Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Kein_Pyke    09/02/2018    1 recensioni
SEQUEL del VOLUME I: Sulle Isole di Ferro convergono figure provenienti da mondi differenti, i cui destini, però, sono destinati ad incrociarsi. Kein Pyke è una giovane marinaia, figlia di una prostituta e di un ignoto pirata di nobili natali, che fa ritorno a casa dopo una scorreria. Shin Estren, ex mantello bianco della guardia reale, dopo essere stato estromesso dalla sua carica, cerca l’avventura nel regno dei pirati, dei reietti, dei rinnegati. Yohan Farwynd, un tempo appartenuto alla ciurma del re, ha finalmente ripreso la via verso casa.
Nel mentre, il regno di Euron Greyjoy è messo in pericolo da una rivolta dei capitani della Flotta di Ferro che si uniscono agli Annegati del dio Abissale per conquistare il trono del mare. Gli esiti sembrano scontati, ma ci sono forze che tramano nell’ombra: una spia con mille occhi, una regina decaduta decisa a riprendersi ciò che è suo, eserciti che si radunano ad est…
Una guerra scongiurata, una guerra a venire. Un nuovo nome gridato al cielo.
È giunto il momento del riscatto.
Autori: Francesca Colombo e Giovanni Seminara
A tutti i fan del trono di spade buona lettura! Sono graditi commenti e suggerimenti.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Cersei Lannister, Daario Naharis, Jaime Lannister, Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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TREGO 

Il sole era appena sorto, e il chiarore della mattina ancora fresca illuminava due rampanti cavalli neri e i loro cavalieri che, armati alla leggera, percorrevano al trotto una strada appena visibile di una landa desolata.
 
Ma non era sempre stato così. Un tempo, quella regione era ricca di prati e boschi verdi, con fiumi rigogliosi e campi fertili, o almeno questo era quello che veniva tramandato dagli anziani. Da secoli, ormai, le terre contese, questo era il nome di quella regione, erano devastate dalle ininterrotte guerre delle tre città sorelle, Myr, Tyrosh e Lys.
 
Fin dalla sua nascita Trego, il più giovane dei due cavalieri, ma anche il più alto in grado, aveva visto intorno a sé una landa deserta, disseminata di ossa, ceneri e campi salati. Le conosceva a menadito quelle terre, così come conosceva tutti i loro percorsi nascosti e tutti i loro più oscuri segreti. Cresciuto e svezzato tra i rozzi soldati che ingrossavano le fila delle innumerevoli compagnie di mercenari della zona, era l’orfano di uno di questi guerrieri, forse proveniente da una nobile famiglia del Continente Occidentale o forse un povero squattrinato in cerca di fortuna, e di una donna dothraki da cui aveva ereditato la pelle olivastra, gli occhi scuri a mandorla e i capelli neri. I suoi fratelli erano sempre stati i cavalieri e i soldati che si erano occupati di lui fin dall’infanzia, sia durante le tregue, sia durante le guerre. Grazie a loro, aveva coltivato fin da bambino la passione per i cavalli e aveva imparato a cavalcare alla maniera dothraki, mostrando fin da subito un’abilità esemplare nell’uccidere i suoi nemici a dorso di cavallo con arco o arakh. Prima stalliere e poi cavaliere leggero della piccola Compagnia di mercenari delle Iene Maculate, si era ritrovato, con pochi compagni, sopravvissuto ad un agguato di un’altra Compagnia, che voleva espandere i propri domini in quelle terre. Quando tutto sembrava perduto, Loren, il comandante del plotone superstite delle Iene Maculate, sollecitato dai reduci rimasti, aveva riorganizzato il battaglione stesso, e nel giro di pochi mesi aveva ridato dignità e fama a quei vagabondi e anche a Trego, nominandolo comandante del reparto di cavalleria leggera della Compagnia. Dopo tre anni da quella disfatta, il battaglione superstite era diventato una nuova, vera e propria Compagnia di mercenari, “I Leoni del Deserto”, forse ancora numericamente piccola per rivaleggiare con le grandi compagnie della Baia delle Piramidi, ma, dei tremila uomini che ne facevano parte, il reparto di cavalleria contava mille cavalieri, ed essa era diventata la forza indiscussa di tutte le Terre Contese. Trego, infatti, su consiglio di Loren, aveva addestrato, e addestrava ancora, i nuovi cavalieri alla maniera dothraki, e riuscivano sempre ad avere la meglio sui nemici; questo, anche grazie all’abilità militare del suo comandate, nata, pensava Trego, da esperienze tragiche e dure sconfitte del passato, di cui Loren non parlava mai.
 
