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Autore: Rhona    12/02/2018    0 recensioni
Parigi, 1772.
I poveri sono stremati. Tutti ripongono le loro speranze nel Delfino, il futuro re, e nella sua nuova sposa, tanto amata dal popolo quanto odiata nella corte.
Poi ci sono loro...Pierre: uno scassinatore belloccio ma piuttosto stupido. Henri e Philippe: ladri di strada, gente dalle mani leggere e vellutate. Mathieu: l' orfano del mugnaio della Cité. Gilbert: un bracciante fuggito dal sud e approdato nella capitale. Jean: un vecchio mendicante che suona il violino sul sagrato di Notre Dame per quattro spiccioli di elemosina. Edouard e André: amici dal momento in cui sono nati in due case attigue, ma fin troppo diversi. Ognuno di loro fa parte di un gruppo, una banda, una strana combriccola di saltimbanchi che rubano e donano: la banda di Monsieur Dubois.
Scelte disumane, tragedie familiari, pregiudizi. Onore ai nobili, fasti di corte, lussuria. Amori impossibili o non corrisposti, un segreto tenuto nascosto per più di vent'anni... E la rivoluzione che, inesorabile, si avvicina.
«Ma chi credete di essere?!» chiese ridendo «Robin Hood, forse?!» Lui sorrise, le scostò i riccioli castani dall’orecchio e le sussurrò «Io sono Dubois.»
NOTE: ispirata in parte al classico ideale del “ladro-gentiluomo”.
Genere: Drammatico, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
Capitoli:
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12. “Après nous, le déluge!”1
 


 
6 Maggio 1774
«Hai ringraziato Mademoiselle De Bayonne da parte mia, vero André?» chiese Mathieu, quando André entrò in casa sbattendo la porta. Edouard pensava che André stesse impazzendo. Da due settimane era scostante, disattendo... era diventato così inaffidabile che Edouard aveva cominciato a tenere da solo il registro delle rapine. Da quando avevano salvato Mathieu aveva trascorso tanto tempo a zonzo qua e là per Parigi, Versailles... una volta era tornato a casa ubriaco, vomitando davanti l’ingresso. Ora vivevano soli: lui, Mathieu e André. Sua sorella Michelle e i suoi nipoti erano nella loro vecchia casa, Henri e Philippe dormivano dove capitava. Gilbert, Pierre e Jean vivevano nello scantinato d’una taverna oltre il fiume, ai confini di Parigi, vicino Rue du Rocher.
«Certo.» rispose André senza guardarlo, appoggiandosi alla parete. Le pareti della casa erano spoglie e si vedeva la pietra che la costituiva. Era una stanza piccola, come erano le stanze della popolazione povera, più facile da riscaldare di un grande ambiente. Al centro c’erano un tavolo e quattro sedie, e in un angolino una piccola stufa, sempre in pietra con una piastra metallica sopra grazie alla quale cucinavano e si scaldavano durante l’inverno. André continuò a fissare quella stufa per alcuni attimi, prima di alzare gli occhi a Mathieu.
Era come se avesse bevuto di nuovo, aveva gli occhi gonfi e le guance arrossate; era il momento di finirla ora. «Mathieu, non abbiamo da mangiare per stasera, andresti a comprare del pane e qualche verdura magari?»
«Sì, Edouard!» disse lui, alzandosi svelto. Il ragazzo prese il pastrano e uscì.
«Se vuoi proprio bere, almeno non farlo davanti al ragazzo.» lo riprese.
André si sedette pesantemente sulla sedia lignea, senza togliersi il pastrano. «Sì, Edouard.»  ripeté imitando stancamente il tono di Mathieu.
«André lo dico per te. Cos’hai?»
«Niente, Edouard.» disse, affondando il volto fra le grandi mani.
«André! Ascoltami quando ti parlo.» alzò la voce.
«Come vuoi, Edouard.»
Prima di rendersene conto fece qualcosa che non era da lui. Si allungò sopra il tavolo e gli diede uno schiaffo. André ne fu come risvegliato. «Perché?!»
«Perché tu non parli.»
André lo schiaffeggiò a sua volta. Edouard si alzò, mentre anche André lo faceva.
«Avanti... colpiscimi.» lo provocò. André lo fece, gli affondò un pugno nello stomaco ed Edouard fu costretto a tossire. Se non fosse stato ubriaco non l’avrebbe fatto; non era da lui assecondare chi gli dava da dire, né tantomeno Edouard avrebbe cominciato a colpirlo. Era alto quanto André, ma l’amico aveva più forza bruta nelle braccia di quanta ne ricordasse da quando erano ragazzini. Tuttavia i riflessi di André erano alterati dall’alcol e quando Edouard cercò di colpirlo, questo non riuscì neppure ad accorgersene in tempo da schivare il colpo. Cominciò a colargli sangue dal labbro superiore. «Allora, cosa c’è?»
«Niente, te l’ho detto!» rispose rabbioso, tentando di colpirlo con un pugno. Edouard afferrò il pugno chiuso con la mano e girò il braccio di André dietro la schiena di questo. «Allora è per “niente” che torni ubriaco la notte?!»
«No...»
«Parla, André» disse, allentando la presa.
«Madeleine m’ha consegnato la lista dei generali che le avevo chiesto... mi ha chiesto di non farmi più vedere». Così dicendo si liberò dalla presa dell’amico e si massaggiò la spalla. «Era questo che volevi sentirmi dire?»
«Erano i patti, t’ho sentito io stesso.»
«Speravo solo che si fosse affezionata a me.» disse, e mentre parlava Edouard avrebbe giurato d’aver visto i suoi occhi divenire lucidi.
«Non hai mai preso in considerazione l’eventualità che possa amare qualcun altro?»
«Avrei dovuto.» rispose seccamente, mentre si sedeva ed nascondeva il volto livido dietro i palmi sporchi delle grandi mani.
Edouard gli si avvicinò, gli batté la mano sulla spalla e gli disse: «Di mal d’amore non si muore, vedrai... passerà prima che tu te ne accorga.»
 
