Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Hal_cyon    08/02/2018    2 recensioni
[Omegaverse, Fantasy, Elf & Human]
“Avrei dovuto ucciderti” mormorò l’elfo mentre l’attirava a sé.
“Avrei voluto che lo facessi.”
Perchè solo la morte poteva liberarli dalle loro nature di preda e predatore, dal bisogno che li legava.
Eppure l’odio non era che un sussurro in confronto a quel richiamo selvaggio.
Il regno è nelle mani del popolo elfico, che con la sua magia domina incontrastato riducendo la razza umana in schiavitù.
Le Omega della specie sottomessa sono le uniche in grado di procreare, motivo per cui vengono confinate nell'isolamento del Santuario ed "inibite" per tenere a bada il periodo del Calore.
Quando una di loro si ribella alla crudele usanza spetta al consigliere della regina disporne la punizione, ma l'Alpha radicato in lui ha altri piani per la mortale.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Header

IV - Branches and Bones.

Il vespaio di Northpass era in fermento. Tutti gli umani sbucati dai loro covi di pietra correvano ai ripari verso le pendici della montagna,
dove altri ingressi ai tunnel potevano salvare loro la vita. La guardia reale ne circondava l’intero perimetro, mentre gli evren si appollaiavano
lungo le sporgenze del Vortice ed osservavano il caos sottostante.

Rappresaglie del genere accadevano di frequente ai tempi della guerra, il Var’Celen le ricordava distintamente. Mortali nel panico, in ginocchio
a mani giunte nella speranza che una preghiera accorata potesse salvargli la vita, con bambini che strillavano e madri in lacrime.

Non vi erano più infanti da quando le Omega erano state rinchiuse a Moonbright, uniche donne fertili della specie. Un sollievo per le orecchie.

Quella che il Consigliere teneva salda per il polso era perfetta per lo scopo, attirava sguardi persino nel mezzo della confusione generale.
Alma aveva smesso di dibattersi nel momento in cui si era resa conto dell’orrore in atto, della disperazione degli umani prostrati dinanzi alle guardie elfiche. I più pavidi imploravano pietà, i più coraggiosi una morte rapida per sfuggire alle prigioni.
Calilmarith equivaleva ad un patibolo, un patibolo la cui salita era fatta di indicibili torture.
All’interno della torre la morte era la più appetibile delle possibilità.

Rasequinn incrociò gli occhi gelidi del fratello, Hillgaril, per un solo istante, finché l’altro teneva la spada premuta sulla gola di un soldato anziano inginocchiato nella sua stessa urina. Bastò un cenno del capo per dare l’ordine, e zampilli di sangue imbrattarono la neve circostante.
Alma si coprì gli occhi. L’elfo la costrinse a guardare tenendole entrambi i polsi in un’unica stretta.

Dall’entrata segreta ai tunnel, ridotta a rocce frantumate, sbucò la sagoma imponente di Edmund Gyfford, comandante del plotone di Northpass e protettore della fortezza.

Gli elfi lo tenevano per le braccia, e quello seguitava a camminare a testa alta, sforzandosi di non cedere alla paura come i compagni inginocchiati nella neve. Vedere il suo già esiguo esercito decimato accese qualcosa nel suo sguardo, ira ed orgoglio e smania di uccidere.

Era un Alpha umano, ma un re dei ratti non contava nulla per un re dei lupi.

“Il Consiglio di Goldcrest non approverà, Var’Celen” disse, una volta arrivato davanti all’elfo albino.
Privato delle sue armi, l’umano non appariva minaccioso quanto voleva sembrare, nonostante il fisico prestante e l’altezza fuori dal comune.

L’aveva incontrato quando era ancora troppo giovane per brandire una spada, ai tempi in cui il Consiglio stava gettando le prime, traballanti basi per governare quel poco di regno che restava. All’epoca gli era parso come un incapace che faceva la voce grossa e veniva rispettato unicamente per il suo status. A conti fatti non era così diverso, anche vent’anni dopo.

Rasequinn inarcò un sopracciglio, per nulla intimorito dall’idea di confrontarsi con una congrega di vecchi Alpha che credevano ancora di avere voce in capitolo. La pace fasulla stipulata tra umani ed elfi era stata una scusa, un modo per ingraziarsi la razza inferiore e costringerla a servire la regina senza le complicazioni che una guerra implicava. Il Consiglio giocava a governare, la povera gente si sentiva protetta, ma era conscia che parecchi gradini più in alto la sovrana li osservasse con una spada sospesa sopra le loro teste.

