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Autore: Aya88    03/02/2018    0 recensioni
A volte il passato può essere doloroso, ma si cerca ugualmente di andare avanti e si può giungere a pensare di averlo superato. Quando però ritorna insieme alla sofferenza e ai sentimenti negativi che l'avevano caratterizzato, le certezze acquisite crollano e per non crollare con esse è indispensabile il sostegno di chi ci sta accanto.
E' questo quello che capiranno i protagonisti, chi in un modo, chi in un altro, tra indagini poliziesche e banchi di scuola.
Prima long-fic, spero possa piacere a qualcuno.
Paring: KakaSakuNaru, InoShika, TsunadeJiraiya, AsumaKurenai.
Genere: Generale, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Capitolo 12




Nel primo pomeriggio, Kiba Inuzuka varcò la soglia del commissariato, con un braccio fasciato stretto contro il torace e lo sguardo che vagava incerto tra gli uomini in divisa.
Cercava qualcuno che gli indicasse a chi rivolgersi, con un macigno sullo stomaco che probabilmente non l'avrebbe abbandonato per tutto l'interrogatorio; Kakashi poteva intuirlo dai movimenti esitanti, dall'espressione tesa e dal sospiro di stanchezza che si lasciò sfuggire non appena un agente gli si avvicinò.
Aveva perso il conto di quante persone aveva visto entrare in centrale con la voglia di andarsene immediatamente, sperando di seppellire l'angoscia sotto il ritmo sempre uguale della quotidianità, nonostante l'amara consapevolezza che il ritmo non poteva più essere lo stesso.
Aveva provato quelle sensazioni sulla propria pelle anni addietro e non gli era difficile riconoscerle. Non capì cosa esattamente l'avesse spinto a pensarci, ma si affrettò ad allontanare ogni possibile ombra di turbamento, prima che il collega accompagnasse il giovane direttamente da lui.
“Ispettore, il ragazzo è qui per un interrogatorio”, lo informò con un piccolo cenno della mano diretto verso il nuovo arrivato.
“Grazie, Kuro-san, ci penso io. Per favore, avvisa l'ispettore Uchiha di raggiungermi.”
L'interrogatorio rappresentava un momento di svolta per le indagini e vi avrebbero assistito anche Naruto e Sakura, sebbene da un'altra stanza, ma gli parve superfluo comunicarlo a Kiba Inuzuka. Si limitò solo a presentarsi e a chiedergli di seguirlo, indossando l'espressione più rassicurante possibile: riteneva controproducente aggiungere ulteriori fattori di agitazione all'ansia già palpabile, a meno che la necessità di giungere alla verità non lo rendesse inevitabile, qualcosa che avrebbe scoperto solo tra qualche minuto.
Invitò il ragazzo ad accomodarsi, prima di sedersi a sua volta davanti ai documenti che aveva in precedenza lasciato sul tavolo: il rapporto della polizia stradale, ma soprattutto i risultati dell'autopsia, supporti molto utili per creare pressione ma di cui sperava vivamente di fare a meno.
“Il mio collega arriverà a breve, intanto puoi iniziare a raccontarmi ciò che ricordi del sinistro” esordì, recuperando per primo il foglio scritto da Tenzo.
Come al solito la penna dell'amico era riconoscibile nella precisione e semplicità della descrizione, al punto che gli sembrava quasi di vedere le fasi dell'incidente scorrere davanti agli occhi e ciò non poteva che essere un vantaggio; sarebbe stato più semplice intuire dalle risposte del ragazzo quale fosse il suo stato mentale durante l'accaduto, se fosse lucido oppure ottenebrato dall'alcool o, peggio, dalla droga.
L'Inuzuka parve raccogliere le idee prima di replicare, con le labbra strette in una linea di concentrazione e una luce di amarezza nello sguardo.
Forse non aveva avuto il tempo o le forze di pensare ad una spiegazione oppure semplicemente ricordare era l'ultima cosa che avrebbe voluto.
“Non ricordo bene cosa sia successo...” cominciò titubante, “avevo bevuto un po’ troppo, per questo avevo lasciato che Shino guidasse.”
L'alcool dunque risultava essere stato il primo responsabile dell'incidente, mettendo al volante la persona sbagliata, pensò l'ispettore, mentre lanciava un'occhiata veloce ad alcune frasi del rapporto. Si chiese però a quanto equivalesse quel “bere un po' troppo”; stava per accertarsene quando Sasuke entrò nella stanza, con un'espressione anche fin troppo seria dipinta sul volto.
“Scusa il ritardo, Kakashi, ma dovevo sistemare una faccenda” gli disse prima di sedersi accanto a lui e presentarsi all'Inuzuka.
In realtà non avrebbe avuto alcun bisogno di scusarsi, ma quell'esordio sottintendeva un chiaro messaggio: Naruto e Sakura erano nella stanza attigua, in ascolto, pronti anche loro a carpire qualsiasi informazione potesse risolvere le indagini a cui lavoravano ormai da mesi.
L'immagine di Sakura si affacciò nella sua mente con prepotenza, forse sulla scia della decisione maturata recentemente, ma per quanto piacevole la scacciò, relegandola nell'angolino delle questioni in sospeso da affrontare il prima possibile.
“Quindi cosa ti è rimasto impresso della dinamica dell'incidente?” riprese, concentrandosi sulla conduzione dell'interrogatorio.
“È successo nei pressi di un incrocio, era buio e forse Shino correva troppo...” replicò il giovane, scandendo con calma le parole, ma esitando nel pronunciare il nome dell'amico.
Ingoiò un grumo d'ansia prima di proseguire.
“Non ho visto arrivare il motorino, ho solo sentito qualcosa schiantarsi contro la portiera e poi... niente, è successo tutto troppo in fretta... Shino non è riuscito a frenare in tempo, credo...” terminò abbassando lo sguardo, con i pugni stretti in un moto di irritazione.
Kakashi riusciva a leggere sui lineamenti dell'Inuzuka l'oppressione del senso di colpa, uno stato d'animo per lui anche fin troppo familiare.
L'alcool in circolo nel suo corpo non gli aveva permesso di notare il sopraggiungere di un veicolo con diritto di precedenza e l'imminente pericolo dovuto alla noncuranza del conducente; che l'esito fosse stato la morte di un caro amico rendeva sicuramente l'errore insostenibile e imperdonabile. 
Era quello il momento più opportuno per insinuare che la poca chiarezza dei ricordi e l’incidente dipendessero anche dall'assunzione di stupefacenti: l'instabilità emotiva del testimone avrebbe reso più facile ottenere una risposta veritiera.
Prima che riuscisse a dire qualcosa Sasuke intervenne, sfruttando in modo immediato l'occasione presentatasi.
