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Autore: EffyLou    14/02/2018    1 recensioni
Johann Trollmann è un pugile, beniamino del popolo tedesco negli ultimi anni della Repubblica di Weimar.
Indisciplinato, imprevedibile, borioso. Non sono i suoi difetti più grandi. Johann Rukeli Trollmann appartiene ad un popolo scomodo: è uno zingaro. Conquista le platee di Germania e fa innamorare le donne tedesche.
Nella sofferenza che porterà il Nazismo, il suo unico punto fermo e pilastro incrollabile è Frieda. Johann tocca l'apice e il fondo, assaggia il successo e la disperazione, conosce la serenità e la guerra. La derisione nazista si scontra con l'orgoglio di uno zingaro, che proprio non vuole saperne di abbassare la testa a quelle umiliazioni.
C'è solo un modo per far tacere quell'anima in rivolta: ridurlo ad un numero e darlo in pasto al Porajmos, l'Olocausto del popolo zingaro.
- - - - - -
I veri combattenti non temevano la loro ultima battaglia, e se c'era una cosa che Rukeli aveva sempre fatto, era dimostrare di non temere neppure il Diavolo. Neppure il Nazismo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Novecento/Dittature, Olocausto
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Es wird ohne dich kalt 
 

 
Quella sera avevano cenato presto. Poi si erano seduti sul tappeto di fronte al camino acceso, Ulma accoccolata lì vicino.
Si erano messi a fare un puzzle con un centinaio di pezzi. Le manine di Rita che cercavano di incastrare i componenti, Johann che rideva e l’aiutava spiegandole con dolcezza dei lati combacianti.
Frieda li guardava. Guardava suo marito, pieno d’amore e affetto nei confronti della figlia. Lo guardava come la toccava con delicatezza, come se avesse paura di romperla, come le spiegava le cose in tono dolce e paziente.
Rita era innamorata del suo papà. Come non poteva? Johann si faceva volere bene da tutti. Donne, uomini e bambini. Per questo Frieda non riusciva a capire coloro che lo disprezzavano. Era un uomo dal cuore d’oro, grande e puro. Nonostante tutte le umiliazioni subite, tutte le cattiverie, Johann non credeva nella malvagità. Non credeva che nei cuori di alcune persone si annidasse il male più nero e non capiva come qualcuno avesse scatti di cattiveria gratuita. Lui non credeva nell’esistenza del male, della cattiveria. Era questo il suo problema, la sua innocente ingenuità. Era come un bambino, genuino e onesto. Frieda amava quel suo lato così puro.

«La luna è grande. M-ma però l’altro giorno era piccola» commentò Rita, distogliendo la madre dai suoi pensieri.
Si era resa conto di star fissando Johann, così intensamente che lui si era voltato e ricambiava lo sguardo. Ma lei era così presa che lo guardava senza vederlo. Le aveva fatto un sorriso sornione, lei era arrossita.
«Lo sai perché? – fece lui. – Perché suo figlio sta dormendo»
«Il figlio di chi?» domandò la moglie, di getto.
«Della luna»
Rita e Frieda lo guardarono interrogative. Johann si alzò, prese in braccio sua figlia e la avvicinò alla finestra, mostrandola alla luna. Fuori faceva freddo, non voleva portarla sul balcone come quando era piccola e gli si addormentava in braccio.

«Una volta c’era una ragazza. Era come me: pelle scura, capelli scuri, occhi scuri. Era innamorata di un ragazzo della sua comunità, ma lui non la ricambiava. Allora lei è salita in cima ad una collina, una notte che la luna era grande come quella di stasera. Cominciò a piangere, fino all’alba, implorando la luna di sposare quell’uomo».

Rita lo ascoltava rapita, gli occhi fissi sul satellite luminoso nel cielo senza stelle rischiarato da quella luce pallida.
Anche Frieda era rimasta come paralizzata, ascoltando quella storia. Non sapeva se Johann la stesse inventando. Lo faceva sempre, a volte Rita gli faceva domande a cui lui non poteva rispondere in modo realistico, e inventava storie.
Come in quel momento. Non poteva dirle che la luna era un grosso sasso che non emetteva nemmeno luce propria e che i suoi cambiamenti erano frutto di una rotazione rotazione. Avrebbe distrutto la magia, per questo inventava storie da raccontarle: per amplificarla, mai smorzarla.
Riprese a parlare. La voce bassa, vellutata. Le espressioni del volto che mutavano in base alla scena che raccontava, come se recitasse.