“Riferiremo che hai combattuto fino alla fine, non temere.”

L’elfo catturò il breve scambio di sguardi tra Omega e comandante, naturalmente attratto da una femmina in calore, e la sua pazienza - già tesa all’inverosimile - si spezzò del tutto.
Sollevò la mano libera. Le spire di tatuaggi chiari attorno al braccio si mossero sulla pelle come dotati di vita propria,
rami coperti di spine che dominavano la magia della Terra.

Da una gamba di Edmund Gyfford sbucò una singola radice, facendosi spazio tra la carne ed abbarbicandosi su di essa, e le urla dell’uomo trafissero i timpani di ogni creatura presente, fino a far gracchiare gli evren sull’altura.

Alma si aggrappò alla mano tesa del Var’Celen, strappandogli un ringhio di disappunto e nulla più, appena udibile sopra i versi disperati del comandante di Northpass.

Aveva gli occhi umidi di lacrime, un’espressione di puro sgomento che non le donava affatto.

“Smettila! Non puoi-”

Rasequinn la gettò a terra con la noncuranza riservata ad una carcassa - per quanto quel gesto gli fosse costato un certo sforzo - e seguitò a far crescere la radice che ormai era risalita fino al bacino, mentre l’uomo esauriva la voce e si esprimeva a rantoli soffocati.

Non avrebbe dovuto guardarla così. Era tutta colpa sua.

Quel pensiero rendeva la radice più spessa, i rami nodosi più lunghi, finché del comandante non restò che un albero insanguinato con un volto pallido e la bocca spalancata in una muta richiesta d’aiuto.

Gli umani tremavano, qualcuno rigettava i resti di un misero pasto ai propri piedi.

L’intero plotone si trovava lì, inerme, piegato ancora una volta al volere elfico.

La facilità con cui aveva dominato l’incantesimo sorprese Rasequinn. Era un maestro nell’arte della magia e nella padronanza degli elementi, ma far crescere una pianta dal midollo osseo di un umano, di solito, richiedeva una certa dose di energia.
Istintivo come un respiro, l’albero si era ancorato al terreno senza il minimo sforzo, lasciando il Var’Celen intoccato.

- L’Omega -  pensò, - questa nullità è la responsabile. -

Perché la magia aveva risposto al suo impulso di proteggere la fattrice, ed ora Edmund Gyfford si riconosceva appena in quell’intrico di rami cremisi. La guardò mentre si disperava, le mani affondate nella neve ed i capelli scompigliati sul viso. Era tutto un tremito, così diversa dalla guerriera che aveva incontrato sulla cima del Santuario, pronta a squarciargli le budella con un misero pugnale che conservava ancora.

Una voce assordante nella testa gli ordinava di portarla via, in un luogo consono ad una creatura inestimabile come lei, lontana dallo sguardo di altri maschi e vicina al suo petto. La voce di consigliere, tuttavia, ebbe la meglio.

“Garil, prendi tu la cagna.”

Hillgaril fece un breve cenno, sollevò Alma e la gettò malamente su una spalla, il tutto con la composta freddezza di una marionetta,
apparentemente sordo alle proteste - ed insulti - della sacerdotessa.


Un evren dal piumaggio bruno si staccò dalla scalinata lungo la montagna e volò davanti al padrone, strappando singulti agli uomini lì radunati che oramai sembravano scesi a patti con l’inevitabile destino che li attendeva. L’arrivo dei carri indusse tutti al silenzio, l'inizio di una marcia funebre.

“Assicurati che arrivi a Calilmarith. Io devo occuparmi dei sovversivi” disse Rasequinn, gioendo dell’espressione indignata di Alma sotto alla testa di lupo che le era calata in fronte.

Si era già voltato verso le vittime quando la voce roca dell’Omega lo richiamò.

 “Var’Celen!”

Fu quasi più assordante delle proteste di Gyfford, per lui. Una voce autoritaria che riecheggiò nel silenzio della vallata, come provenisse dal cielo stesso.


“Se gli déi non ti puniranno, lo farò io.”

Lo sguardo di Alma non mentiva. Era debole, moribonda, ma le iridi verde pallido non avevano mai perso il loro fuoco. Sapeva che avrebbe fatto qualsiasi cosa per mantenere la parola, e perciò andava eliminata.


