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Autore: giambo    10/02/2018    2 recensioni
Crescere è una sfida difficile. Lo sa Naruto, lo sa Hinata così come lo sanno tutti i loro compagni ed amici di Konoha. Eppure, in un mondo che sta vivendo una pace con ancora troppi lati oscuri, essi dovranno imparare a diventare adulti, ad affrontare i propri demoni, le proprie paure, ed anche i propri fallimenti. Con la consapevolezza che una coppia non si costruisce in una notte di passione sfrenata, ma giorno dopo giorno, affrontando le sfide della vita, consci delle proprie forze e delle proprie debolezze.
Raccolta di One-Shot incentrata sulla coppia Naruto/Hinata, ma con ampi spazi dedicati alle altre coppie canoniche del manga, con in più qualche sorpresa.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boruto Uzumaki, Himawari Uzumaki, Hinata Hyuuga, Kurama, Naruto Uzumaki | Coppie: Hinata/Naruto, Sasuke/Sakura, Shikamaru/Temari
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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The Biggest Challenge

 

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Perdono

parte seconda

 

 

 

Sakura strinse le labbra fino a formare una linea inespressiva, la fronte normalmente liscia increspata da una singola ruga obliqua. Le iridi smeraldine si piantarono sui volti delle sue amiche, scrutandole e chiedendosi per quale diavolo di motivo Ino e Tenten apparissero così rilassate.

Non sanno mai prendere le cose con serietà.

Si trovavano in casa Uzumaki. Normalmente, quella sarebbe stata una serata come tante altre, dedicate al passare del tempo assieme, in compagnia di qualche bottiglia di vino. Tuttavia, considerando che Hinata cinque giorni prima aveva buttato fuori di casa il marito, Sakura non era sicura che ridere e scherzare fosse il comportamento più adatto da tenere.

In quell’istante, Hinata raggiunse le amiche al tavolo del salotto, in mano un vassoio con tè e dolcetti. La Sannin accettò con un cenno del capo la bevanda calda, approfittandone per osservare da vicino l’amica. Hinata si comportava normalmente, ma il suo occhio, ben allenato a riconoscere sintomi negli ammalati, notò una tensione latente nei tratti della Hyuga, un malessere interiore che la kunoichi cercava di nascondere dietro un caldo sorriso.

“Allora!” Ino si sgranchì le spalle, fissando con un sorriso Hinata. “Pronta a festeggiare la tua ritrovata libertà?”

“A volte mi chiedo come mai tuo figlio non si sia ancora suicidato…” borbottò Sakura, rivolgendole un’occhiata di rimprovero. “Siamo qui per aiutare un’amica, non per dire stupidaggini!”

“Appunto! E cosa c’è di meglio di un locale pieno di manzi per dimenticare le proprie pene d’amore?” replicò la Yamanaka.

Hinata si trincerò dietro un sorriso diplomatico.

“Ti ringrazio per l’offerta, Ino.” mormorò, sorseggiando la propria tazza. “Ma non posso uscire, di sopra ci sono i bambini.”

“E ti pareva…”

“Non dobbiamo per forza impicciarci dei problemi di Hinata.” dichiarò la Haruno. “E’ vero che vuoi aprire un negozio di armi ninja, Tenten?”

L’allieva di Gai sorrise.

“Diciamo che con Metal in casa non posso più assentarmi per le missioni come facevo prima.” spiegò, addentando un dolcetto. “Quindi sarei tentata di provare ad aprire un negozio tutto mio di armi ninja. Sarebbe bello poter sfruttare questa mia passione.”

“Sì, tutto magnifico!” Ino agitò una mano con impazienza. “Perdonami Ten, ma in questo momento sono molto più interessata alla vita sentimentale della nostra cara Hinata!”

“Ino…” Sakura sospirò, esasperata. “Hai la sensibilità di un cucchiaino!”

“Cosa c’è di male nel voler consolare un’amica, scambiandosi nel frattempo qualche pettegolezzo piccante?” con fare cospiratorio, la kunoichi bionda si avvicinò ad Hinata. “Quanto lungo c’è l’ha, Hinata?”

“Ino!” le gote della Hyuga si tinsero di rosso, vergognandosi a morte della domanda impudica dell’amica.

“Dai, ora che vi siete lasciati puoi dircelo! E’ formato Bijuu, oppure mignon?”

“Dacci un taglio!” Sakura zittì l’amica appena in tempo: il volto di Hinata si era tinto di un intenso rosso tizzone, come se qualcuno le stesse riempiendo la testa di acqua bollente. “Siamo qui per aiutarla, non per spettegolare come le peggiori oche!”

“D’accordo!” Ino sbuffò, chiaramente contrariata all’idea di non poter spettegolare su quanto fossero stronzi i maschi. Afferrò un paio di dolcetti, e si mise tranquilla a sorseggiare il proprio tè.

“Non dovete pensare che io stia male, o altro.” osservò Hinata, ritornando a sorridere diplomaticamente. “Sto bene, dico davvero.”

“No che non stai bene.” ribatté subito Tenten. “Nessuna donna potrebbe stare bene quando il proprio matrimonio è appeso ad un filo.”

“Parla per te…”

“Ino, mangia e stai zitta!” ringhiò la Sannin, passandole l’intero vassoio dei biscotti.

“Sei pazza?! Guarda che non sono come te, che mangi addirittura i carboidrati!”

Hinata non rispose, osservando con fare vagamente interessato l’ennesimo battibecco tra Sakura ed Ino. La sua mente volò distante da quella casa, tornando a soffermarsi su ciò che negli ultimi giorni aveva disturbato il suo sonno.

La prima domanda che si era posta era perché. Perché Naruto aveva tenuto un simile comportamento? Per quale motivo si era rifiutato di rivelarle di aver stretto un simile legame con un’altra donna? Davvero suo marito aveva scelto di non riporre fiducia in lei, dopo tutto quello che avevano affrontato assieme?

Forse è colpa mia. Aveva riflettuto molto anche su di sé, domandandosi se la nascita di quel legame fosse da attribuire anche a lei. Era stata una cattiva compagna? Possibile che Himawari possedesse qualcosa che lei non aveva, qualcosa che aveva attratto Naruto, suo marito?

Himawari… il solo pensiero che sua figlia tenesse lo stesso nome di quella donna sconosciuta la riempiva di disgusto. Naruto poteva avere una motivazione per nasconderle il suo legame con un’altra donna, ma darne il nome alla loro bambina lo trovava ingiustificabile, un gesto che non si sarebbe mai aspettato dalla persona che più ammirava e rispettava al mondo.

No, non è colpa mia. La rabbia per il nome incriminante della figlia le diede la forza di respingere ogni accusa sulle spalle del marito. Era colpa di Naruto se aveva perso la testa per un’altra donna, era colpa sua se aveva deciso di non rivelarle nulla, scegliendo di dare a loro figlia il nome della persona con la quale aveva tradito la sua fiducia ed infranto i loro voti coniugali.

Eppure, nonostante tutto, sentì di provare altro oltre alla rabbia. Era qualcosa di profondo, che si agitava in sordina, malmostoso e cupo. Tentò di ignorarlo, ma cominciò a capire che non avrebbe potuto farlo per sempre. Dovette affrontare il pensiero di una lontana missione segreta, tenuta nascosta al suo fidanzato dell’epoca per sei lunghi anni.

Forse io…

“Hinata?” la voce di Tenten la riscosse di colpo, facendola ripiombare bruscamente nel suo salotto. Vide tre paia di occhi squadrarla con scrupolosa attenzione, alla ricerca di un indizio su cosa stesse pensando, donandole la sgradevole sensazione di essere esposta in una vetrina.

“Perdonatemi.” mormorò, sfoderando nuovamente il suo sorriso più diplomatico. “Ero sovrappensiero.”

“E a cosa stavi pensando?” chiese Ino. “A come farla pagare a tuo marito?”

Sakura sospirò, chiedendosi se non fosse il caso di prendere a pugni la Yamanaka, ma decise di contenersi. Non erano lì per litigare ma per aiutare un’amica in difficoltà.

