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Autore: Carlo Di Addario    05/02/2018    1 recensioni
Del mondo sovralunare si sapeva poco: v'erano cinquantacinque sfere, ognuna mossa da un'energia invisibile, che facevano muovere perpetuamente i pianeti e l'altre stelle attorno al Sole, lucerna del mondo.
Le leggi che governavano ciò che stava oltre la sfera della luna erano per lo più ignote: si parlava di una sostanza invisibile, l'etere, quintessenza dell'universo, nella quale "fluttuavano" gli astri.
Cosa fossero poi, era di acceso dibattito: chi diceva fossero divinità, chi altri mondi popolati da altre forme di vita, probabilmente più perfette di quelle terrestri.
Non c'era certezza, le fonti erano poche e gli strumenti per rivolgere lo sguardo al cielo mediocri: quasi tutto ciò che c'era prima della Guerra dei funghi era andato perduto.
Ma si vociferava che qualche astronauta fosse ancora vivo: sembrava anche solo impensabile, che qualcuno di quei uomini celesti camminasse ancora su questo mondo.
Kápou, che altro non aveva se non la toga, nata in una famiglia che ebbe cuore di insegnarle quel poco che sapeva sul mondo, nacque con una malsana curiosità: avrebbe trovato uno di questi cosmonauti, se ancora ve ne erano, e gli avrebbe chiesto cosa c'era realmente oltre la Luna.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Prologo: Ogni Cosa si Tinse di Blu

Ellen teneva appiccicato il naso sul freddo vetro della finestra: il suo lento respiro continuava a creare, e a dissipare, delle piccole chiazze di condensa, mentre con gli occhietti scrutava vigile la lugubre metropoli che la circondava.

Teneva, ben salda in mano,  una lanterna a cherosene.

Era il crepuscolo e, a parte un leggero chiarore verso nord-ovest, dov’era appena tramontato il sole, tutto appariva scuro e indistinto: i pochi lampioni sulle strade erano rotti o spenti e, quelli che miracolosamente ancora funzionavano, creavano coni di luce troppi piccoli per rischiarare l’ambiente.

Nelle case, la maggior parte era senza illuminazione e, i fortunati ad avere ancora un’impianto elettrico, lo usavano il meno possibile: qualunque fosse il motivo, la ragazza lo ignorava. Probabilmente era il tremendo stato di povertà nel quale tutti loro vivevano, in quella squallida città, che spingeva a economizzare perfino sulla luce e a preferire delle più economiche lampade a cherosene.

Proprio come quella che, tremolante, la stava illuminando: senza, anche lei sarebbe stata immersa in quel buio indistinto.

Abbassò lo sguardo, verso le fiamme che danzavano attraverso il vetro della lampada: erano particolarmente vispe, avrebbero arso ancora un po’.

Fin da piccola, la ragazza aveva sempre trovato ansiogeno restare senza luce: ogni notte, infatti, le pareva quasi che la città stessa le si chiudesse sopra, con fare minaccioso ed inquietante… ovunque, guardando dalla finestra del pian terreno ove abitava, non vedeva che le oscure silhouette dei grattaceli incomberle sul capo…

Ma, finchè c’era almeno un poco di riverbero nell’aria, la paura riusciva a venire esorcizzata. Anzi, provava una sorta di strano compiacimento… lei, Ellen Newman, l’unica in quel buio e decadente luogo, ad avere una piccola fonte di luce che ogni cosa poteva illuminare!

Subito aggrottò lo sguardo: no, non era l’unica. Perchè, all’improvviso, tra i bui vicoli sui quali affacciava la sua dimora, un’altra flebile luce era appena comparsa.

Avvicinò istintivamente la mano al fiocco rosso che teneva in capo, per tener fermi i lunghi capelli arancioni, gesto che faceva spesso quando in ansia per qualcosa. Ma subito la ritrasse e sorrise, perchè in realtà sapeva perfettamente chi stava portando, traballante, quella fioca luce che si stava avvicinando.

Toc, toc!

Bussò al vetro qualcuno.

