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Autore: Eneri_Mess    07/02/2018    1 recensioni
Quando passò la primavera e arrivò l’inizio dell’estate e la fine della scuola, Lance ottenne soltanto un foglio con scritto “Nessun riscontro. Probabile β”.
Sua madre annuì con un sorriso, come se avesse portato a casa un buon voto, lo baciò sulla fronte e poi ripose il documento in un cassetto.
« Tra un anno potrai rifare il test, ma qualsiasi sia il risultato non cambierà nulla di te, ok, mi niño? »
L’anno successivo il foglio recava diversi esami e un semplice responso finale “Classificato β”.
[Omegaverse] [maybe Klance]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kogane Keith, McClain Lance
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cow-t, quarta settimana.
Numero parole: 3306
Note: Omegaverse! In canon, accenni pre-Kerberos. L'Heat o “Calore” coglie gli omega circa 3 volte all’anno.



 

Quando passò la primavera e arrivò l’inizio dell’estate e la fine della scuola, Lance ottenne soltanto un foglio con scritto “Nessun riscontro. Probabile β”.

Sua madre annuì con un sorriso, come se avesse portato a casa un buon voto, lo baciò sulla fronte e poi ripose il documento in un cassetto.

« Tra un anno potrai rifare il test, ma qualsiasi sia il risultato non cambierà nulla di te, ok, mi niño? »

L’anno successivo il foglio recava diversi esami e un semplice responso finale “Classificato β”.

Come era successo con i suoi fratelli e le sue sorelle, sua madre gli preparò un dolce per festeggiare. Non avrebbe mai detto di no alla cucina di sua madre, ma non si sentiva in vena di fare di quella notizia un motivo di festa. Non cambiava niente in fondo. Non era un α come suo padre, sua sorella o suo fratello maggiore. E non era un Ω come sua madre o l’altra sua sorella. Era un semplice e comune β, uno dei tanti.

Il che aveva i suoi vantaggi, soprattutto dopo tutti i racconti angoscianti delle medie dove i suoi compagni, bisbigliando perché erano cose “da adulti” e non volevano farsi sentire dai professori, raccontavano cosa succedeva ai loro parenti Ω quando era il periodo del calore. Prima di venire a sapere tutti i retroscena, Lance aveva immaginato quei momenti in maniera molto diversa, a tratti romantici.

Quando succedeva a sua madre, lei era sempre molto tranquilla, nonostante si vedesse che fosse affaticata; se lo sfiorava Lance poteva sentire la sua pelle calda come se avesse avuto la febbre. Era piccolo e si preoccupava di vederla così, ma lei aveva sempre un abbraccio in cui stringerlo e fargli passare i pensieri, anche se questo non bastava a frenare la sua testardaggine.

Lance si incaponiva a voler restare con la madre; la aiutava a disporre cuscini e coperte sul grande letto della sua stanza per creare un nido (lei gli aveva spiegato che si trattava di un posto dove sentirsi al sicuro e confortati insieme alla propria dolce metà), e rimaneva abbracciato a lei finché i suoi fratelli lo venivano a prendere per portarlo dai nonni, quando finalmente papà tornava dal lavoro per stare con la moglie.

Lance dormiva via da casa anche tre o cinque notti; erano i giorni in cui l’andamento delle faccende domestiche era affidata ai suoi fratelli più grandi, mentre a Lance mancava la mamma, e un po’ anche il papà. Lui era il più giovane e l’unico suo compito, a detta della nonna, era far trovare qualche bel disegno alla mamma, impegno che prendeva molto seriamente pensando ai complimenti che avrebbe ricevuto quando i suoi genitori fossero venuti a riprenderlo.

E così era, ogni volta; mamma e papà arrivavano mano nella mano, sorridenti e pieni di belle parole e baci per la loro briciola. Quei giorni finivano sempre con un gelato o una cioccolata calda a seconda della stagione, e Lance aveva interpretato il “calore” come un evento smielato tipico dell’amore, come San Valentino, solo più frequente.

Imparare col tempo, e con l’età, le dinamiche tra α e Ω e che cosa succedesse davvero una volta che la porta della camera dei genitori veniva chiusa, gli fece conoscere il significato più profondo dell’imbarazzo.

A dodici anni, per la prima volta, quando capì che sua madre stava per avere “il suo periodo”, Lance non si accoccolò con lei nel nido. Cercò di apparire normale, scherzando e parlando di tutto ciò che poteva distrarlo, anche se non riusciva a guardare in faccia sua madre e sentiva di essere rosso ovunque, così a disagio che quasi gli prudeva la pelle.

