Serie TV > Doctor Who
Ricorda la storia  |      
Autore: Cara93    13/02/2018    3 recensioni
Cosa succederebbe se il Dottore e Melinda Gordon si incontrassero? Se l'unico modo per sconfiggere gli alieni di turno fosse usare il dono di Melinda? Se l'unica persona che potesse sanare il tormento del Dottore fosse un fantasma?
CROSSOVER
[post season 2, Doctor Who]
[Season 2, Ghost Whisperer]
Genere: Generale, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Companion - Altro, Doctor - 10
Note: Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Melinda Gordon si apprestava a chiudere il negozio d’antiquariato. Era sera, chiara e senza nuvole. La giornata non era stata tra le migliori, Delia ancora le rimproverava di aver mantenuto segreto il suo dono troppo a lungo. Sentiva di essere fortunata, Melinda. Poche persone al mondo possono contare sull’affetto di tante persone e quello che Delia le dimostrava lo era. Misto a timore, a volte. Il leggero cappotto nocciola le schioccava attorno alle ginocchia mentre si affrettava ad attraversare la minuscola piazza di Grandview. La cittadina era deserta, nudi muri di mattoni la osservavano, spioventi tetti rosso cupo ad incorniciarli. Sul basamento della statua al centro della piazza, una ragazza bionda, più o meno della stessa età di Melinda, sedeva composta, lo sguardo rivolto verso l’alto. In attesa. Non era la prima volta che la vedeva. Quell’attesa struggente l’aveva sempre commossa, la luminosità degli occhi grigi della ragazza ogni volta che le stelle erano particolarmente vivide e luminose la spingevano ad aprirsi in un sorriso. Come sempre, la ragazza finse di non vedere il suo cenno discreto. L’avrebbe cercata quando sarebbe stata pronta.

Il professor Richard Payne era preoccupato. Un altro dei suoi studenti era scomparso ed il rettore voleva la sua testa. Non era colpa sua, non esattamente. Era solo un professore d’antropologia con interessi piuttosto particolari ed era logico immaginare che chi volesse cimentarsi nei suoi seminari li abbracciasse a sua volta. Non era stata colpa sua se due studenti del college avevano deciso di effettuare una gita alla famigerata Claridge Hall. Tecnicamente, Claridge Hall non faceva parte dell’istituto, ma si trattava di un edificio imponente che un oscuro mecenate aveva donato al college, affinchè venisse utilizzato come edificio scolastico o dormitorio per gli studenti. Era una villa risalente a qualche secolo precedente, ma strani avvenimenti avevano convinto i finanziatori ed i presidi che era consigliabile starne alla larga. Payne non aveva neppure tenuto una lezione su quello specifico luogo, ma alcuni dei suoi più volenterosi studenti aveva deciso di verificare le voci che circolavano da generazioni sulla villa. E se la sparizione di un giovane studente non era un avvenimento tale da far perdere il sonno al personale e alla cittadinanza, cinque sparizioni nell’arco di pochi mesi erano tutt’altra storia. Una volta uscito dal suo studio, prese una decisione importante: ne avrebbe parlato con Melinda Gordon.

Decidere in che ordine allineare un set di porcellane era cruciale. Se il colpo d’occhio non fosse stato più che perfetto, la speranza di attrarre i curiosi all’acquisto era risicata. Delia Banks lo sapeva bene. Nella sua vita precedente, prima di accettare un secondo lavoro come commessa nel negozio di Melinda, era stata un’abile venditrice. Certo, aveva ancora il suo lavoro come agente immobiliare, ma in una realtà come Grandview non è che desse poi dei gran risultati. Sì, poteva mantenere suo figlio e se stessa, però le mancava qualcosa. O qualcuno. Come sempre, il pensiero del marito le calò sul viso un’ombra scura. Era passato del tempo, eppure Tom le mancava come il primo giorno. La prima mattina senza di lui era impressa a fuoco nei ricordi di Delia, così come ricordava i primi passi di Ned. Per questo le era stato così difficile credere a Melinda, all’inizio. Era una donna razionale e logica e non poteva neppure prendere in considerazione che il dono di Melinda potesse essere reale. La fiducia aveva fatto il resto. Sì, si fidava di Melinda Gordon e se anche non poteva spiegare certi avvenimenti o alcune delle loro conversazioni le sembravano surreali e impossibili… beh, si sarebbe adeguata. Melinda era un essere speciale e starle accanto valeva qualche minuto d’irrealtà.

Nella penombra, un cigolio risuonò attutito e lontano. In un vicolo, nei pressi della piazza di Grandview, una vecchia cabina blu della polizia britannica si materializzò all’improvviso. Quasi nessuno dei passanti se ne accorse o trovò strano che una cabina telefonica straniera si trovasse in una cittadina di New York, Stati uniti d’America. Quasi nessuno notò il giovane che ne uscì. Indossava delle scarpe da tennis colorate, un gessato a righe e una cravatta rossa. Sopra il vestito, un trench sproporzionato lo faceva apparire più esile di quanto fosse in realtà. Era magro, nervoso. I ridenti occhi marroni si perdevano nel viso ossuto ed espressivo. Si passò una mano tra i capelli scuri, scompigliandoli. Era palesemente contento di trovarsi lì, sebbene dalla confusione dello sguardo, non avesse la minima idea di dove fosse. La ragazza, dopo averlo osservato a lungo, scoppiò a ridere. Come prima, nessuno si scompose. Neppure quando la ragazza prese a sbracciarsi e ad urlare per cercare di attirare l’attenzione dell’uomo senza ottenere risultati. Come se fosse invisibile.