 
 
8 Maggio 1774
 

Il metronomo andava, ticchettando.

Tic, toc, tic, toc...

Marie Antoinette, seduta su una poltroncina nella sua anticamera insieme alle sue dame di compagnia, fissava il vuoto, ascoltando Madeleine che suonava il clavicembalo. E il metronomo andava, scandendo il tempo della semplice ed intensa melodia che risuonava nella stanza.

Tic, toc, tic, toc...

Alzò lo sguardo e trovò Maria Luisa che osservava Madeleine suonare. Passò in rassegna con lo sguardo tutte le dame presenti: la Lamballe, Madamoiselle Genet, Clotilde, sorella di suo marito, e poi la contessa d’Artois e la contessa di Provenza. Quest’ultima non le andava affatto a genio. Suo marito Louis Stanislas, fratello di suo marito Louis Auguste, non faceva altro che vantasi con tutta la corte di quanto fosse focosa e passionale la loro relazione a letto arrivando a proclamare le gravidanze della moglie, in realtà false, di fronte a tutti i cortigiani solo per gettare ombra su di suo fratello il Delfino e sua moglie: cioè lei. Marie Antoinette aveva però scoperto un orribile eppure sublime piacere nel prendersi le sue piccole vendette: infatti le erano giunte voci che in realtà Louis Stanislas fosse impotente ed il matrimonio ancora non consumato perché egli stesso provava ripugnanza per quella donna, sua moglie, non di bell’aspetto, tutt’altro che brillante, e poco incline all’igiene. Marie Antoinette  adorava ogni volta che sorprendeva suo cognato a guardarla, non perché fosse attratta da quel viscido e malevolo essere, ma perché si prendeva ogni volta una piccola rivincita contro di lui e sua moglie.

Tic, toc, tic, toc...

