Film > Iron Man
Ricorda la storia  |      
Autore: 50shadesofLOTS_Always    12/02/2018    3 recensioni
Dal testo:"Lo scroscio dell’acqua ti isola in una densa nube fatta di vapore e quiete immota. E guardando il piatto della doccia, scorgi per un breve istante il pozzo buio da cui i tuoi demoni stanno risalendo.
Il portale, le stelle palpitanti e la nave aliena. Gigantesca come uno di quei mostri che hai visto solo nei film.
Il battito accelera e la scarica arriva pure ai timpani.
‘Va tutto bene, Stark’."
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
[probabile OOC di Tony/quando hai paura di Infinity War]
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Tony Stark, Virginia 'Pepper' Potts
Note: Cross-over, Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Stark's Mind'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ti senti strano, è come se stessi fluttuando in qualche strano limbo dentro la tua stessa psiche. Come in una dimensione sospesa nel vuoto etereo della tua mente.
Sei da solo e attorno a te, una miriade di astri incandescenti che rischiarano lo spazio siderale che si estende all’infinito.
 
Allunghi una mano, ma qualcosa ti risucchia in una specie di buco nero.
« Tony – sbarri le palpebre, che non sapevi di aver socchiuso – Ti senti bene? ».
 
E’ Clint, seduto davanti a te con in mano uno shawarma gigantesco a metà tragitto verso la bocca.
Annuisci e bevi un sorso d’acqua per sciacquarti la bocca, che conserva un sapore metallico.
 
Il silenzio è interrotto dal ronzio delle lampade intermittenti – o forse è solo una mosca, non sai dirlo al momento – mentre il proprietario del ristorante continua a sfornare shawarma, dopo che ti sei offerto di rimettere in piedi la sua attività in cambio di uno spuntino gratis per te e la Boy Band.
 
Ti sei svegliato di colpo quando Banner, in versione verde e rabbiosa, ha emesso un ruggito profondo che è risuonato per diversi isolati. Poi hai iniziato a parlare a vanvera, ininterrottamente per dieci minuti, come se avessi assunto qualche sostanza allucinogena.
Il tempo di sedervi, di ordinare da mangiare e la tua parlantina si è spenta come un lampione contro cui viene lanciato un sasso.
 
E mentre il tuo corpo ti portava seduto su quella sedia cigolante, la tua mente ha fatto le valigie e se n’è andata da tutt’altra parte.
 
Ti guardano di sottecchi come in attesa di una tua reazione, ma sei troppo stanco anche solo per elargire una delle tue solite battutacce.
Sei conscio di ciò che provano: ammirazione, rimorso, sollievo, condivisione, soggezione.
 
I tuoi occhi, dopo essere guizzati da una parte all’altra del locale, si perdono oltre i limiti di queste quattro mura, in un mondo oscuro e freddo.
 
Non sai se credere a ciò che hai visto o se ritenerlo semplicemente frutto dell’adrenalina accumulata in battaglia. Eppure sei consapevole che, malgrado il tuo fervido genio, non avresti mai potuto immaginare ciò che hai visto in quello squarcio: una notte infinita e sterminata come una prateria invasa di lucciole.
 
Chiudi le porte in faccia alle ombre minacciose che tentano di raggiungerti per rintanarti in un altro posto.
L’ambiente che ti circonda diventa confuso e vedi il mare.
Una lieve brezza ne increspa la superficie, arricciandola e suscitando una pigra risacca che accarezza i tuoi piedi. Percepisci persino l’acqua fresca e i granelli fra le dita, che scivolano via.
 
L’acqua del Pacifico è blu. Un bellissimo blu, specchio del cielo. Come gli occhi di Pepper.
‘La tua Pepper’.
 
Il fruscio della scopa sul pavimento ti riporta bruscamente al presente, nel reale.
Ti pulisci le labbra con la salvietta, strofini le palme sui jeans e spingendoti indietro con la sedia, ti alzi per uscire dal piccolo locale dove vi siete fermati.
 
Thor e Steve ti chiamano e cercano di fermarti, ma non li senti. Sono un eco lontano come le grida e le esplosioni, che rimbombano per poi perdersi in meandri psichici.
 
