cartellina.
Naruto la ringraziò, poi si rivolse al ragazzo
presentandosi.
“Dunque, sono l'ispettore Uzumaki e continuerò
l'interrogatorio al posto dell'ispettore Hatake,” esordì. “Mi dispiace
insistere, ma devo farti qualche altra domanda.”
Mentre Sakura salutava lasciando la stanza, il
poliziotto prese il foglio contenuto nella cartellina e lo girò verso
l'interrogato.
“Questo è l'identikit di un uomo che era all'Alba
la sera stessa dell'incidente,” gli spiegò con calma. “Non dovrebbe essere
legato alla tua situazione, ma ci aiuterebbe sapere se per caso l'hai visto.”
Il ragazzo osservò il ritratto con attenzione,
sforzandosi di associare il volto disegnato a qualche cliente intravisto quella
notte.
Il particolare a balzargli subito all'occhio fu la
lunga chioma raccolta in un'alta coda di cavallo, una capigliatura che
difficilmente poteva passare inosservata.
Se quell'uomo gli era stato accanto per qualche
istante, era possibile che gli fosse sfuggito?
La risposta gliela fornì il flash improvviso di capelli
che ondeggiavano, accompagnando i movimenti sicuri di mani esperte nella
preparazione di cocktail.
"È il barista... mi ha servito qualche drink
quella sera" affermò, tentando di rievocare intanto qualche dettaglio in
più sull'uomo.
Naruto esultò interiormente: non aveva dubitato dei
ricordi della ragazza, ma se le informazioni di altre persone combaciavano con
la sua versione dei fatti, il delinquente che cercavano aveva le ore contate.
“A che punto della serata ti ha servito?”
“Non saprei, non
eravamo arrivati da molto. Forse era intorno alle undici.”
Probabilmente poche
ore prima che avvenisse la violenza, rifletté soddisfatto il poliziotto,
incrociando le dita per l’esito della domanda successiva.
"Mentre eri lì
seduto, l'hai visto parlare in modo particolare con qualche cliente?"
L'Inukuza ci pensò qualche
istante, rimestando tra i ricordi portati a galla dal volto del barista.
"Non mi sembra
di ricordare niente di strano..."
"Non ti viene in
mente qualcosa che ti abbia colpito?"
"Uhm, no, era
tutto come sempre, qualche drink, qualche chiacchiera...” rispose sulle prime, ma
poi un altro dettaglio di quelle ore gli balzò in mente.
“Ah, però, ad un certo
punto è arrivata una ragazza… Non so se può essere utile, ma la ricordo perché
aveva il tipico sguardo di chi vuole bere per dimenticare. Effettivamente il
barista ha provato a parlarci per un bel po' finché sono stato al bancone."
Naruto l'ascoltò
soddisfatto: forse era una scena abituale quella descritta dal ragazzo, ma
aggiunto a tutto il resto era abbastanza per ridurre le ore di libertà del
barista.
Raccolte le nuove
informazioni, gli sembrò arrivato il momento giusto per tornare all’argomento
iniziale della conversazione; era sul puntò di porre un’altra domanda quando il
collega lo anticipò.
“Oltre al barista,
non ricordi nessun altro dipendente del locale?” intervenne, con un tono
apparentemente neutro per un orecchio non allenato come il suo.
Quando
era rimasta da sola, nella saletta attigua alla stanza degli interrogatori, si
era sforzata davvero di rimanere concentrata, di seguire col giusto interesse
lo scambio di battute tra Naruto e Kiba Inuzuka, ma non c’era riuscita. Le era
stato impossibile non pensare al comportamento insolito di Kakashi, alla sua
assenza e al solido pugno di preoccupazione che l’aveva colpita sotto lo sterno
non appena se n’era andato. Con lo scorrere dei minuti, l’inquietudine non si
era per nulla attenuta, né tanto meno tendeva a svanire ora che si dirigeva
nell’unico posto in cui credeva di poterlo trovare.
Poteva
ripetersi mille volte il contrario, ma il pensiero che qualcosa legato a quel
caso l’avesse turbato e lo facesse star male procurava anche in lei un
innegabile dolore sordo, insieme al pressante bisogno di accertarsi della
situazione. In fondo, erano stati amici e gli aveva voluto bene, così come
gliene voleva ancora, nonostante tutto, quindi pensò che non ci fosse niente di
strano nel cercarlo, sebbene nell’ultima settimana avesse fatto ben altro,
nell’intento di allontanare l’ombra scomoda di un amore.