In quei giorni provava pietà persino per Louis Stanislas. Si voltò verso il clavicembalo, guardando le bianche mani di Madeleine che si muovevano agili sui tasti. Ricordò le sue lezioni di musica a Vienna con Gluck, e quella volta che Wolfgang Amadeus Mozart era venuto a palazzo per offrire un concerto alla famiglia imperiale. Il metronomo andava, scandendo il tempo di una vita.
Tic, toc, tic, toc...
Distolse lo sguardo e lo rivolse ad Elisabeth, sua cognata. La sua personalità esuberante e da molti ritenuta strana aveva lasciato il posto ad una triste melanconia nelle settimane precedenti. Si udirono dei passi, e Louis entrò nell’anticamera. Per la prima volta ora Marie Antoinette lo vedeva: era un ragazzo molto alto, robusto, che però aveva lo stesso passo ondeggiante che caratterizzava tutti i suoi parenti, ed un atteggiamento piuttosto pingue. Aveva gli occhi azzurri e mesti, ed un’espressione scoraggiata e disillusa, addolorata ed affranta. Madeleine smise di suonare, e tutti si inginocchiarono. Indossava una casacca marrone, senza ricami o aggiunte che potessero aumentarne il valore: una semplice casacca, non l’abito di un re.
La melodia era cessata, ma il metronomo continuava imperterrito il suo tuonare costante:

Tic, toc, tic, toc...

Louis fece cenno di rialzarsi, e chiese a tutti di lasciarli soli. Eccolo lì: nudo, spoglio. «State bene, Louis?» gli chiese quando tutti furono usciti. Lui non rispose, ma si sedette pesantemente sulla poltroncina dove prima era seduta la sua sorella prediletta. «Posso tradurre Virgilio ed Omero, Seneca ed Aris–»
«Di cosa parlate?» chiese subito, confusa.
« ...ed Aristotele. Parlo molte lingue, sono un buon cacciatore, ho un’ottima mira, posso anche lavorare nella bottega del fabbro, sono bravo nell’applicare la meccanica...ma, Marie Antoinette, che il Signore ci aiuti, perché io non ho idea di come si governi un paese.» si coprì il viso con le mani, e lei fu sicura che lo fece per non farle vedere le sue lacrime.
«Non è ancora morto...» tentò di rassicurarlo, nonostante lei stessa sapesse che il vaiolo raramente lasciava scampo, e con ogni probabilità avrebbe finito per uccidere anche Re Luigi XV.
«Lo sarà a breve. I suoi medici dicono che è questione di giorni. Una settimana al massimo.» disse, e nella sua voce Antoinette capì che stava per piangere.
«... una settimana.» mormorò lei fra sé e sé, quasi senza farci caso.. Il Beneamato era caduto ammalato il 29 aprile scorso, e quando era stato confermato che si trattava di vaiolo, avevano saputi che era questione di poco prima che sarebbero stati chiamati a regnare. Avevano diciannove e venti anni: una popolana nel suo stato avrebbe avuto vita facile, si disse. A diciannove anni si sarebbe probabilmente appena sposata, con qualcuno che amava magari, ed avrebbe cominciato ad avere figli, cominciando la sua vita come regina della casa, angelo del focolare. Invece lei era chiamata ad divenire la Regina di Francia, una delle massime potenze mondiali. Come faceva ad affrontare la vita a cuor leggero?
Louis si alzò. «E mi sento in colpa, perché io dovrei dispiacermi per mio nonno, non perché con la sua morte i suoi poteri passano a me.»
Marie Antinette cercò di consolarlo. «Lui capirebbe. Sarà stato così anche per lui.»
Lui scosse la testa, e si diresse verso il clavicembalo, sopra il quale il metronomo ancora ticchettava, flebile e delicato come gli ultimi battiti d’un uomo in fin di vita.

Tic, toc, tic, toc...

«Io avevo un padre e due fratelli prima di me in linea di successione...questo non doveva succedere.»
Louis tese la mano e fermò la lancetta.

Tic, toc, tic.

Uscì accompagnando suo marito al capezzale del nonno.
Il metronomo era fermo.
 


 
 
10 Maggio 1774
 

«Vi sarò debitore in eterno, per quello che avete fatto per Mathieu.»
Se ricordava bene e la sua memoria non lo ingannava, lei aveva sorriso ed era leggermente arrossita. «Non dovete.» aveva mormorato.
«Ed ora per questa.» aveva detto lui, rigirando fra le mani una busta azzurra.
Avrebbe giurato di aver visto un lampo di passione negli occhi di lei, mentre aveva detto: «Sapete come ripagarmi per quella.»
Se solo avesse potuto ripagarla davvero come intendeva lui...
«Come?»