“Non ti sei reso conto che il tuo amico era sotto l’effetto della droga?” chiese in tono asciutto, con una domanda così diretta che spiazzò non solo l'interrogato ma anche il collega.
Era forse la più semplice e ovvia da porre, eppure ascoltarla fu per Kakashi come un sasso scagliato nelle acque placide di un lago, capace di turbarne la superficie piatta, smuovendo nel contempo i detriti del fondale. E scrutare in lontananza i detriti del suo passato, celati sotto l'apparente tranquillità del presente, era sempre un affacciarsi sul vuoto. 
“Oppure per voi era qualcosa di così naturale da non essere un problema?” sentì l'Uchiha proseguire, col chiaro intento di strappare un'ammissione di colpevolezza.
Sul volto di Kiba Inuzuka comparve però il più genuino stupore e a quel punto gli sembrò persino di tuffarvisi, nel vuoto.
Rimase in silenzio, impassibile, tentando di conservare un saldo controllo sulle proprie emozioni, mentre il collega poneva sotto lo sguardo perplesso del ragazzo una pagina dell'autopsia che illustrava, con poche ma precise parole, lo stato fisico del defunto al momento dell'incidente.
Non avrebbe saputo dire se il giovane stesse leggendo davvero gli ideogrammi impressi sul foglio bianco, ma l'incredulità e l'angoscia si confondevano in piena libertà nei suoi occhi scuri tanto che insistere in quella direzione gli sembrò tutto ad un tratto inutile.
Sasuke non fu però dello stesso avviso.             
Come gli avevano insegnato alla scuola di polizia, era stato attento anche alle più piccole reazioni dell’interrogato, comprendendo sia come fosse all’oscuro della causa profonda dell’incidente, sia quali fossero gli effetti della scoperta improvvisa; tuttavia, il dolore e il rimpianto non gli sembravano nulla in confronto ad una vita spezzata.
Il crimine, come la legge, non ammette ignoranza, pensò con ferma convinzione mentre l’irritazione si accendeva silenziosa, alimentata dall’eco di ricordi lontani eppure sempre più vicini da quando aveva scoperto la presenza di Itachi in città.
Non avrebbe mai tollerato la cecità o l’ottusità in questioni di così vitale importanza; se qualcuno avesse alzato lo sguardo dal proprio orticello, la morte di suo padre e lo sfascio della sua famiglia sarebbero stati evitati.
“Come accidenti è possibile che non ti sei mai accorto che si drogasse?” domandò, le sopracciglia aggrottate in un'espressione quasi contrariata e il consueto tono atono intaccato da schegge di sorpresa e di accusa. “Eravate amici e non hai mai avuto nemmeno un sospetto?”
Prima che potesse razionalmente pensare Kakashi lo interruppe, riprendendolo con voce roca.
“Sasuke.” disse secco, con lo sguardo inespressivo e i pugni serrati sulle ginocchia.
Per un attimo, si sentì distante da tutto e tutti, finché non percepì l’occhiata di disapprovazione scoccatagli dall’Uchiha.
Sospirò interiormente, ignorando il collega e richiamando a sé la calma perduta; rilassò le mani e lasciò scivolare le dita sul tessuto morbido dei pantaloni.   
“Non mi sembra sia quello che ci interessa” aggiunse, spezzando il silenzio calato all’improvviso.
Al suo fianco, Sasuke storse le labbra in una piega di nervosismo.
Non sopportava essere rimproverato, tanto meno sul lavoro, ma l’incontestabilità dell’obiezione rivoltagli lo costrinse a trattenere il caos che aveva dentro.
La sua ultima domanda conduceva obiettivamente ad un punto morto, come dimostrava l’espressione sempre più contrita del giovane.
Emise un respiro strascicato, reprimendo in esso rabbia e irrequietezza.      
Kakashi proseguì al suo posto l’interrogatorio, affrettandosi a riportare la conversazione sul binario giusto.
“Dove siete andati quella sera?”
Con lo sguardo ancora basso, incollato alla prova inconfutabile del suo errore, Kiba Inuzuka ingoiò la frustrazione che gli impediva di parlare, troncandogli il respiro, poi cercò nella nebbia dei suoi pensieri la risposta richiesta.
Era un'informazione banale eppure difficile da recuperare, in quegli istanti in cui niente sembrava avere più una reale importanza.
"Eravamo in discoteca..." disse flebile.
Si schiarì la gola e continuò.
"La discoteca Alba. "
Ancora stretto tra l'irritazione e il disappunto, Sasuke sentì la notizia come si percepisce un brusio lontano, con distratta indifferenza, finché la sua mente non realizzò il peso di quelle due semplici parole e un fremito di soddisfazione lo smosse con un violento scossone; in un attimo, tutti i sentimenti negativi si dissolsero in un senso di appagamento, inaspettato quanto inebriante: nessun altro ostacolo si frapponeva più tra lui e il suo obiettivo.
"Hai visto il tuo amico parlare con qualcuno in particolare?" intervenne con una nota di aspettativa nella voce.
Desiderava una conferma definitiva o semplicemente maggiori dettagli, tracce di Itachi che potessero ravvivare le foto di anni passati? Probabilmente entrambe le cose, ma evitò di chiederselo fino in fondo; si limitò ad attendere una risposta.
Il ragazzo si sforzò di ricordare chi potesse aver avvicinato l'amico per il tempo necessario allo scambio di una dose di droga; tuttavia nessun momento di quella maledetta sera si fissava in modo nitido nella sua mente. 
In un moto di rabbia strinse i pugni, ma le unghie che penetravano nella pelle non scalfivano minimamente il dolore sordo che l'attanagliava.
Al suo ennesimo silenzio l'entusiasmo dell'Uchiha subì una brusca battuta d'arresto, lasciando una scia amara di delusione.
"Possibile che fossi già ubriaco fradicio per capire qualcosa?" domandò infastidito.
Insofferente, l'Inuzuka lo guardò dritto negli occhi.
"Perché non hai mai bevuto un bicchiere di troppo, ispettore?!" sbottò, i lineamenti segnati da nervosismo e stanchezza. "Non hai mai sbagliato?!"
"Di sicuro non ho mai lasciato crepare un amico," replicò d’istinto Sasuke.
E lo stridio metallico di una sedia spostata bruscamente vibrò nell'aria tesa della stanza.
In piedi, le mani strette introno al bordo del tavolo, Kakashi rimase in silenzio per qualche istante, con la vivida sensazione di aver ricevuto uno schiaffo in pieno viso.
La sferzata di quelle parole era stata più profonda di quanto credesse.
Trasse un sospirò e in tono asciutto informò i presenti che avrebbero fatto una pausa, ben consapevole che per lui sarebbe stata un po’ più lunga, poi se ne andò raggiungendo i colleghi nella stanzetta attigua, dove avvisò Naruto che avrebbe proseguito l'interrogatorio al suo posto.