«La luna le parlò dal cielo: “Avrai il tuo uomo, zingara. Ma in cambio voglio il primo figlio che avrai da lui”. La ragazza sapeva che la luna le stava chiedendo il suo bambino per non stare più da sola. “Luna, tu vuoi essere madre ma non puoi in quanto non sei una donna” le disse la ragazza. “Dimmi, luna di platino, cosa speri di ottenere da un bambino gitano?”.
«Ma l’accordo venne fatto comunque. I due si sposarono, lei aspettava un bambino.
«Da genitori gitani, scuri come me, nacque un bambino con la pelle bianca come il latte, invece che nocciola. Gli occhi grigi, invece che neri come carboni. I capelli bianchi, invece che neri.
«Era troppo diverso dai suoi genitori, non poteva essere figlio loro! Il padre si arrabbiò, accusò sua moglie di tradimento. Si sentì disonorato. “Di chi è questo bambino? Tu mi hai tradito!”, urlò contro di lei. Prese in braccio il piccolino, andò fino alla collina dove tempo prima la ragazza aveva pregato la luna. Abbandonò lì suo figlio. La luna aveva ottenuto ciò che voleva, come da patto. Era diventata madre di un bambino che non era il suo e non aveva messo al mondo lei. Da quel momento, la luna fu molto occupata con questo piccolino. Quando la luna è grande così, come quella di stasera, vuol dire che il bambino sta dormendo ed è tranquillo, e lei può illuminare le serate degli uomini; se invece il bambino piange, la luna prende la forma di uno spicchio, si abbassa, per fargli una culla».