§§§
 
Quel giorno, come ogni mattina, il giovane comandante andava, di pattuglia, a controllare gli avamposti dell’accampamento della compagnia. Aveva già raggiunto e ricevuto informazioni dalle sentinelle degli avamposti situati a nord, ovest e sud rispetto all’accampamento principale.
 
Giunse verso mezzogiorno all’ultimo avamposto mancante, quello situato più a est. Vi trovò le sentinelle nel mezzo di un’animata discussione su un possibile nuovo ingaggio da cogliere al volo. Quei mercenari, infatti, erano settimane che non ricevevano il pagamento pattuito, e gli uomini iniziavano a lamentarsene; anzi, se non fosse stato per il timore e rispetto che portavano verso il comandante Loren, molti avrebbero già disertato dalla compagnia e avrebbero trovato un altro padrone da servire e da cui ricevere il denaro da sperperare in alcol e schiave di piacere.
 
«Si tratta di Volantis!» argomentò una delle vedette, quando Trego gli chiese se c’erano novità «La città è passata nuovamente sotto il dominio delle tigri e i nuovi padroni preparano già nuove espansioni, ci sarà da menare le mani.»
 
«E dove vogliono espandere i loro domini?»
 
«Verso Valyria, vogliono far rinascere le città antiche. Si sa come sono fatti questi volantiani, vivono nel passato, credono di avere il sangue ancestrale dei draghi, pensano solo a dominare il mondo e riportare lustro alle loro antiche famiglie»
 
«Valyria? Ma non c’è nulla in quelle terre, stesse rovine, stessa desolazione, e una morte ancor peggiore di questa regione» Trego si riferiva al morbo grigio, malattia che si diceva infestare quelle zone ormai da secoli.
 
Ma l’uomo alzò le spalle, indifferente alla costatazione del suo superiore «Pagano profumatamente. Monete volantiane e oro di Meereen» disse e, a quelle parole, gli occhi dei pochi presenti brillarono di cupidigia.
 
Denaro. Oro. Argento. A quegli uomini non importava chi lo elargiva o da dove proveniva. Volevano solo essere pagati per poi spassarsela.
 
«Dove sono accampate queste tigri?»
 
«Oltre il confine. Abbiamo già visto tre compagnie minori smobilitare i loro campi e dirigersi verso est. Molti altri piccoli gruppi di disertori seguono la stessa strada»
 
«Continuate a pattugliare la zona. Torno ad avvisare il comandante, presto avrete mie notizie».
 
§§§
 
Trego se ne tornò all’accampamento ancora dubbioso. Tuttavia, la politica espansionistica di Volantis era più che credibile: le tigri di quella città conoscevano solo fuoco e sangue. E quei sogni di gloria si tramutavano in oro prezioso nelle tasche dei mercenari. Myr, Tyrosh e Lys non erano mai state davvero interessate alle Terre Contese, e se lo erano, riversavano le loro infinite risorse sulle flotte e lasciavano gli avanzi alle compagnie di mercenari, scommettendo da lontano, al sicuro dentro i loro palazzi, sulla sorte di quei poveri disperati alla ricerca di un riscatto. Ma stavolta, forse, i mercenari avrebbero avuto anche loro la possibilità di ritagliarsi uno straccio di fama.
 
Trego avrebbe aggiornato il comandante su questa novità, e lui avrebbe poi saputo scegliere la strada migliore da seguire per tutti i suoi compagni. Lo raggiunse all’interno della sua modesta tenda, sulla quale campeggiava uno stemma raffigurante un leone su un campo giallo sabbia.
 
Loren il Giusto, era un uomo vissuto, dagli occhi verdi e dai capelli sempre tinti di un color turchese, come la barba, con cui, probabilmente, voleva seguire la moda tyroshi o nascondere la natura brizzolata della sua età.
 