“Non stavo pensando a nulla in particolare.” rispose la Hyuga, scuotendo la testa. “Con due bambini da badare, arrivo alla sera sempre sfinita.”

“Hinata, piantala di fare l’indifferente!” sbottò Ino. “Non sei mai stata brava a mentire. E’ palese che stai male per Naruto, non devi vergognarti di questo con noi.”

La Hyuga non rispose. Strinse le mani, le iridi lilla oscurate da un velo di tristezza. In cuor suo, sapeva che Ino aveva ragione, che non aveva senso nascondersi dietro un dito innanzi a loro, le sue amiche di sempre. Eppure, una parte di lei respingeva l’idea di sfogare il suo malessere, di metterle al corrente di ciò che le corrodeva la mente come il più letale dei veleni. Probabilmente era l’orgoglio a frenarla, la malsana invidia che la portava a domandarsi come mai solo lei avesse un marito che aveva tradito in quel modo la sua fiducia, tornando a chiedersi se non fosse dovuto in parte anche al suo comportamento.

Il tocco di Sakura sulla sua spalla la fece sussultare, riscuotendola nuovamente dai propri pensieri.

“Ci conosciamo da quando siamo bambine.” dichiarò sorridendo la Sannin. “Non devi pensare che ti giudicheremo o altro, lo sai. Tenerti dentro tutto il malessere che provi ti avvelenerà la mente e basta.”

“Immagino di no.” sospirò la bruna, scuotendo la testa. “Ma il punto è che non ho proprio idea di cosa fare.” si morse le labbra, alla ricerca delle parole giuste. “Io e Naruto-kun… conviviamo da anni.” tacque per un istante, sentendo una fitta al petto nel nominare il marito. “Ma dopo… quello che è accaduto, non so più cosa debbo fare, cosa voglio, cosa sia giusto.” rivolse una muta richiesta d’aiuto alle altre, le quali cercarono in fretta le parole giuste da dire.

“Io credo che sia solo questione di tempo.” esordì Tenten. “Posso capire che in questo momento ti senti sperduta, ma non è la fine del mondo. Devi solo lasciare correre qualche tempo. Se tra qualche mese sentirai ancora di provare un sentimento per Naruto, e lui ricambia, allora vuol dire che il vostro legame è forte, che non verrà rotto da un errore vecchio di anni.”

“E come faccio ad essere sicura che lui provi ancora qualcosa per me?”

La madre di Metal tacque. Era chiaro che nessuno poteva avere quella certezza, a parte Naruto.

“Secondo me, la cosa più importante adesso è un’altra.” fu Sakura questa volta a parlare. “Prima di prendere una decisione, qualsiasi decisione, devi capire cosa provi per Naruto, se sei ancora innamorata di lui. Senza questa risposta, qualsiasi altro discorso è superfluo.”

Hinata tacque. Era ancora innamorata di suo marito? Non si era mai posta questa domanda, forse per timore di ricevere una risposta per la quale non si sentiva assolutamente pronta. Naruto era stato il suo punto di riferimento, colui che le aveva permesso di diventare una donna forte e sicura di sé. Aveva imparato a conoscerlo, comprendendo come dietro quel sorriso caldo, che portava sempre sulle labbra, si nascondevano dubbi, dolore e paure. Naruto era un uomo intimamente fragile, che si era temprato attraverso molte perdite ed un dolore ai limiti dell’umana sopportazione. Non era perfetto, non era invincibile e dietro la corazza dorata che si portava appresso da più di dieci anni c’era tutto tranne che l’eroe sicuro di sé a cui tutta la nazione era abituata a vedere.

Forse era stata proprio quella fragilità, il peso del dover essere a tutti i costi un eroe che l’aveva spinto tra le braccia di un’altra donna, capace di poter comprendere quel fardello.

La rabbia riprese a divampare dentro il suo stomaco, inacidendogli il sangue. Continuava a non accettare l’idea che suo marito non si fosse fidato di lei, chiedendosi cosa l’avesse spinto a legarsi così tanto ad un’altra donna e se tutto ciò che avevano costruito negli ultimi anni assieme non fosse altro che frutto dell’ipocrisia, di aver voluto nascondere il proprio tradimento dietro una montagna di bugie e sorrisi, di gesti premurosi e di dichiarazioni d’amore.

Tradimento, un sentimento che Hinata aveva imparato a conoscere bene, fin da quando era una bambina. Si era sentita tradita da sua madre, da una genitrice che l’aveva abbandonata in mezzo ad un mucchio di parenti altezzosi che la disprezzavano, con una sorella minore a cui badare ed un cugino che la odiava per tutto ciò che rappresentava. Non aveva mai avuto il coraggio di pensarlo veramente, ma una parte di lei, la sua essenza più nascosta, era convinta che la sua genitrice fosse morta di proposito, che avesse deciso di sua spontanea volontà di non proseguire a vivere. Con il tempo quel pensiero era scomparso, trasformando la rabbia ed il dolore in una sordida amarezza, ma ora le sembrava che il tempo fosse scivolato indietro. Era di nuovo una bambina di otto anni che non capiva per quale motivo la persona a cui era più legata l’avesse lasciata sola.

Chiuse gli occhi. Rivide il volto sconvolto di Naruto, la sua voce bisbigliare la propria colpa. Non aveva provato a scusarsi, non era rimasto per tentare di dissuaderla. Si era assunto tutta la colpa, come sempre, deciso a non rinnegare il gesto alla base della loro rottura.

E’ solo colpa sua… l’essenza più nascosta di lei emerse rapida, ricolma di acido rancore. Lo amavo, ho fatto il possibile per essere una buona compagna e lui mi ha tradita alla prima occasione.

No! La sua mente si ribellò all’idea di scaricare solo sull’Uzumaki le colpe del fallimento del loro rapporto. Come posso accusarlo di avermi tenuto all’oscuro di tutto? L’ho spiato a sua insaputa per sei anni. Gli ho detto che l’amavo, che volevo costruirmi una famiglia con lui, sono andata a letto con lui… ed ogni volta che l’ho detto, io gli stavo nascondendo ogni cosa.

La rabbia svanì, lasciando il posto ad una sensazione diversa: acida, che le entrò sotto la pelle, procurandole l’amaro in bocca. Come poteva accusare Naruto di non voler condividere un simile segreto se lei per prima aveva fatto lo stesso? Da quale pulpito poteva rinfacciargli le sue colpe? Accusarlo di essere l’unico responsabile dell’ennesima crisi del loro matrimonio?

No… si morse il labbro inferiore fino a spaccarselo, mescolando il sapore ferroso del sangue con quello amaro del senso di colpa. Non ho nessun diritto per poterlo criticare. Io non sono meglio di lui.

Sentì la presa sul proprio stomaco affievolirsi, come se ammettere le proprie colpe la facesse sentire meglio. Non sapeva ancora se ciò che provava per Naruto fosse lo stesso sentimento di prima, e neanche se voleva averlo di nuovo nella sua vita. Ma per la prima volta da quando aveva scacciato di casa suo marito, Hinata capì che quella situazione era anche colpa sua e la cosa stranamente la rinfrancò: era sicuramente più facile comprendere sé stessa di qualsiasi altra persona, anche il suo compagno.

Riaprì gli occhi, constatando come le sue amiche la stessero fissando, in attesa di un responso.

“Io…” strinse le mani, cercando di farsi forza. “Non so se amo ancora Naruto-kun.” esordì infine. “Ma so che questa situazione è figlia delle colpe di entrambi.” vide Sakura annuire e ciò la rinfrancò. “Lui non è il solo colpevole e quindi… credo che dovremo parlarne. In modo da capire… cosa fare del nostro matrimonio.”

“Questa è esattamente la risposta che mi aspettavo.” la Sannin sorrise all’amica, stringendole la mano. “Mettersi in discussione, accettando il confronto con l’altro, sono il primo passo per risolvere questa situazione.”