Quanto tempo era passato da quando aveva messo piede nella casa di un liceale? Cinque anni o forse di più? Ino non riusciva a ricordarlo con precisione, ma ricordava con chiarezza il disordine che poteva regnarvi: confezioni di cibo e vestiti sparsi qua e là, fogli e libri in posti non ordinari.
Eppure lì, a casa di Sai, non trovava nulla di tutto questo: ogni cosa era dove doveva essere, forse anche troppo. L’aveva notato mentre le mostrava le varie stanze e aveva provato una insolita sensazione; era come se in fondo qualcosa fuori posto ci fosse davvero, ma non capiva di cosa si trattasse.
Sorseggiò un altro po’ del caffè che le aveva offerto ed allontanò quei pensieri superflui, concentrandosi piuttosto sulla strategia da attuare. Il ragazzo era andato a recuperare in camera l’album da disegno e il resto dell’occorrente; ciò le lasciava margine di tempo per riflettere. Doveva escogitare un espediente che le permettesse di controllare il suo cellulare abbastanza a lungo da ricavarne le informazioni utili.
Ispezionò con lo sguardo il salone alla ricerca dell’oggetto in questione, ma non lo vide. Doveva dunque averlo con sé e se magari l’avesse lasciato in camera...
Il filo dei suoi pensieri fu interrotto dall’arrivo del liceale.
“Com’è il caffè?” le chiese, stringendo tra le mani il consueto album, un astuccio scuro e nessun telefonino.
Doveva scoprire assolutamente dove diavolo l’avesse messo, pensò con decisione.
“Non è male,” commentò sorridendo lievemente.“Ma piuttosto, ora che hai tutto il necessario per il ritratto, non rischiamo di essere interrotti, vero?” domandò, poggiando la tazza sul tavolino davanti a sé e lasciando che una nota di malizia risuonasse nella sua voce.
“Oh, no, di sicuro mio zio ha ben altro a cui pensare,” rispose Sai pragmatico, poi proseguì con un’espressione scaltra sul viso, “ma in caso, il mio cellulare è in camera, lontano dalle nostre orecchie.”
Ino gioì interiormente per la scoperta e si alzò dal divano con un sorriso entusiasta, recuperando la sua borsa con un rapido gesto.
“Quindi, se approfitto per rinfrescarmi e sistemarmi un po’ prima del ritratto, non sprecherò certo tempo prezioso,” disse guardandolo sorniona, poi lasciò il salone senza attendere nessun cenno d’assenso, i lunghi capelli che ondeggiavano sulle spalle.
Si incamminò lungo il corridoio, seguendo il percorso precedentemente mostratole, ma piuttosto di entrare nel bagno si intrufolò nella stanza del ragazzo alla ricerca dell’oggetto desiderato, che trovò su un comodino, accanto ad una lampada da notte.
Come risvegliata dalla tensione del momento, la voce di Shikamaru la raggiunse attraverso la ricetrasmittente nascosta sotto la camicetta.
“Ora che hai smesso di filtrare con un liceale, dovresti recuperare gli ultimi messaggi,” esordì, strascicando le parole come se fossero un peso sgradito.
Era stanco, preoccupato o infastidito? Si chiese la poliziotta mentre afferrava il cellulare, conscia che avrebbe ricevuto la sua risposta appena sarebbe tornata in macchina.
“È quello che sto facendo,” replicò, le dita che scorrevano veloci sulla tastiera. “E se ci servisse ancora qualche conferma, il maggior numero di messaggi sono stati scambiati con un certo Sasori,” lo informò provando un pizzico di compiacimento personale.
Erano messaggi generici, quelli di due normali amici che decidevano di incontrarsi, ma ritornavano spesso gli stessi elementi: la palestra, un borsone, il suggerimento di qualcun altro. Uno stesso schema presente anche nel messaggio più importante: quello sull’incontro per il lunedì successivo.
“Dicono quello che serve?”
La domanda del compagno era sintetica, ma ne racchiudeva molte altre.
“Sì, risalgo al numero e te lo mando” disse in modo altrettanto conciso.
Recuperò il suo cellulare dalla borsa, copiò il numero dello spacciatore dalla rubrica e lo inviò al collega con un messaggio. L'operazione le impiegò pochi secondi, scanditi dal battito accelerato del suo cuore. Era più tesa di quanto pensasse e la conferma dell'invio le trasmise un senso immediato di liberazione. Trasse un sospiro di sollievo e rimise ogni cosa al suo posto.
Ora non le restava che tornare in salotto e riprendere la recita: scrutandosi nello specchio dell'armadio, si sciolse i capelli, li sistemò dietro le spalle e si rinfrescò il trucco.
"Fatto!" esclamò soddisfatta.
"Fatto cosa?"
"Trucco e parrucco" rispose al poliziotto in ascolto, tentando di immaginarne l'espressione non senza un certo divertimento.

