Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |       
Autore: Philips    05/02/2018    1 recensioni
"La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra dolore e noia, passando attraverso l'intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia" diceva Schopenhauer.
Probabilmente i protagonisti di queste storie, legate da riferimenti sottili o incontri dimenticati, la pensano proprio allo stesso modo.
In ognuno di questi piccoli scorci di vita quotidiana, percepirete lo scorrere dell'esistenza umana attraverso gli occhi di persone diverse, ma tutte legate da un fil rouge tanto sottile, quanto indistruttibile: l'impossibilità di cambiare le cose.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Con tutto il casino che fa il vagone sui binari non riesco proprio ad ascoltare musica. Giusto adesso che la riproduzione casuale aveva messo la mia canzone preferita. Sfilo gli auricolari dalle orecchie e li infilo in tasca alla rinfusa, tanto si aggrovigliano comunque.
Quel bastardo del mio capo mi ha licenziato in tronco, senza un minimo preavviso. “Abbiamo bisogno di gente motivata e produttiva qui, signor Ferraris” - mi ha detto stamattina con quel suo tono così spocchioso ed arrogante – “cambiare aria le farà sicuramente bene”. Ma va’ a farti fottere.
Ci siamo solo io e pochi altri in metro. La gente normale di solito lavora a quest’ora. Un vecchietto, poco distante da me, tiene al guinzaglio uno schifosissimo barboncino che mi fissa da una decina di minuti, pronto ad abbaiare. Odio i barboncini. In realtà odio davvero parecchie cose con le quali, puntualmente, mi ritrovo ad avere a che fare ogni giorno. Per esempio i manager qui in città, vestiti di tutto punto, sempre al cellulare, che ti guardano dall’alto in basso con quell’aria di disprezzo e palese disgusto. Oppure i soliti moralisti sui social, sempre pronti a criticare ogni post o commento che vada contro la loro presunta etica del politically correct
Devo smetterla di fissare quello stupido cane. Mi concentro sulla mia immagine specchiarsi nel finestrino davanti a me. Non l’avessi mai fatto. Ho i capelli tutti scompigliati, un paio di occhiaie paurose e la barba incolta.
Sono l’esatto riflesso del mio “io interiore”. È assurdo come mi lamenti sempre in questi giorni, ma non riesca a far niente di concreto per cambiare le cose. Non mi sta affatto bene così, eppure mi rassegno e passa un altro giorno senza aver concluso nulla di buono. Col senno di poi, sono convinto di essermelo meritato il licenziamento. Credo di stare affrontando una sorta di crisi di mezza età, pur avendo solo 23 anni. In momenti come questo mi ritornano in mente le parole di mia madre, martellanti e così fottutamente attuali. “L’università è importante, Paolo, è il tuo trampolino di lancio per il futuro” mi ripeteva sempre. Io l’avevo iniziata l’università. Ma la voglia di studiare è andata a farsi benedire dopo il primo semestre, ed eccoci qua, soli soletti, dopo aver perso il posto fisso che tanti desiderano così ardentemente.
Chissà chi mi sostituirà in ufficio. Mi sento davvero una nullità se penso che, probabilmente, il primo scemo che passa prenderà il mio posto. Magari sarà bravo solo a portare il caffè ma, perlomeno, risulta una persona motivata e produttiva
Certo che la carrozza è conciata davvero male, tappezzata ovunque di scritte orribili e senza senso. Non riesco a trovare un sedile in condizioni decenti nel raggio di 5 metri, sono tutti graffiati e incisi. Per non parlare poi delle cartacce, sembra che non la puliscano mai la metro. Che schifo. Il vagone rallenta piano, ci stiamo fermando alla stazione. Spero tanto che non salgano troppe persone, non sopporto la confusione. La voce atona dello speaker comunica il nome della fermata. Ormai le so tutte a memoria. Le porte si aprono lentamente, precedute dal solito breve segnale acustico. Una signora alta e robusta sale su, i pesanti sacchetti della spesa le fanno diventare le nocche bianche, lo vedo da qui. Si siede poco distante da me, poggiando le buste per terra con un sospiro di sollievo. Poi salgono due ragazzini, fanno un tale baccano. Decidono di rimanere in piedi, continuando a chiacchierare con quelle loro voci stridule e fastidiose.
Non sale più nessuno, è tutto pronto per ripartire. Altro segnale acustico, le porte accennano un movimento. Stanno per chiudersi, quando qualcuno entra improvvisamente in corsa all’ultimo secondo, sembrava dovesse rimanere incastrato lì in mezzo. In realtà è una lei. Sta piegata in due per qualche attimo, respira affannosamente, chissà che corsa si sarà fatta. Solleva il capo guardandosi intorno, poi si sistema il cappotto beige, sedendosi esattamente di fronte a me. Sposta i ricci chiari con un movimento lento della mano, rivelando un viso che sembra fatto di porcellana. È davvero bella. Ma di una bellezza non artefatta, quasi non fosse consapevole di come appare, così naturale e, al contempo, raffinata. Tiene lo sguardo basso, incorniciato da un paio di grandi lenti, da quando è salita. Porta un paio di jeans blu a fasciarle le gambe, delicatamente incrociate. Non riesco proprio a staccarle gli occhi di dosso, talmente preso ad analizzarla accuratamente in ogni minimo particolare. Lei non sembra essersi accorta dei miei sguardi insistenti, tanto meglio per me. Non credo che fissare le persone in questo modo sia da definirsi propriamente educato, ma quella ragazza brilla davvero di luce propria.
