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Autore: halsey1696parrish    13/02/2018    0 recensioni
[La Quinta Onda]
Sono arrivati senza preavviso portandosi via ogni cosa.
La nostra vita, la nostra famiglia, le nostre città, la nostra umanità.
Chi rimane combatte per ciò che ha perso, per sconfiggere gli intrusi.
Gli Alti hanno preso anche i nostri volti, ora sono come noi.
Ma loro non avranno mai l'umanità che ci hanno portato via.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Una forte campana mi risvegliò da un sonno profondo e pieno di incubi, che di giorno diventavano realtà. 
Era ora di alzarsi ma il mio corpo non voleva, ero ancora troppo scossa. 
Erano passati all'incirca tre giorni dalle celebrazioni per mia madre; l'avevamo sepolta nel bosco, tra gli alberi e il profumo dei pini. 
Ero rimasta chiusa in quel dormitorio due giorni, piangendomi e dimenandomi nel sonno. Nessun altro faceva caso a me perché era normale, dopo tutto ciò che avevo passato. 
Theo dormiva affianco a me e tutte le volte che mi svegliavo a causa di un incubo, mi abbracciava forte e diceva che sarebbe andato tutto bene. E io riuscivo a convincermi che era così. 
Quella mattina era la prima mattina che uscivo realmente da quella baracca in legno, ed era la prima volta che vedevo così tante persone insieme dopo l'Arrivo. 
Avevo trovato ai piedi del mio letto dei vestiti puliti, che indossai con tanto piacere. 
La luce del sole mi diede leggermente fastidio. 
Il campo era molto grande: tutte le strutture della vecchia segheria erano state riutilizzate per creare molti dormitori, una sala comune, la mensa e tante altre sale dove poter passare il tempo. Al centro del campo c'era un enorme falò, intorno ad esso dei tavoli con delle sedie. Se si andava più in là, si trovavano dei vari orticelli, di piccole dimensioni, e delle serre, dove producevano il cibo per sostenere tutti i sopravvissuti del campo. 
Oltre quelli c'era la fossa comune, non ero mai andata lì, forse una volta o due, per tutta la mia permanenza al campo.
Mio fratello mi aveva raccontato che c'erano tutti i corpi che la Morte Rossa aveva martoriato, come si faceva per la peste. Si mettevano tutti i corpi in una fossa comune, tutte quelle persone che non avevano più nessuno, più niente, più una famiglia, neanche un nome. 
Era mattina presto e il sole era appena sorto, e tutti avevano già del lavoro da fare. 
Mi recai in mensa per fare colazione, una delle case più grandi del campo. Quando entrai, c'era la fila per prendere il cibo, come a scuola. Una fitta al petto mi scosse, e ricacciai indietro le lacrime. In quel momento mi sentivo più sola che mai, ero smarrita. Nulla mi era familiare, nulla sembrava reale e possibile.

Mi misi in fila per prendere solo un po' di spremuta e un muffin confezionato. Individuai, tra i pochi tavoli occupati, uno dove sedeva mio fratello con Nate e un altro ragazzo. Mi avvicinai, tenendo in equilibrio il mio vassoio. 
Mi sedetti, sussurrando un saluto appena percettibile.

-Buongiorno Eva.- disse con un tono neutro Theo, bevendo il suo latte. Nate guardava fisso il suo vassoio, con della frutta e un succo. Era più pallido del solito e le occhiaie gli segnavano il viso, intorpidito dalla stanchezza. Mi guardai le mani, leggermente a disagio. Erano piene di graffi e lividi, che non ricordavo neanche come me li ero procurati. 
-Oh Eva, lui è And. And lei è Eva, la mia sorellina.- quel nomignolo mi scaldò per un momento. 
Guardai il ragazzo che avevo subito affianco, And. Sembrava avere la mia età.
Dei pantaloni troppo grandi per lui, una maglietta logora e una giacca da football, con dietro scritto "Rowe". 
I capelli neri erano tirati perfettamente indietro, gli occhi erano come il mare e il viso perfettamente riposato. Sembrava che l'apocalisse non l'avesse nemmeno sfiorato. 
-Piacete, Anderson Rowe, ovviamente chiamami And.- mi porse la mano, molto più grande della mia che strinsi titubante. 
Tornammo tutti a stare in silenzio, immersi nella leggera confusione mattutina della mensa.

