Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: BabaYagaIsBack    03/02/2018    1 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

"I find myself in the jaws of destruction

Tested, by the force of the tempest.
Pushed, to the point of no return.
Losing ground.
Let the steel of my resolve
be not bested by the sum of my fears"

Karma, Parkway Drive


 

 

Zenas atterrò l'ultimo alchimista. Attese che il suo corpo cadesse a terra con un tonfo prima di sputare un grumo di sangue tenuto in bocca per troppo tempo, poi mugolò un "ikhes" (che schifo) passandosi la lingua sui denti.
Era stanco, anzi, esausto. L'ultimo scontro risaliva a una data che nemmeno ricordava e gli allenamenti di thai boxe non erano paragonabili a una cosa come quella; la mutazione richiedeva sforzo, l'Ars consumava energie - o quantomeno lo faceva con lui. Levi era una Chimera perfetta, altri fratelli ci si avvicinavano abbastanza, ma lui... beh, era quel che era: un esperimento - e come tale aveva difetti.
Socchiudendo gli occhi di fronte a quel pensiero lasciò cadere la testa all'indietro. Inspirò aria troppo calda e poi riaprì le palpebre verso un cielo privo di stelle, dove il nero delle nuvole e la luce lampeggiante di un aeroplano furono le uniche cose che riuscì a scorgere. Intorno a lui tutto sembrava essere finalmente precipitato in uno stato di quiete: niente rumori molesti, versi soffocati e bestemmie sussurrate. Ora che persino l'ultimo dei suoi avversari aveva smesso di mugolare e il veleno aveva fatto il suo corso la pace era tornata ad accompagnare la sera - e sembrava essersi portato via anche le ansie precedenti, le tensioni accumulate in quei giorni.
In quella quiete Zenas poteva sentire il fruscio leggero dei dreadlock che penzolavano dal capo lungo le spalle e, poco più in là, come una presenza terza, la propria coda dondolare seguendo un venticello mesto. Se avesse posato lo sguardo sulla propria ombra, pensò, probabilmente l'avrebbe persino vista, imponente come un triste mietitore che attende.
Sfoderarla durante quello scontro aveva fatto male, si disse, forse più dell'ultima volta e, a ogni movimento, sentiva ancora un lieve fastidio lì dove la pelle si era lacerata per farla uscire. Nonostante il dolore però gli era piaciuto. Era stata una sensazione quasi confortante, una consapevolezza masochista che lo aveva fatto sentire pericoloso, invincibile. Forse non avrebbe dovuto ammetterlo, ma era qualcosa di inebriante, assuefacente...
Gli venne da ridere.
Accogliendo quella consapevolezza non riuscì a trattenere una risata breve e roca, una liberazione.
Dio! Era davvero diventato un mostro, si disse appena le corde vocali smisero di vibrare. Chi mai avrebbe potuto trovare una cosa del genere piacevole, appagante, familiare? Altri mostri. I suoi fratelli, aggiunse senza esitazione, tutti quanti - e facendo scorrere i loro volti nella mente, in ordine sparso, si ricordò improvvisamente di Alex, di come l'aveva lasciata, del pericolo a cui era esposta.
Merda!
Sussultando si rese conto di non avere ricevuto sue notizie da... provò inutilmente a cercare un orologio, come se potesse servirgli a qualcosa. Guardò ovunque, affannandosi fin quando non si rese conto non avere alcun senso e che, piuttosto che soffermarsi su simili cavolate, avrebbe dovuto correre dalla sorella; così contrasse i muscoli dei glutei, strinse i pugni e la sensazione dolorosa alla base del coccige lo fece trasalire. Il pungiglione si ritrasse lentamente, tornando al proprio posto sotto la pelle e uniformandosi con la schiena, come una corazza per la spina dorsale e, solo a quel punto, cercò di ripercorrere i propri passi.
Scavalcò i cadaveri dei due alchimisti senza degnarli di alcuno sguardo, consapevole di ciò che avrebbe visto. Calpestò le crepe createsi sull'asfalto ogni volta che era caduto a terra e i coltelli di lamiera che uno dei suoi avversari aveva inutilmente scagliato contro di lui vi si erano conficcati dentro, poi provò a tendere le orecchie per scorgere un suono, uno qualsiasi.
Si sentiva frastornato, ma non a sufficienza da abbandonare Alexandria. Se poteva esserle d'aiuto lo sarebbe stato e fanculo le regole, pensò. Sapeva che la priorità era fuggire, tornare alla base e avvertire Levi, lo aveva sempre fatto e non se lo sarebbe risparmiato in futuro, ma Z'èv era pur sempre la sua sorellina.