Subito la ragazza sollevò la finestra e, abbassando lo sguardo, si ritrovò davanti una ragazza poco più grande di lei: indossava una salopette blu e un cerchietto sopra i corti capelli biondo scuro, comunque arruffati e spettinati.

“Eleonora! Sei in anticipo!!” esclamò sorridendo, emozionata.

L’amica annuì, agitando in segno di saluto la lanterna che teneva ben salda nella mano destra: “Presto, scendi!!” incalzò, in fibrillazione.

La rampolla dei Newman la guardò perplessa.

“Come mai tanta fretta…?” domandò, mentre si calava goffamente sullo sporco marciapiede.

“Hanno anticipato il lancio, l’ho appena sentito alla radio!!” esclamò la bionda.

Ellen sgranò gli occhi: “COSA?!”

“Non preoccuparti!!” s’affrettò a rassicurarla l’amica: “Facciamo ancora in tempo, ma dobbiamo correre, ora!!”

Senza dirsi altro, tanto era il timore di poter perdersi la visione dal vivo del lancio, che le due amiche iniziarono a correre, lanterne alla mano, fra le buie vie della città: fu una corsa impervia e difficoltosa, oltre che estenuante.

Più volte rischiarono di ruzzolare rovinosamente al suolo, superando dossi, macerie, scheletri di automobili e, districandosi fra i rampicanti che infestavano ogni centimetro delle malconce strade,

sorpassarono un piccolo naviglio, in realtà una malsana fogna a cielo aperto. 

Poi si fermarono, sotto un portico mezzo diroccato.

Ellen si sedette, sudata e ansimante, sui resti di una colonna mentre, Eleonora, preferì restare in piedi, appoggiandosi a un cartello.

A parte il loro affannato respiro, ora che erano ferme a riprender fiato, non si udiva che il gracidare dei grilli, l’unico rumore che era possibile udire per i vicoli della metropoli durante le ore notturne.

Passò qualche minuto.

Poi la Newman alzò lo sguardo verso il segnale stradale ove era appoggiata l’amica: segnava il limite di velocità da tenere su quelle strade, non oltre le sessanta miglia orarie.

Accenno un sorriso, asciugandosi con la manica della maglietta la fronte: chi mai avrebbe potuto guidare un’auto, su quelle strade così disastrate? Ma, sopratutto, chi mai possedeva un’auto funzionante, nella zona??

Eleonora intuì i pensieri dell’amica, alzando anch’essa lo sguardo verso il cartello.

“Mio zio ne possedeva una, e funzionava” commentò.

“Davvero??” domandò l’amica, sorpresa di esser appena stata smentita.

“Si, ma sette anni fa gli si è fuso il motore…” aggiunse con un tragicomico sorriso la bionda.

Ellen scosse il capo, divertita: “Forse quest’anno ne trova uno nuovo, il sette porta fortuna”

“Ne trova due” replicò sarcastica Eleonora, ormai da tempo disillusa che lei o la sua famiglia potessero avere una qualche fortuna, in quello squallido luogo dimenticato da Dio dove vivevano.

“Be’, tu hai una radio, io no” le fece notare la Newman, facendole l’occhiolino.

La bionda annuì, accennando un sorriso: vero, lei aveva una radio, un lusso che ben pochi potevano concedersi…

“Fortunata…” aggiunse Ellen, con un poco di sconforto nella voce: anche lei avrebbe tanto desiderato una radio… Eleonora non sapeva quanta invidia provava nei suoi confronti, a volte!

“Un giorno avremo tutti una radio!” esclamò di colpo la bionda, quasi avesse colto il pensiero della compare.

“Abbi fede, prima o poi fuggiremo da questo squallore!” aggiunse, con un raggiante sorriso.

Ellen la guardò… e non poté che ricambiare l’entusiasta sorriso: quel sorriso, che era raro trovare da quelle parti, dove tutti erano torvi e malcontenti, di speranza e ottimismo…

Forse riuscivano a sorridere in quel modo perchè erano ancora tanto giovani, lontane dalla crudeltà del mondo… o forse perchè, l’idea di assistere dal vivo al lancio del modulo, era una prospettiva così emozionante da non lasciar a turbe e preoccupazioni, almeno per quella notte.