“Io avevo proposto la castrazione…”

“Ino!”

“Che c’è? Se proprio non vuoi usare il martello puoi anche usare la castrazione chimica! Due pasticche al giorno nascoste nel cibo per due settimane e ciao ciao mascolinità!”

Tenten scoppiò a ridere, soffocandosi con il tè, mentre Sakura ed Hinata non sapevano se imitarla o rimproverare la Yamanaka per i suoi propositi attentatori nei confronti della virilità dell’Uzumaki.

“Comunque…” l’Haruno tentò di riportare la conversazione su un piano più serio. “Il mio consiglio finale è questo: parla con Naruto, spiegatevi, e solo allora prendi una decisione definitiva.”

“Immagino che sia la scelta migliore.” Hinata sorseggiò dalla tazza, sentendo un calore nello stomaco che con il tè aveva poco a che fare. Non aveva fatto chiarezza riguardo i propri sentimenti nei confronti di Naruto, ma aveva compreso meglio ciò che sentiva e soprattutto ora sapeva cosa doveva fare. “Nei prossimi giorni cercherò di contattarlo.”

“Comunque, nel caso parlare non funzioni, io continuo a sostenere l’idea del martello.”

“La possiamo piantare, Ino?” domandò esasperata Sakura. “Non serve che istighi Hinata alla violenza, lei è magnifica così com’è.”

“Scempiaggini! Una donna che si rispetti deve essere violenta, altrimenti poi gli uomini si sentono in diritto di fare le peggio porcate!”

“Solo perché tu sei pazza, non significa che tutte dobbiamo prendere esempio da te.”

“Non accetto critiche da una persona con la fronte così ampia da ospitare le facce di pietra…”

Hinata si sforzò con tutte le proprie forze, ma alla fine cedette. Si mise a ridere assieme a Tenten, osservando Sakura ed Ino bisticciare. Per la prima volta dopo molto tempo, si sentì bene, priva di pensieri e preoccupazioni, libera da Naruto, Himawari o Hazuba. Era una sensazione magnifica, e fu grata alle sue amiche per questo.

Grazie… scostò gli occhi dal tavolo, rivolgendoli verso la finestra del salotto, la mente che continuava a fluttuare lontano dai suoi problemi, finalmente libera.

Ora so cosa fare.

 

 

Con un elegante ghirigoro, Shikamaru terminò di compilare l’ennesimo documento della giornata. Lo shinobi si stiracchiò le spalle, pensando di farsi il quinto caffè della mattina, quando una pronta Mei glielo porse caldo e fumante.

“Ecco a lei, Senpai.” il Nara accettò con un sorriso. Negli ultimi anni la ragazza era cresciuta molto di carattere, rivelandosi un’inaspettata spalla per lo shinobi, il quale ormai la riteneva indispensabile.

“Grazie.” Shikamaru buttò via il mozzicone che stringeva tra le labbra, accettando il bicchierino fumante con un cenno del capo. “Novità?”

“Prima ha chiamato sua moglie.” rispose prontamente con voce sicura la giovane kunoichi. “Chiedeva di lei.”

“Spero tu le abbia risposto come sempre.”

“Certamente.” il sorriso della ragazza si intensificò, sciorinando a memoria ciò che il Nara le aveva inculcato fin dall’inizio della loro collaborazione. “Shikamaru-Senpai è attualmente impegnato con una donna più bella di lei.”

“Quante volte devo dirtelo? Non sono il tuo Senpai.”

“A me piace chiamarla così.” Shikamaru non fece in tempo a finire il caffè che la kunoichi aveva già afferrato il bicchierino. “Tutto quello che so lo devo solo a lei.”

“Mi mancava il fan club…” lo shinobi emise un sospiro, massaggiandosi lentamente le tempie. “Porta questi documenti all’Hokage. Deve firmarli entro stasera.”

Mei afferrò rapida il fascicolo, dirigendosi all’uscita. Non fece in tempo ad aprire la porta che andò a sbattere contro un perplesso Naruto, il quale si domandò per quale motivo la sua appendice nasale sembrava fosse stata appena colpita da un’incudine d’acciaio.

“M-mi perdoni!” Mei si affrettò a raccogliere i fogli sfuggiteli, sparsi un po’ ovunque. Malgrado il suo rapporto con Shikamaru, la giovane kunoichi appariva ancora intimidita innanzi all’eroe di tutti gli shinobi. “Le chiedo scusa, Naruto-sama!”

“Va tutto bene, Mei.” borbottò l’Uzumaki, massaggiandosi vigorosamente il naso dolorante. “E chiamami solo Naruto, mi fai sentire vecchio.”

“Ah… ok. Allora, ora vado, Naruto-sa… Naruto.” con un ultimo, tremulo, sorriso, la kunoichi sparì con i fogli stretti al petto, il tutto sotto lo sguardo divertito di Shikamaru.

“Complimenti.” esordì quest’ultimo, accendendosi una sigaretta senza smettere di scrivere. “Hai fatto colpo, in tutti i sensi.”

“Ti ricordo che sono sposato, Shika.” borbottò il biondo, stravaccandosi sulla seggiola innanzi alla scrivania del Nara.

“Sono già partite le scommesse in ufficio su quando Hinata chiederà il divorzio.” lo shinobi delle ombre lanciò un’occhiata divertita all’amico. “A sentire gli allibratori, ti conviene cominciare a guardarti in giro.”

“Shikamaru, possiamo finirla con questi giochetti?”

“Rilassati, sei ancora molto popolare tra le ragazze. Non appena si saprà che sei di nuovo in pista scoppierà l’inferno, ci puoi giurare.”

Naruto lo fissò in cagnesco.

“Quanto ti stai divertendo?”

“A vedere per una volta che non è la mia relazione ad essere con la merda al collo?” l’assistente dell’Hokage soffiò fumo grigiastro dalle labbra, un’espressione irritante sul viso. “Non hai idea quanto.”

“Siamo in due.”

“Kurama!” Naruto lanciò un’occhiata esasperata all’amico il quale si era comodamente spaparanzato, un ghigno da vero stronzo sul muso. “Dovresti aiutarmi. Gli amici servono a questo!”

“Può essere, ma vederti in difficoltà è sempre un passatempo piacevole.”

L’Uzumaki preferì evitare di rispondergli per una questione di principio, tornando a dedicare la propria attenzione a Shikamaru, il quale aveva proseguito il proprio lavoro come se l’amico fosse invisibile. Quando fece per aprire bocca però, il Nara lo precedette.

“A cosa devo questa visita?” borbottò, la penna che scorreva stancamente tra i fogli.

Naruto incrociò le braccia, percependo lo stomaco contrarsi per il nervoso. Ora che era lì non aveva la più pallida idea di come impostare il discorso.

“Sono venuto...” dichiarò infine, cercando rapidamente di mettere ordine nella sua mente, operazione non delle più semplici. “Per un consiglio.”

Lo shinobi delle ombre sbuffò una nuvoletta di fumo dall’angolo sinistro della bocca, lo sguardo fisso verso le proprie pratiche.

“Un consiglio riguardo…?”

Fece un profondo respiro, preparando accuratamente le parole da dire.

“Su Hinata.”

La penna proseguì nel proprio tragitto, imperterrita.

“Quando tu e Temari… avete litigato per la faccenda di Ino…” respirò nuovamente a pieni polmoni. Era più difficile di quanto credesse, non fosse altro per l’imbarazzo di rivangare quella vecchia storia. “Sì, insomma… come vi siete rappacificati?”

Lo shinobi delle ombre interruppe di colpo il proprio scrivere. Alzò lentamente lo sguardo, il volto impassibile. Per un istante, Naruto fu convinto che l’amico l’avrebbe scacciato dall’ufficio a calci.

“Un anno e mezzo di lavori domestici, molte parolacce e diversi pugni in faccia.” Shikamaru tornò a scrivere, lasciando il Jinchuuriki più confuso di prima.

“In che senso?”

Sospirando, il Nara appoggiò la penna, comprendendo che quella mattina non era destino che potesse lavorare in pace.