“Non vivrai abbastanza a lungo, Moriersentenziò, squadrandola da sopra la spalla un’ultima volta prima che l’evren del fratello prendesse il volo.
 

E mentre la distanza tra loro cresceva, la magia tornò a bussare senza preavviso, pretendendo ciò che le spettava di diritto.

  

 

I resti arborei di Edmund Gyfford divennero sempre più piccoli man mano che l’evren saliva, sbattendo le quattro ali all’unisono contro i venti freddi dell’inverno. I rami rossi erano una macchia di colore disturbante in tutto il candore del paesaggio.

Alma non riusciva a togliersi quella scena raccapricciante dalla testa, il modo in cui l’albero si era fatto spazio ed era spuntato rigoglioso dal corpo di un umano il cui sangue era ancora caldo quando il fratello del Var’Celen l’aveva portata via.

Mostri, nient’altro che mostri.

Credeva di conoscere la morte, poi una nuova magia le mostrava in quanti modi una persona potesse soffrire, sfigurarsi, quanto potesse urlare.

E non lo meritava. Edmund non lo meritava. Al Santuario nessuno osava parlar male di lui, che offriva aiuto ai viandanti e li teneva al sicuro nei tunnel
della montagna. Chi avrebbe protetto la povera gente di Northpass adesso?

Cielo e terra divennero indistinguibili, un mare di nubi grigie dove nemmeno gli uccelli osavano librarsi.
La pelliccia di lupo si ricopriva di brina e l’aria era densa, affilata. Lo stupore fu talmente disarmante che Alma dimenticò di gustare il primo - ed ultimo - volo della sua vita, scambiando la vertigine per un malessere più profondo.

L’elfo alle sue spalle non emetteva un fiato, con la mano stretta al piumaggio dell’evren ed un braccio attorno allo stomaco della prigioniera, abbastanza saldo da non lasciarla cadere nemmeno se si fosse buttata di proposito.
Alma ci aveva pensato, ovviamente. Si era vista cadere giù dal dorso della bestia ed incontrare il suolo la’ dove aveva sempre camminato,
sulla terra a cui apparteneva, ma morire non sarebbe stato semplice per l’Omega.

Ripensò alla morsa possessiva di Rasequinn, la facilità con cui l’aveva attirata nella sua trappola per puro divertimento, profanando il corpo di un anziano guaritore la cui unica colpa era quella di prestare soccorso ai bisognosi.
Uccidere era facile per il Var’Celen, un’azione compiuta così di frequente da essere diventata quotidianità, e agli occhi di un immortale doveva sembrare poca cosa. Non era l’Alpha che voleva, ma l’Omega in lei lo bramava, rispondeva al suo tocco. La corda tesa di un’arpa che cantava al minimo pizzico.

Ed ora che l’elfo si allontanava, impegnato in chissà quale massacro, il subconscio avvertiva la sua assenza. Sempre di più. E faceva male.


La prima fitta la sorprese durante una breve picchiata.


Hillgaril stava conducendo l’animale verso una distesa di alberi spogli, dita scheletriche tese al cielo, e dovette sporgersi in avanti per sostenere la ragazza quando questa mollò la presa dal collo dell’evren. Alma coprì la bocca nel tentativo di soffocare i conati a vuoto che risalivano in ondate violente, lasciandola senza fiato e con una dose esigua di bile in gola.

Tutto il calore si prosciugò in un istante, nemmeno la pelliccia bastava.

Mani naa lle umien, Morier sibilò stizzito Hillgaril al suo orecchio, chiedendole cosa le fosse preso. Avrebbe voluto rispondere che non lo sapeva, ma sperava che la morte sopraggiungesse prima che le guglie di Calilmarith spuntassero all’orizzonte, invece seppellì il viso nelle piume umide dell’evren e pregò che il dolore finisse.
Da molto gli déi erano divenuti sordi alle richieste dell’Omega, e finché il male si estendeva alle tempie, privandola di lucidità, una figura maestosa affiancò i due nel volo. Un evren dal piumaggio color sabbia era sbucato dalle nuvole, silenzioso e veloce.

La persona sul suo dorso indossava una pelle di lupo dal colore talmente similare che appena si distingueva, ed alla sua vista Hillgaril imprecò.
Ad un solo cenno del capo le creature alate planarono in perfetta sincronia verso il basso, verso le piante scarne che punteggiavano il fianco della montagna.