Ti fermi sul marciapiede dove poco meno di un’ora fa sei schizzato verso il cielo con un unico obbiettivo in testa. Sbatti le palpebre e, avanzando di qualche passo ciondolante, ti guardo intorno cominci a passeggiare senza una vera e propria meta.

Con le mani infilate nelle tasche anteriori, cammini claudicante senza neanche guardare quali strade percorri, quali svolte prendi.
 
Il tuo sguardo vacuo vaga tra le macerie degli edifici, che fino a questa mattina hanno ospitato congressi, esposto vetrine, invasi di persone.
 
Fino a pochi giorni fa, Manhattan era un centro pulsante di vita mentre in questo momento, le uniche vite che la popolano sono gli addetti allo sgombero e alla pulizia. I civili, quelli sopravvissuti, sono già tornati alle loro vite, alle loro case, dalle loro famiglie. O almeno ciò che ne resta di tutte e tre.
 
Sollevi il capo, completamente svuotato, e noti che sei piuttosto distante dalla Tower.
‘Adesso non sembra più Natale’, pensi ironico.
 
Sono le cinque del pomeriggio, ma la spessa coltre di nubi che ora sosta sulla città, impedisce il passaggio del più timido raggio di luce.
‘Un raggio di luce per l’umanità’.
 
Osservi l’imponente edificio e ti accorgi che del tuo nome è rimasto solo la A.
Adesso chi lo sente il sindaco, il Presidente e tutti i funzionari rompiscatole…
‘Maledetto figlio di puttana’.
 
Stai elencando i danni, quanto ti costeranno quando qualcosa di freddo e piccolissimo picchia sulla tua fronte, subito dopo sulla guancia e una palpebra.
Reclini la nuca, inspirando lentamente il pulviscolo che ancora volteggia nel vuoto. Espiri e, abbassando le palpebre, allarghi un poco le braccia quando la pioggia ti investe.
 
In pochi secondi il nubifragio s’intensifica e t’inzuppa da capo a piedi.
La bocca schiusa in un debole sospiro, le palpebre appena strizzate mentre ti arrendi alla potenza del temporale, lasciando che lavi via tutto, che purifichi l’aria impregnata di morte e distruzione.

Torni a guardare di fronte a te, attirato da uno scricchiolio di sassi non molto lontano e dopo cinque secondi, metti a fuoco la prima persona che non tenta di ucciderti.
‘Anche se quelli che hai affrontato non erano esattamente persone...’
 
La vedi, quasi come un miraggio, riparata sotto l’ombrello giallo che le hai comprato per scherzo a Monaco. Su un paio di tacchi lucidi e avvolta da un impermeabile beige, tiene il telefono vicino a un orecchio come un’ancora di salvezza.
 
Ti sembra surreale, quasi un’illusione. Ti chiedi se non hai battuto forte la testa o se tu sia impazzito definitivamente.
 
E’ così bella da somigliare ad un papavero in mezzo alla sterpaglia.
‘E’ una boccata di vita, nel bel mezzo della morte.’
 
La pioggia aumenta, ma non distoglie gli occhi dai tuoi.
Lascia andare l’ombrello, che vola via e ti viene incontro mentre le tue gambe si muovono da sole.
Lei è più veloce e dopo qualche metro, il suo corpo caldo e rassicurante impatta dolcemente contro il tuo.

Avvolge le braccia attorno al tuo collo e si stringe forte a te, facendo gridare tutti i tuoi muscoli e tutte le tue ossa. Tremi e non sai se per il freddo o qualcosa che non avresti mai ammesso. A nessuno.
‘Hai avuto paura. Paura di perdere te stesso, lei. Di perdere voi’.
 
Le circondi la vita con un braccio e le spalle con l’altro quando la senti tremare come una foglia al vento.
« Mi dispiace… Non ho sentito la suoneria – sussurra e premi la guancia contro la sua – Ho provato a richiamarti ».
 
Una parte di te ringrazia che sia stato così. Non avresti mai sopportato le sue lacrime.
« Ho perso il telefono, siamo pari » le dici invece mentre le tue dita scorrono fra le ciocche setose dei suoi capelli.
 