Deglutendo quella cognizione cercò quindi di aumentare l'andatura, di velocizzare i passi quanto più gli era possibile, ma a ogni falcata gli pareva di arrancare.
Si spronò più volte, con sempre maggior grinta, fino a svoltare oltre l'ultima diramazione di cui avesse memoria e, con sorpresa, finì con l'inciampare su alcuni cassonetti ribaltati sulla strada. Akràv ruzzolò a terra. Sentì le gambe cedere sotto al suo stesso peso, tradirlo all'ultimo come il peggiore dei nemici e... Tuck!
L'asfalto grattò via un po' di pelle dagli avambracci, facendogli torcere la smorfia dal fastidio.
Dannazione! Aveva consumato talmente tante energie da riuscire persino ad avvertire il lieve bruciore di ferite così sciocche! - e in tutta onestà non gli piacque affatto rendersene conto. Nemmeno la sua corazza riusciva più a proteggerlo.
Osservandosi frettolosamente la pelle graffiata e la carne viva che faceva capolino sotto alla peluria imprecò; se fosse stato abbastanza lungimirante forse si sarebbe ricordato delle ɛvɛn in cucina, di quello stupido mucchio di biglie rosse che negli ultimi trent'anni gli avevano permesso di sopravvivere come una persona normale - ma non era stato così. Che stupido. L'ansia lo aveva colto talmente alla sprovvista d'annullare il suo pragmatismo, portandolo in quel vicolo a trattenere l'ennesima bestemmia.
Scosse la testa, poggiò le mani a terra e con un grugnito si issò per riprendere la ricerca di Alexandria, peccato che nell'istante in cui credette di essere pronto a correre, la gamba sinistra gli cedette ancora, facendolo barcollare.

Sversò gli occhi, sibilò qualche insulto nella sua lingua natia e poi, stizzito, abbassò lo sguardo.
I jeans erano stracciati in più punti, alcuni voluti, altri capitati durante lo scontro. Accanto a molti però, chiazze scure lasciavano ben poco all'immaginazione: nonostante avesse combattuto bene, cercando di contenere i danni, era stato ferito.
Possibile che tutto gli stesse andando storto? Quale altra sfortuna lo attendeva? E chiedendoselo, un groppo gli si formò in gola. A dire il vero, si disse, preferiva non saperlo viste le opzioni.

Mosse la gamba, la scosse per capire se lo avrebbe sostenuto o meno, poi riprese a camminare, stavolta più cautamente - perché doveva cercare di non strafare, non sapeva cosa lo avrebbe atteso più in là; e risparmiare le forze era la scelta più saggia in quel momento.

Zenas avanzò a tentoni. Un passo dopo l'altro si convinse sarebbe presto arrivato dalla sorella - eppure più procedeva, meno il suo corpo gli pareva essere reattivo: perché? Non aveva subito danni, per quel che gli era parso, così come le mani degli alchimisti non si erano mai avvicinate a sufficienza al suo sigillo da metterlo in difficoltà. Che aveva, allora? Avrebbe voluto prendersi il tempo per indagare, per capire meglio, ma un'ombra scura entrò nel raggio d'azione della vista periferica facendogli schizzare il cuore in gola.
Un nemico? Ancora? Questo allora voleva dire che Alex... senza doverci pensare scartò di lato. Il suo fu un movimento fulmineo che venne, purtroppo, accompagnato da un suono e un fastidio che avrebbe preferito non conoscere. Ruzzolò a terra malamente, finendo a picchiare la schiena contro un muro e bestemmiare a denti stretti.
Era la fine.
Qualsiasi cosa sarebbe successa da quel momento in poi per lui non ci sarebbe stata speranza.
Basta.