Alma orbì l’impatto in ogni singolo osso, e avrebbe urlato se le fosse rimasta aria nei polmoni. Attorno a lei tutto vorticava, sentiva freddo e sudava.
Altre braccia la sorressero, meno robuste di quelle di Hillgaril ma ferme, decise a non scuoterla più del dovuto. Sentì sua madre nel fugace contatto, un profumo delicato e parole dette con una dolcezza tale da commuoverla, sebbene non le riconoscesse.

“Mani marte, Poikaer?”

Alma socchiuse gli occhi e non vide nulla. Aveva convissuto con il dolore da quella notte, al Santuario, ed era stato un crescendo di sensazioni sgradevoli. Il Calore era marginale adesso, sovrastato da dolori tanto fisici quanto mentali. Si rese conto di avere gli occhi bagnati solo quando l’elfo sconosciuto li asciugò, e proprio non capiva che ragione vi fosse di piangere.

Poteva farlo per Edmund Gyfford, per la povera gente in balìa della crudeltà del Var’Celen, per le compagne lasciate a Moonbright e per la famiglia che l’attendeva a casa, ma quelle lacrime avevano un gusto diverso. Non aveva mai pianto per sé stessa.

Non dovresti essere qui, Isa.

Dopo. Aiutami a farla sdraiare.

Una voce inequivocabilmente femminile, compassionevole.

Nessun elfo si era mai rivolto a lei con tanta gentilezza. Iniziò a credere che si trattassero davvero di allucinazioni.
Hillgaril si mosse attorno a loro, i passi felpati appena udibili sul letto di foglie e rami secchi.

Le sue parole erano più distanti, infuse di panico, la prova che doveva avere un cuore a differenza del fratello.

Si è legata a Quinn. Dobbiamo pregare che la cosa non sia reciproca.”

“Perché si trova qui, allora?”

“È un suo ordine, Isa. Devo portarla a Calilmarith.”

Calilmarith. Alla fine le divinità l’avevano accontentata. Stava spirando fuori dalle mura nere della torre, lontana dalle torture ed il tocco mefitico della magia. Non pensava di poterne gioire, ma fu così.

La mano dell’elfa seguitava a sfiorarle la fronte, gli zigomi, l’incarnazione di Ranyra discesa dal cielo per guidarla nell’aldilà. La sua voce copriva lo stridere degli evren ed il tremito degli stessi denti di Alma, che nel delirio la chiamò madre e si allungò verso di lei alla ricerca di conforto.

Non ci andrà disse infine l’elfa, ed anche le bestie tacquero.Verrà con noi ad Uril Gawin.

Alma non poté vederlo, ma capì dal ringhio di Hillgaril che era in profondo disaccordo.

Dovunque fosse quel luogo non ci sarebbe mai arrivata.

Vuoi disubbidire al Var’Celen? Devi essere pazza.

Quinn non sa quello che vuole. E adesso accendi un fuoco, teniamola al caldo.

Alma vide solo i bagliori delle fiamme, un dipinto sfocato che non produceva alcun tepore. Usò le ultime forze rimaste per stritolare la mano dell'elfa, suo unico appiglio, e in un istante tutte le luci si spensero.

 

‹ Note dell'Autrice  
Ooookay, ecco un capitolo né carne né pesce così, perchè avevo voglia di essere mediocre. Sento di non riuscire a dare abbastanza spessore ai personaggi, ma magari prossimamente ne avrò l'occasione? Boh. Non lo so. Non ascoltatemi.
Comunque grazie a chi, nonostante le attese, passerà lo stesso, anche solo per gettarmi sassi. Vi voglio bene lo stesso, ma usate sassi piccoli.

Ecco la
mappa di Wild Call, da tenere come riferimento.
Sì, l'ho fatta io da zero. No, non è replicabile. Grazie.

Grazie a Tea, Connie91 e la new entry
HeartOfYoukai45 per aver lasciato le loro gentili recensioni. Siete libere di criticarmi e ammucchiare sassi e sassolini, sappiatelo.
Approfitto di questo spazio anche per sbaciucchiare
Leeyra e irisserena che mi seguono in gran segreto ♡

Vi aspetto alla gogna. Pace e bene.

 

Halcyon

 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Hal_cyon