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Autore: Shireith    10/02/2018    6 recensioni
Una pioggia moderata ma insistente dominava da ore il panorama parigino, gettando sulla capitale un’atmosfera cupa e stinta delle cromature più vivaci. Marinette ne avvertiva la presenza, ribadita con ritmo incessante e regolare dal tamburellare dei fili d’acqua argentati sulla finestra di camera sua. Si strinse ancora di più nella coperta di lana che le lasciava libera solo la testa, attirando a sé le gambe e abbracciandole, posando infine il mento sulle ginocchia. Concentrata a seguire gli avvenimenti della serie TV più recente consigliatale da Alya, restò ferma in quella posizione per poco, interrotta, alcuni minuti dopo, dall’illuminarsi del display del suo cellulare. Allungò un braccio per raggiungerlo e vi lesse un messaggio di Adrien. Poi due. Tre. Cinque. E finalmente aveva finito. La giovane sorrise, avvertendo una sensazione di calore all’altezza del petto al solo pensiero di una persona capace di preoccuparsi per lei con così tanto sentimento – forse anche troppo.
{Adrien/Marinette // Questa storia partecipa al “Flu&Fluff” a cura di Fanwriter.it!}
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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★ Iniziativa: Questa storia partecipa al “Flu&Fluff” a cura di Fanwriter.it!
Numero Parole: 2285
Prompt/Traccia: A ha avuto la febbre altissima tutta la notte. Quando si sveglia trova B addormentato sul letto, senza ricordarsi di averlo visto arrivare.



Sotto la pioggia


 Una pioggia moderata ma insistente dominava da ore il panorama parigino, gettando sulla capitale un’atmosfera cupa e stinta delle cromature più vivaci. Marinette ne avvertiva la presenza, ribadita con ritmo incessante e regolare dal tamburellare dei fili d’acqua argentati sulla finestra di camera sua. Si strinse ancora di più nella coperta di lana che le lasciava libera solo la testa, attirando a sé le gambe e abbracciandole, posando infine il mento sulle ginocchia.
  Concentrata a seguire gli avvenimenti della serie TV più recente consigliatale da Alya, restò ferma in quella posizione per poco, interrotta, alcuni minuti dopo, dall’illuminarsi del display del suo cellulare. Allungò un braccio per raggiungerlo e vi lesse un messaggio di Adrien. Due. Tre. Cinque. E finalmente aveva finito. La giovane sorrise, avvertendo una sensazione di calore all’altezza del petto al solo pensiero di una persona capace di preoccuparsi per lei con così tanto sentimento – forse anche troppo.
Come stai?, voleva sapere il primo messaggio. Come un’ora fa. E due ore fa. E tutte le ore in cui me lo hai chiesto, replicò lei. Hai mangiato?, recitava il secondo. E lei: Tikki mi ha portato qualcosa poco fa. E così finché non rispose a tutti e cinque i messaggi, che altro non volevano sapere se non informazioni già chieste in precedenza. Sì che era malata e nessuno era lì a prendersi cura di lei, ma gliel’aveva detto di non preoccuparsi. Non poteva fargliene una colpa se, neanche un giorno prima che lei si ammalasse, Adrien aveva dovuto prendere un volo per Milano, dove lo aspettava un importante evento di moda a cui doveva presenziare per conto della maison del padre in quanto suo modello.
  Proprio mentre si apprestava a mettere da parte il cellulare, il display si illuminò nuovamente, annunciando una chiamata in arrivo da parte del fidanzato.
  «Adrien» rise lei quando rispose.
  «Sì, lo so che stai bene, ma sei sicura che non vuoi che chiami Nathalie e la faccia venire lì per prendersi cura di te?»
  «Ti ho già detto di no» ribatté in tono premuroso. «Me la cavo.» Non avrebbe rifiutato una mano in più se si fosse trattato dei suoi genitori, in viaggio di piacere nella terra natia della madre per celebrare i venticinque anni di matrimonio, o di Alya, impossibilitata a correre in suo soccorso dagli impegni della vita universitaria. Tuttavia, essendo l’unica opzione Nathalie, Marinette preferì declinare cortesemente l’offerta: non che avesse qualcosa contro quella donna, solamente che, in nome del suo senso del pudore e della mancata confidenza che le univa, sarebbe stato imbarazzante ricevere un aiuto da lei in quello stato. In fondo non stava poi così male: qualche linea di febbre comparsa in mattinata, niente di più. Poteva cavarsela. Del resto era pur sempre una ventunenne in compagnia di un kwami disposto a farsi in quattro per lei alla prima necessità.