Se
si fosse fermata anche solo un attimo in più a riflettere, avrebbe collegato
ciò che provava in quegli istanti allo spasmo allo stomaco avvertito quando
l’aveva visto chiacchierare tranquillamente con Shizune, aggiungendo entrambi
quegli indizi ai pensieri e ai ricordi intrufolatisi nella sua mente davanti alla
tomba dei suoi genitori. Sarebbe giunta così alla conclusione che quell’ombra
era più che altro una luce accecante e non si sarebbe spenta in nessun modo,
per quanto volesse illudersi, mettendo forse a tacere la sua coscienza.
In
ogni caso, quando si affacciò alla porta del suo ufficio e lo vide seduto alla
sua scrivania, con una mano tra i capelli a sorreggersi il capo e
un’espressione assorta sul viso, continuò a non trovare alcun motivo per
considerare sbagliato o avventato il proprio gesto.
Ingoiò
il senso di agitazione, prima di trovare il coraggio di bussare.
“Kakashi?” Disse con voce
incerta, non appena ne fu in grado.
L’uomo
sgranò gli occhi, sorpreso di sentire una voce chiamarlo e fra tante proprio la
sua; si voltò leggermente verso l’ingresso, senza allontanare la mano dalla
fronte, ma scostandola quanto bastava per guardare in volto la sua
interlocutrice. Rimase in silenzio a valutare la situazione.
Qualunque
cosa volesse, quello non era il momento più opportuno per parlarne. Con l’amarezza
e l’angoscia che il ripensare ad Obito gli aveva messo addosso, non si sentiva esattamente nelle condizioni di
relazionarsi in modo pacato e razionale; non ne era in grado in ambito
lavorativo, motivo per cui aveva abbandonato l’interrogatorio, né tanto meno
poteva esserlo con lei.
La
decisione definitiva presa con la propria coscienza e il vederla a pochi metri
da lui, giunta lì spontaneamente dopo che nell’ultima settimana l’aveva evitato
in modo drastico, erano elementi in più che gli davano la consapevolezza che
avrebbe potuto commettere un errore, comportandosi nel modo opposto a quello
che avrebbe richiesto un loro chiarimento.
Sperò
pertanto che accettasse il suo invito ad andarsene, evitando di avvicinarsi a
lui.
“Non
è il momento, Sakura. Per niente. Ho bisogno di restare da solo.” Disse con un
tono più brusco di quello che avrebbe voluto, e pensò che avrebbe dovuto
metterci almeno la parola ‘scusa’ in quella frase.
Notò
infatti la poliziotta irrigidirsi per un attimo, ancora ferma sulla soglia
dell’ufficio, ma ciò non impedì che entrasse e che facesse qualche passo verso
di lui. Si chiese allora cosa di preciso l’avesse spinta a venire a cercarlo,
quando c’era, tra l’altro, lavoro importante da svolgere.
“Volevo…
volevo capire cosa c’è che non va.” Affermò Sakura, sentendosi subito dopo
immensamente stupida, oltre che tremendamente imbarazzata, tanto più davanti
allo sguardo interrogativo e forse infastidito che l’uomo le indirizzò.
Kakashi,
superato un momento di incertezza, si alzò.
“Perché
ti interessa?” Le chiese serio dopo qualche istante di silenzio, sapendo in
fondo già la risposta, ma avvertendo a quel punto il bisogno di conoscere anche
la sua versione.
Di
fronte a quella domanda, al tono freddo con cui era stata pronunciata e
all’odiosa espressione indecifrabile che spesso lo contraddistingueva, la
ragazza strinse d’istinto i pugni e fissò il pavimentò. Forse si era sbagliata
ancora una volta: il fatto che alcuni
giorni prima li avesse accomunati il ricordo di suo padre e il gesto dell’uomo
che ne era seguito non implicavano per forza che per lui la loro amicizia avesse
avuto qualche valore. E di interrogarsi su cosa allora significasse non ne
aveva più grande voglia.
“Nonostante
tutto, mi sono sforzata di credere che fossimo stati almeno amici.” Disse con
palese delusione, lottando ancora per sciogliere il nodo che le bloccava la
gola.
Se
avesse incrociato gli occhi dell’uomo in quegli istanti, vi avrebbe colto
l’ennesimo senso di colpa. Leggere dietro la sua semplice affermazione tanti
sottintesi - il dolore, la solitudine, il vedersi sfuggire tra le mani anche
l’ultima piccola certezza, provandone tutta l’inconsistenza e cercando lo
stesso di aggrapparcisi - gli aveva fatto mancare il terreno sotto i piedi.
Per
non cadere sotto il colpo del rimorso, l’ispettore le si avvicinò, sfiorandole
un braccio e ottenendo, come sperava, che la collega tornasse a guardarlo;
scrutò le sue iridi smeraldine che non avrebbe mai smesso di amare, iridi
velate dall’incertezza e dalla perplessità, se non anche da un pizzico di
paura.