“Nel senso che per rappacificarmi con lei ci ho impiegato un anno e mezzo di lavori domestici, ho ricevuto parecchi insulti contro e per finire mi ha spaccato la faccia.” lo guardò con il suo sguardo penetrante. “Immagino che non fosse questa la risposta che volevi.”

Naruto non rispose. L’idea che Hinata potesse prenderlo a pugni era ridicola. Tuttavia, era anche vero che fino a qualche anno prima avrebbe trovato ridicolo il pensiero di lui e sua moglie in crisi, cosa che invece era puntualmente accaduta.

“Beh… ma immagino che ci sia stato qualche segnale…”

“Naruto.” Shikamaru parlò con tono secco, facendo intendere all’amico che non desiderava rinvangare quell’episodio del suo passato. “E’ inutile che cerchi di risolvere questa faccenda chiedendo consiglio agli altri. Tu hai fatto questo casino, conosci meglio di tutti tua moglie e quindi spetta a te trovare una soluzione.” riprese a scrivere, facendo intendere come quella discussione fosse chiusa. Tuttavia, il successivo borbottio dell’Uzumaki lo costrinse ad interrompere nuovamente la sua relazione.

“Dite tutti la stessa cosa…” il Jinchuuriki scrutò con sguardo torvo lo shinobi delle ombre, quasi gli avesse fatto un torto. “Come se per me fosse facile capire cosa passa per la testa di Hinata in questo momento.”

“E’ tua moglie. Chi dovrebbe capirla?”

Naruto fece un versaccio d’irritazione.

“Sono anni che Hinata faccio sempre più fatica a comprenderla, Shika! Tu lo sai, te l’ho già detto tre anni fa: amo la mia famiglia, ma a volte non capisco più gli atteggiamenti di mia moglie! Ha passato anni ad accusarmi di non avere fiducia in lei, di non credere appieno nel nostro legame. Ti sembro forse un uomo che non si fida della propria compagna? Avrei accettato l’idea di un lavoro mostruoso, di comprare una casa a debito, di fare due figli, di uccidere per lei se fossi solo un porco interessato alle sue tette?!”

“Hinata sa benissimo queste cose.” replicò pacatamente Shikamaru, in contrasto con il tono amaro dell’amico. “Ma proprio perché conosce tutto questo, non si capacita del fatto che tu le abbia nascosto una cosa così importante come aver dato a tua figlia il nome di una donna con cui te la intendevi.”

“Io…” allo shinobi mancò la voce per un istante. “Io non me la intendevo con nessuna!”

“Hai dato il suo nome a tua figlia, non puoi negarlo.”

“Non è stata una mia scelta, va bene? Non del tutto!” senza volerlo, Naruto aveva iniziato ad alzare la voce, frustrato nel vedere come nessuno riuscisse a comprendere il motivo di quella decisione. “Tu non eri lì, Shika. Non puoi capire cosa significa avere tra le mani il cadavere di una persona che rispettavi e sapere che l’hai uccisa tu, che è solo colpa tua se ora è morta e marcisce in una tomba!”

“E perché non l’hai detto ad Hinata? Perché non le hai spiegato tutto questo anni fa? A quest’ora non saresti qui a lagnarti con il sottoscritto.”

L’Uzumaki non replicò, ma la vena ingrossata che pompava sul suo collo era un chiaro indice di come il sistema nervoso dell’eroe di tutti gli shinobi fosse in procinto di crollare

“E’ inutile che te la prendi con me.” proseguì Shikamaru, imperturbabile innanzi alla rabbia repressa a fatica dell’amico. “Se tu avessi spiegato ad Hinata queste cose anni fa, se avessi cercato di farle comprendere come questa persona fosse così importante per te, sono sicuro che non avrebbe avuto nulla da ridire sulla scelta del nome per tua figlia.”

“La fai facile tu.”

Il Nara sollevò un sopracciglio con fare polemico.

“Voglio ricordarti con che razza di persona condivido la mia casa. Credi davvero di poterti lamentare di Hinata Hyuga innanzi a me? A colui che ha sposato Subaku no Temari?”

“Vorrà dire che nella prossima vita mi metterò con Sasuke.” borbottò lo shinobi biondo. “Almeno la finirai di fare lo stronzo.”

“Se Hinata chiede il divorzio lo potrai già fare. Anche se non sono sicuro che Sakura accetterebbe di dividere suo marito con te…”

“Non è divertente, Shika.”

“Sai cosa invece lo è?” replicò seccamente lo shinobi delle ombre, aspirando una boccata di fumo. “Trovo molto ilare il fatto che tu venga a chiedermi consiglio su una faccenda su cui sai già tutto, compresa la soluzione. Peccato che il tuo orgoglio ti frena dall’attuarla, e quindi resti qui come un idiota ad osservare il tuo matrimonio che va in pezzi.” soffiò fumo grigiastro dalle narici, osservando con sguardo annoiato il volto dell’amico contrarsi sulla difensiva. “Sai, non ti credevo così masochista. Ho sempre pensato che fosse Sasuke quello che tenta di sabotare la vostra coppia. Lui come l’ha presa?”

Non rispose, incapace di trovare la voce. Sentiva la pelle bruciare, come se le parole di Shikamaru l’avessero sferzato, mentre veniva costretto ad accettare il fatto che la soluzione era una sola.

Non che questo renda il tutto meno spiacevole.

Conosceva la risposta, l’aveva sempre saputa. Perché esitava? Qual era il motivo che gli incollava le chiappe a quella sedia, invece di andare fuori a tentare di salvare il proprio matrimonio? Era l’orgoglio? La convinzione che non avesse nulla di cui rimproverarsi? Era diventato arrogante come Madara, incapace di vedere la verità se questa andava contro ciò in cui credeva?

Forse era paura? Il terrore di vedere Hinata rifiutarlo definitivamente, di vederla ricostruirsi una vita senza di lui? Di osservarla ritrovare la serenità con affianco un altro uomo?

Sono un vigliacco. Chiuse gli occhi per un istante, disprezzandosi profondamente. Shika ha ragione: non riesco ad accettare i miei errori, ed ho paura che questo la allontani definitivamente da me.

Si alzò di scatto, uscendo a passi lenti, il tutto sotto lo sguardo impassibile di Shikamaru.

“Era ora che si desse una svegliata.” borbottò, tornando ai propri fascicoli.

 

 

Camminava lentamente, lo sguardo impassibile, i piedi che si muovevano verso una meta sconosciuta. Sentiva il bisogno di muoversi, di mettere in moto il proprio corpo, per evitare che rabbia, paura e frustrazione si mescolassero in un miscuglio letale.

Era arrabbiato. Con sé, con Hinata, con il mondo. Una furia che gli gorgogliava nel petto, inacidendogli il sangue, facendogli prudere le mani. Desiderava solamente qualcosa da fare a pezzi lentamente, con furia metodica, figlia di tutte le incomprensioni che aveva avuto negli anni con la Hyuga.

Perché? si conficcò le unghie nei palmi delle mani, la mascella contratta. Perché con lei deve essere tutto così maledettamente complicato?

Non lo sapeva. Non aveva memoria di quando il suo rapporto con Hinata aveva cominciato a complicarsi, a diventare qualcosa di più. Gli appuntamenti romantici avevano lasciato spazio a lunghe discussioni, le dichiarazioni ad accuse, i sorrisi a sospiri esasperati. Eppure, in mezzo a tutta quella fiele era esistito l’amore, il sentimento che li aveva uniti per più di dieci anni, ma l’Uzumaki era troppo furioso per scorgerlo.

Un nervo del suo collo si contrasse. Si sentiva un idiota: sapeva che Hinata aveva avuto ragione a prendersela con lui, ma sentiva di non meritarselo. Aveva commesso molti errori, ma si era sempre sforzato di migliorarsi, di applicarsi, di diventare un buon marito ed un buon genitore. La kunoichi non poteva aver dimenticato tutto ciò per un gesto avvenuto anni prima.