 


Un po' interdetto dalla situazione generale, Naruto era rimasto a fissare Kakashi che si allontanava.
Senza dubbio Sasuke si era lasciato trascinare da motivi privati, che lui purtroppo conosceva troppo bene, ma anche la reazione del collega doveva celare qualcosa di altrettanto personale.
Per un attimo pensò di chiedere a Sakura, però l'espressione perplessa sul suo viso lo spinse a desistere.
Scrollò le spalle nell’impotente constatazione della svolta subita da quell'interrogatorio: a quanto sembrava, poteva rendere più attivo il suo turno di lavoro.
Gettò un'occhiata verso Sasuke e lo vide ancora seduto, con un'espressione assorta sul viso e i pugni stretti sul tavolo davanti a sé.
Lo conosceva abbastanza bene da poter interpretare il corso dei suoi pensieri.
L'impazienza, innescata dalla loro conversazione della sera prima, era trapelata distintamente nelle sue domande e nei suoi atteggiamenti, così come la frustrazione per la difficoltà di ottenere qualche dettaglio in più.
L'unica cosa che voleva in quegli istanti era agire il piú in fretta possibile: scalpitava dalla voglia di arrestare suo fratello e di rinchiuderlo in una cella.
Si era sempre chiesto se sarebbe mai stato davvero in grado di chiudere in quel modo anche i conti col passato; dopo tanti anni ed energie spese a perseguire quell'obiettivo, temeva che voltare pagina non sarebbe stato semplice.
L'aveva dopotutto sperimentato in prima persona: aveva odiato così a lungo suo padre per ritrovarsi dopo la sua morte in preda solo ad un'infinita amarezza.
Quando tutto sarebbe finito, sarebbe dovuto restare accanto a Sasuke, anche se l'orgoglio e la testardaggine l’avessero spinto a rifiutare il suo aiuto, affermando di non averne alcun bisogno.
Per il momento avrebbe iniziato col non fargli perdere il controllo, se ci teneva davvero a partecipare alle indagini fino in fondo.
"Sakura, io vado a parlargli prima di riprendere. Abbiamo una copia in piú dell'identikit dell'assalitore della ragazza? Potrebbe risultare utile fare qualche domanda... " disse, esprimendo a parole la conclusione delle sue riflessioni, ma non ottenne alcuna risposta.
"Sakura?" la richiamò con un tono piú deciso ma sempre pacato.
Aveva lo sguardo assente, proiettato verso chissá quali pensieri, e le labbra leggermente schiuse, come se qualcosa d'imprevisto l'avesse turbata.
Al suo nome ripetuto per la seconda volta, si ridestò sobbalzando appena.
"Cosa?" chiese disorientata.
"L'identikit del nostro caso. Potresti recuperarne una copia e portarmela dopo? Se siamo fortunati, il ragazzo avrà visto qualcosa e riuscirà a ricordare qualche dettaglio in piú sulla serata" le spiegò con calma.
Doveva essere preoccupata per il comportamento di Kakashi, ma preferì non soffermarsi sulla questione, perché non avrebbe saputo cosa dirle nel poco tempo a disposizione. Due parole di circostanza non sarebbero servite a molto.
Sakura si sforzò di scacciare gli interrogativi che l'avevano assalita e si affrettò a rispondergli.
"Sì, scusa, vado a prenderne una e te la porto," disse uscendo dalla stanza.
Naruto la guardò andare via, ripromettendosi di parlarle piú tardi, poi raggiunse Sasuke.

 

 

