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Autore: Lumen Noctis    09/02/2018    0 recensioni
"Da quando aveva conosciuto il suo coinquilino la bellezza di un anno e mezzo prima, il ragazzo non aveva mai avuto nemmeno il più leggero accenno di raffreddore, nessuna ripercussione dei cambiamenti di stagione, come se tutto e tutti gli scivolassero addosso senza lasciare alcuna traccia. Allen, al contrario, ogni volta che giungeva l’inverno finiva col naso chiuso e la gola infiammata, e Kanda non faceva altro che ricordargli quanto fosse fastidioso sentirlo tirar su col naso ogni tre per due. Adesso era il nove di febbraio e Allen era sano come un pesce, mentre Kanda in preda alla febbre a pochi metri di distanza da lui. Il momento della sua rivincita era giunto."
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Allen Walker, Yu Kanda | Coppie: Kanda/Allen
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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 Iniziativa: Questa storia partecipa al “Flu&Fluff” a cura di Fanwriter.it!
 Numero Parole: 2454.
★ Prompt/Traccia: prompt numero 8. A ha la febbre così alta che delira e si lascia sfuggire cose su B, mentre questo cerca di aiutarlo.
 Note dell’autrice: ve lo dico in anticipo, questa fiction è veramente trash. Tra l'altro, è la prima volta che pubblico in questo fandom, anche se sono appassionata da molti anni e D.Gray-Man è il mio manga preferito. Come sempre abuso delle proroghe alle bellissime challenge di fanwriter che mi danno occasione di tirare fuori testi nonsense come questo qui. Detto ciò, spero vi piaccia! A presto!

 

 

 

Follia di mezzanotte.

 

«Bakanda, ma proprio oggi dovevi ammalarti?»

Allen non dovette nemmeno sforzarsi per evitare il fazzoletto accartocciato che gli venne lanciato addosso. Certamente era quello l’intento, ma la mira di Kanda era peggiorata sensibilmente con la febbre, ed ogni lancio diventava sempre meno preciso.

«Oh, e non eri tu mister “non mi ammalo mai”?»

Un grugnito soffocato contro il cuscino gli fece capire che i fazzoletti erano finiti e che il ragazzo, steso nel letto, si era voltato dall’altra parte. Alla sua scrivania, Allen ghignò divertito e tornò a studiare sui propri spartiti. Concentrarsi sulla musica con una belva come Kanda in preda alla febbre a pochi metri di distanza da lui era pressoché impossibile, ma ce l’avrebbe fatta. E poi, onestamente, quanto poteva essere grave questo malanno? Da quando aveva conosciuto il suo coinquilino la bellezza di un anno e mezzo prima, il ragazzo non aveva mai avuto nemmeno il più leggero accenno di raffreddore, nessuna ripercussione dei cambiamenti di stagione, come se tutto e tutti gli scivolassero addosso senza lasciare alcuna traccia. Allen, al contrario, ogni volta che giungeva l’inverno finiva col naso chiuso e la gola infiammata, e Kanda non faceva altro che ricordargli quanto fosse fastidioso sentirlo tirar su col naso ogni tre per due. Adesso, era il nove di febbraio e Allen era sano come un pesce. Il momento della sua rivincita era giunto.

Tuttavia, il fatto che dovesse consegnare quel compito finito entro l’indomani non gli permetteva di godersi a pieno il momento. Sollevando lo sguardo dai fogli, osservò la schiena larga del ragazzo, che ora gli dava le spalle e cercava di respirare più a fondo per ogni respiro tremante che lasciava il suo corpo. Per un momento, Allen ebbe pena di lui: avere la febbre a quaranta non era qualcosa di cui si sarebbe dovuto approfittare per prenderlo in giro. Non sapeva nemmeno dire in che modo fosse sbocciato il seme della discordia nella loro relazione, forse era perché mister perfettino non sopportava il disordine mentre Allen tendeva a lasciare i suoi averi sparsi per tutta casa, o per il fatto che non riuscisse a sopportare una presa in giro. Quell’uomo era tutto d’un pezzo, senza un filo di senso dell’umorismo, una persona pressoché apatica e indubbiamente scettica. Senza rendersene conto avevano iniziato a litigare per ogni piccola cosa. Lenalee Lee, la sorella minore dell’uomo che affittava loro l’appartamento, viveva alla porta di fronte e il proprietario le aveva addirittura affidato una chiave di riserva affinché potesse intervenire quando la situazione sfuggiva loro di mano. Da una parte Allen se ne vergognava, era grande abbastanza da non aver bisogno di una guardia - e senza dubbio Lenalee, a scapito delle apparenze, poteva essere una sentinella estremamente severa. Per quanto provare a parlare di queste cose con Kanda fosse meno fruttuoso che parlare a un muro, entrambi erano giunti al compromesso di essere più ordinato l’uno e meno suscettibile l’altro. Nessuno dei due avrebbe mai considerato la possibilità di cambiare appartamento, perché nessuno dei due aveva abbastanza denaro per permetterselo, e alla fine si erano abituati ai bisticci di routine.