Oppure sì?

Devo calmarmi. Si fermò di colpo in mezzo al corridoio, facendo lunghi respiri. La rabbia lo stava portando a sragionare. Doveva evitare quella sensazione se voleva tornare dalla sua famiglia.

Sempre che Hinata mi voglia ancora… le budella gli si attorcigliarono al solo pensiero. L’idea che Hinata lo mollasse per mettersi con un altro era assurda, al limite del ridicolo. Eppure, la sua mente non poté fare a meno di inviargli l’immagine di sua moglie abbracciata ad un individuo sconosciuto, alto, moro e con una vaga somiglianza a Sasuke. Il solo vederli assieme gli provocò la nausea.

Calmati… devi stare calmo. Hinata è tua moglie, se saprai parlarle nel modo giusto, non succederà nulla di tutto questo.

“Parlare nel modo giusto? Tu? Più facile che io diventi mortale!”

“Non è il momento, Kurama! Non sono in vena di scherzare!”

“Certo che è il momento.” la volpe schioccò le fauci per il nervoso, squadrando il proprio Jinchuuriki con occhio critico. “Sai benissimo quello che devi fare. Quindi piantala di tergiversare e fallo!”

“Non è così semplice!” lo shinobi incrociò le braccia, stizzito dal tono saccente dell’amico. “Perché devo prendermi solo io le colpe di questo fallimento? Ho dimostrato più volte di non essere l’irresponsabile che Hinata dipinge!”

“Tua moglie non pensa proprio nulla del genere su di te.” la voce rombante del Bijju si tinse di una nota di esasperazione. “Sei stato tu a fare una cazzata, quindi è giusto che sia tu a fare il primo passo, che è quello di scusarti.”

“Sai benissimo che non potevo fare altrimenti.”

Kurama si erse in tutta la sua considerevole altezza, ruggendo a pieni polmoni contro l’Uzumaki.

“Smettila di cercare scuse!” ruggì, gli occhi scarlatti ricolmi di irritazione. “E’ stata una tua scelta quella di legarti a quella donna, così come quella di darne il nome alla tua mocciosa! Piantala di fare il codardo ed assumiti le tue responsabilità!”

Naruto non replicò. Percepì del giusto nelle parole del Bijuu, qualcosa che andava oltre il tono sferzante con cui l’aveva spronato. Era stata una sua scelta quella di baciare di Himawari, di darne il nome alla figlia, di nascondere tutto ad Hinata. Era stata una sua decisione, libera da condizionamenti o da costrizioni. Negare quel fatto, scaricando parte delle sue responsabilità sulla moglie era meschino, qualcosa che non gli apparteneva.

Kurama ha ragione… devo comportarmi come un uomo, non da vigliacco.

Riprese a muoversi, lasciandosi alle spalle l’ufficio. Per la prima volta dopo anni, aveva deciso di mettere qualcos’altro innanzi al lavoro.

Il Bijuu sogghignò.

 

 

Hanabi fissò l’immensa magione innanzi a sé con sguardo critico. Era una costruzione squadrata, con due ali laterali che si diramavano in forme rettangolari, immersa in un giardino dalle dimensioni faraoniche. Ogni cosa appariva lussuosa e sfarzosa in maniera quantomeno disdicevole. Hanabi discendeva da una famiglia molto ricca, ma per quanto anticonformista, anche lei sosteneva il motto degli Hyuga sulla frugalità e sul trattenersi dal mostrare apertamente la propria ricchezza.

Superò il cancello con un balzo, incamminandosi con passo tranquillo lungo il selciato lastricato in quarzo. Vide fontane e ruscelli artificiali gorgogliare allegramente, mentre insetti di vario tipo svolazzavano da pianta a pianta. Per un istante, la kunoichi fu sicura di aver intravisto un uccello esotico dal piumaggio coloratissimo. Ogni cosa in quel luogo sembrava essere stata posizionata con cura meticolosa, una muta testimonianza della ricchezza e del potere della famiglia Yogonuchi.

Hanabi non era una stupida. Conosceva di fama quella famiglia, ma il chiacchiericcio non era una fonte attendibile. Per quanto la parte di sé più arrogante le intimava di non temere nessuno, in quanto Hyuga, il suo cervello era consapevole che se voleva aiutare veramente Aimi, doveva mostrarsi diplomatica, evitando gesti che potessero offendere la sua potente famiglia.

Giunse infine innanzi al portone, in legno scuro, intarsiato con figure astratte di vario genere. La kunoichi si mise a studiarle dopo aver suonato il campanello, trovando strano osservare simili scene sulla porta di casa di una famiglia così opulente. Un secondo sguardo le fece comprendere come quelle che a prima vista apparivano come scenari fantastici erano in realtà la storia del Paese del Fuoco, raccontata dal punto di vista degli Yogonuchi, l’ennesimo richiamo di quest’ultimi alle proprie origini.

La porta venne aperta da un maggiordomo sulla quarantina, impeccabile nel proprio vestito scuro e con stampata sul volto una magnifica maschera di fredda indifferenza mista a disprezzo. Hanabi si chiese se non fosse finita dentro un romanzo poliziesco.

“Desidera?” domandò il servitore con voce strascicata.

“Sono qui per vedere Aimi.” fu la secca risposta della kunoichi.

“In questo momento, Aimi-sama è indisposta.” l’uomo squadrò con vago disgusto gli abiti da ninja consunti della donna. “Lei sarebbe…?”

“Hanabi Hyuga.” rimase sorpresa di non vederlo cambiare espressione innanzi al suo cognome. “Sono l’insegnante di Aimi e negli ultimi giorni è stata assente.”

“Capisco.” il maggiordomo sembrava irritato da quella visita. “Tuttavia, come le ho già spiegato, Aimi-sama è attualmente indisposta. La prego di ripassare un altro giorno.”

“In questo caso, sarebbe possibile parlare con uno dei genitori di Aimi?” domandò rapida la Hyuga, evitando che il servitore le sbattesse la porta in faccia.

“Katashi-sama è un uomo molto occupato e non ha tempo da perdere con un ninja.” fu la secca replica di quest’ultimo, sottolineando la parola ninja con il massimo disprezzo possibile. “La prego di prendere un appuntamento.”

Tentò di chiudere la porta, ma Hanabi glielo impedì con una mano.

“Forse non hai capito bene chi sono…” dichiarò quest’ultima con voce bassa, stanca di essere insultata da quella specie di pinguino altezzoso. “Quando uno Hyuga chiede qualcosa, non lo puoi liquidare con un insulto, non se ci tieni alla vita.” fu con piacere che vide finalmente una vaga preoccupazione negli occhi dell’uomo. “Quindi ora vai dal tuo padrone e digli che se non mi riceverà subito, sarà l’errore più grande che farà in tutta la sua vita.”

Per un istante, la kunoichi lesse sul volto dell’uomo la tentazione di buttarla fuori a calci, ma infine si fece, a malincuore, da parte.

“Seguitemi.”

Hanabi entrò nella villa trattenendo a stento una smorfia. Odiava far pesare il proprio cognome, la faceva sembrare una specie di ragazzina viziata, ma in quel momento il bene di Aimi veniva prima di ogni cosa.

Percorsero un lungo corridoio, ricco di sfarzo oltre il limite del buongusto. C’erano candelabri ricolmi di diamanti appesi sul soffitto a distanza regolare, quadri ad olio molto costosi alle pareti, e morbidi tappeti esotici a ricoprire un pavimento fatto interamente di marmo bianco, complementare con le pareti laccate in oro, con intarsi in argento. Era assurdo anche solo pensare quanto fosse costato erigere tutta quell’opulenza, il cui scopo era di intimidire chiunque osasse varcarne la soglia. Hanabi la trovava solamente pacchiana e di cattivo gusto, e si domandò come fosse possibile che una ragazza semplice e determinata come Aimi fosse cresciuta in un ambiente simile.