Quella notte Kakashi non era riuscito a prendere sonno. Si era rigirato nel letto diverse volte, pungolato da un immotivato senso d'inquietudine che gli aveva impedito di chiudere gli occhi e dimenticare l'esistenza del proprio corpo. Non ricordava per quanto tempo si fosse mosso alla ricerca di una posizione più comoda, condannando anche il cuscino ad una notte agitata; ma ricordava il momento esatto in cui il suo tormento era cessato, lasciando solo un vuoto terribile, per poi ricominciare con un botto assordante.
L'ansia misteriosa annidatasi nel suo petto aveva alla fine trovato voce: la voce roca di Rin prima incrinata dalla paura e dall'angoscia, quando con poche parole gli aveva chiesto di raggiungerla, poi spezzata da un grido silenzioso di dolore non appena gli aveva comunicato la notizia.
I suoi singhiozzi gli echeggiavano ancora nelle orecchie e nell'animo, mentre parcheggiava e scendeva dall'auto. 
La discoteca era ben visibile in lontananza, nonostante il caos di veicoli e persone che la circondava. La sirena lampeggiante di un'ambulanza proiettava sulla folla una luce blu intermittente, che si sovrapponeva a quella rossa di un'auto della polizia.
Rimase immobile a fissare quello scenario, come se potesse trovare una risposta nell'intreccio di luci, colori e volti. La telefonata dell'amica l'aveva lasciato sconcertato e incredulo; se la sofferenza nella sua voce non fosse stata palpabile, forse avrebbe continuato a non crederci anche in quel momento, di fronte all'evidente confusione di un evento improvviso e drammatico.
L'immagine di una Rin sconvolta lo scosse dallo stato catatonico in cui era caduto. Era giunto fin lì anche perché lei aveva bisogno del suo sostegno; non poteva fermarsi a contemplare il nulla, nonostante lo squarcio sanguinante che quelle parole simili a lame gli avevano aperto dentro.
Avanzò, superando sconosciuti e autovetture, dirigendosi verso una meta precisa, il punto in cui la calca si diradava formando una sorta di semicerchio. Cercò l'amica con lo sguardo e alla fine la trovò: in ginocchio sull'asfalto, i lunghi capelli a coprirle il viso e la mano stretta a pugno sul lembo di un telo bianco.
Per un istante infinito, il suo battito cardiaco sembrò arrestarsi e l'aria gli mancò, mentre la strada diventava instabile sotto i suoi piedi. Non crollò, aveva promesso a se stesso che sarebbe stato forte per entrambi, ma qualcosa nel fondo del suo animo si frantumò e le schegge si conficcarono in una vecchia ferita, riaprendola e approfondendola.
Quando riuscì a respirare di nuovo, il cuore gli balzò in gola pulsando dolorosamente. Si sforzò di controllarlo e di recuperare una parvenza di calma, stringendo i pugni per impedire alle proprie mani di tremare.
Scrutò con sguardo vacuo gli unici sprazzi visibili del corpo privo di vita del suo migliore amico: un ciuffo di capelli scuri, il palmo della mano rivolto verso l'alto, le punte delle scarpe. Le avevano comprate insieme, quelle scarpe.
La voce di un agente della polizia spazzò via quel pensiero banale ma talmente quotidiano da causargli una fitta di dolore.
Era il poliziotto che stava invano tentando di convincere Rin ad alzarsi e allontanarsi da Obito.
"Lo conoscevi, ragazzo?" Gli chiese.
Kakashi lo guardò, per un attimo incapace di pronunciare una sola parola.
Lo conoscevi.
Quelle due semplici parole si impressero come fuoco nella sua mente, pronte a immergere l’esistenza dell’amico tra i ricordi del passato.
Il senso di ineluttabilità lo costrinse a ingoiare un grumo di afflizione."Era un amico." Sussurrò.
"Cosa è successo?" Domandò dopo un attimo di pausa, non più sicuro di voler sapere.
Una spiegazione dell’accaduto avrebbe davvero allentato il suo tormento? Avrebbe riempito il vuoto che minacciava di risucchiarlo?
Quando aveva lasciato il suo appartamento aveva sperato che fosse possibile, ma in quegli istanti, con la concretezza di un corpo inerte a pochi passi e l’inconsolabile disperazione di Rin davanti agli occhi, si sentiva vittima dell’ennesima illusione.
"Un malore durante una rissa. Pensiamo sia stato causato da droga tagliata male. Aveva una dose aperta in tasca." Lo informò il poliziotto con poche e veloci parole.
Kakashi sbarrò gli occhi, travolto da un'onda improvvisa di stupore e incredulità. Per un secondo pensò di aver capito male, sperò che fosse solo uno scherzo della sua immaginazione, ma l'espressione seria dell'uomo e il silenzio successivo alla sua risposta non sembravano lasciare spazio a dubbi.
Tornò a guardare il tessuto bianco che copriva Obito, la voce intrappolata in gola e lo stomaco stretto in una morsa di inquietudine, quella stessa inquietudine che l’aveva tenuto sveglio nel buio della notte.
Come aveva potuto non accorgersi mai di nulla? Era la prima fatale volta che l’amico aveva fatto uso di droga? O era stato davvero così cieco da non cogliere i segnali di una disastrosa dipendenza?
Frammenti delle loro ultime conversazioni e degli ultimi momenti trascorsi insieme si affollarono nella sua mente senza far risaltare nessuna nota stonata, niente che rivelasse il disagio interiore di Obito.
Appariva tutto tremendamente assurdo, ma il pesante fardello di essersi lasciato sfuggire qualcosa di importante si piantò con forza nel suo petto.
Chiuse gli occhi per non fissare più il bianco fastidioso del telo.

Kakashi trasse un respiro profondo, tentando di alleggerire la sensazione d’oppressione che le parole di Sasuke e i ricordi di quella notte lontana gli avevano scaraventato addosso.
Gli sembrava di averlo ancora conficcato nell'animo, il bianco assoluto che nascondeva Obito, e avvolti in quel bianco ritrovava tutti i tormenti dei mesi successivi.
Dopo l'intensa incredulità delle prime ore, il suo cuore era stato afflitto da un unico sentimento: un profondo e irreparabile senso di colpa.
Troppo preso dal proprio dolore, dall'illusione di poterlo placare con l'amicizia, non aveva intuito quello di chi gli stava accanto. Si era lasciato ingannare dall’esuberanza dell’amico, dalla maschera di allegria sotto cui nascondeva tutto. Pur di rimarginare la ferita lasciata dalla morte di suo padre, aveva preferito credere che intorno a lui andasse tutto bene, perdendo così gli indizi importanti di un altro dramma.
Dopo il tempo interminabile trascorso in ospedale, tra Rin singhiozzante contro il suo petto e la madre di Obito totalmente apatica, non aveva avuto il coraggio di chiedere loro se avessero compreso qualcosa: il timore di sentirsi rinfacciare la propria completa cecità era stato troppo forte. Avrebbe potuto scavare nei silenzi delle loro conversazioni, negli sguardi persi nel vuoto e nei gesti compiuti distrattamente; avrebbe potuto salvarlo e invece era riuscito unicamente a farlo morire da solo.    
Ogni tentativo di capire cosa l'avesse spinto verso la tossicodipendenza si era rivelato inutile e privo di senso, rafforzando sempre di più la dolorosa convinzione di aver commesso un errore che avrebbe rimpianto per sempre. Dal funerale dell'amico fino agli ultimi giorni del liceo, scanditi dalla decisione di Rin di proseguire gli studi all'estero, aveva lottato contro un vortice di angoscia e sofferenza, rischiando di essere risucchiato totalmente in un oscuro pessimismo, finché una strada inaspettata non gli si era aperta davanti: non poteva tornare indietro per aiutare Obito, ma avrebbe potuto diminuire il rischio che altri giovani subissero la sua stessa sorte, reprimendo la criminalità che alimentava la diffusione della droga.
Dopo la morte di suo padre, l'idea di entrare in polizia non l'aveva mia sfiorato, anzi l'aveva sempre esclusa categoricamente; eppure, in quel momento, gli era apparsa come l'unica scelta possibile, l'unica in grado di concedergli un modo per placare la sua coscienza. Anche se aveva impiegato altri lunghi anni prima di superare la paura di creare legami profondi, vincendo la desolata rassegnazione che la morte di Obito aveva accentuato, la decisione di seguire le orme di suo padre gli aveva permesso di andare avanti senza arenarsi nelle sue debolezze.
Ogni volta che qualcosa gli ricordava l'amico, però, niente evitava che i sentimenti del passato lo travolgessero e che vecchie cicatrici bruciassero come nuove.     