Lanciando uno sguardo all’orologio, il ragazzo sospirò. Era quasi mezzanotte e ormai sapeva che non sarebbe più riuscito a studiare granché. Decise che avrebbe impostato la sveglia presto e finito il compito l’indomani mattina, con la speranza di riuscire a chiudere occhio. Ignorando Kanda nel letto accanto al suo, mise a posto le proprie cose, si cambiò nel pigiama e lasciò la stanza per andare al bagno. Al suo ritorno, si ritrovò inchiodato sulla porta della stanza, con uno sbadiglio a metà e una mano sulle labbra.

Dal letto, il corpo pesante di Kanda era scivolato a terra, trascinando con sé metà delle coperte, che restavano avvitate attorno alle gambe. Con la guancia sul parquet e le braccia distese, era come se stesse ancora dormendo. Un po’ allarmato, Allen si avvicinò, sedendosi sulle ginocchia al suo fianco.

«Bakanda… che stai combinando?» Domandò con calma.

Il ragazzo aprì gli occhi lucidi e parlò stancamente, «È fresco qui…»

Allen si passò una mano sul viso e sospirò profondamente, «Non puoi dormire qui, la febbre non farà che peggiorare. Devi sudare, nel letto, sotto le coperte, al caldo. Hai preso la medicina, spero.»

L’altro scosse la testa e Allen esalò un respiro esasperato. «Ti prego, dimmi che non è vero,» fece a se stesso mentre si massaggiava le tempie. Avrebbe voluto lasciarlo lì per terra a congelarsi piano piano e a farsi salire la febbre di qualche altro grado ma il suo senso del dovere gli imponeva di fare qualcosa. Non poteva semplicemente ignorarlo. Fece del proprio meglio per convincersi che se l'avesse aiutato, sarebbe stato per vantaggio personale. Infatti, se la febbre non fosse migliorata lui avrebbe dovuto sopportare Kanda in quello stato per un imprevedibile, spaventoso numero di altri giorni a venire. Doveva impedire a Kanda di peggiorare il proprio stato di salute al solo e unico scopo di continuare ad avere una vita relativamente serena.

Non sapendo da dove iniziare, Allen si guardò un po’ attorno.

«Riesci a rimetterti sul letto da solo?»

«Hmm…»

Di poche parole tanto con l’influenza quanto senza, Kanda chiuse gli occhi con disinteresse. Senza voler perdere altro tempo l’altro ragazzo si rimise in piedi, incamminandosi verso la porta. «Io vado a prepararti la medicina, tu vedi di esser di nuovo sotto le coperte per quando sono tornato. Se non ci riesci sei proprio una mezza cartuccia, bakanda.»

Tuttavia, inutile dirlo, quando rientrò nella stanza con un bicchiere pieno d’acqua in una mano e la scatola di pasticche nell’altra, la situazione non si era smossa di un millimetro. Sospirando per l’ennesima volta, il ragazzo poggiò i due oggetti sulla scrivania con fare scocciato e si avvicinò a Kanda sul pavimento. Stava ad occhi chiusi ed il respiro era regolare, Allen sentì il proprio istinto omicida fare capolino in fondo alla coscienza.

Se ti sei addormentato giuro che appena stai meglio ti spacco la faccia!

Senza badare ad essere particolarmente dolce, afferrò il ragazzo per la spalla destra e iniziò a scuoterlo, al che l’altro aprì di nuovo gli occhi e fu poi scosso da un brivido.

«Forza, devi alzarti.»

Grugnendo, Kanda fece del proprio meglio per tirarsi su. Incredibilmente, gli stava dando ascolto, pensò Allen. Ma la soddisfazione ebbe vita breve, perché il ragazzo non riusciva ad accovacciarsi, figurarsi alzarsi in piedi fino a sedere nel letto. Allen si ritrovò a sostenerlo per le spalle, quasi abbracciandolo nel momento in cui fece scivolare il proprio braccio destro sotto la sua spalla. Il contatto col suo corpo lo fece avvampare per il calore che emanava, riusciva a sentire sulla propria pelle la stanchezza della febbre. Quando riuscì a portarlo seduto sulle ginocchia, Kanda si appoggiò a lui e i suoi lunghi capelli gli scivolarono addosso come un velo scuro. Allen dovette scansarli via con la mano, poi cercò di farlo alzare in piedi, ma si rese subito conto che i suoi sforzi erano vani: Kanda era più alto e robusto di lui, non sarebbe mai riuscito a tirarlo su tutto da solo.

