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Autore: QueenOfEvil    06/02/2018    4 recensioni
È notte. L'ultima che Dante passerà sulla montagna del Purgatorio. Virgilio ammira le stelle, sopra di lui, e pensa. Al Paradiso, al Limbo, al viaggio intrapreso.
Ma, più di tutto, pensa al proprio allievo, che allievo ormai non è più.
«Era stato un ordine dall’alto, un ordine dettato dallo stesso Dio che il poeta mantovano non aveva mai conosciuto e che ancora non riusciva a percepire, a comprendere, anche lì, sulla montagna, a due passi dal Paradiso Terrestre. Poteva ammettere, con un pizzico di rimorso, quello sì, di essersi sentito sfruttato, mentre veniva mandato alla ricerca del suo “allievo”: sfruttato da un sistema che lo aveva prima eletto incosciente profeta di una rivelazione, di una salvezza che aveva -apparentemente- toccato tutti tranne lui stesso, e che poi lo riutilizzava a comando per far conoscere la retta via a qualcuno che, invece, avrebbe avuto tutte le possibilità per aspirare al Paradiso con le sue sole forze. Non fosse stata un’anima del Limbo, forse avrebbe anche potuto provare astio nei confronti dell’uomo che ancora doveva conoscere.
Ma quello era stato prima.»
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dante Alighieri, Virgilio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dov’io per me più oltre non discerno
 

Milletrecentodiciannove anni. 

Erano passati milletrecentodiciannove anni dall’ultima volta che aveva potuto ammirare il cielo stellato, come era solito fare da giovane nei suoi possedimenti in campagna: malgrado i secoli fossero passati, Roma fosse caduta, l’Impero fosse rovinato sotto il barbaro dominio, l’atmosfera della sera continuava a suscitare, in Virgilio, lo stesso struggente fascino di sempre e lo riempiva di una pace completa. In momenti come questi, al pari delle precedenti due notti passate sulla montagna del Purgatorio, poteva quasi fingere di dimenticare. 

Dimenticare chi fosse, dimenticare il suo compito, dimenticare di essere solamente un’anima del Limbo con la sventura di essere vissuta troppo presto che, alla fine di quel viaggio -sempre più breve, sempre più incerto-, sarebbe dovuta tornare nel luogo che la Giustizia divina le aveva designato. E, soprattutto, dimenticare chi stesse accompagnando, a chi stesse facendo da guida.

A chi avrebbe dovuto dire addio, appena il giorno seguente.

Lanciò un’occhiata verso il basso, lungo la scala, e, un gradino appena sopra Stazio, che riposava, anche lui, con il capo a rimirare la volta celeste, scorse il viso del suo protetto, i muscoli distesi, l’espressione rilassata di chi sta sognando: cosa -o chi- a Virgilio non era dato saperlo.

Un sorriso, malgrado tutto, gli si delineò sulle labbra, ripensando al momento in cui Beatrice era scesa nell’AntiInferno e si era rivolta a lui, sì, proprio a lui, affermando di avere un compito molto importante da affidargli. Guidare attraverso il temporal foco e l’etterno un uomo, un amico.

Dante Alighieri.

Era stato un ordine dall’alto, un ordine dettato dallo stesso Dio che il poeta mantovano non aveva mai conosciuto e che ancora non riusciva a percepire, a comprendere, anche lì, sulla montagna, a due passi dal Paradiso Terrestre. Poteva ammettere, con un pizzico di rimorso, quello sì, di essersi sentito sfruttato, mentre veniva mandato alla ricerca del suo “allievo”: sfruttato da un sistema che lo aveva prima eletto incosciente profeta di una rivelazione, di una salvezza che aveva -apparentemente- toccato tutti tranne lui stesso, e che poi lo riutilizzava a comando per far conoscere la retta via a qualcuno che, invece, avrebbe avuto tutte le possibilità per aspirare al Paradiso con le sue sole forze. Non fosse stata un’anima del Limbo, forse avrebbe anche potuto provare astio nei confronti dell’uomo che ancora doveva conoscere.

Ma quello era stato prima.

Virgilio scosse la testa, cercando di volgere i propri pensieri altrove, ma la sua attenzione rimase catturata dal respiro di Dante, vivo tra spiriti, che faceva alzare e abbassare il suo petto con velocità regolare: era stato incredibile come, in poco tempo, egli avesse catturato la sua benevolenza e il suo affetto.

Era curioso, di una curiosità bruciante, penetrante, che non si fermava alle apparenze, ma tentava di ricavare la vera essenza delle cose, e, anche se Virgilio aveva più di una volta dato mostra di innervosirsi alle sue domande troppo pressanti, aveva anche avvertito uno strano calore -strano perché mai sperimentato, strano perché era morto da così tempo che pensava che anche il suo cuore si fosse dissolto con lui- mentre rispondeva ai suoi quesiti e vedeva i suoi occhi illuminarsi, mano a mano sempre di più, della comprensione che alberga nell’animo degli uomini saggi.

Era determinato e, anche se in alcune occasioni si era forse dimostrato pavido, lui era sempre stato al suo fianco, pronto a redarguirlo, ma anche ad incoraggiarlo -ogni istante meno guida, ogni istante più compagno di viaggio-, mentre procedevano nel loro lungo percorso, dall’Inferno fino alla vetta del Purgatorio.

Era compassionevole, ma anche deciso nella condanna: imparava in fretta la natura dei peccati, e li rigettava, li allontanava da sé con altrettanta velocità, ma conservava nel profondo quella piccola luce di comprensione per la debolezza dell’animo umano, per il perdono degli errori commessi, che Virgilio attribuiva alle grandi menti e ai grandi cuori, lui che era stato grande a sua volta. 

