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Autore: monafeatpizza    03/02/2018    0 recensioni
Ti rivedrò, certo che ti rivedrò. Sicuro che ci rivedremo? Non ne sarei più così tanto sicura. Il tempo delle sicurezze è scaduto.
Genere: Malinconico, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il pienone

 
“Nella grande piazza alle otto in punto.” Si congedò la voce al telefono. Poi continuò “Samir, figliolo, non puoi permetterti di sbagliare ... Ci sarà il pienone a quell’ora”
“Stia tranquillo, Raïs. Andrà tutto come ha premeditato.”
Il sole germogliava dalle montagne e Samir aveva poco tempo per comportarsi come un semplice ragazzino,o al massimo come un turista che sceglie il locale dove consumare il caffé caldo mattutino.
Si guardò intorno. C’era ancora poca luce perché le persone uscissero dalle proprie case. Ma i bar avevano appena cominciato a servire il caffè. Infilò al meglio qualcosa nei pantaloni e lo coprì facendosi scivolare la maglietta verde che aveva raccolto la notte prima per ripararsi dal freddo. La porta si aprì. Così suonò una melodia di benvenuto e le cameriere e le donne al bar si voltarono tutte a guardarlo. 
“Scelgo questo, non so come si dice... Ho una cattiva pronuncia, mi perdoni.”
“Lungo macchiato, ha scelto?”
“Non lo so, fa la differenza?”
“Certo che sì, al caffé aggiungiamo del latte.”
“Sembrano così uguali dalle foto”
“Le faremo modificare allora, grazie per la segnalazione.” Gli accennò un sorriso e gli porse con durezza il cartone col caffé caldo. Samir si allontanò e andò a sedersi all’angolo. Amava la prima luce del sole del mattino che gli stuzzicava la pelle nuda. Quando questa lo toccava, era come se non avesse mai avuto freddo, la notte prima. Sparivano i brividi, le dita paralizzate, il naso gocciolante e sembrava che avesse così trovato quel suo piccolo briciolo di felicità che meritava.
Poi guardò l’orologio in alto, finse di bere tutto il caffé e lo gettò via, allontanandosi dal locale.
“Arrivederci” Disse la donna alla cassa. Ricominciò presto a spolverare le bottiglie di alcolici esposte sulla parete, poco più in alto della sua testa.
“Il tempo stringe, Samir”
“Cazzo, mi lasci fare”
“Non vedi quanta gente c’è quì intorno? Sono tutti a fare compere al mercato, nessuno ti noterà tranquillo”
“E le che diavolo ne sa? Ci sono io in questa piazza, cazzo.”
“Ed io non sono molto lontano. Ti osservo... non tornare a casa a mani vuote.”
Gli venne in mente che avrebbe potuto distruggere il telefono e gridare Dannazione per la rabbia, ma anche perché prima o poi avrebbe dovuto farlo. Però poi l’orologio cittadino suonò le otto.
La piazza sembrava essere diventata più grande, ma solo perché gremita di gente che si spicciava per terminare il miglior affare del giorno.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei ... Quanto dovrei contare prima che il tendone del panettiere diventi un’unico negozio assieme a quello del pesce? Sette, ot-
“Hey, Samir ... Come sta tua madre? Sei proprio un bastardo sai?” gridò un uomo. Poi continuò “Il paradiso è ai piedi delle madri, ricorda” Samir lo guardò meglio. Era uno di quei bastardi che chiamano altri bastardi, uno di quelli che venderebbero la propria madre ad una partita a pocker.
“E tu te ne prendi cura o già l’hai resa schiava per una mezza mazzetta?”
“Figlio di puttana ti ammazzo”
D’un tratto l’uomo sembrò cambiato. Meditava di attaccare. Poggiò a terra le cose che aveva con sé e irrigidì. I pugni stretti e una postura animalesca. Una grossa vena violacea gli scolpiva il collo dal merletto della camicia fin dietro l’orecchio. Gli corse contro come fa un toro imbestialito con il suo Matador alla Corrida e iniziò a colpirlo. Calci, pugni, schiaffi e alla fine la Quiete. Una ragazza gridò aiuto, ma essendo tutti distratti dal trambusto del mercato, decise di intromettersi di persona. 
“Cosa fate? Non vedete che mi fate scappare il gatto? E’ impaurito ... Uomini”
I due si bloccarono alla domanda della ragazza e si guardarono come per domandarsi cosa diavolo avesse detto.
“Non avete capito forse? Smettetela” Non finirono di darsele che il gatto della donna fuggì dietro alcuni barili all’angolo della piazza.
“Ecco, vedete? Adesso come lo riprendo?” Sbottò. 
“E tu dove vai? E’ anche colpa tua se Frida è scappata!”
“Ma sei matta forte, me ne vado! Buona giornata” L’uomo recuperò le sue cose e andò via bisbigliando qualcosa. Samir la guardò sconcertato non appena lei lo indicò costringendolo ad aiutarla a recuperare il suo micio.
“Mi dispiace m-ma io adesso ho da fare, sicuramente troverai qualcun altro che ti aiuti a recuperare quell’adorabile gatto. Adorabile come la padrona ...” Fece un verso con la bocca e continuò “Una palla al piede”
“Mi prendi in giro? Allora perché perdevi tempo ad azzuffarti con quello? Adesso vieni con me”
“Tu non mi dici cosa fare , ragazzina. E poi se non avessi perso tempo quì a ciarlare, il gatto lo avresti riavuto subito”
“Ma quanto rompi - sospirò lei - ed io che ti ho anche fatto evitare un occhio nero e una costola rotta”
“Ok, troviamo quell’animale così non mi avveleni più la vita” Le afferrò un braccio e la trascinò fino alle botti.
“Magari due costole” bisbigliò.