 


 

 

Alex lanciò il braccio della sua vittima verso il fratello. Lo fece senza pensarci, troppo occupata ha mimare col viso espressioni schifate e a mostrare la lingua come se vi fosse sopra qualcosa di terribilmente amaro - peccato che quell'incoscienza aveva spinto Zenas a compiere un'azione brusca, facendolo inciampare. Le ci volle qualche secondo e la smorfia sofferente di lui per capire, troppo tardi, di aver fatto una cavolata.
Abbandonando l'arto strappato a morsi in mezzo alla via, Z'èv si precipitò verso l'altra Chimera. Le suole slittarono sul terreno, facendole perde parte dell'equilibrio: «Ehi» soffiò gettandosi al suo fianco con il cuore già in gola: «Che hai?»
Sapeva di star fissando Akràv con gli occhi di una pazza, ma non le importò. L'agitazione in lei era tale da farle ignorare ogni cosa. Avrebbe dovuto tenere un tono di voce più basso, stare attenta a non lasciare troppe tracce, eppure non riuscì a controllarsi. Con le mani insanguinate prese il collo del fratello, poi il viso per costringerlo a guardarla: «Che hai?» ripeté con meno voce, ma senza calmarsi.
Zenas digrignò i denti alzando gli occhi al cielo e Z'év si allontanò appena, indagando con gli occhi ogni centimetro del corpo di lui.
Sapeva che stava soffrendo. Lo vedeva con una chiarezza lampante, peccato che non avrebbe dovuto provare alcun dolore.
Le dita di Alexandria toccarono ovunque, sopra e sotto i vestiti partendo dal torace e scendendo lungo il busto, i fianchi, le cosce e - sussultò appena l'uomo emise un verso di fastidio, ritraendosi e finendo col culo per terra.

«Atah sovel? (Stai soffrendo?)»
Zenas arricciò il naso: «Sento un bruciore e fatico a muovermi» confessò.
«Ani khoshev sheatah zeh hayah patsu'a (credo che tu sia stato ferito)» cautamente gli si fece vicina, passando la punta dei polpastrelli sulle gambe. Stette attenta ad ogni sua smorfia e a ogni sensazione insolita finché, un po' sollevata e un po' scocciata, trovò il problema.
Non dovette nemmeno stracciare il jeans per capire che il femore di Zenas si era rotto e aveva lacerato la carne, fuoriuscendo.

«Merda!» ringhiò.
«Fammi indovinare: ho un osso rotto» e, del tutto fuori luogo, Akràv abbozzò un sorriso.
«Quello sarebbe relativamente semplice da gestire» gli rispose con poca convinzione, provando a immaginare l'entità del danno. Avrebbe voluto sbirciare la ferita, studiare quanto l'osso fosse uscito, ma togliergli i pantaloni avrebbe comportato due problemi: niente protezione per lo squarcio e un catalizzatore di attenzioni - come se già il loro attuale aspetto non lo fosse.

