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Autore: _Lightning_    13/02/2018    4 recensioni
Dal Capitolo 2, "Odio gli indifferenti": Il mio era un mondo dorato che mascherava qualcosa di molto più turpe di cui non volevo curarmi minimamente. Ero corazzato dietro l'indifferenza perché, tanto, non sarei stato io a subire i risultati del mio stesso lavoro. Mi sarei limitato a coglierne i frutti.
È facile parlare quando sei dalla parte sicura, quando il tuo punto di vista è l'unico che conosci.

Dopo Iron Man 3 troviamo un Tony diverso, cambiato dagli eventi nella mente e nel fisico, con una realtà del tutto nuova con la quale confrontarsi... e con una gran voglia di parlarne con qualcuno, meglio ancora se quel qualcuno è il suo migliore amico improvvisatosi controvoglia psicologo.
Non si parla però solo di Iron Man 3: si torna alle origini, al giorno in cui è nato Iron Man, alle scelte e alle decisioni che hanno portato Tony ad essere ciò che è adesso.
E tra un capitolo e l'altro qualche filosofo -e non- dice la sua.
[pre-Iron Man // Afghanistan // post-New York // Serie: Newborn]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Bruce Banner, Tony Stark, Yinsen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Newborn'
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Epilogo

Lezioni


 
 

"L’inferno è per i puri [...] e peccare si può soltanto contro la propria purezza."

[T. Mann da Joseph der Ernäher]


 

«Credo sia tutto.»

Tony si voltò a guardare il dottor Banner trovandolo stranamente sveglio e attento, al contrario di quanto si era aspettato.

«Stavi veramente ascoltando o hai trovato un modo per dormire ad occhi aperti?» lo stuzzicò con un sorrisetto impertinente.

«Stavo ascoltando,» replicò l'altro, leggermente risentito.

«Sicuro?»

«Vuoi un riassunto scritto?»

«Potrei sottoporti un questionario. Con valutazione tenuta da me, ovviamente.»

Bruce sospirò e si distese in un sorriso rinunciando a proseguire quel battibecco, e ciò suscitò l'ilarità di Tony. Doveva ammettere che, a prescindere dall'attenzione del suo amico si sentiva molto più leggero. Magari era vero, quello che dicevano riguardo alla psicoterapia.

«Commenti dal pubblico?» lo incalzò giocoso, ma in fin dei conti spinto da una curiosità sincera, sebbene un poco apprensiva.

Si trattava comunque della sua vita, ed era sempre piuttosto suscettibile a qualunque critica in proposito. Bruce si accarezzò sovrappensiero la barba, come consapevole di ciò e intento a formulare un commento il più delicato e neutrale possibile.

«Diciamo che adesso capisco un bel po' di cose,» disse infine. «Su di te, su alcuni dei tuoi comportamenti e sulle scelte che hai fatto,» continuò, notando l'occhiata dell'amico.

Tony si fece attento. Bruce Banner che esprimeva un'opinione su qualcosa? Era sicuro che Natale fosse passato da un pezzo.

«Per esempio? Mi illumini, dottore, dopotutto sono qui per lavorare su me stesso.»

Sorrise, ma il suo nervosismo era evidente, così come la reticenza di Bruce nel dire ciò che pensava.

«Per esempio,» esordì infine, «le tue varie discussioni con Rogers. Il perché tu ti sia così risentito per le sue parole.»

Scosse la testa esasperato al solo ricordo, e Tony fece spallucce con un'aria da discolo professionista.

«Qualcuno deve pur riportare quel pallone gonfiato coi piedi per terra,» osservò con convinzione, strappando a Banner uno sguardo che diceva chiaramente "da che pulpito..."

Il dottore scosse la testa, riprendendo il discorso:

«O il modo in cui hai completamente cambiato atteggiamento quando hai saputo che l'agente Coulson era morto.»

A questo Tony non rispose. Si limitò a un lieve cenno d'assenso, impreparato a quell'argomento. Ma riconobbe che, sì, in quel frangente qualcosa era scattato in lui con prepotenza, ponendo in secondo piano persino se stesso e il suo ego. Non aveva mai riflettuto sulla cosa, ma era stato sempre intrinsecamente consapevole di quali corde avesse toccato quell'evento. Bruce fece per aggiungere altro, poi esitò brevemente, sapendo di entrare in un terreno delicato.

«E poi, quello che hai fatto a New York... è stato inaspettato per tutti noi. Credo che all'epoca te ne sia reso conto. Adesso mi è più chiaro, in un certo senso.»

Allargò le mani senza aggiungere altro, non sapendo come esprimere meglio quel concetto e non volendo approfondirlo, perché dopotutto era uno scienziato, non uno psicologo. Tony s'irrigidì a quelle parole, provando un'improvvisa, crescente e spiacevole sensazione di vuoto allo stomaco, quella che precedeva i suoi attacchi di panico. Chiuse brevemente gli occhi e inspirò a fondo, sentendo il cuore che prendeva a battere in modo irregolare.