La ragazza guardò sui sacchi, dietro i barili. Salì fino alla cima ma del gatto nessuna traccia. “Hai visto dov’è andato, almeno?” 
“Come facevo se stavo litigando con una persona?”
“Hai ragione, certo ... Vi avevo detto che sarebbe scappato se aveste continuato”
“O Signore ... - Samir, che sentiva il sangue bollire nella sua testa come il brodo di pollo della nonna, continuava a solleticarsi i palmi delle mani per mantenere la calma.
“Quella che non doveva farselo scappare eri tu. Non capisco nemmeno cosa ci faccio quì con te, sei incredibile” L’accusò.
“Tu sei un insolente, levati dal cazzo” La ragazza gli diede una grossa spinta, indietreggiò e scappò dal lato opposto della piazza scomparendo tra le bancarelle del mercato.
Diamine, sono le otto e mezza. Il capo si infurierà con me. Devo risolvere la questione.
La chiamata del capo lo spaventò a morte, e faceva bene ad aver paura: anche i più forti e coraggiosi ne avevano quando c’era di mezzo lui..
“Pronto, Samir? Testa di cazzo, torna a casa che te le suono fino a farti sanguinare, bastardo”
“Per favore, Mustafa, stavolta no ... Sono sicura che Samir ha fatto il possibile per accontentarti.”
“Sta zitta, stupida” Schizzò uno schiaffo rumoroso e altrettanto doloroso “Non fare il mio nome al telefono! Samir, ci sei? Spero che tu non dimentichi la strada di casa perché se lo fai, quando avrai fame e tornerai io, io ti avviso, la rabbia per questo tuo errore si sarà soltanto moltiplicata per cento. Ti aspetto.”
“Sì”
Va a farti fottere Mustafa, io ci torno a casa. Perché sono un uomo, non un bambino come credi. 
Tornò a guardare l’insegna del bar dove aveva consumato, con la voglia di tornare indietro nel tempo per riaggiustare tutto, ma Samir sapeva che tutto ciò era impossibile: doveva solo tornare a casa, prendere le botte che meritava e ritentare la settimana dopo.
“Guarda cosa mi fai fare, Samir ... È tutta colpa tua, guarda come mi trasformi” Gridava Mustafa, mentre lo riempiva di pugni nello stomaco e di fruste sulla schiena. “Sono convinto che la prossima volta farai di meglio, per me. Non ne vuoi altre, spero”
“Non è così, Samir?”
Cominciò a rialzarsi, faceva fatica a rimettersi in piedi. La madre in ginocchio guardava i suoi movimenti e piangeva ad ogni suo lamento. Non riusciva a sopportare che il figlio soffrisse così, ma non avrebbe mai potuto fermare la ferocia del Capo.
“Tu cosa cazzo ci fai ancora lì? Corri a prendere le bende e medicalo.”
“Meglio che lo porti a letto, Mustafa.” Disse la donna. Conosceva suo figlio, aveva solo bisogno di curarsi le ferite e di bere qualcosa di caldo.
“Ciao eh”
Tornò molte ore dopo zoppicando. Mustafa si era addormentato sulla sedia mentre beveva una birra. Aveva una camicia sudicia sbottonata che mostrava la sua enorme pancia pelosa. Era rivoltante, ma Samir ci aveva fatto l’abitudine. 
“Tranquillo, non resterai così a vita.” Disse svegliandosi “Altrimenti non so se mi servirai ancora” Esplose in una risata rumorosa che puzzava di alcool e si riaddormentò.
Samir taceva, pur sapendo di dover dire qualcosa, di dover rivendicare il suo onore.
In quel momento, se lo avesse ucciso nemmeno avrebbe gridato. Era troppo ubriaco per farlo e troppo ubriaco per reagire. Ma Mustafa aveva gli occhi, la sua arma micidiale. Poteva accoltellare un uomo e l’intera famiglia solo utilizzando i suoi occhi, e Samir ne aveva paura. 
   
 
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