L’altro invece sembrava piuttosto divertito, «Mammoletta…» gli sussurrò nell’orecchio, col suo respiro incandescente e una risata in fondo alla voce. Allen represse il brivido improvviso, ma sussultò quando le mani di Kanda si poggiarono sui suoi fianchi, per salire poi lungo la schiena e stringerlo a sé: «Sei così fino che sembri una ragazza.»

Il cuore prese improvvisamente a battere più velocemente nel suo petto, portando con sé uno stato di agitazione. Si sentì come se fosse lui ad avere la febbre, ma non poteva essere imbarazzo, non poteva star arrossendo per davvero, era soltanto l’effetto del calore del corpo di Kanda che gli passava la sensazione di malessere. Era soltanto rabbia.

«Beh, non sono una ragazza, quindi lasciami andare.»

Fece per distanziarsi, ma l’altro strinse la presa e Allen si trovò di nuovo incastrato, con adesso la sua mano destra che saliva lungo la colonna vertebrale e arrivava fino alla nuca, intrecciandosi saldamente ai suoi capelli chiari. Il respiro di Kanda aleggiava sulla sua spalla, sentì il cuore battere più forte.

«Sei meglio di una ragazza…»

Allen non sapeva cosa dire ed era finalmente giunto alla conclusione più ovvia della serata: Kanda stava delirando, e anche di brutto. Ci mancava che avesse iniziato a vedere unicorni o Tim uscire dalla propria gabbietta per diventare il primo criceto volante della storia. Con più decisione di prima, si tirò fuori dalla presa di Kanda, che fece per accasciarsi di nuovo a terra, ma Allen lo guidò verso il bordo del letto.

«Senti Kanda, ti ringrazio per i complimenti, ma adesso devi salire sul letto. Io non ce la faccio a sollevarti,» se l’altro fosse stato consapevole del proprio dire e del proprio fare, Allen non avrebbe mai ammesso una propria debolezza di fronte a lui, ma ora come ora era abbastanza sicuro che l’indomani non avrebbe ricordato nulla in assoluto. Era così quando si delirava per la febbre, no?

Il ragazzo grugnì e nascose il viso nel gomito, per riemergerne appena poco dopo, lanciandogli uno sguardo incredibile. Sì, Allen non trovava altro aggettivo per descriverlo, perché la parola “dolce” non poteva accompagnarsi mai a quell’essere che aveva di fronte. Era una delle poche certezze della sua vita, una tautologia, valida a priori come un postulato di matematica.

«Solo se dormi con me…»

«Come scusa?»

Kanda sorrise come se non potesse impedirselo, scoprendo la chiostra dei suoi denti bianchi, «Voglio attaccarti la febbre a tutti i costi, baka moyashi

«Ma neanche per sogno!»

«Bene… allora resto qui,» il ragazzo sospirò e nascose il viso nelle coperte.

«Fa come vuoi, non mi interessa.»

Indispettito, Allen si alzò in piedi e andò a sedersi sul proprio letto. Uno sguardo all’orologio gli disse che era quasi mezzanotte e mezza, ormai. Allungata una mano sul proprio telefono, si dedicò ad impostare la sveglia, indeciso se metterla alle cinque o cinque e mezza.

«Hmm…» con quello che doveva essere un grande sforzo per lui, il ragazzo si tirò lentamente in piedi. Puntò una mano contro la mensola sopra il suo letto per riuscire a mantenere l’equilibrio, l’altra mano sul viso, e scoccò uno sguardo ad Allen, che l’affrontò con un sorriso beffardo.

«Beh, ci voleva tanto ad alzarti? Ti stai rammollendo.»

Kanda si massaggiò gli occhi, il suo respiro sibilò tra i denti stretti. La testa doveva fargli davvero male, pensò Allen, ricordandosi improvvisamente di dovergli ancora propinare la medicina. Riposto il telefono sul comodino, si alzò in piedi.

«Forza, sei stato bravo, adesso siediti.»

Kanda fece come gli veniva detto, cadendo sul letto quasi a peso morto. Allen gli impedì di stendersi e si affrettò a recuperare il bicchiere e il pacchetto di medicine, dal quale estrasse una pasticca. La diede al ragazzo perché la ingoiasse, porgendogli anche il bicchiere. Con una smorfia di disapprovazione, Kanda buttò giù la medicina e tutta l’acqua che c’era. Allen pensò di recuperarne altra per dopo, quando si rese conto…

«Ah, dovevi mangiare qualcosa prima di prendere quella.»

Kanda lo fulminò, «Come scusa?»

«Accidenti, corro a prendere un biscotto! Quelli alla cannella che ti piacciono tanto.»