Poi Ellen abbassò lo sguardo, sentendosi prudere le braccia: ebbe l’impeto di grattarsele, ma poi si ricordò quando doveva aver lerce le mani e quanto fosse facile prendersi un’infezione, da quelle parti.

Così, osservandosele alla tremolante luce della propria lanterna, intravide una lunga serie di graffi, dai quali sgorgava sangue.

Sospirò, tornando a guardare la compare un poco scocciata: doveva essersi ferita superando le macerie di un palazzo che era crollato sulla strada, poco prima….

“Anche tu ti sei ferita?” domandò istintivamente.

L’amica, con un’espressione un poco schifata nell’osservare che dietro il cartello c’era un agglomerato di ragni attorcigliati su se stessi, annuì: “Capita, quando si corre al buio sopra i resti di un palazzo franato…”

Poi si voltò verso Ellen e aggiunse: “Appena torno a casa mi disinfetto le braccia con acqua ossigenata”

Ellen annuì: saggia idea, anche lei avrebbe dovuto avere quella accortezza appena rincasata.

Le due restarono in silenzio qualche altro istante.

Poi, finalmente, la rampolla dei Newman scrollò le spalle e si mise in piedi: “Forza Ele, andiamo!!” incalzò.

Stavano perdendo fin troppo tempo, in quel colonnato diroccato.

Eleonora annuì, destandosi. Anche lei si stiracchio le spalle e, facendo segno all’amica, tornò a incamminarsi.

Ellen subito si mise al suo seguito e, solerte e silenti, le due amiche raggiunsero finalmente un’ampia strada, ben più larga e pulita dei piccoli e sudici vicoli che avevano percorso fino a quel momento.

“Eccolo lì, il numero quarantadue!” esclamò di colpo la bionda ragazza, indicando la scura silhouette in fondo alla via: era un grattacielo, il più alto e mastodontico della città.

Avvicinandosi, le due compari non poterono non provare un brivido, tanto era imponente come edificio… com’era possibile giacesse in quello stato di abbandono e degrado, tanto da esser diventato pericolante, ancora non riuscivano a spiegarselo.

Arrivate finalmente alle porte d’ingresso, due grossi portoni di metallo sfondati e scardinati, Eleonora aggrottò lo sguardo: con la lanterna, illuminò un poco il fatiscente interno dell’edificio.

“A me sembra pericoloso…” mormorò preoccupata Ellen, osservando la tromba delle scale, che dava l’idea di potersi sfracellare al suolo da un momento all’altro.

L’amica annuì… già aveva visto morirci delle persone, addentrarsi in quei grattaceli, non aveva bisogno di ulteriori dimostrazioni per esser conscia di quanto fosse pericolo non esser accorte e circospette.

“Prendiamo le scale antincendio sul retro, sono sicure, quelle” propose.

Ellen annuì: “Buona idea”

Le due fecero quindi il giro dell’enorme palazzo e, facendo attenzione a non inciampare nell’edera o a ferirsi con delle lamine di ferro e prendersi il tetano, iniziarono a salire la lunghissima rampa di scale metalliche.

Fu una salita lunga e massacrante: illuminandosi come meglio  potevano con le lanterne, aggrappate saldamente al gelido corrimano, per tutto il tempo udirono il macabro rimbombare metallico di ogni loro passo…

“F-forza… m-manca un u-ultima… r-rampa… anf…” balbettò stremata Eleonora, ormai prossime alla cima in un disperato tentativo di farsi coraggio.

Ellen annuì a malapena, stringendo forte il corrimano: si sentiva le gambe tremare, ed era angosciata all’idea di perdere la presa e cadere…

La ragazza scosse il capo, senza volerci neppure pensare. 

Alzò lo sguardo al cielo, per distrarsi: sopra la sua testa, man mano che continuava a salire, ecco che l’immensità della volta celeste palesarsi in tutto il suo infinito splendore.

Ora, solo ora che erano sopra tutti gli altri palazzi, sopra quell’angosciante e opprimente dedalo di grattacieli, che coprivano il cielo e le sue stelle, solo ora, si sentiva libera…

Finalmente, le due ragazze raggiunsero la cima.