"Continuare a metterlo sotto pressione non porterà a nulla," esordì Naruto entrando nella sala degli interrogatori. "Se vogliamo ottenere qualche informazione sulla discoteca e, magari su tuo fratello, é meglio un'atmosfera piú tranquilla" proseguì nel modo piú disinvolto possibile.
Sasuke gli lanciò uno sguardo che non avrebbe decifrato facilmente se la loro lunga conoscenza non gli avesse permesso di scorgere la lieve ruga di disappunto comparsa tra le sopracciglia.
"Non c'é bisogno che sia tu a dirmelo," si limitò tuttavia a replicargli in tono asciutto, senza aggiungere nient'altro.
Il suo era un silenzio fin troppo eloquente: l'esito di una meditazione, una decisione chiara, la risposta ad un avvertimento che non era necessario esternare.
Sapevano entrambi cosa si erano detti la sera precedente e cosa avevano omesso; non avrebbero ricorso in quel momento a parole superflue e ingombranti.
"Comunque a conclusione, se non vuoi farlo tu, informerò io il commissario," affermò Naruto appena gli fu accanto.
Sasuke stirò le labbra in una linea dritta, con un movimento quasi impercettibile.
Attendeva quell'inevitabile frase e l'incassò senza scomporsi, emettendo un semplice mugugno di assenso.
Le sue priorità coincidevano in qualche modo con quelle delle indagini; nasconderlo era inutile e compromettere il risultato finale lontano dalle sue intenzioni.
"No, spiegherò io la situazione," rispose conciso.
Naruto lo fissò, cogliendo la determinazione nei lineamenti tesi, e in qualche modo si sentì tranquillizzato.
Trasse un sospiro interiore di sollievo e si sedette accanto al collega.
"Per quanto riguarda l'interrogatorio, invece, Sakura é andata a prendere l'identikit del nostro caso. Lo stupro é avvenuto all'Alba, forse l'Inuzuka ha notato qualcosa e gli si potrebbe rinfrescare la memoria", prosegui anticipandogli le sue intenzioni.
Sasuke vagliò per qualche istante l'ipotesi: temeva che il ragazzo non sarebbe riuscito a ricordare qualcosa, a causa di tutto l'alcool ingerito quella notte, tuttavia erano ancora lì e tentare non costava nulla.
Si alzò per andare a chiamarlo, ma fu anticipato dalla porta che si apriva, da cui Sakura entrò seguita dall'Inuzuka.
La poliziotta lo invitò ad accomodarsi, poi si avvicinò ai colleghi consegnando loro una cartellina.
Naruto la ringraziò, poi si rivolse al ragazzo presentandosi.
“Dunque, sono l'ispettore Uzumaki e continuerò l'interrogatorio al posto dell'ispettore Hatake,” esordì. “Mi dispiace insistere, ma devo farti qualche altra domanda.”
Mentre Sakura salutava lasciando la stanza, il poliziotto prese il foglio contenuto nella cartellina e lo girò verso l'interrogato.
“Questo è l'identikit di un uomo che era all'Alba la sera stessa dell'incidente,” gli spiegò con calma. “Non dovrebbe essere legato alla tua situazione, ma ci aiuterebbe sapere se per caso l'hai visto.”
Il ragazzo osservò il ritratto con attenzione, sforzandosi di associare il volto disegnato a qualche cliente intravisto quella notte.
Il particolare a balzargli subito all'occhio fu la lunga chioma raccolta in un'alta coda di cavallo, una capigliatura che difficilmente poteva passare inosservata.
Se quell'uomo gli era stato accanto per qualche istante, era possibile che gli fosse sfuggito?
La risposta gliela fornì il flash improvviso di capelli che ondeggiavano, accompagnando i movimenti sicuri di mani esperte nella preparazione di cocktail.
"È il barista... mi ha servito qualche drink quella sera" affermò, tentando di rievocare intanto qualche dettaglio in più sull'uomo.
Naruto esultò interiormente: non aveva dubitato dei ricordi della ragazza, ma se le informazioni di altre persone combaciavano con la sua versione dei fatti, il delinquente che cercavano aveva le ore contate.
“A che punto della serata ti ha servito?”
“Non saprei, non eravamo arrivati da molto. Forse era intorno alle undici.”
Probabilmente poche ore prima che avvenisse la violenza, rifletté soddisfatto il poliziotto, incrociando le dita per l’esito della domanda successiva.
"Mentre eri lì seduto, l'hai visto parlare in modo particolare con qualche cliente?"
L'Inukuza ci pensò qualche istante, rimestando tra i ricordi portati a galla dal volto del barista.
"Non mi sembra di ricordare niente di strano..."
"Non ti viene in mente qualcosa che ti abbia colpito?"
"Uhm, no, era tutto come sempre, qualche drink, qualche chiacchiera...” rispose sulle prime, ma poi un altro dettaglio di quelle ore gli balzò in mente.
“Ah, però, ad un certo punto è arrivata una ragazza… Non so se può essere utile, ma la ricordo perché aveva il tipico sguardo di chi vuole bere per dimenticare. Effettivamente il barista ha provato a parlarci per un bel po' finché sono stato al bancone."
Naruto l'ascoltò soddisfatto: forse era una scena abituale quella descritta dal ragazzo, ma aggiunto a tutto il resto era abbastanza per ridurre le ore di libertà del barista.
Raccolte le nuove informazioni, gli sembrò arrivato il momento giusto per tornare all’argomento iniziale della conversazione; era sul puntò di porre un’altra domanda quando il collega lo anticipò.
“Oltre al barista, non ricordi nessun altro dipendente del locale?” intervenne, con un tono apparentemente neutro per un orecchio non allenato come il suo.