Doveva essere stato un vagabondo, o un pellegrino, prima di darsi al mercenarismo. Era un uomo silenzioso, cupo, la cui vivacità veniva fuori prepotentemente solo in battaglia, quando, con un’antica e nobile spada valyriana nella mancina e un uncino a destra, in sostituzione della mano ormai mancante, si gettava contro tutti e tutto, quasi volesse cercare la morte a tutti i costi. Giunto dal nulla, senza un cognome e senza un passato, si era fatto presto largo tra l’alto comando delle Iene Maculate, e ora comandava e guidava la compagnia, da lui fondata, con astuzia e intelligenza. Grazie all’uso impeccabile della cavalleria, forse seconda solo a quelle dei grandi khalasar del Mare Dothraki, era sempre riuscito a vincere tutte le battaglie che aveva affrontato. Pur non provando mai interesse per i giochi politici e gli intrighi di sovrani e triarchi, era continuamente ricercato e assoldato da tutte e tre le città sorelle, che ne volevano i servigi. Ma lo stipendio tardava ad arrivare e probabilmente non sarebbe più giunto. La compagnia, quindi, era in quel momento senza padroni.
 
I veri padroni delle terre contese, erano le compagnie di mercenari stesse. Chi più, chi meno, tutte anelavano ad allargare i propri confini e a scontrarsi senza tregua e senza pretesti con altri mercenari, al fine di farsi un nome che potesse richiamare la gloria dei grandi comandanti della Compagnia Dorata, dei Secondi Figli o dei Corvi della Tempesta, che da anni avevano lasciato quelle terre per dirigersi verso la baia degli Schiavisti prima, dei Draghi poi e delle Piramidi infine.
 
L’accampamento dei Leoni del Deserto era situato non molto lontano dal confine orientale delle terre contese. Nell’entroterra, arroccato su di una collina, vicino ad un piccolo lago di acqua dolce. Un fossato ai piedi della collina, una palizzata e piccoli avamposti tutt’intorno, lo rendevano inespugnabile.
 
Quando Trego fece il suo ingresso nella tenda, Loren stava mangiando, da solo, un cena povera e frugale con birra ormai calda.
 
«Comandante, scusate l’interruzione, torno dagli avamposti. Le sentinelle non hanno riportato novità durante i pattugliamenti di questa notte. Tranne quelle mandate a est, che hanno avvistato compagnie di mercenari smobilitare i propri campi e marciare verso oriente».
 
«Bene. Siediti, serviti se vuoi» rispose Loren, indicando la birra.
 
«Grazie Comandante, ma preferisco non bere fino alla fine del mio turno».
 
«Come preferisci. Se non hai altro da riferire puoi anche prenderti la serata libera» fece un cenno con la mano, per congedarlo.
 
Trego rimase qualche istante in silenzio, non ancora pronto a prendere congedo. Spostò il peso da un piede all’altro, poi prese coraggio. «Ci sarebbero delle voci» esordì. Il comandante, continuando a sorseggiare birra, non molto sorpreso, attese che continuasse «Le tigri di Volantis vogliono espandere i loro territori verso l’antica Valyria, e stanno assoldando mercenari da tutte le Terre Contese. Si dice che paghino con oro di Meereen» proseguì il ragazzo.
 
«Valyria… Che opinione ti sei fatto?» chiese pensieroso Loren.
 
Trego era sempre onorato dal fatto che il Comandante, sempre più spesso, chiedesse la sua opinione in merito a svariati argomenti. Rispose brevemente, con onestà. «Siamo a corto di rifornimenti. Abbiamo bisogno di denaro per mantenere la cavalleria e gli uomini vogliono essere pagati, signore».
 
Loren assentì con un cenno del capo, visibilmente d’accordo con quelle parole e il ragazzo trattenne a stento un sorriso. «Ordino agli uomini di smobilitare e prepararsi a marciare verso l’Orange Shore, signore?» domandò.
 
«Non serve, gli uomini rimangono qui. Il comando passa ad Adrian il Giovane. Andremo solo noi due. Prepara il mio cavallo, ho intenzione di partire subito».
 
§§§
 
Una notte, dopo una decina di giorni dalla loro partenza, Trego era intento ad aggiungere legna al fuoco del bivacco accanto al quale lui e Loren si stavano scaldando, quando lo sguardo gli cadde, come spesso succedeva, sull’uncino che il comandante portava agganciato al polso destro. Erano anni che il ragazzo si chiedeva come il superiore avesse perso l’arto, e, più che una curiosità, saperlo era diventata un’ossessione. Durante i lunghi giorni trascorsi a cavallo, fianco a fianco, il ragazzo aveva spesso intavolato discorsi più o meno personali e Loren aveva assecondato il suo chiacchiericcio senza però partecipare attivamente alla conversazione. Eppure, Trego aveva sentito crescere tra loro una sorta di muto cameratismo e, ora, si sentiva pronto a porre il quesito sul quale si arrovellava fin da quando i due si erano conosciuti nelle Iene Maculate. Si schiarì la voce, sperando che non gli tremasse troppo.
 