  «Nino?» tornò ad insistere il giovane.
  «Adrien, ti prego. Le uniche persone a cui permetterei mai di vedermi in questo stato siete tu, mia madre, mio padre e Alya. E forse con te nemmeno dovrei, visto il terribile aspetto che ho in questo momento.»
  «Sono sicuro di no.»
  «Non diresti così se mi vedessi adesso, buttata dentro un pigiamone con gli orsacchiotti e infagottata in una coperta di lana, con gli occhi rossi e i capelli tutti disordinati.»
  «Mi vuoi far eccitare per telefono? Perché ci stai riuscendo.» La giovane se lo immaginò esibirsi come suo solito in un ghigno sornione e, a dispetto degli anni passati insieme come coppia, arrossì. «Marinette, sei ancora lì?» domandò l’altro di proposito, ben conscio di quale reazione avesse scatenato nell’amata.
  «Non vale se mi prendi così alla sprovvista» disse lei di rimando, mettendo su il broncio.
  Nonostante non potesse vederlo, Adrien sapeva che, come il rossore di poco prima, quello era lì. «Il lupo perde il pelo ma non il vizio, vedo» ghignò.
  «Disse il gatto che non crescerà mai. Mi chiedo come riesca a sopportarti Plagg dopo tutto questo tempo passato assieme.»
  Tikki sopraggiunse proprio in quel momento, svolazzandole attorno e posandosi infine sul palmo che la ragazza aprì appositamente per lei. «Portare acqua al mulino di Adrien è l’ultima delle mie intenzioni, ma conoscendo fin troppo bene un certo kwami, la domanda più opportuna è come faccia lui a sopportare Plagg.»
  «Ecco, ascolta quello che ha da dire Tikki, che ha alle sue spalle più di duemila anni di vita. Non ti sto dando della vecchia, Tikki, solo della saggia. Cosa che non posso dire di Plagg, nonostante abbiate la stessa età.» Dopo la scoperta della vera identità di Ladybug, Adrien aveva fatto anche la conoscenza del suo kwami e di quello del Maestro Fu, Wayzz, e si era chiesto perché solo a lui ne fosse capitato uno che lo costringeva a puzzare come un negozio di formaggi.
  «Puoi stare tranquillo, Adrien» riprese l’esserino rosso. «Marinette è sotto la mia supervisione, mica sotto quella di Plagg.»
  «Lo sapete, vero, che io sono qui da quando la chiamata è iniziata?» fece presente proprio quest’ultimo, ottenendo come risposta una risata da parte di Tikki e la sua portatrice.
  Ben altra reazione fu quella di Adrien, il quale gli rivolse una smorfia quando l’odore nauseabondo del pezzo di Camembert che il kwami stringeva tra le zampette raggiunse il suo olfatto. «Come potrei dimenticarmene, se ovunque tu vada la puzza di formaggio ti segue?» si lamentò.
  «Dovresti portarmi più rispetto, ragazzino, perché, primo, sono molto, ma molto più vecchio di te; secondo, se non fosse per me, la prossima volta che ti lanci dalla cima del Duomo diventi direttamente budino di umano, altro che uscirne illeso!»
  «Lo sapevo che non stavi scherzando quando l’hai detto» commentò sconsolata Marinette, chiedendosi come un giovane tanto intelligente e maturo potesse certe volte lanciarsi in idee tanto bizzarre quanto infantili.
  «Plagg, e tu gliel’hai fatto fare?» lo rimproverò Tikki, incrociando le zampette in segno di disappunto.
  «Ma mica è colpa mia! A questo basta dire “Trasformami!” e può fare quello che gli pare.»
  «Hai almeno cercato di dissuaderlo?» Nessuna risposta. «Plagg?»
  «Be’, sembrava divertente.»
  «Ma, Plagg…»
  «L’idea di planare con il bastone allungabile ha funzionato alla grande» si difese Adrien.
  «Te lo do io il bastone allungabile, quando torni» minacciò Marinette.