Giunsero innanzi ad una porta bianca, ai cui lati erano presenti due statue in marmo nero che raffiguravano i simboli del paese del Fuoco. Il maggiordomo bussò una volta prima di entrare, intimando ad Hanabi di attendere lì. Quest’ultima ne approfittò per osservare un grosso camino che si stagliava, quasi come una bocca oscura, a poca distanza. Aveva chiaramente lo scopo di riscaldare l’ambiente durante l’inverno, ma si chiese per quale motivo gli Yogonuchi si servissero di simili mezzi al posto del moderno riscaldamento elettrico. Dedusse che fossero una famiglia che amava mostrare le proprie origini e quella casa, in effetti, appariva come un enorme mausoleo, custode della ricchezza e dell’arroganza della famiglia.

La porta bianca si riaprì. Il maggiordomo ne riemerse con sguardo seccato, quasi fosse stato costretto ad ingoiare qualcosa di molto amaro.

“Katashi-sama la attende.”

L’ambiente in cui Hanabi entrò fu molto simile a ciò che aveva visto fino a quel momento. Era chiaramente un ufficio, ma così grande e sfarzoso da far apparire l’appartamento dove in cui viveva una minuscola topaia. Grandi librerie ricolme di testi di vario genere erano accatastate alle pareti, mentre un lungo tappetto rosso portava ad una scrivania di legno chiaro, dietro la quale era posta una poltrona di pelle nera, attualmente vuota. Sullo sfondo, un uomo era intento a fissare una gigantesca vetrata, che dava una visuale del giardino attorno alla villa.

Katashi Yogonuchi era diverso da come la Hyuga se l’era immaginato. Era un uomo alto, che doveva aver superato da poco i quarant’anni. Aveva un fisico atletico ed un viso affascinante e rasato, seppure indurito da un’espressione severa. Possedeva gli stessi capelli della figlia, di un biondo dorato, raccolti in una breve coda, mentre gli occhi erano color grigio ferro. Indossava un’impeccabile completo da uomo scuro, ingentilito da una cravatta blu notte, mentre le sue scarpe splendevano sotto la morbida luce del lampadario, dando l’idea di un uomo estremamente attento alla propria immagine.

“Si accomodi pure.” esordì con voce fredda ed informale, indicando una rigida sedia alla kunoichi, sedendosi sulla poltrona di pelle. “Gradisce qualcosa da bere?”

“No, grazie.”

“Da fumare?” Katashi aprì una scatola con dentro delle piccole sigarette.

“La ringrazio, ma non fumo.”

Lo Yogonuchi si accese una sigaretta, soffiò la prima boccata dal naso e rivolse il proprio sguardo freddo e calcolatore alla Hyuga.

“Prima che lei parli, desidero porgerle le mie scuse per il comportamento di Gombei.” dichiarò, interrompendo sul nascere ciò che aveva da dire Hanabi. “Conosco la sua famiglia, e nutro grande rispetto per coloro che difendono Konoha da così tante generazioni.”

“La ringrazio.” rispose Hanabi, indecisa sull’approccio da usare. Per quanto i modi del padrone di casa fossero gentili, la sua voce era rimasta fredda ed informale. “Come forse saprà, il motivo della mia presenza qui riguarda Aimi. Negli ultimi giorni è stata assente, e mi sono preoccupata.”

Il volto di Katashi si indurì ulteriormente, dando vita ad una maschera gelida.

“Aimi ha mancato a delle lezioni?” ripeté con voce bassa, aspirando una boccata di fumo.

“Precisamente. In quanto sua insegnante, ho pensato fosse corretto venire a sincerarmi del motivo di tale assenza.”

“Ha fatto benissimo.” fu la secca replica del padrone di casa, il quale pigiò un bottone posizionato sotto la sua scrivania. “Ma lascerò le spiegazioni ad Aimi stessa.”

il maggiordomo Gombei aprì la porta.

“Avete chiamato?”

“Gombei, porta qui mia figlia.” fu il comando secco di Katashi. “Dille che non tollererò più di due minuti di attesa.”

Il servitore non replicò, uscendo silenziosamente dall’ufficio. Hanabi sentì il proprio stomaco rivoltarsi per la rabbia: non aveva apprezzato per niente il tono freddo e sprezzante con il quale il suo anfitrione aveva definito la figlia.

“Posso chiederle qualche informazione in più riguardo Aimi?” domandò, nel tentativo di rompere il silenzio teso che si era creato. “Purtroppo, temo di non essere a conoscenza dell’intero quadro familiare.”

Katashi per un istante fu chiaramente tentato di non rispondere, ma infine rispose, seppure con tono vagamente irritato.

“Io e mia moglie ci trasferimmo a Konoha pochi mesi dopo la fine della Grande Guerra, come forse lei saprà già. All’epoca lei era incinta di Aimi. Nacque sei mesi dopo il nostro arrivo, ma durante il parto una complicanza portò alla morte di mia moglie. Da allora sono rimasto vedovo ed ho cresciuto da solo Aimi e suo fratello maggiore, Ichiro.”

“Aimi ha un fratello maggiore?” esclamò sorpresa Hanabi. “Non me l’aveva mai detto.”

“Ichiro è più grande di quattro anni, e lavora in un ramo dell’azienda di famiglia.” Takashi sbatté parte della cenere della propria sigaretta in un portacenere in avorio, chiaramente annoiato da quella discussione. “Da quello che so, hanno un discreto rapporto i due.”

La kunoichi trattenne a stento un gesto di disappunto, ma le sue sopracciglia si alzarono in un’espressione di incredulità. Non riusciva a credere che quell’uomo non conoscesse minimamente il rapporto che intercorreva tra i suoi figli.

In quell’istante, la porta si aprì, facendo entrare la figura di Aimi. Quest’ultima impallidì di colpo nel vedere la sua Sensei, facendo capire a quest’ultima come non avesse minimamente previsto una sua visita. I suoi occhi cerulei si spostavano febbrilmente da Hanabi al genitore

“Padre, mi avete fatta chiamare?” esordì con voce bassa e rispettosa.

“Vieni avanti.” Takashi indurì il proprio sguardo, ricomponendo la maschera di gelida collera. “Questo ninja ha dichiarato di essere il tuo insegnante, è corretto?”

Aimi si fermò di colpo una volta giunta affianco ad Hanabi. Sembrava incapace di fissare negli occhi il genitore.

“Ti ho fatto una domanda!”

“Sì, padre.” borbottò la ragazzina, tenendo gli occhi fissi sul pavimento. “Hanabi-Sensei è la mia insegnante.”

L’espressione sul volto di Takashi divenne, se possibile, ancora più dura, intrisa di disprezzo e rabbia.

“Saresti così gentile da spiegarmi per quale motivo hai saltato delle lezioni?” domandò.

Aimi non rispose. Sembrava incapace di proferire parola. Hanabi provò il desiderio spasmodico di proteggerla dalla furia del padre, il quale era palese che la terrorizzasse.

“Tu sei una delusione.” esclamò l’uomo, sputando la parola delusione con tanto disprezzo da colpire la figlia come se l’avesse schiaffeggiata. “Non solo rinneghi le tradizioni di famiglia, ma ora ti prendi pure il lusso di non mantenere gli impegni che ti sei assunta. Con quale coraggio osi ancora definirti mia figlia? Così infanghi il mio nome e quello della tua defunta madre, te ne rendi conto?”

“Non…” le parole uscirono a spezzoni dalle labbra della Genin. “Non è vero. Io… io…”

“Basta così.” Takashi alzò una mano, facendo tacere immediatamente la figlia. “Non intendo proseguire questa discussione davanti ad un’ospite. Ne riparleremo a cena, ma se desideri continuare a definirti mia figlia devi cambiare atteggiamento, e lo pretendo subito.”

La kunoichi percepì chiaramente le proprie viscere contorcersi per la furia. Aimi sembrava sul punto di mettersi a piangere, ma non cedette, come se avesse già vissuto una simile scena.