A Rita la storia era piaciuta, ma non fece rumore perché non voleva svegliare il figlio della luna. Andò subito a dormire anche lei, fingendo che il suo lettino era la il satellite che la cullava.
Johann e Frieda restarono seduti sul tappeto a sistemare i pezzi di puzzle nella scatola, Ulma riposava.
La storia aveva molto colpito sua moglie. C’era qualcosa di terribilmente sbagliato. La ragazza gitana aveva fatto un patto che prevedeva l’abbandono di un figlio, pur di avere l’uomo che amava. Aveva fatto un patto così doloroso ed era stata accusata di tradimento. Era ingiusto.
«L’hai inventata?»
«No. Questa volta no. – rispose, piano. – È una leggenda dei kalé spagnoli, ma ha viaggiato per l’Europa e ci ha raggiunti tutti, rom, sinti, romanichals. Tutti. In realtà, nella storia originale, lui era talmente accecato dalla rabbia per il presunto tradimento che ferì a morte la moglie con un coltello. Ai bambini di solito non viene mai raccontata correttamente, si racconta come ho fatto io per ovvi motivi. E pensare che certe cose potrebbero accadere tutt’ora».
Frieda sentì una morsa al cuore. Era una leggenda tremenda. Ed era tremendo il fatto che, come aveva detto Johann, certi equivoci dovuti all’ignoranza erano ancora possibili.
«Ti è piaciuta?» le domandò, con un sorriso dolce.
«È una storia forte, ingiusta»
«Nessuna storia d’impatto fila liscia senza ingiustizie» le fece notare, con una punta d'amara ironia.
«Già... Da ora Rita non guarderà più la luna allo stesso modo».
E Frieda aveva ragione. Per tutta la sua infanzia, Rita avrebbe guardato la luna e avrebbe pensato a quel bambino abbandonato sul monte da suo padre, sentendosi vicina a lui per l’assenza di un papà. Ma non avrebbe avuto idea del perché conoscesse quella storia.
Johann abbassò gli occhi. «Andrò via. Per un po’, come mi hai detto. Però… come faremo?»
«Tu dove pensi di andare?»
«Nella foresta di Teutoburgo. Ci sono alcuni sinti, lì, e non è molto lontana da Hannover».
Lei annuì, piano, e si alzò con la scatola del puzzle per riporla su una mensola, vicino alcuni libri.
«Quando?»
«Stanotte, prima vado e meglio è».
Frieda annuì di nuovo, appoggiandosi al bracciolo del divano mentre lui si alzava e si avvicinava. Lo vide titubante, come se non sapesse come comportarsi. Le sfiorò le dita, la mano, il braccio fino a risalire sul viso e accarezzarle gli zigomi con i pollici.
Le fece un sorriso incerto: «È stata una tua idea, eh» le ricordò bonario.
Lei sospirò e gli scoccò un’occhiata di vago rimprovero. «Lo so. Troverò il modo di contattarti»
«Non lasciarmi lì»
«Cercherò di fare in fretta. – rispose, determinata, poi però sorrise sorniona. – A meno che non mi piaccia stare senza di te»
«Sono sicuro che accadrà. - replicò, dandole un piccolo bacio sulle labbra. – Così come a me piacerà stare senza di te»
Frieda ridacchiò, allacciandogli le braccia intorno al collo. «A questo punto perché abbiamo cominciato a convivere e ci siamo persino sposati?»
Johann strofinò la punta del naso sul suo. «Ci annoiavamo. – sorrise divertito. – E adesso smettila di baciarmi il collo, bambina, altrimenti finirà che ti prendo su questo divano e non me ne vado più, e avevo in programma di filarmela prima dell’alba»
«Farà freddo senza di te» sussurrò con un sospiro lieve, poggiando la testa nell'incavo del suo collo.
Le baciò la fronte. «Non potrà piovere per sempre, Frieda, sarà difficile dividerci per tutto quel tempo»
«Cosa dirò a Rita?» sospirò lei.
«L’idea è stata tua, non ci hai pensato? – ridacchiò. – Beh potresti dirle che sono andato ad aiutare il popolo del bosco, gnomi, elfi silvani, fate»
Frieda sollevò le sopracciglia. «Fantasioso»
«Fiabesco. – la corresse. – Ai bambini piace. Rita ha due anni, ci crede in queste cose ancora»
«D’accordo, va bene»
«Tu ora va’ a dormire, mro vòci. Non aspettare sveglia che me ne vada, è tardi».
Lei annuì a si scostò da Johann per avviarsi verso la camera da letto. Si infilò sotto le coperte e strinse tra le braccia il cuscino del marito, inspirando quel profumo che ormai conosceva così bene.
Scivolò presto nel dormiveglia. Un dormiveglia lieve, che le permise di sentire attraverso il velo del sogno, movimenti leggeri nella camera. Ante che si aprivano, la zip di uno zainetto, frusciare di vestiti. Labbra calde che si posavano prima sulla sua spalla, poi sulla sua tempia, baci lenti dal retrogusto malinconico.
La porta di casa che si richiudeva piano e una lacrima che bruciava solcando le guance.
 
 
* * * * *
 
 
Johann tagliò la corda, si nascoste tra i sinti che attraversavano la foresta di Teutoburgo, tra la Bassa Sassonia e la Renania-Vestfalia. Era arrivato fin lì saltando sui camion da trasporto merci, nascondendosi di cassone in cassone.
La foresta aveva un aspetto quasi tetro, macabro e oscuro, in molti punti. In altri sembrava il paradiso terrestre. Per trovare i sinti della foresta gli ci volle un po’, ma fu accolto subito come un fratello. Qualcuno lo riconobbe come Gipsy.

Johann aiutava gli altri, giocava con i bambini e insegnava loro qualcosa di boxe. I sinti della foresta usavano molto i cavalli, stando con loro per quei mesi si riavvicinò al maestoso animale. Gli sembrava d’essere tornato alle sue radici, e il pensiero tornava inevitabilmente a casa, da Frieda e Rita.
C’era un bambino, in particolare, a cui si era affezionato. Si chiamava Tankred, come suo nipote. Era un tipetto malinconico, Johann andava a dargli fastidio per farlo giocare e fargli togliere quel muso lungo.
Rukeli dormiva nella carovana di un uomo più grande di lui, di nome Riek. Aveva un incisivo d’oro, la barba incolta e un cespuglio di capelli neri. L’incarnato più scuro di quello di Johann, e le sopracciglia folte e rettangolari. Amava l’alcool e il suo cavallo Gas. Alla domanda del perché questo nome, aveva risposto con una risata sguaiata: «Perché è uno scorreggione!»