La salutò in maniera molto stupida; disse che, anche se era quasi sera, poteva attraversare la strada e andare dai nonni da solo, senza aspettare nessun fratello. Sua madre fu gentile a rispondergli, ad augurargli la buonanotte, ma Lance si portò dentro il suo sorriso indulgente, un po’ triste, per tutto il weekend che passò dai parenti. Non fece disegni quella volta ( « Sono grande, nonna! » ), e sbadatamente rovesciò il cono gelato che si presero lui e i suoi prima di tornare a casa tre giorni dopo.

Fu quando entrò alla Garrison Galaxy, lontano da casa, circondato da ragazzi e ragazze diversi, stranieri, determinati a diventare qualcuno, che Lance iniziò a sentire i primi cambiamenti in sé. Non ne fece parola con nessuno, anche perché non conosceva nessuno; nonostante Hunk divenne presto il suo “migliore amico”, non riuscì ad aprirsi nemmeno con lui.

Per il suo naso c’erano un sacco di odori nuovi. Nelle aule, nei laboratori, soprattutto le palestre per gli allenamenti si riempivano di sentori che a volte gli facevano girare un po’ la testa e gli facevano venire la pelle d’oca. Non era un amante della fatica, ma se c’era da giocare si metteva in campo; tuttavia, più volte aveva dovuto aspettare che tutti finissero con le docce e di vestirsi, prima di uscire dal cubicolo, accampando scuse sulla “cura della persona”, perché sentiva a pelle che approcciarsi ai compagni nudi o mezzi nudi gli metteva addosso ansia, probabilmente per il suo essere così magro e filiforme.

Sempre più spesso si era ritrovato a chiedersi chi di loro fosse α, chi β e chi Ω (anche se aveva idea che di questi ce ne fossero molti pochi; diventare piloti o ingegneri non era nella loro indole), e se anche agli altri “normali” come lui quel posto stesse facendo lo stesso effetto.

Durante una delle visite a casa, quando tra una chiacchiera e l’altra con sua nonna aveva accennato all’argomento, lei aveva ridacchiato in quel modo che a Lance ricordava tanti singhiozzi uno appresso all’altro.

« Briciola, sei un adolescente, eri alto così quando hai iniziato a provarci con le bambine, ora che è il momento ti tiri indietro? »

Lance era arrossito; aveva sdrammatizzato fingendo di offendersi e assicurandole che l’unica donna della sua vita fosse lei, ma la verità era che si sentiva fuori posto. C’era qualcosa che lo turbava dentro e premeva per emergere, e lui si sentiva intimorito e inadeguato, e continuare a nascondere tutto sfoggiando la personalità di sempre come una maschera iniziava a pesare. Ma non aveva minimamente idea di cosa fosse e di quanto dovesse preoccuparsi.

Quando uscirono le prime graduatorie della categoria piloti, Lance visse uno dei periodi più deprimenti della propria vita. Non era riuscito a rientrare tra i Fighter, finendo primo della lista Cargo. Un primo posto che fece sghignazzare diversi compagni, mentre altri lo consolarono con pacche incoraggianti.

« Al primo anno, aspirare a essere un Fighter è come pretendere di guidare una Ferrari senza la patente » era stato il commento di alcuni, constatando che i cadetti di quella categoria erano tutti dal secondo anno in su, quasi tutti del terzo anzi.

Tranne uno. L’eccezione di cui ogni tanto Lance aveva sentito bisbigliare nei corridoi, ma che si era impadronito della scena solo dopo che erano usciti i risultati ufficiali.

Keith Kogane, primo anno come lui. Il “cagnolino” di Takashi Shirogane, a sentirlo definire dai più invidiosi. Lance, nonostante lo prese in antipatia nel momento in cui capì che era fuori dal programma Fighter per colpa sua, non si abbassò a insulti simili, non quando trovarsi di fronte a lui per la prima volta accelerò come benzina sul fuoco la spiacevole sensazione che da qualche mese lo accompagnava.

In realtà non era la prima volta che lo vedeva, ma non l’aveva mai focalizzato sul serio. Era uno dei tanti, anche se il suo odore colpì Lance in maniera del tutto inaspettata e pungente. La conclusione di Hunk fu che doveva essersi stressato per i test, quando la febbre lo colse la sera stessa, costringendolo a letto. Lance si avvolse tra cuscini e coperte, anche fregati al suo compagno di stanza, cercando conforto e calore senza successo. Sentiva lo stomaco stretto in una morsa spiacevolissima, e poi ancora più in basso quel qualcosa di inspiegabile divorarlo dall’interno con crampi lunghi e fastidiosi.