«Comandante… io…» si interruppe. Loren seguì il suo sguardo e con un cenno della mancina, nella quale reggeva una bisaccia di vino, lo invitò a proseguire. «Ecco, mi domandavo… come avete perso la mano?» chiese alla fine.
 
L’uomo alzò l’uncino che, alla luce del fuoco, mandava sinistri bagliori. Rimase in silenzio per un pezzo e Trego pensava che non gli avrebbe più risposto quando infine si decise a parlare. «E’ una lunga storia. Vecchia e sepolta nel tempo.»
 
«Mi piacciono le storie» lo incoraggiò il ragazzo «Soprattutto quelle antiche. Quand’ero piccolo i mercenari si divertivano a raccontarmene… anche se credo che la maggior parte fossero inventate.»
 
«Questa è vera, ragazzo» replicò Loren. Il suo sguardo si perse nuovamente nei bagliori rossastri delle fiamme che rischiaravano una piccola porzione di campo. Tutt’attorno, le tenebre erano più fitte che mai.
 
«Da dove cominciare? Sai, la perdita della mano è stata quasi banale, a dire il vero. Ma il punto è che quello è stato solo il culmine di una serie di eventi concatenati tra loro. Tutto è iniziato con una guerra. Una guerra per una donna, per la verità. Che ragione più antica, più pura dell’amore di una donna? Sei mai stato innamorato, Trego?»
 
Il ragazzo scosse la testa. Aveva giaciuto con alcune donne, alcune dietro compenso e altre per il semplice fatto che il sangue dei suoi genitori si era mescolato in lui generando un volto dai tratti armoniosi, mentre il costante allenamento e le molte battaglie avevano forgiato un corpo tonico e muscoloso, desiderabile per le fanciulle. Ma l’amore no, non sapeva che sapore avesse.
 
«Un giorno, capirai. Non c’è nulla che un uomo non farebbe per amore, ragazzo. Nulla.»
 
«Muovere una guerra, per esempio?»
 
«Quello. Mentire. Uccidere un innocente. Andare contro ogni legge degli dei e degli uomini. Io l’ho fatto.»
 
«E lei com’era, comandante?». Trego ormai pendeva dalle labbra di Loren.
 
«Bella, inutile dirlo. La più affascinante che si sia vista nei continenti conosciuti e anche nelle terre inesplorate, sarei pronto a scommetterci. Era sensuale, forte, volitiva… una leonessa.»
 
«Per questo avete scelto il leone come simbolo della vostra compagnia?»
 
«Cosa?» per un attimo Loren parve disorientato. «Oh sì, per questo, naturalmente.»
 
«E poi, cosa accadde? Quella guerra, la vinceste?»
 
«Alla fine, sì, la vincemmo. Ma a quel punto avevo già perso la mano della spada e anche molto, molto altro, anche se all’epoca ancora non lo sapevo. Dammi da bere, Trego. Questa storia dev’essere accompagnata da un po’ di vino.»
 
Il ragazzo obbedì, andò a riempire la bisaccia ormai vuota e la passò al comandante che bevve un lungo sorso prima di restituirgliela. Anche Trego bevve, ma poche gocce soltanto.
 
«Ci fu una battaglia… avevo sottovalutato il mio avversario, il lupo grigio. Era poco più di un cucciolo, maledetto lui. Eppure, riuscì a giocarmi e mi fece prigioniero.»
 
«E fu lui a mozzarvi la mano?» chiese il giovane, incapace di trattenersi.
 
«No, lui no. Era onorevole, lui» Loren sputò la parola come un insulto «come suo padre, come tutta la sua dannata stirpe. Ma fu proprio questo a farmi riconquistare la libertà. L’onore di una lupa che voleva indietro le sue lupacchiotte.»
 
Trego si sentiva un po’ confuso dal racconto, ma non osava chiedere spiegazioni. Intanto, gli occhi del comandante, man mano che attingeva dalla bisaccia, si andavano appannando.
 
«La vergine… l’orso» sussurrò dopo una lunga pausa, rivolto più a se stesso che al ragazzo.
 
«Fu l’orso a strapparvi la mano?» insistette Trego, che stava perdendo il filo del discorso.
 
«L’orso? No, fu il caprone… un misero caprone nero di Qohor.»
 
«E il lupo grigio?» volle sapere il giovane. La dinamica della perdita dell’arto non gli era per niente chiara, ma almeno voleva sapere che fine aveva fatto un avversario tanto abile da riuscire, nonostante la giovane età, a mettere nel sacco il suo comandante.
 