In men che non si dica, il ragazzo era sparito e tornato con in mano un piattino di biscotti e ne porse immediatamente uno a Kanda, che senza aggiungere una parola lo prese e iniziò a masticare.

«Se mi verrà da vomitare, mi assicurerò di farlo nel tuo letto.»

«Legittimo, è legittimo…» Allen avrebbe voluto prendersi a schiaffi e in condizioni normali non avrebbe mai ammesso di essere nel torto. Era la prima regola della sopravvivenza in casa con Kanda: mai scoprire il proprio lato debole.

«Tanto… finirò per perdonarti anche questa,» fece in un sussurro l’altro. Ad Allen non sfuggì e si sentì terribilmente in colpa. Quando ebbe finito di mangiare, Kanda chiese altra acqua e lui si affrettò a non fargliela mancare, per poi aiutarlo a stendersi.

«Scusami, davvero,» disse mentre sollevava le coperte e gliele portava fino all’altezza delle spalle. Continuava a ripetersi che sarebbe stato salvo, perché Kanda non avrebbe ricordato nulla di quella serata. Mentre sistemava il bordo della coperta, si accorse che gli tremavano leggermente le dita. Poi, inaspettatamente, Kanda tirò una mano fuori dalle coperte per prendere la sua, quella sinistra, scura e dalle unghie nere. Senza dire niente, aprì il palmo della sua mano e intrecciò le dita alle sue. Allen guardò mentre lo faceva come se si fosse incantato e non riuscisse a realizzare l’atto.

Quando se ne accorse, era già arrossito fino alla radice dei capelli.

«M-ma, che fai? Lasciami andare!»

«Dormi con me,» disse il ragazzo e Allen si sentì sprofondare. Cos’era quella storia? Dov’era finito il Kanda freddo e calcolatore che l’avrebbe fatto a fettine con la sua katana da kendō al primo sgarro? E poi, se davvero avesse accettato una proposta simile, l’indomani mattina nulla avrebbe potuto spiegare la sua presenza in quel letto, specialmente se Kanda si fosse svegliato senza alcuna memoria di quella sera.

«No, Kanda, non ha senso.»

«Per favore, fatti perdonare, per la medicina…»

«Sei un bastardo.»

Kanda sorrise malevolmente, «Devo attaccarti la febbre, ricordi?»

Allen non seppe mai cosa fu a convincerlo, si disse che era stato il senso di colpa. Con un sospiro, annuì e Kanda si scostò leggermente verso la parete, fece per alzare la coperta ma lui lo fermò.

«Dormo fuori, non ci tengo a farmi la sudata per intero insieme a te stanotte.»

Guardando alle loro mani ancora intrecciate, si disse che doveva aver perso la testa. Lasciò la presa e andò a spegnere la luce. Quando tornò indietro, guardò il proprio materasso vuoto nell’oscurità e sospirò, raggiungendo poi a tentoni il letto del coinquilino. Sebbene a separarli ci fosse la coperta, nel momento in cui si stese si sentì cingere i fianchi dalle braccia dell’altro e il suo respiro caldo contro la nuca lo fece rabbrividire. Il calore era tanto che sicuramente non avrebbe avuto freddo. Dopo qualche minuto in cui non riuscivano a trovare una posizione comoda, Allen si sistemò appoggiandosi sul braccio di Kanda, sempre dandogli le spalle e col cuore che batteva quel poco più veloce del solito che bastava a innervosirlo.

«Sai, pensavo di non piacerti, bakanda.»

Il ragazzo alle sue spalle nascose il viso nei suoi capelli, strusciando il naso contro la sua nuca e inspirando a fondo il suo profumo. Un attimo dopo, una risata leggera sfiorò il suo orecchio: «Infatti, non mi piaci affatto…»

Allen si spiattellò una mano in faccia, maledicendosi infinite volte per essersi cacciato in quella situazione incomprensibile. Non capiva come fosse finito a dormire nello stesso letto di Kanda Yuu, non aveva idea di come avrebbe fatto ad addormentarsi e a vivere il resto dei suoi giorni con quella sensazione di calore, possesso e vicinanza stampata nelle ossa. Forse si trattava di una sorta di sogno proibito del suo es più recondito e malsano, qualcosa gli diceva che avrebbe fatto meglio ad andarsene invece che decidere di lasciarsi cullare in quell’abbraccio. Sapeva che se ne sarebbe pentito, ma alla fine rimase lì dove si trovava, con i battiti accelerati e incapace di prender sonno. Scivolò nell’incoscienza solo quelle che gli sembrarono ore più tardi. Pregò unicamente di non finire con l’essere svegliato con un calcio e una rovinosa caduta per terra l’indomani mattina.

   
 
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