  «Non dovrei essere io a farlo, my lady
  Se c’era una fatto certo, questo era che Adrien non avrebbe mai smesso di approfittare delle frasi innocenti di Marinette per trasformarle in ben altre cose. Un altro era che la giovane, per quanto ci provasse, non sarebbe mai riuscita a combattere quel tipo di battaglia verbale ad armi pari. «Plagg, l’idea del budino non era poi tanto male» commentò poco dopo, ripresasi dal sarcasmo non richiesto del compagno.
  «Lo terrò a mente.»
  Dall’altro capo del telefono, Marinette udì il nome di Adrien venir pronunciato con accento italiano. «Mi sa che devo proprio andare» disse il giovane. «Non ti sforzare troppo, tu, e ricordati che per qualsiasi cosa c’è pur sempre Tikki.»
  «Sì. Lo so. Me l’hai già detto una trentina di volte. Ora vai a fare il tuo lavoro e vedi di non chiamarmi tra un’altra ora.»
  «Ci proverò.»
  «Dico sul serio.»
  «Ti amo.»
  «Ti amo anch’io.»
  «Quindi niente più budino?»
  «Direi di no, Plagg.»
  «Peccato.» Con quest’ultimo commento da parte del kwami nero, la chiamata s’interruppe definitivamente.
  «È proprio un tesoro, Adrien» commentò Tikki, prendendo il volo dal palmo della sua portatrice fino alla sua guancia, contro la quale si strofinò in segno di affetto.
  L’espressione nel volto di Marinette si addolcì e la linea che separava le labbra s’incurvò in un sorriso genuino. «Sì, lo è.»
  Si accorse di essersi addormentata soltanto una volta sveglia, e mettendosi a sedere sul letto si chiese quanto tempo fosse passato, se pochi minuti o alcune ore. Questo pensiero, tuttavia, le scivolò momentaneamente via di mente quando avvertì una fitta alla testa e si accorse di avere i muscoli indolenziti. Subito la sua memoria viaggiò alla febbre che l’aveva colta di sorpresa quella stessa mattina e si domandò quanto fosse peggiorata, poiché prima di addormentarsi la sua temperatura corporea superava di poco i trentasette gradi. «Tikki?» chiamò, rendendosi conto di un leggero fastidio alla gola, segnato dal calo di voce subìto mentre non era cosciente.
  Il kwami volò nella sua direzione, assumendo un’espressione preoccupata quando dal suo aspetto dedusse un peggioramento della sua salute. «Marinette, ti senti bene?»
  «Non molto» ammise. Non voleva far preoccupare Tikki più del dovuto, ma mentire in quello stato era pressoché impossibile. «Quanto ho dormito?»
  «Circa cinque ore. Sono le quattro del mattino.»
  La giovane strabuzzò gli occhi. «Così tanto? Cavolo, chissà Adrien…» Già lo vedeva, il suo fidanzato, a immaginarsi gli scenari peggiori per i quali Marinette, nelle ultime cinque ore, non aveva potuto rispondere. E dire che era lei, quella tra i due ad avere la fantasia più sfrenata.
  Tikki svolazzò dal letto al comodino e premette il tasto centrale del cellulare di Marinette, leggendo sul display solo messaggi e avvisi di chiamate perse da parte del rampollo di Plagg. «Credo che sia leggermente preoccupato» osservò con ironia, afferrando l’aggeggio tecnologico e portandolo alla ragazza.
  «Quanto preoccupato su una scala da zero a quaranta chiamate perse?»
  «Constata tu stessa» le disse, porgendole il cellulare proprio in quel momento.
  Marinette lo accolse nella sua mano destra e con il pollice cominciò a scorrere le notifiche che si susseguivano una dopo l’altra sul blocca schermo. «Peggio di quanto pensassi. È meglio che lo chiami, o è capace di mandare una squadra a fare irruzione dentro casa.» Compose velocemente il numero del fidanzato, sicura che avrebbe risposto un nano secondo dopo. Si sbagliò. Provò altre due volte: ancora niente. «Chissà che cosa starà facendo, quel matto.» Così dicendo mise da parte il cellulare e chiuse gli occhi, massaggiandosi le tempie nel tentativo di attenuare almeno in parte il dolore causatole dalle fitte che avvertiva all’altezza della testa.
  «C’è qualcosa che posso fare per te, Marinette?» le chiese Tikki. La sua vocina di solito simile a uno squittio allegro assumeva ora il tono di una nota grigia. La giovane era ridotta piuttosto male, e lei avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per alleviare almeno in parte quella sofferenza.