-Buongiorno, buon uomo. Mi scusi, potrei prendere quel giornale per un momento? - chiese l’uomo della cabina, rivolto ad un giovane biondo. L’uomo a cui si rivolse, aveva lo sguardo preoccupato e si ravvivava nervosamente i capelli e il bavero della giacca. Aveva un giornale sottobraccio, in prima pagina il titolo strillava: “Claridge Hall, salgono a otto le scomparse”. Il biondo lo guardò di sottecchi, incuriosito dall’accento inglese dell’altro.

-Certo- dopo averlo osservato scorrere corrucciato la prima pagina, non riuscì a trattenersi -lei è inglese, per caso?

-Gli inglesi mi piacciono molto di più, sono imprevedibili-

-Prego?

-Oh, non fa nulla. Sta succedendo qualcosa d’insolito e inspiegabile, mi pare di capire-.

L’entusiasmo dell’inglese colse Payne alla sprovvista, acuendo, se possibile, la curiosità del professore. Nel frattempo, la ragazza bionda aveva seguito l’intero scambio con uno sbuffo spazientito.

-Puff, Dottore, non abbiamo tempo da perdere, andiamo! Dove mi porti, stavolta? So che sei tu, anche se sei cambiato dall’ultima volta, però io non sono cambiata quindi non capisco… Dottore! Ehi, perché mi stai ignorando?

-Lei chi è, mi scusi? - chiese, intanto, il biondo.

-Io… pff… può chiamarmi John, se crede. John Smith-

-Ok, signor Smith. Immagino sia uno di quegli svitati, patiti del mistero. Oppure un giornalista. Ha la faccia da giornalista. Non rilascio dichiarazioni, non so nulla e non ho nulla per lei- affermò Payne, allontanandosi.

-Aspetti… cosa?

Quella frase e il tono di Smith lo convinsero a tornare sui suoi passi.

-Se non è un giornalista, allora cosa vuole?

La ragazza batteva frenetica il piede, in attesa che il biondo si togliesse dai piedi. Quando l’uomo aveva fatto per allontanarsi, aveva sorriso, giuliva e aveva continuato a rivolgersi all’altro. Essere ignorata da lui la feriva. Degli altri non le era mai interessato, ma l’indifferenza del Dottore le faceva montare della rabbia feroce. Non era da lui. Non poteva essere cambiato così tanto. Quando il biondo tornò indietro, tutti i sentimenti che le vorticavano intorno esplosero.

-Devi ascoltarmi! - strepitò. Un lampione nelle vicinanze esplose, sputando frammenti di vetro e scintille elettrostatiche. Payne e Smith sussultarono.

-Signor Smith, stavo andando a trovare un’amica, il suo negozio è qui vicino. Forse non è il caso di stare all’aperto-

-Forse no- convenne l’inglese, pensieroso.

La ragazza tremava e con le lacrime agli occhi osservava i due uomini allontanarsi. Non era solo delusa, era stremata. Un uomo sulla settantina, con una lunga barba bianca, che aveva osservato tutta la scena da lontano, le si accostò.

-Tranquilla, cara. Va tutto bene-

-No che non va bene! Lui non mi ha rivolto la parola!

-Certo che no- rispose, tranquillo.

-Non può vederti-. La frase attirò l’attenzione della ragazza.

-Oh, mia cara. Non te n’eri accorta, vero?

-Ma… lei mi sta parlando… come posso essere invisibile, se lei mi vede e mi sente…-

L’uomo sospirò.

-Non sei invisibile, cara. Sei morta-

-No… non può… ma… - si guardò intorno ansiosamente. Nessuno prestava loro attenzione, a parte un gruppetto di donne, tra cui alcune in crinolina, che la guardavano da lontano, pietose.

-Anche loro sono morte- le rispose l’uomo, prima che lei potesse chiedere.

-Ma io ho bisogno di parlare con il Dottore! - esclamò, la voce rotta.

-Oh, ma questo non è un problema-

-Sì, se sono davvero morta-

-Il tuo Dottore sta entrando dall’antiquaria-

-Non è il mio dottore… E quindi?

-Lei ti può aiutare. Lei può vederci-

 

Melinda era sola, quel pomeriggio quando il professor Payne e John Smith entrarono nel negozio.

-Buongiorno, bella signora-

-Ciao, Professore- rispose la donna, poi accorgendosi dell’uomo, imbarazzata aggiunse: -buongiorno-

-Oh, buongiorno. Bel negozio- esclamò lo sconosciuto, distratto. Gli infiniti oggettini e chincaglierie attrassero John Smith, che prese a gironzolare per il locale prendendo tra le mani ogni suppellettile, come un bambino alla scoperta di un nuovo mondo. Melinda sorrideva indulgente. Tutto ciò che desiderava era rendere viva a sua professione e l’entusiasmo genuino di quell’uomo non potevano che farle piacere. Prestando contemporaneamente attenzione allo sconosciuto, suo malgrado, promise a Payne il suo aiuto.