Dormì tanto, e sognò confusamente, ma quando si svegliava era sempre perché nella sua mente Keith Kogane era troppo vicino e troppo… troppo intenso. Il suo odore era una macchia sbiadita a cui Lance non riusciva a non pensare.

Per fortuna, al terzo giorno quella specie di influenza intestinale passò, ma Lance non disfò il suo comodo “fortino” prima di altri due giorni, lamentandosi con Hunk che cuscini e coperte non ti tradivano, a dispetto delle persone.

Dopo quella volta, Lance si ammalò similmente in altre due occasioni, sempre perché Keith era troppo e irraggiungibile e non smetteva di popolare i suoi sogni, spingendolo al punto di toccarsi, una volta sola, con la speranza che il bruciore sotto pelle, il malessere, il sentirsi solo, sparissero con un po’ di sollievo. Capacitarsi a mente lucida di avere avuto un orgasmo pensando a Keith - lui, lo stramaledetto Kogane, neanche Shiro, il suo eroe, l’uomo che lo ispirava a diventare pilota - fu tanto imbarazzante quanto immaginarsi cosa facessero i suoi genitori in “quei periodi”.

Quello che non poteva figurarsi, quando la sua vita prese la piega da “difensore dell’universo”, fu di ritrovarsi gomito a gomito con Keith, costretto ad avercelo prepotentemente davanti anche ventiquattro ore al giorno.

Litigavano, bisticciavano, rivaleggiavano a spese della pazienza degli altri, ma Lance non riusciva a toglierselo dalla testa, a scacciare il suo odore e il rimescolamento interiore che gli provocava.

Fu quando sentì i famigliari sintomi della febbre ricomparire che le cose cambiarono una volta per tutte. O meglio, divennero chiare. Il dubbio che fino a quel momento non aveva preso minimamente in considerazione si affacciò aggressivo e paralizzante come un morso, e arrivò imprevisto, alla stregua di uno schiaffo in faccia, anche se ebbe il suono della voce di Keith.

Un tono basso, profondamente sorpreso, ma che fece vibrare Lance dalla nuca allo stomaco.

« Avevi detto di essere un β » suonò quasi come un’accusa.

Lance era appoggiato alla parete del corridoio vuoto in cerca di sostegno, non lontano dalla porta della propria camera. Avvertiva il familiare calore al viso, fronte e guance, la zona del collo, il petto, e poi giù, l’attorcigliarsi nervoso dello stomaco e anche più in basso. Un brivido lo scosse quando le sue narici respirarono più intensamente il sentore del compagno, comparso dal nulla.

« Che cosa vuoi? Non mi sento bene » disse, incalzandolo con un gesto della mano ad andarsene mentre cercava di imprimere più irritazione possibile alla propria voce e non farla tremare. Stava sudando, doveva essere sudore, la febbre si stava alzando più velocemente del solito e l’ultima cosa che voleva era discutere con la persona che avrebbe popolato comunque i suoi pensieri durante la notte.  

Keith gli si parò di fronte con l’atteggiamento di un grosso monolite difficile da spostare. Stringeva i pugni, lungo i fianchi, e fissava così intensamente Lance da sbattere al minimo le palpebre.

« Il tuo odore… non è quello di un β »

Lance capì la metà delle sue parole anche se non perse un movimento delle sue labbra. Ebbe un altro spiacevole brivido a scuoterlo e avvertì il calore sottopelle intensificarsi. Voleva solo andarsene a letto, avvolgersi in una montagna di coperte fino a sparire. E Keith così vicino non gli era d’aiuto.

Gli premette un palmo contro il petto e con decisione lo spinse indietro. Era il suo spazio personale quello che stava invadendo con la sua presenza arrogante, nessuno glielo aveva chiesto di piombare lì e iniziare a parlare a vanvera di cose insensate. Keith non aveva la minima delicatezza e premura, neanche gli aveva chiesto come si sentisse e Lance era piuttosto sicuro di avere l’aspetto di un moribondo. Che cosa avesse da fissarlo tanto intensamente poi, non lo capiva. Come se non lo avesse mai visto prima.