Estenuate, barcollarono fino al tubo di un condotto dell’aria e ci si sedettero sopra.

Di colpo Ellen sentì un brivido sul fondoschiena: era gelido!

Istintivamente sorrise divertita verso l’amica, che ricambiò con uno stanco sorriso.

“Ci… ci siamo riuscite…” mormorò la bionda, orgogliosa.

Ellen annuì, tornando a rivolgere lo sguardo verso il cielo: non avrebbe neppure saputo contare tutte le volte che, coi genitori, erano andati in gita nella periferia, a contemplare il cosmo con il cannocchiale e con mappe astronomiche…

Aveva visto e imparato a riconoscere le costellazioni, i pianeti, le fasi lunari… e non si era fermata lì, no di certo! Si era messa a leggere tutti i grossi manuali di astronomia che tenevano nella piccola biblioteca di casa: testi meravigliosi, che descrivevano il cosmo e le sue meraviglie, come le nebulose, le strisce di asteroidi, le comete, i giganti gassosi, le stelle e i buchi neri… cose totalmente aliene dalla squallida vita di tutti i giorni, forse neppure pienamente comprensibili dalla mente umana… 

E non poteva che pensarci, ogni qualvolta che calava il sole, all’immensità che si estendeva sopra il suo capo, al di sopra di quei tetri palazzi… altri mondi, altre realtà, altre civiltà… un universo intero da scoprire, e nel quale fuggire, via da dove abitava, dalla triste esistenza alla quale non poteva esser stata condannata…

Scosse il capo, sorridendo: nono, non poteva esser nata col dono di poter contemplare il cosmo perchè restasse confinata laggiù. Non poteva.

Istintivamente, si tastò il fiocco rosso che teneva in capo

“Quanto manca, Ele?” domandò, con il cuore che le batteva forte forte nel petto.

“Poco Elly, pochissimo! Da qui avremo una visuale perfetta!!” esclamò l’amica, altrettanto emozionata.

Passò dunque qualche istante di religioso silenzio, spezzato solo dai flebili respiri delle ragazze…

E poi, di colpo, l’ambiente si tinse di un tenue riverbero blu.

Alle due amiche venne un colpo al cuore e gli si mozzò il fiato.

Il chiarore blu continuò ad aumentare, facendosi sempre più intenso: ogni palazzo, ogni maceria, ogni cosa fino all'orizonte si tinse di blu...
E poi comparve: sopra il loro capo, immenso, mastodontico, il Modulo Spaziale.

Era una sorta di gigantesco razzo bianco, ricoperto da un arzigogolato groviglio di antenne e parabole che, grazie all’azzurra spinta propulsiva di una colossale fiamma blu, stava solcando i cieli.

Le due ragazze ne osservarono, con gli occhi sgranati, le bianche lamine di ferro, gli oblò blindati, le cisterne di carburante, le luci intermittenti, le enormi antenne paraboliche rivolte in ogni dove per sondare le profondità cosmiche e, in ultimo… la gigantografia della bandiera statunitense, dipinta su tutta la fiancata.

Non sapevano bene neppure loro cosa stavano provando, mentre il gigantesco modulo si allontanava sempre più, oltre la stratosfera…  probabilmente una sorta di confusionario miscuglio di entusiasmo, paura e meraviglia…

Con un nodo in gola e un continuo di brividi che le percorrevano il corpo, via via che il modulo si faceva sempre più piccolo e l’ambiente ripiombava nella sua tetra oscurità, Ellen mormorò: “…ma… non fa rumore…?”

BROOOOOOOOOAAAAAAAAAAAAAM!!!

“!!!”

All’improvviso, un frastuono tremendo si perpetuò nell’aria.

Durò una manciata di secondi, ma continuò a udirsi l’eco per diversi minuti.

Con gli occhi sbarrati dal terrore, Eleonora si girò pallida pallida verso la giovane Newman, altrettanto paonazza.

“…”

“ELLEN, TACI SANTO IDDIO!!”

   
 
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