 

La ragazza era indecisa. Se l’uomo o spirito con la barba aveva ragione, era un fantasma. Ma cosa le era successo? Come poteva scoprirlo da sola? E, soprattutto, come poteva salutare il Dottore? Rimuginava su questo, seduta sul basamento della statua, questa volta con lo sguardo rivolto alla strada. Poi, vide l’antiquaria. Aveva un vestito rosso stile impero, stivali scuri e un cappotto. Le lunghe gambe abbronzate erano scoperte, in quel freddo ottobre. I lunghi capelli scuri erano raccolti con un nastro, lasciando intravedere i grandi e dolci occhi scuri. Doveva fermarla. Senza sapere come, comparve al suo fianco.

-Ciao- esordì, timida. Melinda sgranò gli occhi. Era la prima volta che la ragazza delle stelle le si rivolgeva direttamente. Poteva vederla bene, ora. Una ragazza di non più di trent’anni, bionda con liquidi occhi argentei. Era alta e scheletrica, indossava una tunichetta grigia che le arrivava poco sopra le ginocchia, uno sbrindellato bolerino a mezze maniche e delle ballerine anch’esse grigie. Il tratto più notevole, però, erano i lividi che le punteggiavano il corpo, chiazze rosse, viola e giallastre sulla pelle. Al lato sinistro del volto, uno squarcio rosso le si apriva sullo zigomo, macchiandole il collo che, anche se lei non poteva accorgersene, aveva una strana angolazione. -Ciao, io sono Melinda- rispose, infine.

-Mi hanno detto che puoi aiutarmi-

-Sì, cosa posso fare per te?

 

-Aspetta, mi stai dicendo che uno dei tuoi fantasmi abituali, la ragazza delle stelle, ti ha parlato?

 Jim Clancy ascoltava incredulo il racconto della moglie. Per Jim, più che scoprire che Payne aveva chiesto alla moglie un aiuto, nel caso Claridge Hall si fosse rivelata infestata, era più sconvolgente scoprire che uno dei fantasmi che Melinda gli aveva assicurato essere innocui, anzi, praticamente incuranti dell’umana esistenza, le avesse chiesto di scoprire cosa le fosse successo. Nonostante dividesse la vita con una medium, anche se questo non era il termine corretto per descrivere il dono di Melinda, gli spiriti continuavano a sorprenderlo e a preoccuparlo. Solo la fiducia incrollabile della moglie, gli impediva chiuderla in casa a doppia mandata. Oltre alla consapevolezza che ciò che avrebbe potuto nuocerle era in grado di attraversare una porta. Non comprendeva appieno la realtà che lo circondava, ma, esattamente come Delia, aveva deciso di calarcisi dentro. Da allora, non se n’era pentito.

Quella notte, in due diverse abitazioni, si stavano svolgendo due ricerche: Melinda stava raccogliendo tutto ciò che poteva su Kirsten Dubb, il suo fantasma; mentre Payne e l’inglese su Claridge Hall. John Smith non voleva perdere tempo, tutto il suo corpo era un formicolio, in fibrillante attesa dell’azione. Il Professore e l’Antiquaria, però, lo incuriosivano e aveva deciso di utilizzare un po’ di tempo, solo poche ore, per pensare alla natura umana. Quella notte, a Claridge Hall, uno studente di antropologia, Anton Fairchild, superò i cordoni che delimitavano la villa e si addentrò nei corridoi deserti. Il cuore gli pulsava nelle orecchie, il respiro gli raschiava la gola. Si accorse di un’ombra che incombeva alle sue spalle, poi, nulla.

 

Nel sogno, Melinda era circondata da galassie, vortici gassosi e pianeti luminosi. Migliaia e migliaia di stelle scorrevano sotto il suo sguardo. Fluttuava nello spazio, ma non aveva paura. E, cosa ancora più strana, credeva di conoscerlo. All’improvviso, si ritrovò davanti all’edificio che ospitava la vecchia biblioteca di Grandview, stava attraversando la strada, quasi galleggiando per la felicità. Rumore di freni, un lampo azzurro, l’immagine di un grido, il graffio dell’asfalto e poi il nulla. Quando di svegliò, Melinda comprese che anche Kirsten aveva ricordato. Con un colpo di reni, si alzò dalla poltrona dove si era addormentata, agguantò il cappotto e uscì, diretta alla piazza cittadina.

Come aveva immaginato, trovò la ragazza intenta ad osservare le stelle. Con grazia, le si sedette accanto, aspettando.

-Quindi, è stato un incidente stradale- sussurrò, rivolta a se stessa.

-Mi dispiace tanto, Kirsten-

Rimasero in silenzio per un po’, poi la ragazza riprese: -non ero mai stata più felice come in quel periodo. Prima mi sentivo sola, incompresa, vuota. Non sapevo cosa fare della mia vita. Avevo accettato il posto da bibliotecaria per passione. Adoravo i libri, ma stare a contatto con loro, un giorno dopo l’altro, un’ora dopo l’altra… beh, ho finito per odiare anche solo l’odore delle pagine. Mia sorella diceva che non ero più io, così mi ha rapito per un breve fine settimana a Londra. Lì la mia vita è cambiata-

-Ti sei innamorata- commentò Melinda, come fosse l’osservazione più banale del mondo.