«Era tanto audace, quanto stupido. È morto per amore… te l’ho detto, gli uomini farebbero di tutto per amore» rispose Loren.
 
«E la leonessa?» domandò ancora il giovane, incapace di trattenersi.
 
«Perduta… perduta per sempre» La voce del comandante era colma di autentico dolore. Scosse la bisaccia, di nuovo vuota. «Adesso dormi, domani raggiungeremo l’accampamento delle tigri. Faccio io il primo turno di guardia».
 
Trego avrebbe voluto sapere di più, ma il tono di Loren non permetteva repliche, così andò a coricarsi. La stanchezza del viaggio ebbe la meglio sui suoi pensieri e, in breve, il ragazzo si addormentò. I suoi sogni quella notte furono strani e confusi, popolati dai più svariati animali.
 
§§§
 
La mattina seguente raggiunsero l’accampamento delle tigri, situato lungo la riva. Decine di compagnie e di mercenari solitari erano accampati sulla spiaggia e continuavano ad arrivarne di nuovi con l’intento di farsi assoldare dai volantiani.
 
Trego annunciò ad una sentinella che il comandante dei Leoni Dorati voleva incontrare chi dirigeva le operazioni. Dopo una rapida occhiata, l’uomo si allontanò in direzione di un padiglione regalmente addobbato che, dall’alto di una piccola duna, controllava tutta la costa. Dovettero aspettare ore prima di essere ricevuti da Jaeron Maegyr ma, alla fine, fu loro concesso l’ingresso nella tenda.
 
«Abbiamo saputo che assoldate mercenari» esordì Trego, senza troppi preamboli. Era sicuro che quell’uomo fosse stanco di ascoltare gli interminabili sproloqui di tutti coloro che andavano a proporgli i propri servigi. Il ragazzo aveva imparato che il potere degli uomini spesso era inversamente proporzionale alla loro pazienza, quindi andò subito al sodo: «Veniamo a nome dei Leoni del Deserto. Questi, è il comandante della Compagnia, Loren il Giusto. Io sono al comando della cavalleria, la più temuta di tutte le terre contese. Siamo qui per chiedervi le vostre condizioni, mio signore»
 
«Maestà» lo corresse l’uomo, con un sorriso affilato «Avete l’onore di parlare direttamente con il monarca di Volantis»
 
A quanto ricordava Trego, Volantis era un triarcato, non una monarchia. Si sentì spiazzato e, non essendosi mai trovato di fronte ad un sovrano, non sapeva bene come comportarsi. Fu quasi sul punto di piegare il ginocchio, ma il comandante gli afferrò il gomito appena prima che si chinasse. Fece un passo avanti e prese la parola, con autorevolezza. « Le vostre condizioni, Maestà» disse, chinando leggermente il capo.
 
Il volantiano rimase per un momento in silenzio, scrutando Loren come a valutarne le capacità, mentre continuava a sorseggiare vino da una coppa cesellata in argento. «Quanti uomini avete nella vostra compagnia?» lo interrogò alla fine.
 
«Tremila uomini, maestà. Duemila fanti e mille cavalieri, se ti compiace»
 
«Numero interessante per una compagnia delle terre contese, immagino abbiate già chi vi paga per mantenere un così alto numero di mercenari» rifletté Maegyr, quasi parlando a se stesso.
 
«È così» fece Loren, laconico, e Trego non poté fare a meno di ammirare il contegno del suo comandante.
 
«E venite da me a chiedere un ingaggio? Quale garanzia ho, che mi rimaniate fedeli?» domandò il monarca, con tono leggermente provocatorio.
 
«Il tuo oro, maestà» rispose Loren, senza alcun tentennamento. Guardava il suo interlocutore dritto negli occhi, verdi come i suoi ma di una tonalità più scura, meno brillante. Il monarca ne sostenne lo sguardo, rifletté, poi sorrise.
 
«Molto bene. A queste condizioni posso offrirvi il doppio di quanto abbiate mai preso dalle città sorelle.»
 
Era un’offerta generosa e Trego rimase allibito quando il comandante osò rilanciare.
 
«Tre volte tanto» disse «Il morbo grigio di Valyria ha un prezzo»
 
Jaeron Maegyr lo fissò a lungo e Trego si domandò se Loren non avesse tirato troppo la corda, perdendo l’ingaggio. Alla fine, però, il monarca fece un cenno affermativo.
 
