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Autore: arisky    08/02/2018    2 recensioni
[Storia ispirata alla miniserie di Rai 1 con Alessandro Preziosi e Blanca Suarez]
La mia furia si arresta davanti quella vetrata chiusa. Ora che la vedo, i turbamenti tornano ad assalirmi, e sento le forze venirmi meno. Ma l'eco delle parole di Heléne in parte mi restituisce vigore. Poso la mano sulla maniglia ormai opaca, la abbasso piano e la porta si apre con un lieve cigolio. La torcia crepitante che ho in mano si fa strada nel buio...
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Un viaggio nella psicologia e nel passato della Bestia
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Nota: come ho già specificato nell’introduzione, questa storia non si ispira alla classica fiaba, ma ad una versione particolare e che magari in pochi avranno visto. Perciò ho deciso di dedicare un piccolo spazio ad informazioni che possano rendere la lettura piacevole ed appassionante anche a chi non conosce questa miniserie. In questa versione, la bestia è Leon, un principe in carne ed ossa, e la bestialità è un qualcosa di interiore piuttosto che fisico: l’unico segno “esterno” di deformità è una cicatrice che ha sulla parte sinistra del viso e che copre con una maschera. Il suo essere bestia, deriva da un evento accaduto una notte di dieci anni prima: credendo che la moglie Juliette lo tradisse, scoppiò una violenta lite in cui lei lo ferì. Nella confusione, la caduta di una lampada scatenò un incendio, che durante la notte fu domato. Al suo risveglio, Leon non ricordava più nulla. Juliette era morta, e per la cugina di Leon, Heléne, fu semplice fargli credere che fosse stato lui ad ucciderla, in preda alla rabbia.
Non rivelo altro… Solamente che, nel momento in cui si svolge la scena ispiratrice della mia storia, Leon non sa ancora la verità ed è convinto di essere l’assassino della moglie.
 
 
 
 
 

I primi raggi dell’alba…
Sommessamente, filtrano dalle ampie vetrate; con passi leggeri, si avvicinano; dolcemente, mi destano.
Apro gli occhi piano, abbandonandomi a quel lieve torpore che sempre segue un sonno sereno e profondo.
Ma questo risveglio è diverso, non somiglia affatto a quelli che di solito caratterizzano le mie mattine: anonimi, monotoni, già tinti di quel senso di apatia verso il mondo, quel rancore, quell’odio, quell’egoismo. La mia vita da anni è ridotta a questo, ad essere una tela capace di assorbire solamente i toni del grigio.
Ma questa mattina, un colore più luminoso deve aver toccato la mia anima, perché avverto una pace ed una quiete in me che credevo di aver perduto per sempre.
Mi guardo intorno, e mi rendo conto di essere semisdraiato sul freddo pavimento della serra. E, improvvisamente, ricordo ogni particolare della notte appena trascorsa.
Attorno a me, i segni della devastazione, frutto della mia mente annebbiata, opera della parte più violenta di me. Un impeto di follia, quella rabbia che in certi momenti si impossessa completamente della mia persona.
Poi lo sguardo scende verso il basso, lungo la mia figura… E vedo il suo corpo adagiato su di me, ancora avvolto in un sonno che sa di purezza e innocenza. Bella deve essersi addormentata qui stanotte, mentre io, frastornato e tormentato da cupi pensieri, perdevo i sensi, non accorgendomi di nulla.
Vedendola, un dubbio atroce mi sovviene, e istintivamente la mano sale verso il lato sinistro del mio volto, intimorita. Trattengo il fiato mentre le dita incerte si fanno sempre più vicine. Poi il contatto…e il mio immediato sollievo nell’avvertire sotto i polpastrelli quell’oggetto ormai così familiare, che sento come parte di me. La placca di metallo è ancora al suo posto, dura, fredda.
La sua presenza mi rasserena: Bella non è venuta a conoscenza di ciò che è morbosamente occultato sotto quella maschera. La vista dell’orrendo squarcio che deturpa il mio volto, macabro narratore di una storia di tradimento, di fuoco, di morte, la porterebbe alla scoperta del mio più oscuro segreto. Quella maledetta cicatrice è l’emblema tangibile della mia bestialità, fisica ed interiore.
Non avrei sopportato l’idea che lei avesse visto anche questo.
L’idea di dover di nuovo scavare così profondamente e dolorosamente in me e nel mio passato.
L’idea di doverle rivelare l’orrore di ciò che accadde quella nera notte di dieci anni fa.
Avrei solo accresciuto la sua paura nei miei confronti, paura che, ne sono certo, l’ha già sconvolta la notte appena trascorsa.
Bella ha assistito ad uno dei miei momenti peggiori: la bestia che è in me ha preso prepotentemente il sopravvento, con tutta la sua ferocia, il suo odio, la sua furia distruttiva. E ho perso il controllo…
 