-Oh no, molto meglio. Ho incontrato il Dottore-

 

‘Ma perché mi sono lasciato convincere da questo pazzo’, continuava a ripetersi Rick Payne, mentre parcheggiava nei pressi di Claridge Hall. Mandò un messaggio veloce a Melinda, prima di avvicinarsi a John Smith che stava tentando di convincere il custode a lasciarli entrare.

-Sono sicura che non mi credi- sospirò rassegnata Kirsten.

-Certo che ti credo. Ti ricordo che vedo i fantasmi, perché non dovrebbe essere possibile?

La donna e il fantasma si guardarono, sorridendosi. L’incanto finì quando Melinda lesse il messaggio.

 

-Non è il caso di entrare… cioè… potrebbe non essere sicuro… e poi, ho un impegno domani mattina- balbettò Payne.

-Oh, andiamo. Ci sarà da divertirsi- lo blandì l’inglese. Il custode, dopo aver controllato il cartellino di Payne, li aveva lasciati entrare. L’ingresso di Claridge Hall era marmoreo, i passi echeggiavano, rimbalzando sulle pareti nude. In quattro passi, si trovarono ad un dilemma: una scala e uno stretto corridoio buio.

-E ora?

-Nella mia esperienza- la voce di John Smith esplose nella stanza -le cose interessanti avvengono sempre sul tetto-

-Perciò, immagino che dobbiamo salire- bisbigliò Payne, incerto.

-E saliremo, professore. Allons-y!

Il sorriso entusiasta di John Smith ebbe il potere di far alzare gli occhi al cielo a Richard Payne e a fargli salire le scale con passo baldanzoso. Chiunque conoscesse il professore, sapeva che non era un cuore di leone.

 

Melinda aveva convinto il custode, a fatica. L’uomo era molto scrupoloso e professionale, però, il tono urgente della donna lo convinse a lasciarla entrare. Non che l’uomo, Derek, come si poteva evincere dalla placca d’ottone sull’orlo del taschino, morisse dalla voglia di seguirla. Ma non poteva lasciare la donna. In silenzio, attraversarono l’ampio parco della villa, incolto e ingoiato dalla vegetazione. Seduto su una panchina composta da foglie marcite e nuove, un uomo curvo, dalla curata barba grigia, la fissava, lo sguardo vuoto. Portava abiti antichi, probabilmente risalenti ai tempi dei fondatori delle prime tredici colonie americane. Lo guardò triste per un minuto, prima di entrare con Derek. A differenza degli uomini, l’attenzione di Melinda venne attratta dal corridoio. Una sensazione pulsante, un mormorio basso e ovattato la attirava.

-Forse, signora non…- la povera guardia giurata, esitando, si incamminò dietro la donna. Alla fine del corridoio, un’altra stanza di passaggio si apriva su tre portoni in legno. Sempre seguendo i suoni, Melinda spinse un’anta della porta al centro, che si aprì senza far rumore. Una stanza vuota, gli scuri alle finestre erano abbassati, a differenza di quelli della stanza d’ingresso, dove le finestre oltrepassate avevano i vetri dipinti. Ancora una stanza nuda e venata d’azzurro, con la sola presenza di una decina di statue allineate lungo le pareti pallide. Erano alte creature alate, con gli occhi coperti dalle mani, sofferenti. Derek e l’antiquaria si spinsero fino al centro della stanza, guardandosi attorno. Un vago senso d’allarme serpeggiò nello stomaco della donna, togliendole il fiato. C’era qualcosa di strano.

‘Quelle statue… c’è qualcosa che non…’, pensò. Poi, con la coda dell’occhio, le parve di cogliere un movimento. La stessa abilità che le aveva permesso di vedere lo spirito in giardino, le permise di vedere il mostro risvegliarsi. Qualunque cosa fosse quella statua, vide una sorta di fantasma sovrapporsi all’angelo di marmo e alzare gli occhi. Le statue sentivano la loro presenza e si stavano svegliando.

-Sono vive- mormorò, colma di orrore e stupore. -Le statue sono vive-

 

Mentre la sagoma corpulenta di Payne lo precedeva, il Dottore estrasse, senza farsi notare, il cacciavite sonico. Grazie alla guida del suo prezioso strumento, con un colpo di tosse, indicò la direzione al professore.

-Allora- cominciò, mentre camminavano -tu e la proprietaria del negozio siete…-

-No! - rispose, veemente. John Smith sollevò un sopracciglio. Non era umano, ma nel corso della sua lunga vita aveva avuto modo di capire quella razza tanto strana.

-Ok, se lo dici tu…- e attese.

-Cioè…- riprese Payne, mentre il Dottore sorrideva tra sé -Melinda mi piace… forse, potrei anche esserne innamorato, ammetto che potrebbe essere una possibilità. Però…-

-Però, cosa? La vita è troppo breve per i però! Diglielo! - lo esortò il Dottore, con malinconia nello sguardo.

-È sposata, signor Smith-

-Oh-  nel mentre, il cacciavite vibrò.

 -Proviamo ad entrare qui- disse, dopo un momento di silenzio. La porta di legno era chiusa.

-Ci siamo- disse a Payne.  -Di solito, una porta chiusa è sempre un buon segno-.