La sera, prima di dormire, parlavano molto di ciò che avrebbero voluto fare e cosa avevano fatto invece. Riek veniva da Hannover come Rukeli, voleva diventare burattinaio ma la sua fidanzatina morì durante la breve epidemia di peste che colpì la città vecchia nel 1926. Da allora si buttò sull'alcool e non riuscì a combinare niente della sua vita. Johann ricordava quell'anno, come poteva dimenticare? Da sempre la città vecchia era in condizioni disumane ed era facile morire in quell'ambiente. Anche un'amica di Rukeli morì di peste in quell'anno, aveva solo diciannove anni.
 Il pomeriggio, a volte, Riek si faceva insegnare qualcosa di boxe ma poi finivano a fare una lotta senza regole.

Aveva imparato quali bacche si potevano mangiare, quali invece erano velenose. Riek gli insegnò a sparare con il fucile, per prendere qualche lepre o qualche cervo da mangiare. «Eri un pugile o un maledetto cecchino? Dannazione, Rukeli!» gli urlava, e l’altro scoppiava a ridere.
Agli uomini spettava la caccia e la raccolta delle bacche, i ragazzi adolescenti dovevano andare a raccogliere la legna. Le ragazze aiutavano le donne con le faccende dell’accampamento. I bambini giocavano, qualcuno imitava il cinguettio degli uccelli.

La sera dopo cena le anziane zingare si radunavano intorno al fuoco con i bambini, raccontavano loro le vecchie favole che si tramandavano. Non aveva mai sentito quelle storie. Erano diverse da quelle tra i sinti di Hannover. A volte, finite le storie, ballavano sulla musica di chitarre, violini e tamburelli. Musica che si disperdeva tra gli alberi, fili di fumo del fuoco che ascendeva alle fronde, alle stelle.

Stelle. Lo diventeremo tutti, un giorno.





 
Bentrovati! Chiedo scusa per questo grande ritardo, non ho avuto tempo per mettermi al computer e correggere/postare. 
Questo è un caso, poiché oggi non avevo praticamente nulla da fare e ne ho approfittato. È un capitolo... di passaggio, credo che potrei definirlo così. Nonostante non abbia ricontrollato con chissà quanta attenzione e scritto con un po' di superficialità, ho voluto comunque postarlo. In fondo questa storia sarà soggetta a una revisione, questa versione (nonostante sia la terza che che scrivo, sì giuro) deve essere corretta e rivista, ma mi piace e mi convince perciò non saranno grandi le modifiche.
Sto prendendo in considerazione di aumentare un pelino il ritmo della narrazione, e arrivati circa a metà della storia immagino che una volta completa avrà tra i 60 e i 70 capitoli. Sarà parecchio lunga, lo so, ma scriverò anche ciò che accade dopo, oltre la storia di Trollmann - ovviamente sarà una parte molto breve e inventata.

Insomma sì, mentre voi festeggiate San Valentino, Johann e Frieda si separano.
Il periodo in cui Johann scappò nelle foreste di Teutoburgo viene confuso con un periodo precedente. Qualcuno dice che si rifugiò nella foresta solo con un cavallo, qualcun altro dice che trovò asilo tra una comunità di sinti che attraversava la zona, appunto. Ho preso in considerazione quest'ultima opzione, che mi sembrava più verosimile. Ma non è la prima volta che capitano queste confusioni nella sua storia: la tradizione zingara è esclusivamente orale, e spesso le cose vengono dimenticate o confuse. Fortunatamente la storia di Johann è "recente", abbastanza da essere ricordata piuttosto precisamente nonostante alcune confusioni. 

Detto ciò, se volete lasciarmi la vostra opinione sul capitolo o sulla storia in generale, sono tutta orecchie e sarò ben felice di accogliere qualsiasi cosa! Basta un feedback, insomma hahah
Buon San Valentino, alla prossia ♥


PS: la leggenda raccontata da Johann all'inizio viene davvero da una "favola" dei kalé spagnoli.
Un gruppo spagnolo ci fece anche una canzone, ve la lascio: .




 
   
 
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