«Fatevi dare un anticipo. Accampatevi dove preferite, ma tenetevi pronti la partenza non tarderà» disse, congedandoli con un molle gesto della mano, ma Loren lo soprese con la sua risposta.
 
«I miei uomini sono già accampati nelle terre contese, in attesa, vostra maestà» disse il comandante dei Leoni delle Sabbie, chinandosi e voltandosi per andarsene.
 
Per l’ennesima volta, Trego pensò che Jaeron Maegyr fosse sul punto di perdere la pazienza e, in effetti, il monarca stava per replicare quando fu interrotto dall’ingresso non annunciato di tre bellissime donne. Entrarono nella tenda come se fossero state le padrone di quel luogo e quella dall’atteggiamento più spavaldo e quasi indolente si avvicinò al sovrano, senza degnare di uno sguardo alcuno dei presenti.
 
«Ecco il tigrotto addomesticato del re» esordì, muovendosi come una pantera verso Jaeron «Da parte di Daario Naharis». Gli porse una lettera, fissandolo sfrontatamente negli occhi. Il volantiano la prese con un gesto brusco.
 
«Chiamami ancora in quel modo e te ne pentirai» ringhiò Maegyr «In quanto a voi, siete congedati» fece, rivolto a Loren e Trego. Solo in quel momento anche la donna parve rendersi conto della loro presenza. Si voltò e squadrò il comandante «Un tyroshi… ho già assaggiato un tyroshi dai capelli blu» disse, annoiata, rivolgendo la sua attenzione sul ragazzo «Ma un giovane meticcio dothraki…» Gli si avvicinò fino ad accarezzare il volto di lui con la sua guancia. Si passò lentamente la lingua sulle labbra carnose e, con voce calda e suadente, gli parlò all’orecchio «Ho voglia di te. Perché non mi raggiungi sulla mia nave questa notte?» disse mentre con la mano sinistra raggiungeva e accarezzava lentamente, senza vergogna, le qualità di Trego.
 
«Ora basta!» tuonò il re. La donna proseguì imperterrita il suo massaggio per qualche altro secondo prima di allontanarsi di malavoglia dal guerriero. «Ragguagliami»
 
Loren ne approfittò per prendere Trego per un braccio e condurlo fuori dalla tenda. Mentre uscivano, udirono la donna riferire qualcosa a proposito di una flotta della Rhoyne e di un compito portato a termine a nord.
 
«Non ti consiglio di accettare il suo invito» fece Loren, una volta che furono di nuovo all’aperto.
 
Trego si portò le mani al basso ventre per nascondere l’erezione, arrossendo.
 
«La conoscete, comandante?» domandò.
 
«Lady Korra, capitano di una nave di bellissime fanciulle pirata, che evirano ogni uomo che cade nelle loro grinfie» lo informò Loren, sorridendo appena. Trego sentì l’eccitazione scemare rapidamente.
 
«Ma a cosa si riferiva? Parlava di un altro Re e di un compito portato a termine nel Nord»
 
«Quanti altri re pensi possano essere tanto potenti da dare ordini al monarca della più grande città di Essos?» lo interrogò il comandante e Trego non dovette riflettere a lungo.
 
«Daario Naharis, nessun altro» rispose con sicurezza. Loren assentì con un cenno.
 
«Esattamente. E cosa c'è a Nord lungo la Rohyne che può meritare l'attenzione di due grandi sovrani del sud?» domandò ancora. Di nuovo, Trego non ebbe difficoltà a trovare la risposta.
 
«Lorath, Norvos, Qohor, Braavos… le città libere. Ma se il sovrano della Baia punta alla conquista delle città libere, che cosa c’entra Maegyr? E Valyria?»
 
«Valyria non c’entra nulla» spiegò Loren «con tutta probabilità le nostre sentinelle hanno udito delle voci e le voci, si sa, man mano che si spandono perdono aderenza con la realtà. Per il resto… probabilmente i due sovrani si sono alleati per la conquista e la spartizione del territorio, ma dubito che al momento di ripartirsi bottino e città riusciranno ad addivenire ad un accordo soddisfacente.»
 
«Pensate che si tradiranno?» chiese Trego, gli occhi spalancati per lo stupore.
 
«Ne ho praticamente la certezza, mio giovane amico.»
 
«E a quel punto che faremo?»
 
«Quello che fanno da sempre gli uomini con un minimo di cervello. Ci alleeremo con quello che ha più probabilità di vincere. E adesso basta perdere tempo in chiacchiere: abbiamo del denaro da ritirare. Una montagna di denaro.»
   
 
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