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Autore: Francine    14/02/2018    11 recensioni
Peter non parlava, ma la sua espressione era eloquentissima: terrore puro, questo leggevi nei suoi occhi. Perché restare avrebbe significato crescere, e crescere avrebbe significato responsabilità. E le responsabilità, si sa, sono la zavorra che impedisce di volare, altro che la balla della polvere di fata.
Genere: Malinconico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Wendy Moira Angela Darling
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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★ “Questa storia partecipa all’iniziativa ‘You Raise Me Up - Love Songs Contest’
indetta da Fanwriter.it e Torre di Carta”.
★ Prompt: 15 – “Dream a little dream of me”
★ Numero parole: 830


 
Anche solo per mezz'ora

 
 
Say nighty-night and kiss me.
Just hold me tight and tell me you'll miss me.
While I'm alone and blue as can be,
Dream a little dream of me.

(Dream a little dream of me, Fabian Andre / Gus Kahn / Wilbur Schwandt, 1931)
 

 

 
«Devi proprio andare?»
Gli occhi di Peter erano smarginati, quella sera. Più grandi e dolci e bisognosi di quanto non fossero mai stati. Resta, ti stavano dicendo – ti stavano implorando – e tu avresti voluto accontentarlo, ma non potevi. Vivere sull’Isola che Non C’è è come passare le vacanze a Bath; si tratta di un periodo, di una parentesi, di una manciata appena di giorni. Ma, prima o poi, dobbiamo tornare alla vita vera. È questo a renderle così preziose e a farci sopportare il grigiore dell’inverno.
«Sì», hai risposto, posando i tuoi piedini sul davanzale della finestra. Ancora non sapevi che avresti passato i prossimi anni a sfogliare margherite per sapere quando – se – lui sarebbe tornato. «Ma potresti restare tu con me», gli hai proposto, spingendo all’indietro il battente della finestra e mostrandogli la tua stanza con un gesto della mano. Non la dividevi più con Michael e John. Eri una signorina. Una signorina che stava aspettando la risposta di Peter contraendo le dita dei piedini che spuntavano da sotto l’orlo della camicia da notte.
Peter non parlava, ma la sua espressione era eloquentissima: terrore puro, questo leggevi nei suoi occhi. Perché restare avrebbe significato crescere, e crescere avrebbe significato responsabilità. E le responsabilità, si sa, sono la zavorra che impedisce di volare, altro che la balla della polvere di fata.
«Non… non posso», ha detto. Allontanandosi da te. Mettendosi a distanza di sicurezza dalle tue dita sottili, nemmeno potessero ghermirlo come gli artigli di una strega. «Magari l’anno prossimo, eh?»
«Certo. Magari», hai ribattuto, stanca, ché il viaggio era stato lungo e le sue parole erano state più dolorose del pugnale che portava appeso alla cintura. «Adesso devo andare», l’hai salutato, entrando dalla finestra e posando i tuoi piedi sul pavimento.
La sua mano si è fermata sul tuo polso.
«Tornerò a prenderti», ha sussurrato Peter, così vicino che il cuore t’è balzato in gola. E poi, rapido come un passero che frulla le ali, ha posato le sue labbra sulle tue in un bacio intenso e impacciato, come avrebbe fatto un fidanzato e non un figlio devoto, mentre la luna in cielo si stropicciava gli occhioni osservando compiaciuta la scena.
«All’anno prossimo, Wendy», ed è stato un sussurro di vento quello che ti ha accarezzato le guance deliziosamente rosse, come una mela matura che occhieggia tra i rami dell’albero.
«All’anno prossimo, Peter», hai mormorato in risposta osservando la sua scia luminosa puntare verso la seconda stella a destra, il cuore che batteva come un tamburo impazzito dentro il tuo petto da uccellino.
«All’anno prossimo», hai ripetuto, sentendoti all’improvviso sola, le dita attorno alle tende e il muso di Nana a consolarti.
Tornerà?, le hai chiesto, con una goccia di dubbio ad offuscare la speranza che ti aveva lasciato quel bacio. Nana ha scodinzolato, paziente, ed insieme siete rimaste ad attendere l’alba, e a sfogliare i giorni del calendario.
Ma Peter non è più tornato a prenderti.
E stasera, ignorando una cartolina che occhieggia dalla toilette, lo sguardo azzurro puntato sulla seconda stella a destra, spazzoli i lunghi capelli che, durante il giorno, tieni raccolti in una complicata acconciatura alla francese.
Non verrà nemmeno stasera; eppure, una piccola parte di te – quella che non vuole decidersi tra Llewelyn Davies e Paul Couling – ancora spera che atterri sul tuo davanzale, tra i petali delle margherite che sfogli in attesa di qualcosa, anche che lui torni e ti dica “Sai, Wendy, mi sono sposato con Giglio Tigrato”.
Almeno non aspetterei in eterno. Sei cresciuta ancora, ti sei fatta più flessuosa, ti è spuntato il seno. Ma se ti vedesse adesso, il bocciolo di donna che sei divenuta lo farebbe restare?
Servirebbe?, ti chiedi, osservando il tuo riflesso sul vetro della finestra. Gli ultimatum sono stupidi. «Non servono che a far precipitare le cose, a far scappare gli uomini», dice sempre tua madre. Eppure, il tuo cuore di ragazza ha sperato che funzionasse, raccogliendo il primo, grande dolore della tua vita sentimentale, la prima, amarissima, lezione.
Peter non verrà.
«Il primo amore non va mai a finire bene», sentenziava giusto stamane la fantesca parlando con una sua amica, la cesta della spesa sottobraccio. «Restano solo i cocci e le lacrime», ma su questo non concordi. I ricordi dei tuoi giorni sull’Isola che Non C’è sono scintillanti e caldi e preziosi più delle pietre di quell’anello mozzafiato che brillava al dito della signora Sylvia Frampton. Sono ricordi di un’estate passata, cartoline da inserire nell’album dei ricordi ed affrontare l’autunno che avanza, e a cui tornare, di tanto in tanto, quando monterà l’onda scura della melanconia.
Il primo amore non si scorda mai, giusto?
Così posi la spazzola, tiri le tende e ti nascondi sotto le coperte. Buonanotte, Peter, pensi, ché se siamo fatti della materia di cui sono fatti i sogni, forse è in quel regno che vi rincontrerete. Senza obblighi, senza responsabilità, senza ultimatum. Solo tu. E lui. In un sogno che non c’è. Fai bei sogni. E sognami almeno un poco. Anche solo per mezz’ora.
   
 
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