André riaprì gli occhi di colpo ad un potente suono metallico, e quando capì perché le campane suonavano, la sua prima sensazione fu di compassione, ma la seconda fu una flebile speranza che illuminò la sua mente tetra e buia. Una vita migliore, la speranza che il nuovo re sarebbe stato migliore del precedente, con un governo migliore, dei ministri migliori, più libertà, più uguaglianza, più fraternità fra gli uomini. Erano le quattro e mezzo del pomeriggio, per far suonare le campane a Parigi doveva essere arrivato un messaggero da Versailles, e probabilmente il re era già morto da tempo. André si stese di nuovo lungo a letto, sentì due braccia calde avvolgergli il torace. «Perché suonano le campane?» chiese Thérèse, la giovane bionda con cui stava dividendo il letto.
«Il Re è morto.» rispose lui tranquillo, richiudendo gli occhi.
«Oh, sai quanto me ne importa!» sbuffò, affondando il viso fra il collo e la spalla sinistra di André. «Se fossi morta io quello neppure l’avrebbe saputo».
André trovò quell’osservazione straordinariamente leggera, eppure vera: era ovvio che il capo dello Stato non sapesse dei singoli sudditi, ma pur essendo a conoscenza della miseria crescente che avvolgeva la nazione non se n’era avveduto tanto da prendere dei provvedimenti. «Dovrei alzarmi.» rifletté ad alta voce.
Thérèse lo fermò con la mano sul palmo, dicendo gioiosa: «Devi proprio?».
André le sorrise dolce, baciandole il capo. «Sì». Così detto si alzò, si infilò le brache e la camicia andando nell’altra stanza, dove Edouard era al tavolo, scriveva, e beveva  da un bicchiere.
André si avvicinò alla dispensa del cibo accanto alla stufa e prese una mela rossa, addentandola con fame e tutto il desiderio che avrebbe voluto riversare su un’altra donna. «È sidro di mele bretone quello?» chiese stralunato, a bocca piena, indicando la bottiglia accanto all’amico.
Edouard rispose senza alzare gli occhi dal suo taccuino: «Lo è, infatti. Gilbert l’ha vinto con una scommessa, ma a quanto pare non piace a nessuno a parte me e te.»
André rise. «Si vede che siamo diventati uomini di classe a furia di entrare in casa altrui». Si sedé accanto all’amico, e quando il biondo alzò gli occhi dal taccuino, parlò: «Dov’è Mathieu?»
Edouard gli sorrise con gli occhi. «A cercare di diventare mio nipote acquisito, presumo.»
«È che pensavo... È da un po’ che non entriamo in azione, ecco.»
«Dopo l’ultima volta pensavo che...»
«Senza di lui. Solo io, te, Gilbert, Pierre, Henri, Jean e Philippe. Come ai vecchi tempi, no?»
Edouard annuì. «Sì, capisco.» disse alzando il taccuino in mano « E dobbiamo guadagnare.»
André prese un vecchio bicchiere e ci versò dentro del sidro dalla stessa bottiglia di Edouard. Bevve. «Capisco perché non piace a nessuno...»
L’amico annuì. «Lo so, non è abbastanza dolce. Ma ho bevuto di peggio... ed anche tu.» aggiunse poi ridendo.
André rise a quei ricordi: «Il vino del vecchio Lemaire, di fronte casa tua... Cielo quanto era cattivo!»
«Lo puoi ben dire. E quella locanda sul lungo fiume dove andavamo ad ubriacarci quando avevamo appena cominciato a rubare?»
Lui rise di nuovo, ricordando il brandy più cattivo che avesse mai provato. «Quella roba che spacciavano per brandy inglese? Era un incubo, ma ti ubriacava in tre bicchieri!» André si stese completamente sulla sedia, buttando indietro la testa e chiudendo le occhi: sorseggiò il liquido lentamente e se lo passò in tutta la bocca per assaporarlo al meglio.

«Onorando la vostra parola, semplicemente.»
«A mai più rivederci, dunque?» aveva chiesto lui, con un sorriso sornione sulle labbra, e ricordò di colpo il gelo che gli fece provare la sua risposta, la stessa sensazione che si prova una volta inciampati, ma prima di toccare terra.
«Esatto, Dubois. Dimentichiamoci entrambi di quel breve periodo di tempo in cui avete pensato che la mia vita fosse affar vostro.»