 

Quando era rimasta da sola, nella saletta attigua alla stanza degli interrogatori, si era sforzata davvero di rimanere concentrata, di seguire col giusto interesse lo scambio di battute tra Naruto e Kiba Inuzuka, ma non c’era riuscita. Le era stato impossibile non pensare al comportamento insolito di Kakashi, alla sua assenza e al solido pugno di preoccupazione che l’aveva colpita sotto lo sterno non appena se n’era andato. Con lo scorrere dei minuti, l’inquietudine non si era per nulla attenuta, né tanto meno tendeva a svanire ora che si dirigeva nell’unico posto in cui credeva di poterlo trovare.
Poteva ripetersi mille volte il contrario, ma il pensiero che qualcosa legato a quel caso l’avesse turbato e lo facesse star male procurava anche in lei un innegabile dolore sordo, insieme al pressante bisogno di accertarsi della situazione. In fondo, erano stati amici e gli aveva voluto bene, così come gliene voleva ancora, nonostante tutto, quindi pensò che non ci fosse niente di strano nel cercarlo, sebbene nell’ultima settimana avesse fatto ben altro, nell’intento di allontanare l’ombra scomoda di un amore.
Se si fosse fermata anche solo un attimo in più a riflettere, avrebbe collegato ciò che provava in quegli istanti allo spasmo allo stomaco avvertito quando l’aveva visto chiacchierare tranquillamente con Shizune, aggiungendo entrambi quegli indizi ai pensieri e ai ricordi intrufolatisi nella sua mente davanti alla tomba dei suoi genitori. Sarebbe giunta così alla conclusione che quell’ombra era più che altro una luce accecante e non si sarebbe spenta in nessun modo, per quanto volesse illudersi, mettendo forse a tacere la sua coscienza.
In ogni caso, quando si affacciò alla porta del suo ufficio e lo vide seduto alla sua scrivania, con una mano tra i capelli a sorreggersi il capo e un’espressione assorta sul viso, continuò a non trovare alcun motivo per considerare sbagliato o avventato il proprio gesto.
Ingoiò il senso di agitazione, prima di trovare il coraggio di bussare.
“Kakashi?” Disse con voce incerta, non appena ne fu in grado.
L’uomo sgranò gli occhi, sorpreso di sentire una voce chiamarlo e fra tante proprio la sua; si voltò leggermente verso l’ingresso, senza allontanare la mano dalla fronte, ma scostandola quanto bastava per guardare in volto la sua interlocutrice. Rimase in silenzio a valutare la situazione.
Qualunque cosa volesse, quello non era il momento più opportuno per parlarne. Con l’amarezza e l’angoscia che il ripensare ad Obito gli aveva messo addosso, non si sentiva esattamente nelle condizioni di relazionarsi in modo pacato e razionale; non ne era in grado in ambito lavorativo, motivo per cui aveva abbandonato l’interrogatorio, né tanto meno poteva esserlo con lei.
La decisione definitiva presa con la propria coscienza e il vederla a pochi metri da lui, giunta lì spontaneamente dopo che nell’ultima settimana l’aveva evitato in modo drastico, erano elementi in più che gli davano la consapevolezza che avrebbe potuto commettere un errore, comportandosi nel modo opposto a quello che avrebbe richiesto un loro chiarimento.
Sperò pertanto che accettasse il suo invito ad andarsene, evitando di avvicinarsi a lui.
“Non è il momento, Sakura. Per niente. Ho bisogno di restare da solo.” Disse con un tono più brusco di quello che avrebbe voluto, e pensò che avrebbe dovuto metterci almeno la parola ‘scusa’ in quella frase.
Notò infatti la poliziotta irrigidirsi per un attimo, ancora ferma sulla soglia dell’ufficio, ma ciò non impedì che entrasse e che facesse qualche passo verso di lui. Si chiese allora cosa di preciso l’avesse spinta a venire a cercarlo, quando c’era, tra l’altro, lavoro importante da svolgere.
“Volevo… volevo capire cosa c’è che non va.” Affermò Sakura, sentendosi subito dopo immensamente stupida, oltre che tremendamente imbarazzata, tanto più davanti allo sguardo interrogativo e forse infastidito che l’uomo le indirizzò.
Kakashi, superato un momento di incertezza, si alzò.
“Perché ti interessa?” Le chiese serio dopo qualche istante di silenzio, sapendo in fondo già la risposta, ma avvertendo a quel punto il bisogno di conoscere anche la sua versione.
Di fronte a quella domanda, al tono freddo con cui era stata pronunciata e all’odiosa espressione indecifrabile che spesso lo contraddistingueva, la ragazza strinse d’istinto i pugni e fissò il pavimentò. Forse si era sbagliata ancora una volta: il fatto che alcuni giorni prima li avesse accomunati il ricordo di suo padre e il gesto dell’uomo che ne era seguito non implicavano per forza che per lui la loro amicizia avesse avuto qualche valore. E di interrogarsi su cosa allora significasse non ne aveva più grande voglia.
“Nonostante tutto, mi sono sforzata di credere che fossimo stati almeno amici.” Disse con palese delusione, lottando ancora per sciogliere il nodo che le bloccava la gola.
Se avesse incrociato gli occhi dell’uomo in quegli istanti, vi avrebbe colto l’ennesimo senso di colpa. Leggere dietro la sua semplice affermazione tanti sottintesi - il dolore, la solitudine, il vedersi sfuggire tra le mani anche l’ultima piccola certezza, provandone tutta l’inconsistenza e cercando lo stesso di aggrapparcisi - gli aveva fatto mancare il terreno sotto i piedi.
Per non cadere sotto il colpo del rimorso, l’ispettore le si avvicinò, sfiorandole un braccio e ottenendo, come sperava, che la collega tornasse a guardarlo; scrutò le sue iridi smeraldine che non avrebbe mai smesso di amare, iridi velate dall’incertezza e dalla perplessità, se non anche da un pizzico di paura.
“Questa settimana mi hai totalmente evitato, quindi non pensavo saresti venuta qui per sapere come stessi… “