Si ritrae un poco per studiarti, le sopracciglia appena corrucciate in un cipiglio critico e gli occhi improvvisamente attenti mentre tiene il conto dei graffi che hai addosso.
« Sei ferito » dice, tastando con delicatezza il taglio che segna il tuo zigomo sinistro.
 
Ti è mancata da quando è sparita con Phil nell’ascensore, diretta all’aeroporto.
‘Phil…’.
 
Stai per dirglielo ma il suo tocco è un balsamo, le sue parole una constatazione traballante.
« No, sto bene… Sto bene » la rassicuri, sapendo che hai solo rimandato l’argomento per qualche ora quando scuote il capo per negare, contrariata.
 
Le incornici il volto con entrambe le mani e la guardi, ipnotizzato. Conti ancora una volta le sessantadue lentiggini che le colorano le gote e scosti alcune ciocche della frangetta fulva dalle sue ciglia.
 
Non hai mai pensato alla morte fino ad oggi, perché non ti è mai importato di morire.
L’idea di passare all’altro mondo si è affacciata nell’anticamera del tuo cervello quando lei, oltre dieci anni fa, si è affacciata nel tuo ufficio.
 
Si è fatta largo nella tua vita per conquistare prima i tuoi pensieri poi il tuo cuore, quello fatto di carne e, che è quasi esploso quando hai attraversato il portale.
 
Oggi il pensiero si è fatto spaventosamente concreto, perché non è il dolore o l’al di là che ti terrorizzano.
Lasciarla indifesa, facile preda di un mondo egoista e crudele…
‘Stop.’
 
Posi un bacio sulla sua fronte fresca e senti i suoi muscoli, finora tesi, rilassarsi.
E ti rilassi anche tu.
‘Sta bene’.
 
« Andiamo a casa » le proponi dopo esserti schiarito la gola perché non ti tradisse.
Hai ancora una missione da compiere e per portarla a termine, devi restare lucido e concentrato.
‘Devi essere il suo Ironman, il suo scudo’.
 
Annuisce, lasciandoti una carezza lungo il braccio che corre a prenderti per mano.
Le sue dita sottili intrappolano le tue e percepisci i brividi che scorrono sotto la vostra pelle.
E’ un contatto intimo, che sa di paura.
 
Dopo aver recuperato l’ombrello, vi avviate nell’apocalisse ormai esaurita. Insieme.
 

*

L’acqua bollente scorre sulla tua schiena, portando via con sé polvere e sangue. La stessa che ancora aleggia su una New York sconvolta.
‘Sconvolta come te’.
 
Passi le mani fra i tuoi capelli, tirandoli appena indietro, per poi appoggiarle di nuovo sulle piastrelle gelide.
 
Lo scroscio dell’acqua ti isola in una densa nube fatta di vapore e quiete immota. E guardando il piatto della doccia, scorgi per un breve istante il pozzo buio da cui i tuoi demoni stanno risalendo.
Il portale, le stelle palpitanti e la nave aliena. Gigantesca come uno di quei mostri che hai visto solo nei film.
 
Il battito accelera e la scarica arriva pure ai timpani.
‘Va tutto bene, Stark’.
 
L’anta scivola di lato per poi richiudersi, ma non te ne rendi conto e le tue labbra s’inarcano inevitabilmente verso l’alto quando avverti le sue mani leggere carezzarti i fianchi, superandoli per poi raggiungere il tuo addome.
 
Trasalisci nel percepire la sua bocca vellutata lambire le cicatrici sulle tue scapole.
‘Ora è tutto a posto.’
 
Espiri con forza dopo aver gonfiato i polmoni della sua presenza.
« Com’è andata a Washington? » le chiedi, girando appena il capo per guardarla con la coda dell’occhio.
 
Hai visto bene la sua espressione quando le porte dell’ascensore si sono aperte sul salotto dove i vetri ridotti in mille pezzi scintillavano sotto i led, che JARVIS ha provveduto ad accendere per rischiarare l’arrivo imminente della notte.
« Bene. A quanto pare dovrai scrivere Potts su almeno uno dei due contratti » risponde, ma la conosci bene ormai.
 