« Che hai da guardare… » tentò di chiedere, ma le parole rotolarono fuori senza un tono preciso, ma insieme a un ansimo. Dov’era l’aria? Pareva che la presenza di Keith gli impedisse di respirare normalmente. Gli salì un lamento, un verso strano, di gola, una specie di mugolio che non riuscì a fermare. Sotto il palmo della mano, Lance avvertì il petto di Keith irrigidirsi.  

« Il tuo odor- »

« Il mio odore cosa!? Sei un disco rotto! » sbottò il paladino blu, artigliandogli maglietta e petto con le dita. Non capiva se sentiva il battito del suo cuore o se fosse lo scorrere del proprio sangue a palpitargli nelle vene. « Non ho un odore, sono uno stra normalissimo β con la febbre, se non te ne fossi accorto »

« Non sei un β »

Keith gli afferrò il polso con la mano, la pelle liscia del guanto calda; fu deciso ma senza fargli male. Lance sentì l’impulso suscettibile di strattonare via il braccio, ma il suo corpo reagì calmandosi un poco al tocco, come un’improvvisa e inaspettata panacea.

Prima di parlare di nuovo, Lance si riempì i polmoni d’aria, cercando di riorganizzare la mente in quel breve momento di lucidità. E uno dei tanti pensieri ronzanti divenne una piccola lucciola luminosa di consapevolezza.

« … tu sei un… un α? »

Avrebbe voluto tanto che rispondesse di no.

Keith assentì lento, scandendo quel muto con la testa.

Lance realizzò diverse cose in pochi secondi. Il rispetto che alla Garrison molti nutrivano per Keith, nonostante fosse un tipo taciturno e poco socievole; i suoi atteggiamenti spigolosi, avventati e l’essere un punto di riferimento, secondo solo a Shiro (un β che si era fatto strada e si era guadagnato il suo posto col proprio valore, uno dei vari motivi per cui Lance lo considerava il suo eroe).

Non ultimo, essendo un α, Keith sentiva tutta quella gamma di odori tipici che ai β erano preclusi. Come gli odori degli Ω in calore.

Lance scosse la testa, cercando di scrollarsi di dosso quel minuscolo dubbio che si era appena conficcato come un chiodo, creando una crepa.

« Io sono un β » disse a voce alta, marcando bene ogni parola per ripeterlo anche a se stesso. « Alle medie ho fatto i test, come tutti » pensò a quel primo responso che diceva “Nessun riscontro. Probabile β” e poi pensò a sua madre e ai nidi che la aiutava a fare in vista di “quei periodi” e ancora a quanto si era sentito diverso quando aveva messo piede alla Garrison. Ripensò alla prima volta che aveva avuto quella febbre da stress, dopo i risultati degli esami per i ruoli da pilota, dopo aver incontrato Keith faccia a faccia. Odiava come tutti quei pensieri stessero andando in un’unica, sensata direzione. « Sono un β, non sono un… »

Non sono un Ω che sta andando in calore perché ossessionato da quello che ha appena scoperto essere un α, e invece di pensarlo avrebbe voluto dirlo forte e chiaro, ma nella catasta di sensazioni ed epifanie che gli stavano franando addosso nel terremoto interiore della realizzazione, Lance riuscì solo a chiudere gli occhi e sbattere la testa contro la parete alle sue spalle.

« Lance… »

« Stai zitto. Non è vero » sbottò, credendoci molto poco.

La stretta della mano di Keith era ancora lì, ancora ferrea ma non dolorosa. In quel momento Lance non voleva essere toccato, anche se forse il sollievo che stava cercando poteva darglielo proprio Keith.

Ma la sua vita aveva appena subito uno scossone e non sapeva più a chi o cosa dare retta, perché i suoi istinti non si quietavano, continuavano a dibattersi, a urlare cose come “nido” e “Keith”, e forse Lance avrebbe voluto farsi una doccia bollente e lavare via il tutto, come il calore che continuava a crescere, ora che sapeva cos’era, e il pizzicore agli occhi perché No, non può essere, non ora, non qui, non così.

Keith gli lasciò il braccio e fece un passo indietro, in viso un’espressione irrequieta ed esitante. Le sue narici fremettero per un attimo, di nuovo a caccia di odori.

« Sei… stressato »

Lance respirò di nuovo a fondo, lasciandosi sfuggire una risata sgretolata. Almeno la consapevolezza gli stava portando calma e lo spazio per un po’ di bassa ironia.