“Puoi andare.” Takashi riportò la sua attenzione alla sua ospite, degnando la figlia della stessa considerazione che avrebbe riservato ad un soprammobile di cattivo gusto. Quest’ultima si voltò, trattenendosi a stento di correre, il tutto mentre Hanabi si ripeteva che picchiare a sangue il padrone di casa non avrebbe portato alcun giovamento alla sua causa. La rabbia però era bruciante.

Tratta sua figlia come fosse spazzatura. Il pensiero di suo padre e di come aveva trattato per anni sua sorella la rese semplicemente furiosa, costringendola a richiamare tutto il proprio autocontrollo per non perdere la calma.

“Mi scuso per lo spettacolo disdicevole a cui avete assistito.” dichiarò Takashi, una volta che Aimi chiuse la porta dell’ufficio alle sue spalle. “Le prometto che mia figlia non salterà più alcuna lezione, ha la mia parola.”

La parola di uno stronzo. Contrasse i muscoli facciali, obbligandoli a stirarsi in un sorriso diplomatico. Le costò ogni oncia di energia mentale che possedeva.

“Ne sono lieta.” si alzò di colpo, presa da un’idea improvvisa. “Potrei parlare in privato con Aimi? Desidero informarla di quello che è avvenuto nei giorni in cui è stata assente.”

Il padrone di casa si limitò a richiamare il proprio maggiordomo.

“Gombei le mostrerà la strada.”

Hanabi seguì il distinto servitore fuori dall’ufficio. Un istante prima di chiudersi la porta alle spalle, si voltò, spinta da una curiosità irrefrenabile. Katashi era intento a leggere un documento dall’aria ufficiale, l’espressione del volto più rilassata. Per un istante, la Hyuga credette di vedere sua padre Hiashi, intento a denigrare sua sorella maggiore, provocandole un sorriso freddo e privo di gioia.

Certe cose non cambiano mai.

 

 

Entrare nella stanza di Aimi fu una sorpresa per Hanabi. Si aspettava qualcosa di pacchiano e vistoso, in linea con il resto della villa. La Hyuga invece fu fatta entrare in una stanza grande come il suo intero appartamento, ma dimensioni a parte possedeva una sobrietà ammirevole.

Carta da parati di un blu notte avvolgeva l’ambiente, dove a farla da padrone erano i libri. Erano presenti ovunque: sopra mensole, sulla scrivania, in vari ripiani, tutti in rigoroso ordine e ben tenuti. Il resto del mobilio comprendeva un grande letto matrimoniale, con lenzuola color oro, un comodino al suo fianco pieno di foto, e due grandi armadi ricolmi di vestiti il cui interno era il solo posto sfuggito all’ordine assillante che regnava nella stanza.

La ragazza era seduta sul letto, le ginocchia strette al petto, lo sguardo spento e privo della determinazione che l’aveva sempre contraddistinta. Quando vide la propria insegnante entrare, i suoi occhi cerulei si strinsero in due fessure, fissando con odio la nuova arrivata attraverso l’apertura delle gambe.

“Perché è venuta?”

Hanabi avanzò nella stanza, sedendosi al suo fianco. Nonostante mantenesse un’espressione impassibile, dentro di sé era vagamente divertita dall’espressione furiosa della sua allieva.

“Eri sparita, mi sembrava il minimo venire a sapere come stavi.”

“Perché è venuta?!” ripeté con voce stridula la Genin, voltandosi di scatto. “Non gliene è mai fregato nulla di me! Per quale motivo è dovuta venire fin qui?!”

“Ti sbagli.” Hanabi indurì il proprio sguardo, piantando le proprie iridi color lavanda in quelle celesti di Aimi. “Sei mia allieva.”

“Non più!” la ragazza abbassò lo sguardo verso il pavimento, l’ira che sfumava rapidamente in amarezza. “Non ho più intenzione di fare il ninja. E’ chiaro che non fa per me.”

Hanabi si trattenne dal colpirla. Il suo primo impulso fu quello di afferrarla per le spalle e scuoterla fino a quando non avesse capito che lei aveva tutte le carte in regola per diventare una grandissima kunoichi. Ricordandosi però della condizione impostale da Sakura, la Hyuga si alzò, alla ricerca delle parole giuste. La sua attenzione tuttavia, fu catturata dal volto di una giovane donna bionda, la quale capeggiava, in solitaria oppure in compagnia, in tutte le foto presenti nella stanza. La Jonin si avvicinò fino a prenderne una in mano, osservando come i suoi occhi fossero identici a quelli di Aimi.

“Era mia madre.” quest’ultima afferrò la foto dalle mani di Hanabi. “E’ morta due ore dopo che sono nata.”

Hanabi non seppe cosa dire: aveva conosciuto il dolore in passato, vedendo morire così tante persone che aveva perso il conto. Eppure, c’era qualcosa di malinconico nella voce della giovane Yogonuchi, una tristezza intrisa di un desiderio spasmodico, capace di smuovere anche il suo cuore ormai assuefatto alla violenza.

Io non sono diversa da lei. Quel pensiero la colpì con la violenza di un ceffone. Anche lei era stata la causa della morte di sua madre, anche lei per anni si era portata sulle spalle quel dolore disumano, immenso per le piccole spalle di una bambina. Eppure, a differenza della Yogonuchi, aveva avuto Hinata, che era stata capace di restarle sempre accanto, in ogni situazione, non accusandola neanche per un istante della morte della loro genitrice. Un conforto che ad Aimi era stato, molto probabilmente, negato.

“Mi dispiace.” le parole le apparvero vuote anche alle sue orecchie. “So cosa provi.”

Aimi sbuffò.

“Lei non sa un bel niente.”

“Ti sbagli.” La Jonin non mollò per un istante gli occhi della sua allieva. Questa volta decise di scavare più a fondo, di andare oltre la cortina di rabbia che li attanagliava. Ciò che vide era sfumato in molti modi diversi, ma era rappresentabile con una singola parola: dolore.

Il dolore di sentirsi responsabili della morte della propria madre, il dolore di non rendere orgoglioso il proprio padre, il dolore di avere un fratello scostante, immerso in un lavoro troppo arido per la sua giovane età… chiuse per un istante gli occhi, scavando nel proprio passato, percependo una sensazione molto simile venire a galla dai meandri più oscuri della sua anima.

Come ho fatto a non vederlo prima?

“Mia madre è morta per darmi alla luce.” riaprì gli occhi, scandendo le parole con voce bassa e lenta, simile alle fusa di un gatto. “Ho passato anni a chiedermi per quale motivo fosse successo tutto questo, se non sarebbe stato meglio per la mia famiglia che io non fossi mai nata.” osservò gli occhi di Aimi spalancarsi e capì di averle letto nel cuore, di aver compreso i pensieri più oscuri e cupi del suo essere. “Solo dopo molti anni, ho capito che quel dolore non mi apparteneva.”

Si avvicinò alla quella persona così simile a lei. Ciò che vide fu molto di più di un’allieva e comprese quali parole doveva usare.

Le appoggiò le mani sulle spalle, sorridendole dolcemente.

“Non è importante se tua madre fosse felice di dare la vita per te oppure no.” dichiarò con voce sicura. “Non portarti sulle spalle questo peso, perché non è tua la responsabilità. Essere al mondo non è mai una colpa, Aimi.”

Capì di aver detto le parole giuste osservando la sua reazione. Aimi strinse le mani con tanta forza da conficcarsi le unghie nei palmi delle mani, gli occhi coperti da una patina liquida. Stava cercando in ogni modo di trattenere le lacrime, incapace di reggere una delle poche frasi di supporto ricevute nella sua breve vita.

“Non è così semplice!” le parole le uscirono di getto dalle labbra, desiderosa soltanto di scaricarsi, di liberare la frustrazione che covava da anni. “Lei ha visto… io non sono capace di essere… un ninja. Non sono come Mirai o come…”

“Me?” un sorriso freddo deturpò il volto della Hyuga. “Fidati Aimi: Non sono la persona più adatta ad essere presa d’esempio. Esistono moltissimi ninja a questo mondo migliori di me… anche come persone.”