  La ragazza riportò la sua attenzione sul kwami e le rivolse un sorriso rassicurante. «Rilassati, Tikki, non sto mica morendo. È solo un po’ di febbre.»
  «Più di “solo un po’”.»
  «Vero, ma comunque niente di mortale.»
  «Hai fame?»
  «Non molta, in realtà.»
  «Vuoi che ti vada a prendere un medicinale?»
  «Non ne abbiamo.» Lei e Adrien avevano concretizzato la decisione di andare a convivere nemmeno una settimana prima e ce n’erano ancora molti, di acquisti da fare. «Se il signor Agreste sapesse, Adrien impiegherebbe come minimo un giorno intero per cercare di convincerlo che vivere in un appartamento non lo condurrà alla morte» ironizzò, ricordando i salti mortali compiuti dal ragazzo già la prima volta.
  Il kwami rise. «L’importante è che alla fine abbia approvato. Allora sei sicura di non volere proprio niente da mettere sotto i denti?»
  «No, Tikki» rifiutò con cortesia. «Ma grazie lo stesso. Vorrei solo che mi andassi a prendere il termometro, per vedere di quant’è salita la febbre.»
  L’esserino rosso svolazzò fino in bagno e fu subito di ritorno con lo strumento stretto tra le zampette.
  Una volta misuratasi la febbre, Marinette scoprì che la temperatura raggiungeva adesso i trentotto gradi e mezzo. «Questa non ci voleva.»
  «Ti preparo uno straccio freddo da mettere sulla fronte» si offrì il kwami, desiderosa di poterla aiutare almeno in questo. «Tu intanto riposati e non coprirti troppo, altrimenti peggiori solo la situazione.»
  «Grazie mille, Tikki.» La vide svolazzare nuovamente fuori dalla camera, e quando non fu più visibile chiuse gli occhi e poggiò la testa sul cuscino.

 Mentre fuori la pioggia non dava nessun segno di cedimento, di nuovo Marinette si accorse che Morfeo l’aveva accolta tra le sue braccia senza che riuscisse a rendersene conto. «Adrien?» chiamò istintivamente, rammentandosi poi che il giovane non era lì. Quindi fece il nome di Tikki, poiché l’ultimo ricordo di lei da sveglia vedeva presente anche il kwami.
  L’esserino volò nella sua direzione, posandosi a pochi centimetri dal suo volto stanco. «Shh, non fare troppo rumore.»
  «Cosa? Perché?» domandò, confusa. Chi temeva di poter svegliare, Tikki?
  In tutta risposta, il kwami fece cenno alla ragazza di guardare in direzione dei suoi piedi. La giovane portatrice annuì, sollevando adagio il busto e gettando un’occhiata lì dove Tikki le aveva dato indicazioni. Quello che vide le scaldò il cuore: lì ai piedi del letto, Adrien, sistematosi come meglio aveva potuto, sonnecchiava silenziosamente, quasi come un vero gatto. Si aprì in un sorriso pieno d’amore. «È tornato da Milano solo per me…»
  «Sì. È arrivato qui più di un’ora fa come Chat Noir, poi si è ritrasformato ed è accorso al tuo capezzale. Ti ha cambiato lo straccio sulla fronte prima che lo facessi io, e non volendoti svegliare ha detto che avrebbe aspettato, ma poco fa è crollato.»
  Marinette era così colpita dalla genuinità di quel gesto che non seppe cosa dire. Probabilmente sarebbe rimasta lì ferma a osservare Adrien con gli occhi dell’amore finché non si fosse svegliato, se solo non fosse stato per l’intervento di Plagg.
  Anche il kwami nero prese a svolazzarle attorno, affiancandosi poi a Tikki. «Certo che potevi pure rispondere, tu. Dovevi vederlo, il ragazzino, a dare di matto mentre ti chiamava e ti richiamava. È stato trattenuto contro la sua volontà da alcune persone, ma appena ha potuto, puff!, si è fiondato subito in aeroporto. Se i miei poteri permettessero di volare, nemmeno l’aereo avrebbe preso, questo sconsiderato!»
  «Plagg, è amore» gli fece presente Tikki.
  L’esserino nero sbuffò. «Sì, ma i nostri portatori ci cascano sempre.»



   
 
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