Il colpo di fulmine doveva capitarmi proprio oggi? Continuo ad osservarla, scoprendo sempre nuovi particolari, secondo dopo secondo. Tiene le labbra socchiuse, sembrano così morbide, paiono disegnate appositamente per incastonarsi nel suo volto. "Castano" non è esattamente il colore con il quale definirei i suoi capelli, sono più chiari, quasi tendenti al biondo. Il mio sguardo si sofferma sulle mani lisce e dalle lunghe dita affusolate. La mia mente le associa subito a parole come "grazia" e "delicatezza", simboli di un’eleganza senza tempo. Credo di aver perso la testa, sto divagando da un bel po’ non rendendomene realmente conto.
Dovrei pensare ad altro, per esempio trovare un lavoro il più presto possibile. Tornare dai miei con la coda fra le gambe e sentirmi ripetere i soliti “Te l’avevo detto” è l’ultima cosa che voglio in questo momento. Mio padre non si è mai pronunciato in maniera esplicita in nessun momento della mia carriera scolastica o lavorativa. Se mai essa possa definirsi una “carriera”. Ma credo fortemente che, nel profondo, mi consideri una nullità. Sono tutto ciò che lui, come mia madre, non avrebbe mai voluto che io fossi. Ma sappiamo tutti com’è andata a finire. Tutti tranne i miei, almeno per ora.
Come diamine lo pago l’affitto adesso? Non ho assolutamente intenzione di chiedere loro dei soldi. Controllo velocemente l’orologio, segna le 3:25. Sollevato nuovamente lo sguardo, noto con piacere che la ragazza ha smesso di osservarsi le punte dei piedi. Ora si guarda di nuovo intorno, proprio come qualche minuto fa, quando ha rischiato di rimanerci secca. I nostri occhi si incrociano per un attimo impercettibilmente piccolo, ma che mi è sembrato durare un’eternità. Abbasso imbarazzato lo sguardo. Sono proprio un cretino. Chissà cosa starà pensando di me, magari questa situazione la diverte. Decido di riprovarci. La scruto nuovamente e scopro che anche lei sta facendo lo stesso. Accenna un sorriso, spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Sento qualcosa muoversi dentro di me, qualcosa di caldo. Suppongo si possa definire “amore a prima vista”. Credo di non aver mai propriamente amato in vita mia. Non ne ho mai avuto l’occasione, o forse ho sempre avuto paura di non essere abbastanza per chiunque avessi mai potuto amare. La ragazza qua di fronte è la classica sconosciuta incontrata sui mezzi che non vedrai mai più nella tua vita.
È tutto così triste e privo di senso. Non ho mai il coraggio di farmi trascinare dalle sensazioni, dalle emozioni che provo. È come se mi costruissi delle catene, dei muri invalicabili che mi tengono intrappolato dentro me stesso, non consentendomi di uscire fuori dalla mia condizione di perenne torpore. Avverto la carrozza rallentare, sta per fermarsi di nuovo. Questa è la mia fermata. La osservo per un’ultima volta. Lei mi sorride di nuovo e io, di rimando, riesco ad incurvare leggermente le labbra. Sono proprio una frana. Mi alzo in piedi giusto in tempo per sentire il solito segnale acustico, seguito dalla solita voce inespressiva e dall’apertura delle porte a scorrimento. Non mi volto neanche per guardarla ancora, quindi scendo calpestando la banchina. Mi muovo quasi inconsapevolmente, le falcate sempre uguali e non troppo ampie. Salgo le scale lentamente, un piede dopo l’altro, fino a ritrovarmi fuori dalla stazione, aria fresca nei miei polmoni. La luce del sole mi investe violenta, socchiudo gli occhi istintivamente.
Il viaggio in metro mi è sembrato durare un’eternità. Chissà qual era il suo nome. Non lo scoprirò mai. Mi dirigo verso casa, pensando e ripensando a lei, a quanto fosse semplicemente perfetta nella sua semplicità. Non una parola, non un gesto, solo un gioco di sguardi, a tratti estremamente imbarazzante. Sorrisi di sfuggita e pensieri celati dietro volti imperturbabili. Silenzi anche fin troppo rumorosi da sostenere. Poi l’addio. Sono di fronte al portone del condominio e tiro fuori le chiavi dalla tasca, dannate cuffiette. Pochi attimi e mi chiudo la porta alle spalle, sospirando.
Ora ne sono certo. Mio padre lo pensa davvero e ora lo penso anch’io. Sono una nullità. Mi trascuro, non ho voglia di lavorare e di conseguenza mi licenziano. Risulto privo di ogni slancio vitale, non ho un minimo di iniziativa. E l’esperienza di oggi lo dimostra appieno. Salgo le scale velocemente, sento i polpacci tirare. Mi fermo un attimo davanti la porta del “mio” appartamento. Sfioro il pomello metallico, è congelato. Un brivido mi corre lungo la schiena. Continuo a salire fino all’ultimo piano, mi fermo, ho il fiatone. Apro velocemente la porta calpestando il cemento ruvido del terrazzo. Scorgo le antenne satellitari sulla destra, due piccioni se ne stanno appollaiati là sopra. Il cielo è di un azzurro fastidioso, non vedo neanche una nuvola. Mi avvicino lentamente al parapetto. Le gambe iniziano a tremarmi sempre di più, non riesco a controllarle. Sporgendomi, punto lo sguardo di sotto e non passa anima viva. Ripenso a quel coglione del mio capo e a mia madre. Credo mi abbia voluto davvero bene in questa vita, nonostante tutto. Su mio padre ho qualche dubbio, ma tanto chi se ne frega. Riflettendoci bene, magari la ragazza era pure fidanzata. Tanto pensare per niente.
Faccio un respiro profondo, chiudendo gli occhi.
Poi mi butto giù. 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Philips