“Me ne dica uno!” sbottò la Genin, tirando su con il naso. “E non mi parli di un Hokage!”

Il sorriso di Hanabi divenne caldo, quasi divertito.

“Sakura Haruno.”

Le sopracciglia chiare della Yogonuchi si sollevarono verso l’alto.

“La Sannin leggendaria?” il suo sguardo mutò rapidamente dal sorpreso all’irato. “Non è giusto! Sakura Haruno è praticamente al livello di un Hokage!”

“Lo so benissimo.” ora la Jonin sfoderava il suo classico sorrisetto, capace di irritare qualsiasi persona presente sulla faccia della Terra. “E la sai una cosa? La Sannin è in cerca di allievi…”

La parola allievi volteggiò per alcuni secondi sopra le loro teste. Aimi incassò quella frase come se la Hyuga le avesse tirato uno schiaffo. Rimase attonita, a fissare con occhi spalancati la sua Sensei, incapace di accettare che quelle parole fossero state pronunciate sul serio.

“Non fare quella faccia, Aimi.” la prese in giro quest’ultima, le labbra tese in un ghigno mefistofelico. “Non ti ho mica detto che devi andare a catturare un Bijuu.”

“Ma io…” la ragazza sembrava aver perso l’uso della voce. “Come può pensare… che io…”

“Tu hai tutte le capacità per poter diventare allieva di una Sannin.” proseguì la Jonin, continuando a sorridere. “Sei intelligente, determinata e molto capace. Non credo di sbagliare se dico che sei senza alcun dubbio il Genin migliore del tuo anno.”

“No!” la Yogonuchi scosse la testa. “Lei si sbaglia! Io… non sono brava a fare nulla. L’ha sentito mio padre… sono la vergogna della…”

Uno schiaffo echeggiò nella stanza. Aimi cadde al suolo, sorpresa dal bruciore penetrante che percepiva al livello della guancia sinistra. Si sfiorò il punto arrossato, alzando gli occhi, dove incrociò quelli lampeggianti di rabbia della sua Sensei.

“Non osare mai più dire una cosa del genere!” Hanabi sembrava spiritata, come se la ragazza l’avesse offesa in modo irreparabile. “Tu non sei una vergogna, Aimi! Hai grandi capacità e lo sai! Quindi smettila di trovare scuse ed affronta la vita!”

Aimi rimase immobile, lo sguardo fisso sul volto della sua insegnante. Era impossibile capire cosa le stesse passando per la testa, ma Hanabi non se ne preoccupò.

“Domani mattina ti aspetterò davanti all’ospedale.” le ordinò, rialzandola da terra con facilità irrisoria. “Ti presenterò Sakura Haruno e le chiederai di diventare sua apprendista.”

“Io…” la Yogonuchi sembrava voler dire qualcosa, ma la Hyuga la precedette, scompigliandole dolcemente i capelli dorati.

“Credimi, Aimi.” tornò a sorriderle. “Hai grandi capacità, devi solo avere maggiore fiducia in te stessa.”

Si diresse verso l’uscita. Non era sicura che Aimi il giorno dopo si sarebbe presentata in ospedale, ma la cosa era relativa. L’avrebbe trascinata di forza se costretta. Ormai aveva deciso: rendere quella ragazza una grandissima kunoichi sarebbe stato il suo modo di farsi perdonare per la sua cecità, la sua incapacità di capire quanto fosse simile a sé.

E Aimi lo sarebbe diventata, ne era convinta.

Non intendo lasciarti sprofondare nel dolore, Aimi.

E’ una promessa.

 

 

Stava lì, immobile innanzi alla porta di casa, chiedendosi per quale diavolo di motivo non riuscisse a suonare il campanello, entrare e spiegare ogni cosa con sua moglie.

Sono un perfetto idiota.

Si passò la protesi tra i capelli, sospirando. Si era ripetuto dentro di sé talmente tante volte le parole da dire che Kurama aveva minacciato di strappargli la lingua. Eppure, nonostante sapesse che non aveva senso indugiare ulteriormente, rimaneva con i piedi incollati al pianerottolo, quasi sperando che le cose si potessero risolvere da sole.

Chissà se rideresti nel vedermi ora, Wari. Pensò con amarezza. L’eroe di tutti gli shinobi che se la fa sotto ad affrontare sua moglie.

Pensare a lei lo riempì di una sensazione contrastante, un misto tra amarezza e fastidio. Non desiderava rovinare i ricordi di Himawari, ma allo stesso tempo non poteva negare che erano stati proprio quei ricordi ad aver portato sull’orlo della rottura il suo matrimonio.

Sono solo un egoista! Là dentro c’è la mia famiglia ed io sono qua a crogiolarmi nel passato!

Forse fu il pensiero di Himawari, la sua incapacità di uscire da quello stallo, ma improvvisamente sentì come una mano calda sostenere la sua protesi, portandola a suonare il campanello dolcemente, mentre una risata che non udiva da anni gli soffiò dolcemente nelle orecchie, troppo impercettibile per essere sicuro di averla percepita sul serio.

Wari?! Si voltò di scatto, quasi si aspettasse di trovarsela davanti, con i suoi vestiti da uomo, pronta a sorreggerlo ed aiutarlo come sempre, il sorriso dolce impresso nei suoi lineamenti. I suoi occhi scrutarono il buio attorno a sé febbrilmente, mentre un ricordo venne lentamente a galla dentro di lui, riportandogli parole che aveva ormai dimenticato.

 

 

“Io ti proteggerò… proprio come tu farai con il nostro popolo.”

 

 

Wari…

Si rigirò, osservando il volto di sua moglie, splendido come sempre, riempirsi di sorpresa nel ritrovarselo davanti. La trovò bellissima, mentre comprendeva finalmente cosa doveva fare.

Ti sono debitore.

“Ciao.” provò a sorridere, cercando di vedere la fiamma dell’amore negli occhi della consorte. “Posso entrare?”

Hinata rimase immobile per alcuni istanti, apparentemente paralizzata dalla sorpresa. Sembrava aver perso la capacità di parlare, proprio come quando da piccola si trovava di fronte l’Uzumaki.

“Non ci vorrà molto, te lo prometto.” insistette con dolcezza il Jinchuuriki, riuscendo a convincere la Hyuga a farlo entrare.

Comunque vada a finire.

Era pronto a lottare per la sua famiglia.

 

 

CONTINUA

 

 

Chiamatemi Giambo… Dottor Giambo!

Bene, dopo un mese e mezzo di inscusabile ritardo, eccomi a voi con il primo capitolo del 2018. Dopo aver concluso il mio percorso universitario triennale *Inno alla Gioia di Beethoven, fuochi d’artificio in aria, bandiere sventolano gioiose al vento* ed aver iniziato già con un bel lavoro in attesa della magistrale *Dies Irae di Mozart, cielo plumbeo, occhi disperati al cielo in attesa della morte* ecco a voi il nuovo capitolo!

Dunque, all’inizio la mia idea era di chiudere questa faccenda del perdono con questo capitolo, ma la complessità dei rapporti in gioco (Hinata-Naruto, Mirai-Aimi, Aimi-Hanabi) mi ha convinto a dividere in due parti questo capitolo che rischiava di diventare abnormemente lungo. Spero che la faccenda non vi dispiaccia troppo, ma vorrei evitare di fare qualcosa di eccessivamente sbrigativo o poco convincente.

Se vi state domandando a quale missione segreta Hinata faccia riferimento vi consiglio di andare a rileggervi i capitoli 4 e 5 di questa raccolta, dove avevo lasciato questa faccenda un po’ in sospeso, ed ero desideroso di rimetterla in gioco.

Bene, anche questo capitolo è giusto alla fine. Come al solito ringrazio chiunque legga o segue questa raccolta e ricordo che qualsiasi recensione, negativa o positiva, è ben accetta. Se avete critiche, suggerimenti, consigli o correzioni fatevi sotto che non mordo mica!

Un saluto!

 

 

Giambo

  
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