                                   * * *
 
- Mio padre trascorre sempre più tempo con Bella… Nella serra… -
Mia cugina Heléne pronuncia queste parole con studiata lentezza, facendo sì che ognuna penetri a fondo nella mia carne, straziandomi. Cerca di raggiungere sempre lo stesso scopo: quello di far emergere dagli antri più bui di me la bestia, di far scatenare la sua furia. Ormai sa esattamente come riuscirci, conosce ogni corda del mio animo, e sa quale toccare, sottilmente, infidamente.
La serra era il luogo simbolo del grande amore che univa me e Juliette. Per lei avrei fatto qualsiasi cosa. Io l’amavo, l’amavo più di quanto amassi me stesso… E lei mi ricompensò con il tradimento. Dopo quella maledetta notte nella quale è scritto il mio più oscuro segreto, quella crudele notte che ha spazzato via in pochi istanti Juliette e tutto ciò che dava un senso alla mia vita, decisi di far chiudere la serra. Quelle piante, ad ognuna delle quali era legato un doloroso ricordo, desideravo vederle morire una ad una, marcire lentamente nell’abbandono più totale. Da allora non misi più piede in quel posto.
Con poche, semplici parole, Heléne è riuscita a risvegliare in me tutto questo, a far ribollire la lava nel vulcano che sembrava sopito.
Nel silenzio che segue, fisso i miei occhi di ghiaccio in quelli di mia cugina, in uno sguardo turbato, sgomento. Li abbasso solo per un istante, cercando di recuperare la freddezza, e riflettendo su come agire. L’attimo dopo sono già fuori da questa stanza.
Passi nervosi, estremamente voraci, divorano rapidamente i metri che mi separano dalla serra, solcano con feroce urgenza il dedalo di corridoi in direzione del luogo dimenticato.
La mia furia si arresta davanti quella vetrata chiusa. Ora che la vedo, i turbamenti tornano ad assalirmi, e sento il coraggio venirmi meno. Ma l’eco delle parole di Heléne  in parte mi restituisce vigore. Poso la mano sulla maniglia ormai opaca, la abbasso piano e la porta si apre, con un lieve cigolio. La torcia crepitante che ho in mano si fa  strada nel buio…
E’ il trionfo della Natura, lo spettacolo della vita davanti ai miei occhi.
La serra mi appare uguale a come la ricordavo. Troppo uguale… Dolorosamente uguale.
Una forza sconosciuta sembra costringermi ad avanzare. Il profumo inebriante delle rose e dei gerani mi invade, quei colori così tenui e delicati mi ipnotizzano. Deboli voci, sussurri incessanti, provenienti da ogni angolo, mi riempiono la testa stordendomi.
Alzo lo sguardo attonito, in ascolto di quei fantasmi; completamente smarrito, vacillo sulle gambe, indietreggiando per un istante.
Con passi lenti e stanchi riprendo ad addentrarmi.
Chiudo gli occhi, ascolto il dolore del mio cuore, si dipinge sul mio volto. Le rughe sulla fronte, abili romanziere, scrivono della sua intensità, della pena e della desolazione che sento.
Con le palpebre ancora abbassate, inspiro profondamente, bevo l’odore dei fiori, mi ubriaco di esso.
Poi una violenta lacerazione… Reclino la testa all’indietro, certo che la mia anima sia appena stata strappata dal corpo per rimanere prigioniera di quel posto per sempre; mi sembra quasi di poterla sentir uscire dal mio petto esposto come un sottile alito di vento.
Continuo il mio viaggio, ed ogni bocciolo, ogni pianta rischiarata dalla tremula luce della fiamma è una lama nel mio cuore. Ad ogni colpo, chiudo gli occhi per tentare di sopportarne meglio il dolore. Li riapro, ed il mio sguardo appare sempre più stanco, rassegnato: è un fiore che lentamente appassisce, sconfitto dal tripudio di vita che vede intorno a sé.
Ormai vacui ed appannati, i miei occhi nuovamente salgono verso l’alto, a cercare una via di fuga, ma nel farlo, ho una vertigine. Indietreggio e poggio una mano sulla piccola fontana centrale per sostenermi.
La mia mente ha sopportato abbastanza, la lucidità inizia a venir meno. Cammino vacillante verso la vetrata per interrompere quell’incubo, evitando di guardare ancora quei germogli di vita che mi circondano, e mi perdo nel deserto della mia anima.
E’ in questo momento di grande fragilità e vulnerabilità che sento una forza, una presenza scuotermi e costringermi a voltarmi di nuovo verso il centro della serra. Fisso con gli occhi sbarrati un punto esatto davanti a me: lì una figura vestita di bianco, candida, eterea, ruota piano il viso verso di me, mi guarda con dolcezza e sorride. Ancora prima di averne compreso l’identità, qualcosa dentro mi spinge ad avvicinarmi rapidamente, come se ne fossi potentemente attratto. Raggiungo quell’angolo; lo scopro vuoto.
Prima ancora di riuscire a riflettere, a svegliarmi da questa sorta di incantesimo, la stessa presenza che aleggia nell’aria sembra chiamarmi di nuovo. Mi volto verso la porta…e finalmente la vedo con chiarezza.
Non ho più dubbi. Indossa lo stesso stupendo, leggero, candido vestito di quella notte, i lunghi capelli le ricadono morbidamente sulle spalle. Quello sguardo, quel sorriso… Tende la mano in un gesto che mi invita a raggiungerla.