Edouard lo scosse dal suo stato. «Hai una lista, potremmo cominciare a dare una sfoltita a quella intanto.»
«Le avevo promesso di non usarla per derubarli.»
«Ce l’avessi io questo potere di farti promettere cose assurde...» sussurrò il biondo.
«Non biasimarmi... pensavo ancora di avere delle possibilità.» rispose ancora ad occhi chiusi.

«Addio, allora...» aveva mormorato lui.
Lei aveva risposto con un cenno della testa, per poi dire «Addio, Monsieur Dubois», voltarsi e tornare alla sala da ballo. Ripensandoci, André poteva ancora vedere chiaramente la mantellina di seta che portava per proteggersi dall’aria fresca della serata primaverile, come svolazzava nella brezza, attorno al vestito rosso.

Alzò infine il capo, risoluto e rinvigorito dall’alcol nella sua pancia. «Forse è il momento per un paio di furti svelti e mirati a certe zone, di notte. Andiamo a far festa negli hôtel particulier di un paio di tizi a caso e ce ne torniamo qua in un paio d’ore.»
Edouard annuì scorrendo la lista dei nomi: «Molti sono nello stesso quartiere: scommetto che intorno ci sono residenze che non sono scritte qui.»
André annuì, sorseggiando dal bicchiere.
«André... hai mai contemplato lo scenario in cui tu e la De Bayonne siete parenti?»
In un attimo André aveva ricordato la penultima volta che l’aveva vista, due settimane prima che gli consegnasse la lista, parlando nell’angolo più buio e tetro della cattedrale di Notre Dame.

«Non vi azzardate a biasimarmi per il ritardo! Non si erano mai pattuiti termini!» aveva risposto infuriata, quando André le aveva fatto notare che fare una semplice lista le stava richiedendo più tempo di quanto lui aveva impiegato per diventare da bambino ad adulto.

«A che punto siete almeno?» aveva risposo lui, quasi pensando che lei stesse ritardando per poter continuare a vederlo.
«Sto raccogliendo ancora gli ultimi nomi; ma la buona notizia è che i generali francesi sono tutti schedati negli archivi di corte, dal primo all’ultimo, quindi o la persona che cercate è su quella lista, o non esiste.» Lui aveva annuito. «Una sola cosa, perché volete tanto una lista di generali? Non farete la spia per qualche Stato straniero?»
«No,» aveva replicato lui ridendo sottovoce, mentre la sovrastava avvicinandosi con la sua figura mentre appoggiava il palmo della mano alla parete dietro di lei ed accostava il suo viso, le sue labbra, alle labbra di lei «è un motivo piuttosto personale, ma magari per voi posso fare un’eccezione...»
André si sarebbe ricordato quel momento per il resto della sua vita: il momento in cui per un attimo aveva pensato che Madeleine stesse al suo gioco. Si era avvicinata ancora di più, quasi arrivando a toccargli il petto con le mani, sorprendendolo con un ghigno complice ed enigmatico, mormorando. «Dite, dunque. Non fermativi proprio ora.»
André aveva allentato la tensione, tornando alla sua postura naturale ed allontanandosi quel che bastava per farle venir voglia di riavvicinarsi. Si era allora fatto serio, pensando che Madeleine avrebbe apprezzato un sincero contegno piuttosto che un sorriso malandrino che avrebbe potuto farle pensare a  tutto ciò come fosse in realtà nulla di più di una semplice e banale burla. «Sono stato cresciuto da due genitori meravigliosi, ma quando sono morti ho scoperto di essere un figlio illegittimo di non so chi... un generale mi hanno detto. Infondo sono uno di voi, Mademoiselle.» aveva detto, sfoderando nell’ultima frase un sorriso divertito.
Lei l’aveva allora scrutato, indecisa se credergli probabilmente. «Sembra una di quelle storielle dei romanzi d’appendice.»
«Forse non mi credete?» aveva replicato fingendosi offeso.
La donna aveva riso allora, dicendo: «Non faccio fatica a credervi in verità. Mio padre stesso ha tre figli illegittimi.»
André si era finto spaventato allora, anche se forse non stava solo fingendo, e le aveva chiesto sottovoce: «Non saremo mica fratelli?»
«No, i miei fratellastri sono un maschio e due femmine: il maschio è apprendista maniscalco di Versailles, e le donne sono cameriere chissà dove. So bene chi sono. Vi risparmierò di fare ricerche su mio padre e lo toglierò dalla lista.»
«Siete sicura che non ne abbia altri?» aveva chiesto dubbioso.
Madeleine si era fatta più seria. «Sì. Se ha figli illegittimi risalgono ad al massimo sei anni fa. E forse è la penombra che non vi dona, ma voi mi sembrate più vecchio.» gli aveva risposto, non riuscendo a contenere un sorriso buono che gli scaldò il petto per tutta la giornata..