Varie ore dopo, forse erano le dieci o giù di lì, il sole brillava alto nel cielo, scaldandoci un poco. 
Il mio compito quella mattina era controllare i bambini che stavano nelle serre a sperimentare un po'. Il cuore mi si scaldava vedendoli, così ingenui e indifesi.

-Eva.- mi sentii chiamare dalle spalle così mi voltai. Era And, quel tizio strano della mensa. 
-Ciao And.- dissi atona tornando a controllare i bambini. Si stavano tutti impastrocchiando nel fango, solo alcuni stavano annaffiando sul serio le piantine.

- Anche a me misero qui i primi giorni. Sembra una sorta di iniziazione.- si fermò al mio fianco con le mani nelle tasche dei pantaloni.

Feci un cenno con la testa e rimasi zitta. Non sapevo proprio cosa dire. 
-Beh? Come ti sembra questo campo?- continuò lui sedendosi su un tronco tagliato, iniziando a guardarmi con quei suoi occhi chiari.

-Grande e molto...affollato. Forse è pericoloso.- dissi attorcigliando una foglia tra le mani.

-Pericoloso? Perché mai?- disse quasi con tono beffardo. Sembravo una stupida dicendo quelle cose ma era semplicemente logica.

-Più siamo concentrati in un posto e più facile sarà per loro stanarci. È semplice.- alzai le spalle e guardai per l'ennesima volta i suoi occhi blu.

Mi ricordavano quelli di Andy. No, Andy lì aveva azzurro ghiaccio. Anderson invece lì aveva azzurro mare, molto più gradevoli. 
Ovviamente amavo quelli di Andy.

-Non fa una piega. Ma sai, senza questo campo solo un quarto della gente che si trova qui dentro sopravvivrebbe la fuori, da sola. Questo posto gli da sostentamento fino al giorno del giudizio. Prima o poi lasceremo tutti questa terra.- disse con tono amaro. 
E aveva ragione. Non c'era motivo per combattere ancora. 
Altri 1 - Umanità 0. Era elementare. Eravamo già spacciati.

Volevo tanto sapere la sua storia, perché era lì, se aveva ancora qualcuno, da dove veniva, cosa faceva prima dell'Arrivo. Avevo tante domande.

-Ehi Squalo! Oggi tocca a me con la bici, mi aiuti vero?- un dolce bambino dai capelli biondi e una salopette in jeans malandata, si avvicinò al ragazzo con un sorrisone. 
Mi fece sorridere. Era così piccolo.

-Certo puzzola, ora va ad annaffiare altrimenti niente bici.- gli scompigliò i capelli prima di lasciarlo andare. 
-Squalo? Perché ti chiama così?- chiesi alzando un sopracciglio.

-In realtà in molti mi chiamano così, non solo Hemmet. Sono sopravvissuto alla Seconda Onda, l'unico della mia città. - disse in modo diretto facendo scomparire il sorriso dal suo viso.

-Mi trovavo sul palazzo più alto della città. Osservavo tutti e tutto mentre andavano a fondo, senza riuscire a mettersi in salvo. Mi sentivo molto un predatore che osservava le sue prede. Ma non ero nulla del genere, anzi me la stavo facendo nei pantaloni. Da qui il nome Squalo, come il predatore.- disse battendo una sola volta le mani prima di alzarsi davanti a me. Era molto alto.

-La tua storia me la vuoi raccontare invece?- disse avvicinandosi ancora un po'. 

-Ora non ho tempo devo controllare loro.- dissi indicando i ragazzini con il mento.

-Non ti sto forzando. Ora, più tardi, fra due giorni. Quando ti sentirai pronta, io ti ascolterò. Abbiamo tutto il tempo del mondo, o forse no.-

E con questo uscì dalla tenda, portandosi via quel tepore di mistero.

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Nome: Anderson "And"/ Squalo

Cognome: Rowe

Compleanno: 13 Giugno (17 anni)

Segno zodiacale: Gemelli

Aspetto fisico: Alto, magro, capelli corti castano scuro e occhi azzurri. 

Carattere e curiosità: Anderson, o come si fa chiamare, Squalo è uno dei pochi sopravvissuti alla Seconda Onda nella sua città natale, Atlantic City. È un ragazzo molto misterioso, cupo delle volte, ma se lo si conosce meglio è un grande amico. Prima dell'Arrivo giocava nella squadra di football del suo liceo. È un nerd per eccellenza e ama esserlo. Dopo il liceo sarebbe andato ad alla Harvard University. Stringerà, inoltre un grande legame con i fratelli Miller e sarà tra i ragazzi scomparsi del campo.

   
 
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