- Juliette… - mormoro in un sospiro di speranza, che sfugge dalle mie labbra ora lievemente incurvate in un misto di incredulità e sollievo.
E’ ancora viva! Mi affretto verso la porta, mentre un sussulto di gioia accelera i battiti del mio cuore, mentre una piccola fiamma i passione si riaccende in me.
Ma la realtà è crudele.
La realtà è quell’entità assoluta che ti investe all’improvviso, polverizzando quelle evanescenti illusioni dalle quali, nei momenti di debolezza, ci piace farci accarezzare.
La realtà, come un violento getto d’acqua, spegne brutalmente quella lieve fonte di calore che per un attimo ha dato sollievo alle mie pene. Davanti a me, solo la vetrata chiusa: Juliette è sparita.
Il confine tra sogno e consapevolezza è più labile, più sottile di quanto si pensi… Lo oltrepasso in un attimo, gli occhi di ghiaccio sbarrati, smarriti. Vengo sopraffatto da un odio spietato.
Odio per il mio passato.
Odio per questo maledetto posto.
Odio per me stesso, che dopo dieci anni, come uno stupido ingenuo, mi ritrovo ancora ad inseguire fantasmi e visioni di ciò che io stesso ho ucciso, con queste mani… Queste mani che ora sento bruciare, ustionate dall’incendio di rabbia che divampa in un lampo dentro di me.
Getto violentemente la torcia a terra, e mi avvento come una furia su quelle meravigliose figlie della Natura che, senza pietà, stanotte hanno reso di nuovo vivido il mio dolore. Sradico i fiori dalla loro terra, calpesto i delicati boccioli, distruggo gli armoniosi arabeschi dei rampicanti sulla fontana.
E intanto, grida che non hanno più nulla di umano prorompono dalla mia bocca, ma servono solamente a coprire i singhiozzi strazianti che in realtà mi scuotono il petto e dei quali mi vergogno.
Distinguo vagamente tre figure che hanno appena fatto il loro ingresso. Una di loro avanza verso di me, e la riconosco per il mio maggiordomo, Florian.
- Mio signore… Calmatevi! –
Gli balzo addosso come una tigre inferocita, ruggendogli contro, tentando di graffiarlo, ma riesce a sfuggirmi correndo accanto alle due serve che lo hanno accompagnato, e che mi osservano attonite e preoccupate.
Distolgo l’attenzione da loro e torno verso il fondo della serra, dove scorgo un tavolo. Sopra di esso, altri germogli, altri fiori. Getto tutto a terra e, non sentendomi ancora appagato, afferro l’angolo di quell’ammasso traballante di legno e lo ribalto con forza.
Per un attimo mi guardo attorno, per ammirare la mia opera di devastazione e saziarmi di essa, e mi accorgo dell’ingresso di Bella, il cui tentativo di arrestare la mia furia viene prontamente neutralizzato da Florian, che la trattiene fra le braccia.
Intanto rifletto, e sento il veleno dell’insoddisfazione intossicarmi ancora. Ho distrutto il luogo portatore di dolorosi ricordi, ma c’è ancora un colpevole rimasto impunito: me stesso.
Avverto sempre più forte il bisogno, l’urgenza, la voglia di farmi del male. Mi trascino verso la vetrata su fondo e, con le ultime forze ed un ultimo grido, sferro un violento pugno.
Il vetro lacera la mia pelle, il dolore fisico annulla l’energia distruttiva: sapevo che sarebbe stato l’unico modo per rendermi di nuovo inoffensivo, per arrestare l’uragano di violenza che stanotte ha dato un’ulteriore prova della sua mostruosa potenza.
Guardo la mia mano, una valle spettrale solcata da piccoli ruscelli vermigli. Il suono dei miei gemiti e del mio respiro affannoso riempie l’aria. Barcollo e mi accascio in ginocchio ai piedi della fontana, prostrato dal dolore.
In quel momento, vedo Bella avvicinarsi decisa, la sento ordinare agli altri servitori di lasciare la serra. Si inginocchia accanto a me, raggiunge la mia mano striata di sangue e inizia ad avvolgerla in un panno pulito con delicata accortezza.
Un moto di orgoglio che non riesco a reprimere mi porta a scostare bruscamente le sue bianche mani. Un sentimento di vergogna e imbarazzo mi attanaglia: io, un principe austero, con un grande senso dell’onore e della dignità, io, che nella vita non mi sono mai abbassato a chiedere, ora mi ritrovo su questo freddo pavimento, sconfitto, inerme, e bisognoso dell’aiuto di Bella, che è stata testimone dell’immensa fragilità nascosta sotto quell’apparente maschera di crudeltà e impassibilità.
Ma lei non si arrende…
- Potete continuare a farvi del male oppure lasciare che vi aiuti… Decidete. –
Sono ancora abbastanza lucido da comprendere la sapienza delle sue parole. Distolgo lo sguardo con stizza e lascio che le sue mani portino a termine il loro lavoro, non senza un’ultima, leggera resistenza.
E’ questa l’ultima immagine impressa nella mia mente: lei china sulla vittima sanguinante dell’odio che provo verso me stesso.
Lei, l’unica persona che, nonostante l’orrore della scena che si apriva davanti ai suoi occhi, nonostante il pericolo, non ha esitato un istante ad avvicinarsi per salvarmi dal baratro in cui stavo sprofondando… Ad avvicinarsi al mostro, alla bestia.
Poi il buio.
 