Ritornò alla domanda di Edouard. «Per la verità una sola volta, e neppure troppo seriamente. E poi dice che conosce tutti i figli illegittimi di suo padre. Lo ha tolto dalla lista per risparmiarmi di cercare.»
Edouard alzò le sopracciglia e lo guardò ridendo: «Questo sì che è vero amore.»
«Ridi quanto vuoi.» sbuffò quasi divertito.
«Comunque non l’ha cancellato. Deve essersene dimenticata ma il “Generale Bernard Jaques Louis Aulmet, Conte de Bayonne” è ancora qui.» dichiarò facendo spallucce.
André sentì un’ondata di calore invadergli il petto. Distratta.«Distratta, e ci scommetterei anche disordinata... Sono le migliori a letto.» rifletté sorridendo malizioso.
«Peccato che il tuo letto non la vedrà mai, allora.» mugugnò Edouard, facendogli roteare gli occhi.


 
 
 
Quella sera Marie Antoinette fu felice di poter essere finalmente sola con Louis. Re Louis XV, detto il Beneamato, si era spento alle tre e mezzo di quel pomeriggio, e con lui erano morti i vezzi infantili e le fantasie di due giovani ancora impreparati. Quella sera Madeleine De Bayonne e Maria Luisa de Lamballe l’avevano aiutata a prepararsi per la notte. Marie Antoinette era stata di poche parole, nonostante non fosse suo solito, e quando le due dame avevano finito le aveva congedate con un sorriso addolorato. Si era stesa a letto nell’aspettare Louis, che arrivò poco tempo dopo con un valletto ed in camicia da notte, per coricarsi. Aveva gli occhi rossi, come spenti. Si coricò velocemente e congedò il valletto alla svelta. Restarono in silenzio per un po’, ed in quel silenzio in uno slancio di egoismo ricordò quando il giovane Delfino non voleva condividere il letto con un’austriaca, ed un senso di rabbia repressa la pervase. Ora, il fatto che non avevano ancora avuto un figlio sarebbe diventato un problema. Niente erede per una Delfina significava comunque avere del tempo, niente erede per una Regina significava essere in una posizione pericolante, come se fosse stata in piedi su una palla: e la corona sulla testa non la aiutava a rimanere salda sulla superficie liscia, ma le faceva perdere ancora di più il già precario equilibrio.
«Ho pensato che dovremmo fissare un giorno per il funerale...» mormorò Louis, fissando i ricchi drappi del letto a baldacchino. «E per l’incoronazione.»
«Sì.» si limitò a dire, facendo vagare le pupille alla luce soffusa e debole candele nella stanza. «Il rito funebre sarebbe bene tenerlo in gran segreto. La Principessa de Lamballe non voleva turbarmi, ma quando ho insistito mi ha detto che a Parigi ci sono stati dei festeggiamenti per le strade. Non vorrei che il popolo possa rovinargli gli ultimi onori che gli spettano.»
«Sì. Come era stato fatto per Louis XIV... Non pensavo che succedesse tutto così in fretta:  sembrava tornato in salute un mese fa, dopo la vostra Ifigenia in Aulide. Gli era piaciuta così tanto quell’opera.»
Marie Antoinette si avvicinò al marito e lo abbracciò, passandogli un braccio sopra il petto ed appoggiando la sua testa sulla spalla di lui. «Non ricordatelo con malinconia.» mentre diceva così sentiva la mano grande di Louis accarezzarle i capelli.
«Guardatemi.» le chiese in tono supplice, e quando Marie Antoinette alzò lo sguardo Louis la baciò con delicatezza. «Dobbiamo restare uniti ora, mostrarci forti. Antoinette non lasciate ricadere tutto su di me, ve ne prego...»
La guardò negli occhi per la prima volta, notò lei. Non lo faceva spesso, il suo carattere timido gli imponeva di non incrociare lo sguardo con chi non conosceva bene, eppure ora manteneva fisse le sue iridi azzurre sul volto di Antoinette. Non incrociava gli occhi neppure con il Capitano De Bayonne, nonostante lui fosse responsabile della sicurezza della Reggia, e quindi della loro stessa sicurezza.