 

Il respiro di Melinda si fece spezzato. Sapeva che gli angeli si erano accorti di essere stati visti, sapeva di essere in pericolo. Ciò che non sapeva, era come salvarsi. Kirsten scelse quel momento, per tornare da lei.

-Il Dottore è di sopra con il suo amico- esordì, prima ancora di guardarsi intorno.

-Melinda?

-Gli angeli…

-Signora- il custode stava esaminando da vicino le figure alate, la luce della torcia picchiava sulla punta dei gomiti, creando fasci gialli e neri tutt’attorno. -Dev’essere stata una pessima giornata, per lei… ha visto un movimento della luce e…-

-Oh mio Dio! - il fantasma trattenne il respiro, o l’avrebbe fatto se avesse potuto.

-Quelli sono alieni, vengono chiamati Assassini Solitari o Angeli Piangenti e sono pericolosissimi. Non sono di roccia vera, è il loro meccanismo di difesa. Quando qualcuno li guarda, si fanno di pietra; mentre quando, che ne so, una persona è girata di spalle o batte le palpebre o è distratta, attaccano. Sono velocissimi. Più di quanto tu possa immaginare-

-Ok, cosa faccio? - bisbigliò.

-Uscite di qui al più presto, prima che si sveglino. E continua a guardarli, non sbattere le palpebre- e scomparve.

-Derek- chiamò, la voce strozzata -Derek, ha ragione. Forse è meglio che ce ne andiamo- e cominciò ad indietreggiare, senza distogliere gli occhi da più statue possibili. Derek scosse la testa. Di certo, non era la prima matta che bazzicava da quelle parti. Poi accadde. Un boato, simile alla voce del vento quando si abbatte sugli scogli del mare, le coprì le orecchie. Lo udì solo lei e seppe che gli angeli erano svegli e affamati.

 

-Computer? Questo edificio dovrebbe essere fuori uso… insomma, il College non ha neppure speso un centesimo per ridipingere l’esterno, non vedo il senso di dotare una stanza di apparecchiature…-

Il Dottore non lo stava, però, ascoltando. O meglio, lo ascoltava, ma era più interessato ad esaminare le apparecchiature che si trovavano davanti a lui.

-Non sono computer. Cioè, lo sono ma non quelli che credi tu. È una centralina di comando-

-Scusa?

-È il computer dell’astronave, se per te è più comodo-

-Astronave?

Il Dottore gli gettò un’occhiata. Payne non era preoccupato o sgomento, come di solito gli capitava con umani incontrati la prima volta.

-Tu credi che questa sia un’astronave? O che un’astronave si sia nascosta nell’edificio? - nonostante rivolse quelle domande con calma a John Smith, dentro di sé, Rick Payne fremeva. La sua mente vorticava, piena di pensieri confusi. Il suo primo istinto gli suggeriva di scappare e l’avrebbe fatto se non avesse pensato a Melinda. Quell’anno aveva scoperto che alcune leggende che riteneva semplici oggetti di studio, esistevano davvero. Perché mai non avrebbero dovuto esistere anche gli alieni?

-Si trova nell’edificio, bloccata. Probabilmente, i passeggeri sono morti… ma per quale motivo- borbottò fra sé l’inglese. Poi, come colto da un’illuminazione, si rivolse al compagno: -C’è un’astronave in un palazzo e tu non hai nulla da dire?

-Mmm, no, direi di no-

-Davvero?

-Davvero. Anzi, sì… come sai che… insomma, come puoi essere sicuro che quei cosi muovano una navicella spaziale?

-Esperienza, credo-

Il Dottore era stupefatto. Gli esseri umani si rivelavano una costante sorpresa.

-Allora… insomma, chi sei davvero signor John Smith?

O forse no.

 

Mentre indietreggiava, nervosa, Melinda si rivolse alla guardia giurata: -Per favore, Derek, continui a guardarle-

‘Questa è davvero fuori di testa’, pensò l’uomo.

-Certo, signora-

Decidendo di accontentarla, nell’eventualità che si fosse rivelata una psicopatica, si voltò verso la scultura di roccia. E prese ad urlare, isterico. Davanti a lui, il volto dell’angelo mostrava i suoi denti aguzzi.

-Non è possibile- balbettò.

-Continui a fissarlo, Derek. È la nostra sola possibilità- e cominciarono ad indietreggiare verso la porta.

 

-Allora… il tuo nome non è John Smith-

-No-

-E chi sei?

-Il Dottore-

-Il Dottore? Ma Dottore cosa? Chi? Non potevi trovare un nome alieno più altisonante… che ne so… Triggletermstorm?

-Non prenderei mai il nome di un dittatore! - rispose, indignato. Una volta usciti, il Dottore aveva rivelato a Payne la sua identità e aveva ricevuto in cambio un riscontro più entusiasta di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Si diressero verso la direzione che avevano scartato, il corridoio. Giunsero alle tre porte, giusto in tempo per vedere il povero custode, bianco come un cencio e Melinda indietreggiare lentamente, per poi chiudere la porta con uno scatto veloce. L’uomo, stremato, si afflosciò al suolo, cercando di non andare nel panico.

-Melinda! - esclamò Payne. La donna si rivolse al Dottore: -Gli angeli, sono stati loro!

-Melinda, cosa…-

-È vero! Quelle statue si sono mosse! - intervenne Derek. Il volto del Dottore si adombrò, si avvicinò alla porta e dopo averla studiata con la sua bacchetta luminosa, sfilò il nastro dai capelli di Melinda.