Ti volti e ti accorgi che lo sguardo che ha adesso è ancora peggio. Te la immagini con quello stesso sguardo, sola ed impaurita circondata da squali umanoidi in giacca e cravatta che cercano di tarparle le ali d’angelo.
‘Non è il momento per le seghe mentali’.
 
Abbassi lo sguardo sulle sue dita, che esaminano il grosso ematoma che hai guadagnato sulla parte destra della pancia quando Hulk ha deciso di mostrarti il suo affetto.
« Se volevi guardarmi gli addominali, bastava chiedere » mormori, seguendo il suo tentativo di stare allegra.
 
Lei inclina leggermente la testa di lato, con aria trasecolata.
« Dovresti andare in ospedale » ti riprende più severa e sorrideresti, se non sapessi di doverle comunicare un’ulteriore tragedia.
 
Assistere alla scena da una telecamera è stato come ricevere uno schiaffo e causarle dolore è l’ultimo dei tuoi desideri. Non vorresti, ma devi farlo.
« Pep… » dici, prendendole le mani e lei ti guarda, perplessa.

Vorresti uscirtene con qualche frase ad effetto – magari una di quelle da diabete – evitare l’argomento e lasciarla nella beata ignoranza.
‘Lo verrebbe  a sapere comunque.’
 
Già, quando imparerai che è brava a scoprire i segreti?
‘Soprattutto quelli che custodisci con più riserbo.’
 
Lei intanto aspetta, cercando di capire di cosa si tratti.
‘Sarà come darle uno schiaffo, ma tu puoi attutire il colpo.’
« Phil è morto » secco e monocorde.
 
Adesso, non sei in grado di essere meno violento.
Le sue labbra si stringono in una sottile linea mentre i suoi occhi si gonfiano di lacrime.
‘Ecco il secondo schiaffo’.
 
Si avvicina a te, trattenendo il fiato insieme al pianto, e sommerge la faccia nel tuo petto.
Ti senti uno schifo perché vorresti essere abbastanza forte da eliminare tutte le minacce che incombono su di voi per poi scappare con lei, lontano il più possibile da tutto e tutti.
 

*

Usciti dalla doccia, si è coperta per andare a recuperare la casetta del pronto soccorso ed obbligarti a sederti sul bordo del letto. Cerchi di scansarti, ma lei ti fulmina.
« Fermo » borbotta, avvolta in un accappatoio di spugna.
 
Studi con attenzione il modo in cui la luce della lampada sul comò cade sui suoi capelli, ancora umidi su una spalla. Analizzi con scrupolosità le invisibili rughe della fronte aggrottata, in segno di concentrazione.
 
Hai ceduto, non te la sei sentita di negarle la possibilità di sentirsi utile dopo averle causato – seppur involontariamente – una decina di infarti.
Con un asciugamano alla vita, sopporti quindi il bruciore del disinfettante di cui è imbevuto il batuffolo d’ovatta che tiene tra le dita.
 
Puoi sentire il suo respiro calmo e regolare, che conserva ancora i singhiozzi.
Puoi contare le costellazioni di efelidi, che disegnano le rotondità dei seni appena scoperti dalla scollatura.
 
Lei si ferma, come colta da un dubbio e quando i vostri sguardi si incontrano, ti senti come un ragazzino con le mani nel vasetto di marmellata.
« Ho quasi finito » sussurra con un sorrisetto, malandrino tanto quanto il tuo.
 
Aspetti con pazienza che medichi l’ultima ferita sull’arcata sopraccigliare e che riordini la stanza.
E senza toglierle gli occhi di dosso, ne approfitti per schematizzare i suoi movimenti sinuosi e calibrati in ogni passo, in ogni gesto.
 
Si guarda intorno alla ricerca di qualcosa lasciato fuori posto e si aggiusta una ciocca dietro il lobo auricolare destro che, se baciato, sai che la fa sorridere come se potesse resisterti.
Poi si volge verso di te con le braccia conserte e tu noti le sue guance tinte di un morbido colorito roseo che, se baciate, sai che la fa ridere come una scolaretta.
 
Si avvicina senza fretta e dopo un attimo, le sue dita scivolano fra i ciuffi della tua chioma fradicia. Sulla tempia, dove le ciocche sono più corte.
 