«Tony? Scusa, non pensavo che...» la voce di Bruce gli arrivò ovattata.

«Prima o poi devi insegnarmi i tuoi trucchetti per rimanere calmo,» lo interruppe lui con un mezzo sorriso forzato, senza riuscire a contenere il suo respiro accelerato né a scacciare del tutto dalla sua mente la visione intermittente del portale spalancato sullo spazio profondo.

Stava diventando a poco a poco più facile sfuggire all'ansia che gli arpionava le viscere, ma richiedeva ancora uno sforzo di volontà enorme. Con Pepper era più facile; si ritrovò a desiderare che fosse lì con lui a stringerlo, come durante i suoi incubi, e solo il pensiero lo aiutò lentamente a calmarsi.

«Sono lieto che tu abbia capito perché ho fatto quel che ho fatto, ma in questo momento preferirei parlare un altro paio d'ore di grotte in Afghanistan e Natali rovinati piuttosto che un altro minuto di... quello,» riuscì a formulare, vago. «Tra un paio d'anni magari ti concedo una puntata speciale dedicata esclusivamente a New– a quello, ma per ora dovrai accontentarti,» concluse sbrigativo.

«Sì, certo,» si affrettò a concordare Bruce, a disagio, quasi percepisse fisicamente la sua ansia. «Prima... prima parlavamo del reattore, giusto?»

«Il reattore, certo!» concordò Tony rianimandosi, e diede una pacca sollevata all'oggetto in questione lieto di tornare a un argomento quasi leggero. «Insomma, adesso capisci perché non voglio ancora abbandonarlo

Bruce corrugò le sopracciglia, perplesso dalla sua scelta di parole, ma decise di soprassedere.

«Più o meno. È una specie di "incentivo" per continuare ad essere Iron Man,» dedusse cautamente, scrutando la reazione dell'amico.

Tony portò una mano al pizzetto come colpito da quell'affermazione, e fece con la testa un gesto a metà tra un cenno d'assenso e uno di diniego.

«Mh. Forse un tempo. Immagino di sì, in un certo senso, ma non è più quello il motivo che mi spinge a tenerlo,» sospirò, rendendosi conto di quanto fosse difficile raccogliere i suoi pensieri su quell'argomento, e di quanto i suoi giri di parole stessero confondendo Bruce. «Il punto è che il reattore non è legato ad Iron Man. Cioè, tecnicamente lo è, ma non sto parlando di questo, adesso,» precisò, notando la dubbiosità di Bruce. «Verrà il giorno in cui potrò gettare questa lampadina in mare senza rimpianti, ma non significa che smetterò mai di far parte della vostra boy-band male assortita.»

«E perché non lo fai ora?»

A quel punto Tony incrociò le braccia, improvvisamente tetro. Schioccò la lingua, si mosse a disagio sul lettino, poi parlò senza guardarlo, con gli occhi fissi sul soffitto:

«Non ne sono ancora all'altezza,» confessò a mezza voce.

Bruce rimase in silenzio, sorpreso da quell'esternazione di umiltà decisamente insolita per Tony Stark, e aspettò che continuasse.

«Insomma, con tutti i miei buoni propositi ho causato una marea di problemi e guai a me stesso e agli altri, immagina se non avessi avuto alcun freno inibitore o bussola morale,» sbottò, con più forza del dovuto e quasi ritraendosi alla vista di Bruce.

Gli riusciva sempre estremamente difficile ammettere a se stesso i propri errori, figurarsi a qualcun altro.

«Potrò anche essere stato un "eroe" a New York. Ciò non toglie che avrei potuto fare molto di più in mille altre occasioni. Stress post-traumatico e ossessione per le armature a parte con conseguenti fuochi d'artificio targati Stark. Quella.. quella è un'altra storia ancora.»

Si passò una mano sul volto, stropicciandosi gli occhi per non divagare di nuovo.

«Magari non ho sprecato del tutto la mia vita, ma ho deluso molte aspettative,» concluse mestamente, scuotendo il capo.

Ripensò alle parole di Yinsen, che avevano continuato a riecheggiare nella sua mente nel corso di quegli anni. Spesso le aveva ascoltate, a volte ignorate; lo avevano incoraggiato o biasimato, lo avevano spinto a dare il meglio e il peggio di se stesso. Avevano ancora molto da insegnargli e lui molto da imparare.

«Penso che tu ti sia impegnato oltre ogni aspettativa che il tuo amico avrebbe potuto avere,» lo riscosse Bruce, dopo qualche istante.

«Forse, ma non è ancora abbastanza,» insistette Tony con nuova energia. «Posso correggere i miei errori, non cancellarli. E al contrario di voi, non sono invincibile.»

«Nessuno è invincibile,» mormorò Bruce, distogliendo gli occhi.