-Uffa, è sempre il legno! - borbottò il Dottore.

-Che diavolo… cos’è quello? - domandò Derek.

-Un cacciavite sonico- fu la risposta.

-E cosa rende quel cacciavite, se è un cacciavite, sonico?

-Il… sai che non lo so?

 -Ah, siamo a posto…-

Improvvisamente, mentre il Dottore cercava di annodare i battenti della porta con il nastro per capelli di Melinda, un vento freddo e tagliente si sollevò, rubandoglielo. L’alieno cercò di chiudere il portone in altro modo, ma il vento prese a salire, impedendo alle ante del portone di chiudersi.

-Ma che…

-Smettila! - la voce di Melinda intervenne alle sue spalle, resa acuta dalla paura. -Non puoi volere che quegli esseri si portino via altre persone!

Il fantasma si girò lentamente, gli occhi morti orlati di ombre scure. In tutta risposta, la direzione del vento cambiò, abbattendosi su Melinda.

-Basta, ti posso aiutare! Però, ti prego, parlami! -

Il Dottore osservava la scena, confuso e impotente. Ad un certo punto, la donna si accasciò, le mai sulle orecchie, gli occhi sgranati.

-C’è uno spettro, non è così? - chiese Payne, mentre la cingeva con le spalle.

-Sì e per qualche ragione, non vuole che quelle statue vengano toccate-

-Avete detto spettro? - chiesero in coro il Dottore e Derek.

 

-Questo non è possibile. Non può essere reale-

Melinda e Payne osservavano il nervoso andirivieni del Dottore, muti.

-I fantasmi non esistono, ergo, tu non puoi vedere e sentire e parlare con esseri che non esistono- concluse la sua osservazione con uno svolazzo della mano, a significare che la faccenda era chiusa.

-Tu sei un alieno ed esisti- ribattè Melinda.

-È una situazione completamente diversa-

-Non per noi umani-

A questa affermazione, il Dottore si fermò a riflettere. Aveva sempre rimproverato alla razza umana di pensare in modo limitato ed ora era quello che stava facendo lui stesso. Sorrise. Un’altra semplice lezione che gli abitanti della Terra gli avevano impartito ancora una volta.

-Perché credi che quel fantasma si trovasse nella villa? E qual è il suo rapporto con gli Angeli? - chiese, dopo un lungo silenzio. Melinda era sgomenta e felice. Adesso cominciava un po’ a comprendere Kirsten. Il Dottore era stato il primo, in tempi relativamente brevi, a crederle sulla parola.

-Probabilmente, è uno dei vecchi presidi del college…- ipotizzò Payne, facendo sentire la sua voce per la prima volta, da quando se n’erano andati da Claridge Hall, lasciando un Derek sconvolto e impaurito, con la promessa che non avrebbe detto nulla a nessuno.

-Aveva abiti troppo poveri. I presidi o gli insegnanti, all’epoca, avevano più di un potere di rappresentanza e il loro status era sottolineato dall’abbigliamento-

-Pensi che non lo sappia?

-Andiamo, non litigate- Jim Clancy apparve sulla soglia del suo salotto. L’assenza della moglie lo aveva preoccupato non poco e vederla tornare a casa pallida e sconvolta con Payne ed uno sconosciuto, non aveva aiutato. Il tipetto moro, poi, lo metteva a disagio. Da quando era entrato a casa sua, non lo perdeva di vista un secondo. Mentre strofinava teneramente le braccia di Melinda, sussurrandole dolci e rassicuranti bugie. Mentre, dopo aver lanciato uno sguardo ai presenti si era affrettato a lasciarli soli, come non aveva battuto ciglio quando la moglie gli aveva raccontato una storia che a molti sarebbe sembrata assurda, fatta di alieni, una villa maledetta, angeli di roccia e fantasmi. E ora lo osservava mentre distribuiva le tazze di tè.

-Che cosa fanno questi Angeli? - chiese Jim. La sua domanda giunse, inaspettata come la neve ad agosto.

-Mi sembra di avertelo spiegato…- bisbigliò Melinda, aggrottando la fronte.

-A dir la verità no. Mi hai solo detto che sono alieni e che si trasformano in statue quando qualcuno li osserva. Non mi hai spiegato perché sono pericolosi-

-Vengono chiamati Assassini Solitari…uccideranno-

-No- li interruppe il Dottore.

-Non uccidono, non nel senso comune del termine. Si cibano del tempo, delle possibilità non colte, dei giorni non vissuti. Rispediscono il malcapitato in un altro tempo e si appropriano di ciò che sarebbe potuto essere-

La spiegazione del Dottore raggelò gli astanti. Kirsten non era stata precisa ed ora l’orrore scivolò sulla schiena degli umani. Non c’era nulla di più spaventoso di una schiera di giorni non vissuti, di una pletora di possibilità svanite nei meandri del tempo. E gli Angeli potevano appropriarsene, senza chiedere il permesso.

-Hai detto che trasportano le vittime in un altro tempo? - chiese Payne, riflettendo.

-Già, immagino che il… fantasma di Mrs Gordon potrebbe essere uno degli scomparsi- confermò il Dottore.

-Ma perché sono qui? - chiese Melinda, supplice.