Perché sì, Dante era grande, una grande anima, un grande uomo e, soprattutto, un grandissimo poeta.

Aveva capito, forse troppo tardi, il motivo che aveva spinto il Paradiso ad eleggerlo portavoce del proprio messaggio e quando lo aveva fatto, quando si era reso conto di averlo fatto, aveva implorato l’ignoranza per se stesso, perché gli fosse risparmiato almeno quel tormento: essere destinato a passare l’eternità del Limbo gli era parsa già al tempo come una punizione immeritata -se non si fosse trattato di Dio, l’avrebbe definita un’ingiustizia-, ma essere costretto a passare l’eternità nel Limbo, senza Dante al suo fianco, beh…

Quella sarebbe stata una punizione peggiore di tutte le pene dell’Inferno.

Mai, in quei milletrecentodiciannove anni, aveva provato una nostalgia per il Paradiso -per un luogo che non aveva mai conosciuto e che mai avrebbe potuto aspirare a comprendere- così struggente quanto in quel momento. Mai aveva desiderato a tal punto di poter camminare in mezzo ai Beati. 

E non era per la possibilità della pace eterna, del calore portato dalla fede o, addirittura, della vista di Dio.

L’unica cosa che lo piagava nell’animo era la consapevolezza che, una volta che Dante fosse entrato nell’Eden, le loro strade si sarebbero divise e lui non avrebbe più potuto parlargli. Ascoltarlo. Vederlo.

Agnoscebat veteris vestigia flammae.

Non desiderava che la notte finisse. Anzi, pregava con tutte le sue forze che durasse in eterno, che il tempo si congelasse in quell’unico istante e li lasciasse lì, in quella posizione, il suo protetto -amato?- addormentato a pochi centimetri da lui e la sua mano che, pur conscia di non poterlo toccare, si protendeva verso il viso dell’altro, in una scena che, nella sua malinconia, aveva in sé molta più gioia di quanta avrebbe mai sperimentato, una volta che il suo compito si fosse concluso.

Ma, come in tutti gli altri casi, come in tutto il resto dell’eternità, nessuno ascoltò il suo desiderio inespresso.

Il sole sorse, arrivò il giorno e con esso il momento di rimettersi in cammino: Dante era sveglio, di nuovo, e correva su per la scala con un’energia che scaldava e spezzava il cuore di Virgilio al tempo stesso. Era orgoglioso di lui, sapeva l’evoluzione a cui stava andando incontro e non poteva che essere felice per quello che sarebbe stato il suo destino -il Sommo Poeta, sì, ecco chi sarebbe diventato-, ma avvertiva come la sua presenza fosse sempre meno necessaria, come il pensiero di Dio, del Paradiso, di Beatrice -verso la quale, se non fossero stati purificati dai peccati appena un giorno prima, avrebbe potuto ammettere di provare gelosia- fosse centrale nella mente del suo discepolo.

Discepolo che, oramai, non era più tale.

E quando il loro viaggio giunse alla fine, quando, per l’ultima volta, ebbe la possibilità di parlare con Dante a viso aperto, guardandolo negli occhi e capendo ormai chi era diventato, le sue parole esprimevano solo l’enorme stima che ormai aveva di lui, nascondendo quasi perfettamente il tormento che lo stava dilaniando da ore.

Quasi, perché quando l’altro ruotò il capo, pronto per intraprendere il suo viaggio nell’Eden, malgrado fosse morto da milletrecentodiciannove anni, Virgilio sentì sulla sua guancia quella che aveva la consistenza e il sapore di una lacrima.

 

«Il temporal foco e l’etterno
veduto hai, figlio: e se’ venuto in parte
dov’io per me più oltre non discerno.
Tratto t’ho qui con ingegno e arte,
lo tuo piacere omai prendi per duce;
fuor se’ de l’erte vie, fuor se’ de l’arte.
Vedi lo sol che ’n fronte ti riluce;
vedi l’erbette, i fiori e li arbuscelli
che qui la terra sol da sé produce.
Mentre che vegnan lieti li occhi belli
che, lagrimando, a te venir mi fenno,
seder ti puoi e puoi andar tra elli.
Non aspettar mio dir più né mio cenno;
libero, dritto e sano è il tuo arbitrio,
e fallo fora non fare a suo senno:
per ch’io te sovra te corono e mitrio»



 





Ebbene sì, mi sono data alle Dantilio.
Ma è da tutto il Purgatorio che temevo l'arrivo di questo momento e, con l'addio di Virgilio imminente, non potevo che buttare giù due righe su quella che è l'OTP più gettonata dagli studenti italiani non appena iniziano a leggere la Divina Commedia.

Dantilio is the way, sorry.

Comunque sia, due precisazioni: la frase in latino che ho scritto recita "Conosceva i segni dell'antica fiamma" ed è una citazione quasi pari pari dall'Eneide, quando Didone capisce di essersi innamorata di Enea. Sì, mi sembrava ci stesse bene: l'unico cambiamento che ho fatto, struttando le mie conoscenza da classicista disperata, è stata mettere il verbo all'imperfetto invece che al presente. ECCO A COSA SONO SERVITI ANNI DI DIZIONARIO IN SPALLA E DIOTTRIE SPRECATE, DICO IO!
E, come immagino si fosse intuito, i magnifici versi finali sono tutti farina del sacco del nostro caro Dante, per la precisione alla fine del Canto XXVII del Purgatorio.
Mi auguro che questa cosuccia vi sia piaciuta e che vogliate lasciarmi un commentino, dato che, sapete com'è, sono piuttosto nuova nel fandom,
A presto (mi auguro)!
L_A_B_SH

   
 
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