Soddisfatto di quelle piccole coccole, socchiudi le palpebre per assaporare la sua innata grazia.
Poi le sue mani ti accarezzano il collo, passando sulle spalle per allentare qualche nodo fastidioso. Intanto le tua risalgono le sue gambe fino ai glutei, sotto l’accappatoio per poi ripetere il percorso più volte.
 
I vostri sguardi si fondono e al suo tacito consenso, sciogli la cintura che le stringe il panno alla vita. Apri le palme sulla sua pancia piatta per sentire ogni più piccola e tenue vibrazione della sua pelle serica. Con i polpastrelli stringi i suoi fianchi e gentilmente la trai più vicina per baciarla, appena sotto l’ombelico.
 
Il suo respiro si fa pesante quando le tue labbra seguono la linea alba arrivando allo sterno per poi ridiscendere verso il pube. Nel farlo sollevi gli occhi, incontrando i suoi zaffiri che sembrano contenere l’immensità e la bellezza del cosmo.
 
Lo sa. E lo sai anche tu che esternamente è inopportuno dopo gli eventi, ma hai bisogno di sentirla vicina e di proteggerla. Senti il suo bisogno di unirsi a te, di farsi consolare.
 
E’ un secondo e la stai già spogliando. Fai scivolare l’accappatoio dalle sue braccia e mentre si siede sulle tue ginocchia, le sue labbra forzano le tua per condividere l’ossigeno.
 
Le tue mani ruvide raccolgono i suoi seni, strappandole un gemito gutturale che risveglia tutte le tue voglie.
Cingendola con un braccio, capovolgi la situazione senza perdere il contatto con la sua bocca.
 
Si avviluppa a te, allacciando le gambe al tuo bacino così da portarti più vicino.
Infili una mano fra i vostri corpi e poggiando la fronte contro la sua, osservi l’incrinarsi dei suoi tratti sotto la vampa di piacere, che risale dal fuoco che hai acceso e che finisce per consumare anche te.
 
Quando vi unite l’estasi che vi raggiunge è qualcosa di così sublime che non potrai mai descrivere.
Il tuo sangue va a tempo col suo cuore. Riesci a sentirlo nelle orecchie, ripercuotersi nel tuo petto e irradiarsi fino alle estremità.
 
Sussurra il tuo nome nel buio per poi crollare sfinita. E la paura torna a graffiarti, la stringi a te come se dovesse evaporare da un momento all’altro.
Ma lei ti capisce, ti abbraccia e immediatamente ti senti meglio.
 
Resti così, il viso sepolto nell’incavo della sua spalla dove puoi vivere solo del suo profumo mentre le sue dita ti solleticano il collo, fra i capelli e sulla fronte.
Sposti il capo all’indietro e la osservi mentre fissa il soffitto della camera.
« Pep? » rantoli, ma lei è assente.
 
Ti sposti un poco, sciogliendo un braccio dalla sua vita e col dorso della mano, sfiori la sua tempia per raccogliere una goccia salata.
« E’ tutto a posto, tesoro. E’ finita » le dici e lei si riscuote.
 
Poi come una bambina, s’intrufola nel tuo abbraccio alla ricerca di calore mentre tu continui a disegnare la sua pelle, tracciando cerchi e linee invisibili sulla sua schiena liscia.
‘Non è affatto finita’.
 
Angolo Autrice: Vabbè... Non chiedetemi cosa sia questo schifo. Il punto è che volevo farvi sapere che ci sono e che dovrei tornare presto con un nuovo capitolo di Rescue Heart (ispirazione permettendo, dovrei riuscire a terminare la raccolta You'll Be in my Heart *sob*).
Nell'attesa, dato che sto compiendo l'incredibile maratona Marvel, ho riguardato The Avengers e ho voluto mettere anch'io per iscritto la mia personale headcanon post-battaglia da infarto.
Sinceramente non ne sono molto soddisfatta e probabilmente, la modificherò... Ma adesso lascio la parola a voi che mi seguite, ma anche chi solo si ferma a dare un'occhiata ;)
Nel frattempo vi ringrazio, e al prossimo capitolo! <3
50shadesOfLOTS_Always

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Iron Man / Vai alla pagina dell'autore: 50shadesofLOTS_Always