-Si cibano di tempo, no? E di vita non vissuta- intervenne Jim.

-Esatto-

-E se fosse stato lo stesso fantasma ad attirare quei cosi a Grandview?

-Ma certo! Geniale! Brillante! Melinda Gordon, sei una donna fortunata, hai sposato un genio! Si tratta di un paradosso! -urlò il Dottore, felice.

-Credo di non aver capito…- Payne osservava alternativamente Jim e il Dottore.

-Oh, il tempo non è come lo immaginate, lineare e continuo… è più… una palla, che gira su se stessa e che si intreccia e… no, non è molto chiaro, immagino- prese a spiegare, gesticolando.

-Uno degli scomparsi dev’essere morto nel tempo in cui è stato trascinato, poi per chissà quale ragione, da morto, è tornato nel luogo da cui è stato portato via… siete testardi voi umani… comunque, la sua energia deve aver attratto gli Angeli, che probabilmente, stavano per essere portati in un luogo sicuro, una capsula di stasi quantica, forse… si sono svegliati, hanno dirottato la navicella e si sono installati a Claridge Hall. Dormendo, per un po’ e cibandosi di chi, attratto dalle storie, decideva di scoprire il segreto della villa. Capite, un paradosso. Se gli Angeli non avessero trascinato via uno degli scomparsi e il suo spirito non fosse tornato, gli Angeli non sarebbero mai stati attratti a Claridge Hall-

-Mi fa male la testa- sospirò Payne, seguito dall’occhiata solidale di Jim.

-Quindi, se riuscissi a far passare oltre il fantasma, gli Angeli se ne andrebbero? - chiese Melinda, confusa.

-È una possibilità-

-Ma ne sei certo?

-Sono ragionevolmente certo che funzionerà-

-Ok, quindi non ci resta che scoprire chi è-

-Ma gli scomparsi di Claridge Hall sono stati numerosi, nel corso del tempo! - interloquì Payne.

-Ma gli Angeli hanno cominciato a colpire solo adesso. Quindi, il fantasma è uno scomparso recente- spiegò Melinda.

-La ragazza dà soddisfazioni- sorrise il Dottore.

-Ma com’è possibile? Cioè, Claridge Hall ha la nomea di un luogo infestato, forte di secoli!

-È quello che dicevo, amico mio. Un paradosso-

 

Passarono il resto della serata a scrutare fotografie ed annuari, alla ricerca del fantasma. Degli otto scomparsi, cinque erano studenti, due dipendenti del college e un tizio che si definiva reporter dell’occulto. Due erano donne e vennero subito escluse, assieme ad uno studente di colore originario della Giamaica. Ne restavano solo cinque: Dominick Bronson, il predecessore di Derek; tre studenti, Michael Coban, Jack Frost ed Anton Fairchild ed infine il reporter, Edwin Coulter. Si concentrarono su di loro e, quasi all’alba, Payne si convinse che il più papabile fosse Anton. Il ragazzo, infatti, rispetto agli altri aveva un conto in sospeso: aveva appena rotto con la sua storica ragazza.

 

-Quindi, ora che si fa? - chiese il Dottore, sfregandosi le mani.

-Prima di tutto, convinciamo Anton a collaborare. Oh, e dovremmo accertarci che sia Anton- rispose Melinda, marciando fuori di casa. Era il suo campo, quello. Era lei che dettava le regole. Il Dottore sorrise. Era strano non essere quello su cui contare, per una volta. Essere quello che osserva, in attesa che qualcun altro svelasse le risposte. Si sentiva… umano. Era una bella sensazione. Decise in quel momento che qualora gli fosse capitato di non sapere, avrebbe fatto di tutto per assaporarne il momento. Risolvere problemi era quello che faceva, spesso non capiva subito con cosa avesse a che fare e come farlo, ma aveva fiducia che ci sarebbe riuscito. Ora doveva affidarsi a qualcun altro ed era strano, spaventoso. Un’avventura. Melinda era preoccupata. Di solito, i fantasmi si rivolgevano a lei di loro spontanea volontà, era una follia cercare di far passare oltre uno spirito che non ne voleva sapere.

-Anton? Anton Fairchild? - chiese, a voce alta, una volta arrivata nel giardino di Claridge Hall.

-So che sei qui. Posso aiutarti, se vuoi. Posso aiutarti a parlare con chi vuoi, posso trovare la persona che cerchi-

Per qualche istante sembrava che non dovesse succedere nulla. Poi, un vento gelido si sollevò, le foglie degli alberi fischiavano, l’erba accarezzava il nulla. E lo spirito apparve.

-Come sapete chi sono? Come potete aiutarmi? - rispose, la voce antica e scricchiolante.

-Tu non sei un fantasma antico, sei originario del nostro tempo e sei stato scaraventato da qualche parte. Hai bisogno di aiuto per passare oltre-

-Non voglio passare oltre-

-Hai bisogno di pace, tutti abbiamo bisogno di pace. Non è il tuo posto, qui-

-Anton, sappiamo che hai lasciato la tua ragazza. Forse, vuoi parlare con lei… lei ti può aiutare, fidati di me- si intromise il Dottore. Come gli fosse venuto in mente di intromettersi in una conversazione tronca, l’antiquaria e il professore non lo sapevano.

-Come puoi sapere cosa voglio? Perché dovrei fidarmi di te?