“Questa
settimana mi hai totalmente evitato, quindi non pensavo saresti venuta qui per
sapere come stessi… “
E sono così egoista da aver anteposto al
tuo stato d’animo la necessità di sentire il motivo dalla tua voce, avrebbe aggiunto con qualche difficoltà,
cercando di rendere le sue parole un’assunzione di responsabilità e non delle
mere quanto inutili giustificazioni, ma Sakura non gliene diede il tempo;
scostò bruscamente la sua mano con un movimento repentino del braccio, mentre
gli scagliava contro quello che teneva dentro da lungo tempo.
“Una
settimana non è come sei anni!” Gli rinfacciò con rabbia, assottigliando lo
sguardo, e per quanto Kakashi si aspettasse una frase del genere e sapesse di
meritarsela, ciò non gli evitò una stilettata improvvisa all’altezza del petto.
Non
lasciò, però, che fosse di nuovo il suo dolore a prendere il sopravvento e le
afferrò subito il polso ancora a mezz’aria, con una stretta ferma ma delicata.
Non poteva andare avanti così, tra dubbi e recriminazioni, per nessuno di tutte
e due, si erano già tormentati troppo senza ragione; avrebbe dato un taglio
netto alla loro situazione in quell’istante.
Sollevò
l’avambraccio della collega piegandolo verso di lei, senza dover forzare quel
movimento, facilitato dall’averla presa in contropiede, poi diminuendo la
distanza tra di loro fece scivolare l’altro braccio dietro la sua schiena,
fermandosi all’altezza delle scapole, e l’attirò a sé.
Sakura
non si mosse, paralizzata dall’idea di ciò che sembrava stesse per accadere e
che era stata lontana anni luce dalla sua mente fino a cinque minuti prima;
fissò incredula il viso dell’uomo farsi sempre più vicino e chiuse gli occhi
quando ebbe l’impressione che sarebbe morta da un momento all’altro a causa del
battito impazzito del suo cuore, amplificato dal tempo sospeso che li
avvolgeva. Lasciò che la lingua di Kakashi premesse contro le sue labbra e si
intrecciasse alla sua, anche con una certa irruenza, irruenza che non le
dispiacque, ma che nello stesso tempo fece nascere calde lacrime che trattenne
a fatica.
Si
era sentita così a lungo confusa, inquieta, ferita, che lo sciogliersi di quei
sentimenti era come un balsamo tonificante, sebbene non potesse spiegarsi
ancora tante cose, un balsamo che però non le nascondeva chi ne avrebbe pagato
le pene peggiori. Quando avvertì le sue guance bagnarsi, spinse con violenza
l’uomo lontano da sé e arretrò, con il capo basso e le ciocche dei capelli che
le ricadevano scompostamente sul volto, senza nascondere la smorfia che lo
deformava.
“Perché
è così difficile capirti?” Biascicò, con il
fiato corto per il bacio appena conclusosi e per l’emozione che ancora la
sopraffaceva.
Se
fosse stato il contrario, non sarebbe arrivata a quel punto.
Con
questa consapevolezza, scappò da
quell’ufficio, non rivolgendo nemmeno un’occhiata fugace all’ispettore, che la
osservò andar via avvertendo sugli zigomi le tracce umide delle sue lacrime.
Note dell'autore
Questa
volta non perderò tempo a cercare parole di scuse, più che altro perché
sarebbero sempre le stesse. Diciamo semplicemente che negli ultimi anni
diverse questioni hanno richiesto totale attenzione e che questo
capitolo nello specifico mi ha fatto penare abbastanza.
Sasuke credo di non saperlo gestire per nulla, infatti ho faticato
tanto a cercare di renderlo coerente e sensato e non so come sia il
risultato. Kakashi, Sakura e Naruto, invece, non so se nel modo giusto,
ma fanno quello che fanno senza troppi sforzi. In questo capitolo si
scopre l'ultimo tassello dei drammi kakashiani e finalmente Kakashi e
Sakura abbattono un po' il muro fatto di parole non dette e sentimenti
non espressi (Ed era anche ancoraXD). Le indagini invece
arrivano a toccare qualche nodo della matassa che nei prossimi
capitoli dovrà sciogliersi in qualche modo. Non so quanto mi ci vorrà,
ma speriamo non sia un altro anno.
In ogni caso spero che il capitolo sia decente e che vi sia piaciuto.
Ringrazio la magnifica beta che mi ha dato una mano anche al di là
della Manica e chiunque lascerà in qualche modo segno del suo
passaggio^^