«A cosa state pensando?» gli chiese.
«A mio nonno.» rispose lui sottovoce mentre accoccolava la sua testa su quella di Antoinette.
«Cosa di lui?»
«Tutte le volte che mi ha detto quello che avrei dovuto fare come re, tutte le volte che mi ha dato consigli che io ho preso sottogamba. Era in perfetta salute fino a sei mesi fa, ed anche prima della caduta da cavallo sembrava essersi ripreso piuttosto bene. Poi il vaiolo. Chi se lo aspettava...» rifletté ad alta voce, lasciando l’ultima frase sospesa in aria.
«Voi avete avuto il vaiolo?» mormorò allora lei.
Lui scosse la testa, pronunciando un lieve «No. Voi sì?» chiese stupito.
«Sì.»
«Non vi ha lasciato segni in volto.» constatò con un sorriso malinconico. Allora Marie Antoinette scostò i capelli dal collo e gli fece vedere la piccola cicatrice che aveva poco sotto l’orecchio destro. Sentì la grande mano di Louis sfiorare il segno lasciato dall’infezione. «Sono stata fortunata: alcuni miei fratelli ne sono morti. Altri sono stati sfigurati. Ricordate Maria Elisabetta? Doveva sposare vostro nonno, che già era in trattative con mia madre anche per il nostro matrimonio al tempo.»
«Sì. Mi ricordo di averne sentito parlare. È rimasta sfigurata dopo essere sopravvissuta al vaiolo, giusto?»
«Era la più bella di tutte le mie sorelle una volta...» rifletté malinconica. Neppure la bellezza di Liesl avrebbe potuto salvarla dall’essere venduta alla Francia, infatti lei srebbe comunque stata promessa a Louis Auguste, ma sarebbe stato bello poter avere sua sorella con lei, anche se di tutte le sorelle era anche quella un po’ più perfida... «Avete visto la Du Barry?» chiese d’un tratto.
«È stata allontanata, ma io e Stanislas pensiamo sia riuscita a portare con sé un po’ dei gioielli che mio nonno le aveva comprato.»
«Tanto meglio così, non vorrei neppure un diamante se toccato da lei.» rifletté risentita. Nonostante per un secondo avesse provato quasi pena per quella donna, nel vederla al capezzale del Re, non riusciva proprio a compatirla.
Louis riprese a parlare con una voce terrorizzata, così tanto che Antoinette si chiese cosa mai potesse essergli venuto in mente per farlo parlare così. «E poi c’è un’altra cosa.»
«Cosa?»
«Le sue ultime parole a me sono state molto strane. Ho ancora la sua voce nella testa che ripete quelle parole, non fa che ripetere, e ripetere, e mi tormenta. Si contorceva per il dolore quando le ha pronunciate per tre volte, urlava quasi, aveva una voce roca e disperata. E mi fissava negli occhi con quello sguardo vitreo, come se non potesse vedere il mio corpo, ma addirittura la mia anima...»
«Cosa vi ha detto?» chiese con un sentore di morte, alzandosi dal petto del marit e appoggia dosi ai gomiti al letto per guardarlo meglio.
Louis guardava dall’altro lato, ma voltò il suo viso verso di lei, la guardò negli occhi e ripeté: «“Après nous, le déluge!” ».1
 




Note:
“Après nous, le déluge!”1: (Dopo di noi, il diluvio!) frase attribuita a Madame de Pompadour, dopo la sconfitta di Rossbach, detta a Luigi XV. L’ho fatta ripetere a quest’ultimo in fin di vita per fare riferimento alla Rivoluzione avvenuta appunto dopo di lui: non c’è, e ripeto, NON c’è alcuna prova o memoria che faccia pensare che l’abbia pronunciata sul letto di morte, né che suo nipote fosse lì... ma era un’immagine troppo piena di pathos per lasciarmela sfuggire, scusatemi!
  
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