-Si chiede perché mai dovrebbe fidarsi di te- tradusse Melinda

-Oh, certo- sorrise -Perché sono il Dottore, ovviamente-

Dopo aver conversato con Anton, capirono che lo scopo del ragazzo era quello di tornare a casa. Voleva tornare indietro e solo il Dottore riuscì a convincerlo che la sua vita, almeno in quel tempo, era finita. Si fece raccontare aneddoti della sua vita alternativa, quella che aveva vissuto nel 1754. Dei suoi figli, dei suoi nipoti. Di come aveva cercato di migliorare la condizione di quel secolo. A quanto dovesse essere orgoglioso di ciò che era stato. Grazie al Dottore ed alla mediazione di Melinda, il fantasma passò oltre e gli angeli sparirono in un vortice temporale. Un paradosso nel paradosso.

 

-Bene, qui il mio lavoro è terminato- disse l’alieno, dondolandosi sui talloni, -credo sia ora che me ne vada-

 -Ti accompagno- si affrettò a rispondere Melinda. Dopo aver salutato Payne, si avviarono verso il TARDIS.

-Una cabina della polizia? Davvero?

-È bellissima, vero?

-Se ti piace il genere…

-Ehi, ed io? - Kirsten comparve a fianco di Melinda, supplicandola con lo sguardo.

-Dottore! - chiamò. L’alieno si fermò, osservandola.

-Non ti ho detto come facevo a sapere degli angeli-

-Sì, invece…

-Non sapevo cosa fossero-

La consapevolezza comparve negli occhi del Dottore.

-Chi… Rose? Sei tu, Rose? - chiamò, allarme e terrore bruciava dalla sua voce.

-No- rispose -Kirsten-

Il Dottore si irrigidì. Non si sarebbe mai aspettato di sentire quel nome, non più.

-È morta? - chiese, monocorde.

-Sì. In un incidente stradale nel 1991-

L’espressione del Dottore cambiò.

-Nel ’91? Non è possibile…- bisbigliò.

-Come? - chiesero, entrambe.

-Sono tornato qui nel ‘91 e l’appartamento di Kirsten era vuoto. Mi hanno detto che se n’era andata…

-Oh- sussurrò Kirsten, -pensavi che ti avessi lasciato. Pensavi che non volessi più viaggiare con te. Non è così. Quello che facevamo… salvare il pianeta, viaggiare nello spazio, visitare altre epoche, era ciò che mi ha cambiato la vita. Prima di incontrarti era vuota, la mia vita era spezzata e tu l’hai rimessa insieme. Grazie a te, ho imparato a vivere di nuovo. Come avrei potuto anche prendere in considerazione di abbandonarti? Senza salutare? Sapevo che eri uno stupido, ma non così tanto-

-Io… io credevo che…

-Tu cambi la vita alle persone, Dottore. Le salvi in così tanti modi… ringraziarti sarebbe il minimo-

-Io non cambio la vita alle persone. Non come credi tu. Io le metto in pericolo e loro muoiono!

-Tu proprio non capisci… ispiri chi ha la fortuna di incontrarti, sai risvegliare la loro umanità, tu ci rendi migliori. Non importa cosa succeda, noi abbiamo deciso di seguirti, ciò che succede è una nostra responsabilità. Non è colpa tua, Dottore. Qualsiasi cosa sia capitata a questa Rose. E qualsiasi cosa sia capitata a me. Non aver paura, Dottore. Non delle persone. Non restare da solo-

-Non lo farò- deglutì.

-Promettimelo, sui cavolini di Bruxelles-

-Lo prometto, sui cavolini di Bruxelles- rispose, un groppo di tristezza gli serrava la gola.

-Addio, Dottore. Sii felice, vivi-, improvvisamente, alzò gli occhi -eccola! La vedi? - chiese, poi, rivolta a Melinda.

-No, Kirsten. È per te-

Incantata, la ragazza scomparve.

-È passata oltre- bisbigliò Melinda, con le lacrime agli occhi.

-Grazie Melinda Gordon. A proposito…

 

-È… è più grande all’interno! - urlò Jim, sorpreso.

-Eccome- rispose l’alieno, un sorriso che lo illuminava.

-Dove si va?

 

Dopo un viaggio nel futuro ed uno nel passato, il Signore del Tempo riaccompagnò la coppia a casa.

-Allora…

-Grazie, Dottore. È stato incredibile…

-Ma?

-Ma non posso abbandonare i miei fantasmi. Viaggiare con te sarebbe una distrazione e…

-Certo, capisco. Hai un dono, Melinda Gordon ed è giusto che tu lo utilizzi. E tu, signor Gordon?

-Clancy, il mio nome è… oh, non importa- si interruppe, alla vista dello sguardo confuso dell’inglese.

-Certo, viaggiare con te sarebbe bellissimo, fantastico. Ma io ho già una vita bellissima, incredibile e fantastica. Con Melinda-

-Lo immaginavo- sorrise.

-Allora arrivederci, Melinda Gordon. Colei che crede nell’impossibile

-Colei che crede nell’impossibile?

-È un po’ lungo, vero? - chiese, una smorfia buffa gli confuse i lineamenti.

-Forse, ma mi piace-

 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Doctor Who / Vai alla pagina dell'autore: Cara93