« Non è il termine che userei per descrivermi ora » mormorò stancamente. Sconvolto, forse, frastornato, sbattuto come l’impasto di una crepes, ma rendevano ancora poco.

Poteva percepire il proprio corpo pronto a mandargli una nuova ondata di sensazioni, pulsioni e desideri, e non voleva rimanere lì in piedi - sempre che le ginocchia continuassero a reggerlo - davanti a Keith, che al momento rappresentava tutta la verità che la sua vita gli aveva appena gettato addosso.

Aveva studiato la biologia degli Ω, cosa poteva dare loro sollievo, il modo in cui potevano superare le crisi anche da soli. Non era pronto a un α, non era pronto ad affrontare anche quel leggero batticuore nei confronti di Keith, che poteva essere qualcosa come poteva essere solo l’ennesima pulsione del suo corpo che chiedeva un compagno. Non aveva davvero la forza mentale, ora, di dividere sentimenti ed esigenze fisiche.

« Ho bisogno di… » cercò il termine adatto e vide Keith tendersi di nuovo. « Ho bisogno di spazio e… voglio stare da solo »

Il paladino rosso aprì bocca ma la richiuse, annuendo. Poi però ci ripensò.

« Hunk si preoccuperà » si potevano quasi vedere gli ingranaggi del suo cervello in funzione. Lo scoprire che Lance fosse un Ω tardivo sembrava stesse scombussolando anche le sue certezze. « Hunk non sa che tu…? »

« Hunk è un β » Lance ripeté quella parola, β, ma non la sentì più propria, anche se allo stesso tempo continuò ad aggrapparcisi con la speranza che, in fondo, fosse solo davvero una brutta influenza.

Non sapeva esattamente neanche cosa avrebbe fatto, una volta barricatosi in camera e a letto. Avrebbe dormito? Avrebbe cercato di non pensare alle vampate di calore come a quello che erano realmente? Avrebbe pensato a Keith come ogni volta? Si sarebbe masturbato consapevolmente?

Stava di nuovo pensando troppo e il suo corpo gli andava dietro con rapidità. Poteva avvertire un accenno di eccitazione e qualcos’altro nell’intimità, e il desiderio di eclissarsi fu impellente. Si schiarì la gola.

« Puoi dirlo a Hunk, ma digli anche che non voglio scenate… » Keith annuì, ed era buffo nel suo sembrare un cadetto ligio e pendere dalle sue labbra. Se quella non fosse stata una situazione sconvolgente per Lance, forse il paladino blu avrebbe potuto anche approfittare della cosa. Ma la testa gli ripeté niente α e Lance fu d’accordo. « Hunk può… può portarmi un po’ di acqua e di cibo, come quando eravamo alla Garrison »

« Non è la prima volta che…? »

« Che credo di avere la febbre? No. Ma sei l’ultima persona con cui voglio parlarne »

Keith si imbronciò per il tono, anche se qualcosa nel suo sguardo parve vicino all’essere ferito, ma non replicò. Il suo naso continuava a registrare odori, e Lance provò invidia anche per quel suo apparire padrone della situazione. Consapevole. Era un α, era nato un passo avanti.

Lance pensò che doveva emanare un odore davvero spiacevole se Keith ora si teneva a distanza. Meglio così. Ci mancava che Keith perdesse la testa e lo assalisse come un α allupato.

« Abbiamo finito? C’è altro che vuoi dirmi? » il paladino blu ignorò il proprio tono indisponente, ma non si sentì obbligato a chiedere scusa.

E Keith indurì gli angoli degli occhi; scosse la testa, come se si stesse scrollando l’intontimento che lo aveva guidato verso Lance e la sua inconsapevolezza. Incrociò le braccia, ritrovando il suo cipiglio brusco, ma non disse nulla. Se ne andò.

Lance chiuse gli occhi, sentendosi un idiota senza speranze, ancora più solo di quanto si fosse mai sentito prima.  






 

Il prompt è citato, ma disperso, nel testo. Non ricordo se anche 'sta settimana era da tenere per sé, vabbé. Storia esperimento per iniziare a tastare il terreno Omegaverse (in realtà è il secondo esperimento… o terzo?). L’uso delle lettere greche è piaciuto a chi ha letto qualcosa in anteprima, quindi bho, lasciate! A voler bene a Lance si finisce col farlo soffrire. Sorry anche a te Kitty, ma da 500p che dovevano essere siamo finiti a questi 3k di robe e piccoli traumi.

Grazie della lettura *love*

 
   
 
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