«Ti sei indebolito troppo, dannazione...» se persino la sua pelle-corazza non era stata in grado di proteggerlo la situazione si faceva davvero preoccupante. Sarebbe bastato che la squadra di recupero, o semplicemente un altro gruppo di alchimisti, si fosse precipitata lì per far capitolare ogni cosa. Non avevano né tempo né scampo, questo era certo; dovevano quindi andarsene, ma dove? Con Zenas conciato in quel modo non potevano certo darsi alla macchia, sarebbero stati un bersaglio facile, per non parlare delle ferite riportate e del loro evidente bisogno di trattamenti; e allora che fare?
Alex si morse la lingua: «Riesci a muoverti?»
Lui rise ancora: «Male e lentamente, ma sì. Non sento dolore, solo fastidio, anche se ammetto che un paio di ɛvɛn non guasterebbero.»
E a quelle parole, se non fosse stata abbastanza attenta, Z'èv avrebbe sussultato.
Già le ɛvɛn.
Quelle che lei gli aveva rubato. Quelle che aveva nascosto nel bagno di Noah perché, come una tossica, aveva temuto che le venissero negate. Sì, proprio loro: la sua unica certezza per non cadere a pezzi. Come confessare quel furto? Come ammettere di averle tenute per sé sino a quel momento? Come impedire che i fratelli le reclamassero? 
Non lo sapeva. Ad essere onesta non voleva farlo.
Erano sue ora, solo ed esclusivamente.

Strinse con più veemenza i denti, sentendo il sapore ferroso del sangue riempire la bocca.
«Okay» disse svelta, cercando di non farsi prendere dal panico. «Okay, adesso alzati, dobbiamo andare» allungò una mano, afferrando il braccio del fratello e tirandolo verso di sé nonostante la lieve resistenza di lui. Zenas pesava ben più di quanto potesse dare a vedere. La sua pelle aveva uno spessore diverso, la sua coda aggiungeva massa a tutto il resto - e lei dovette puntare i piedi sull'asfalto per rimetterlo dritto.
«Shebo? (dove?)» Chiese Akràv subito dopo e lei, quasi colta di sorpresa, come se non si aspettasse tale ingenuità da lui, rispose: «Mishelanu melekhe (dal nostro Re).»

L'uomo sgranò gli occhi e ad Alex non servì altro per capire ciò che gli stava passando per la mente. Sì, forse la sua era la decisione più sciocca da prendere in un momento del genere, ma che alternative avevano?
«Taaminn li (fidati di me), akh» lo supplicò: «bevaqashah (ti prego).»
«Sai in che guaio ci stai cacciando? A quali rischi lo stai esponendo?» Con un gesto brusco, Zenas si liberò dalla mano della sorella. Fu come ricevere uno schiaffo per Z'èv, eppure non vacillò.
Non avevano scelta e, soprattutto, dovevano mettere in guardia Levi.

«E se fossero anche sulle loro tracce?» ancora una volta strinse le dita sulla giacca di lui, strattonandolo come una bambina implorante: «Dobbiamo metterli in guardia e cercare di sistemarti, altrimenti-»
«Potremmo portarli dritti da ciò che cercano!» Quasi urlò, facendola irrigidire.
Sì, anche quella era un'opzione plausibile, lo sapeva anche lei, peccato che non riuscisse a farsi venire  in mente altro. Non avevano un posto dove rifugiarsi, alleati a cui chiedere aiuto. Non avevano nulla se non la Prima Chimera e un Hagufah incapace di utilizzare il proprio potere o semplicemente ricordarsi delle sue vite passate. Forse, riunendosi a loro però, avrebbero potuto partorire un'idea abbastanza solida da permettere a tutti di uscirne illesi - o quasi, pensò abbassando gli occhi sulla gamba del fratello.

«Può darsi» ammise: «ma preferisco essere con loro se quei pazzi dovessero trovarli, quindi...» si umettò le labbra, ancora sporche del sangue altrui: «ti prego, torniamo da Noah e-e... parliamo con Levi. Lui saprà che fare.»
«E' una follia, te ne rendi conto?»
«Come se non ne avessimo mai compiute, akh!»
Provò a sorridere, cercando di persuadere il suo lato più tenero - e, in qualche strano modo, ci riuscì.
«Okay, ma appena avverti qualcosa che non va mi lasci indietro, chiaro? Preferisco morire da solo che condannarvi tutti e tre.»
E, seppur per nulla convinta, Alexandria annuì.

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: BabaYagaIsBack