E sono così egoista da aver anteposto al tuo stato d’animo la necessità di sentire il motivo dalla tua voce, avrebbe aggiunto con qualche difficoltà, cercando di rendere le sue parole un’assunzione di responsabilità e non delle mere quanto inutili giustificazioni, ma Sakura non gliene diede il tempo; scostò bruscamente la sua mano con un movimento repentino del braccio, mentre gli scagliava contro quello che teneva dentro da lungo tempo.
“Una settimana non è come sei anni!” Gli rinfacciò con rabbia, assottigliando lo sguardo, e per quanto Kakashi si aspettasse una frase del genere e sapesse di meritarsela, ciò non gli evitò una stilettata improvvisa all’altezza del petto.
Non lasciò, però, che fosse di nuovo il suo dolore a prendere il sopravvento e le afferrò subito il polso ancora a mezz’aria, con una stretta ferma ma delicata. Non poteva andare avanti così, tra dubbi e recriminazioni, per nessuno di tutte e due, si erano già tormentati troppo senza ragione; avrebbe dato un taglio netto alla loro situazione in quell’istante.
Sollevò l’avambraccio della collega piegandolo verso di lei, senza dover forzare quel movimento, facilitato dall’averla presa in contropiede, poi diminuendo la distanza tra di loro fece scivolare l’altro braccio dietro la sua schiena, fermandosi all’altezza delle scapole, e l’attirò a sé.
Sakura non si mosse, paralizzata dall’idea di ciò che sembrava stesse per accadere e che era stata lontana anni luce dalla sua mente fino a cinque minuti prima; fissò incredula il viso dell’uomo farsi sempre più vicino e chiuse gli occhi quando ebbe l’impressione che sarebbe morta da un momento all’altro a causa del battito impazzito del suo cuore, amplificato dal tempo sospeso che li avvolgeva. Lasciò che la lingua di Kakashi premesse contro le sue labbra e si intrecciasse alla sua, anche con una certa irruenza, irruenza che non le dispiacque, ma che nello stesso tempo fece nascere calde lacrime che trattenne a fatica.
Si era sentita così a lungo confusa, inquieta, ferita, che lo sciogliersi di quei sentimenti era come un balsamo tonificante, sebbene non potesse spiegarsi ancora tante cose, un balsamo che però non le nascondeva chi ne avrebbe pagato le pene peggiori. Quando avvertì le sue guance bagnarsi, spinse con violenza l’uomo lontano da sé e arretrò, con il capo basso e le ciocche dei capelli che le ricadevano scompostamente sul volto, senza nascondere la smorfia che lo deformava.
“Perché è così difficile capirti?” Biascicò, con il fiato corto per il bacio appena conclusosi e per l’emozione che ancora la sopraffaceva.
Se fosse stato il contrario, non sarebbe arrivata a quel punto.
Con questa consapevolezza, scappò da quell’ufficio, non rivolgendo nemmeno un’occhiata fugace all’ispettore, che la osservò andar via avvertendo sugli zigomi le tracce umide delle sue lacrime.


Note dell'autore

Questa volta non perderò tempo a cercare parole di scuse, più che altro perché sarebbero sempre le stesse. Diciamo semplicemente che negli ultimi anni diverse questioni hanno richiesto totale attenzione e che questo capitolo nello specifico mi ha fatto penare abbastanza.
Sasuke credo di non saperlo gestire per nulla, infatti ho faticato tanto a cercare di renderlo coerente e sensato e non so come sia il risultato. Kakashi, Sakura e Naruto, invece, non so se nel modo giusto, ma fanno quello che fanno senza troppi sforzi. In questo capitolo si scopre l'ultimo tassello dei drammi kakashiani e finalmente Kakashi e Sakura abbattono un po' il muro fatto di parole non dette e sentimenti non espressi (Ed era anche ancoraXD).  Le indagini invece arrivano  a toccare qualche nodo della matassa che nei prossimi capitoli dovrà sciogliersi in qualche modo. Non so quanto mi ci vorrà, ma speriamo non sia un altro anno.
In ogni caso spero che il capitolo sia decente e che vi sia piaciuto. Ringrazio la magnifica beta che mi ha dato una mano anche al di là della Manica e chiunque lascerà in qualche modo segno del suo passaggio^^




  
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