«Sai cosa intendo,» ribatté Tony, cercando di ammorbidire il tono, ma Bruce non se la prese e gli fece cenno di continuare. «Ho... passato buona parte della mia vita su una strada che non sentivo mia, seminando morte senza neanche rendermene conto. Non potrò mai cambiare questo fatto e non potrò mai fare ammenda, non importa quante volte indosserò l'armatura.»

Prese un respiro, sentendosi schiacciare da quel macigno che portava con sé ormai da anni e che non accennava a diventare più leggero, solo più sostenibile.

«Ho avuto la fortuna...» s'interruppe per correggersi. «Mi è stato concesso di imboccare un'altra strada. Ma commetto ancora errori. Grandi, spesso irreparabili. Sono cosciente di poter fallire e sbagliare, ma a volte...» colse l'occhiata accusatoria di Bruce «...spesso tendo a sopravvalutarmi e a dimenticarlo. Divento impulsivo, fa parte del mio carattere,» disse a mo' di scusa, con aria un po' colpevole e un gesto frivolo della mano.

«Su quello devi ancora lavorare,» concordò l'amico, con uno sguardo eloquente che rimandava a ville distrutte, armature che esplodevano o, più semplicemente, a rivelazioni pubbliche di identità segrete.

Tony si passò una mano sulla nuca, colto in fallo, ma ad entrambi scappo' un sorriso.

«Sono pur sempre il figlio di mio padre... era incluso nel pacchetto del retaggio,» borbottò contrariato, accennando al reattore.

Rimase in silenzio per un po', raccogliendo di nuovo le fila del discorso. Abbassò gli occhi incontrando la familiare luce azzurrina, così pura nonostante il corpo in cui si trovava.

«È proprio per via degli errori che continuo a commettere che non posso sbarazzarmi di lui adesso.» Picchiettò lentamente sul dischetto metallico, assorto nelle sue riflessioni e nei ricordi. «È vero, ho capito che non ho bisogno del reattore per essere Iron Man.»

Si voltò a guardare Bruce con l'ombra di sorriso mesto.

«Ma ne ho ancora bisogno per ricordarmi chi fossi prima.»



 

Fine






Note dell'autrice:

Ma buonsalve! :D
Chiudere questa raccolta è un po' un colpo al cuore... stento io stessa a credere di esserci riuscita e ho l'impressione che finirà per mancarmi, visto quanto mi ci sono affezionata.
Ma finalmente ecco a voi l'epilogo!

Sono andata a parare in una direzione un po' diversa da quella che avevo previsto inizialmente. Questa raccolta era iniziata come una campagna pro-reattore arc "a prescindere" ma ora non mi sento più di affermare lo stesso, soprattutto con gli sviluppi che ha avuto il MCU negli ultimi anni (ricordo che l'ho iniziata nell'immediato post-Iron Man 3, ben prima di Age of Ultron).
Non sono più convinta che Tony non avrebbe dovuto toglierselo – anzi, ha fatto bene – ma sostengo comunque che Iron Man 3 fosse ancora troppo presto per lui. A parer mio non gli siano stati forniti presupposti sufficienti per farlo in quel momento specifico. Senza dilungarmi troppo, credo semplicemente che Tony in quel frangente fosse ancora troppo fragile per compiere un passo così grande. Forse nel post-Civil War avrei ben visto una rimozione del reattore e l'avrei anche applaudita. In IM3 mi sembra ancora buttata lì, anche se ho finito per apprezzare il discorso generale di Tony e la sua evoluzione come personaggio, estrapolati dal contesto della trama terribile.
Quest'ultimo capitolo vuole essere in un certo senso uno pseudo-prologo al disastro che combina Tony con Ultron proprio per limitare i propri errori e per non scendere a compromessi, cosa che si ritroverà obbligato a fare in Civil War (perché, a dispetto di quanto si dica, Tony impara sempre dai propri errori, anche se ne commette altri). 

La citazione di Mann si presta a diverse interpretazioni, ma l'ho pensata in parallelismo/antitesi col filo conduttore del film "noi creiamo i nostri demoni". In realtà Tony canna alla grande la citazione, visto che Wilde disse "noi siamo il demone di noi stessi", concludendo "e facciamo del mondo il nostro inferno", che si siallaccia appunto a Mann, riprendendo inoltre il fatto di "partire da qualcosa di puro" di cui parla Tony nel film.

Questo fa parte del trittico di capitoli della raccolta di cui mi sento più soddisfatta e spero che lo riteniate una degna conclusione, anche se come ho detto mi sono un po' discostata dall'intento iniziale :)
Ringrazio infinitamente tutti coloro che hanno recensito, letto e inserito la storia tra le seguite, ricordate o preferite.
Come sempre un grazie speciale ad
_Atlas_, le cui recensioni mi mandano sempre al settimo cielo, e a cui prometto che avrà presto molto, molto altro da leggere su questi schermi :P

Au revoir,

-Light-
   
 
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