* * *
 
Ora, finalmente, comprendo la natura di questa sensazione di pace che mi riempie il petto: Bella è qui con me, è la sua presenza a rendermi una persona migliore. Lei disseta la mia anima…
La guardo con occhi pieni di una dolcezza che da tempo non li sfiorava.
E’ ancora tra le braccia di un sonno ristoratore.
E’ ancora tra le mie braccia… Ma con un senso totalmente nuovo rispetto agli innumerevoli risvegli in cui altre donne hanno occupato quel posto. E’ uno sfiorarsi di anime che la carne, il piacere, il desiderio non hanno profanato.
Le mie dita tra i suoi capelli, le sfioro la guancia, delicatamente, per non svegliarla.
Ora so cosa devo fare: sdebitarmi, e farmi perdonare.
Cancellare la volgarità della violenza con la purezza dell’amore.
Cancellare la bruttezza della devastazione con la bellezza dell’arte.
Cancellare dalla sua mente il ricordo di questa notte infernale con il sogno di un’altra, magica e indimenticabile.
Darò vita ad una serata di gioia e serenità che allontani, almeno per qualche ora, la memoria di due notte fatali: quella di dieci anni fa per me, e quella appena trascorsa per lei. Una serata che scacci le ombre del passato…
Un ballo tutto per noi.

 
 
 
 
Nota dell’autrice:
Sono tornata con una nuova storia su questa splendida versione de “La bella e la bestia”. Per descrivere questa scena quasi del tutto priva di dialoghi, mi sono lasciata guidare dall’espressività del grandissimo Alessandro Preziosi, che ad ogni cambio di inquadratura, attraverso sguardi particolarmente eloquenti, è riuscito ad esprimere tanti sentimenti diversi con grande chiarezza. E’ stato come se fosse tutto già scritto, ma in una forma diversa dalle parole…io ho cercato di tradurlo.
Grazie per aver letto e…fatemi sapere le vostre opinioni, che sono sempre ben accette!
- Arisky -
   
 
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