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Autore: _FindingWonderland_    14/02/2018    0 recensioni
Raccolta di miei racconti
Genere: Generale, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Dedicato alla mia migliore amica

 

Jay’s non era uno dei locali più influenti, ma, per gli studenti universitari chini sui libri, o per quelle persone che avevano un disperato bisogno di tranquillità, era perfetto. L’ambiente non era eccessivamente grande, forse venti coperti; le pareti erano dipinte di un leggero blu cobalto, il bancone ad angolo alla destra dell’entrata era di color grigio chiaro, così come i posti a sedere. 

Alla sinistra troneggiava un divano grigio scuro con penisola e, davanti, un tavolino basso. 

Se il sofà e la maggior parte dei coperti erano occupati sempre da tante persone, un tavolino in particolare veniva riservato sempre allo stesso cliente: un autore di romanzi gialli, il quale usufruiva di quel posto più isolato e silenzioso degli altri per trovare la giusta ispirazione. 

Anche in quel pomeriggio uggioso e piovoso, lo scrittore era lì seduto con il computer dinanzi a sé. Il locale era al completo, quando una giovane donna senza ombrello entrò, strizzandosi i lunghi capelli e sfilandosi l’umida felpa, attaccandola all’appendiabiti lì vicino. 

Avvicinatasi al bancone, la proprietaria del Jay’s si asciugò le mani sul grembiule, accostandosi al banco per prendere l’ordinazione. 

«Una cioccolata calda, grazie» Jay, l’anziana, guardò meglio chi aveva davanti identificandola poi come Camille, colei che frequentava regolarmente il suo locale. 

«Ci vuoi anche i marshmallow, tesoro?» Camille interruppe la sua ricerca di un posto a sedere per rivolgere la sua attenzione, alla donna che aveva appena parlato. 

«Ehm, sì grazie» rispose annuendo, e Jay le allungò la tazza alta, larga e di un verde smeraldo, consigliandole un po’ di relax. 

Quei cento metri quadrati non erano esattamente chiassosi in quel pomeriggio, ma il leggero chiacchiericcio e le risate di una cerchia di tavolini in particolare erano più che udibili. Lo sguardo della nuova arrivata saettava da una parte all’altra della stanza senza trovare posto neanche per lanciare una moneta, finché non adocchiò l’unica sedia libera accostata ad un tavolo occupato da un uomo, il quale digitava freneticamente sulla tastiera di un computer sgangherato. 

«Posso sedermi?» l’interpellato fermò il veloce battere sui tasti ed alzò lo sguardo verso colei che gli aveva rivolto la domanda: davanti a lui era presente una ragazza che non superava i venticinque anni; capelli rossi naturali, bagnati, occhi grandi e verdi, naso piccolo, labbra piene; indossava una maglietta, un jeans ed un paio di stivaletti bassi, tutto rigorosamente nero e, ovviamente, fradicio; al collo portava un ciondolo d’argento a forma di dragone cinese. 

«Non puoi cercarti un posto tutto tuo?» il sopracciglio tirato verso l’alto ed il tono di voce saccente fecero innervosire la rossa, la quale, del tutto indifferente ai modi di chi aveva davanti, si sedette senza cerimonie, sistemandosi i capelli bagnati in uno chignon disordinato. 

«Temo tu abbia preso il mio invito ad allontanarti come un ‘accomodati, prego’» continuò lui indignato, abbassando lo schermo del portatile. 

«A me non interessa quello che dici, se io voglio sedermi qui, siccome non c’è nessun altra sedia libera, io lo faccio e non ho bisogno del permesso di un pinguino in giacca e cravatta» detto ciò, la tazza di cioccolata andò a posarsi delicatamente sulle labbra rosee della ragazza con un temperamento degno di nota. 

L’uomo fece una risatina per nascondere l’indispettire che quelle parole audaci gli avevano smosso. 

«È il tuo solito modo di fare quello di aggredire le persone per ottenere ciò che vuoi?» la tazza fu posta nuovamente sulla superficie piana, una gamba fasciata da un jeans scuro bagnato fu accavallata, e delle braccia magre di un colorito pallido furono appoggiate sui braccioli della sedia. 

«Potrà non essere uno dei migliori approcci, ma funziona, a quanto pare» il tono era fiero ed un sorriso sghembo prendeva posto sul viso di lei. 

«Allora va bene, vuoi rimanere qui? Devi fare silenzio e lasciarmi lavorare» si arrese lo scrittore, riaprendo il computer e rileggendo ciò che aveva scritto in precedenza. 

Camille annuì e, sorseggiando la sua cioccolata calda, osservava l’uomo di fronte a lei intento ad analizzare attentamente il documento di word: i capelli corti e brizzolati, gli occhi quasi neri dietro gli occhiali spessi e quadrati, il naso lungo, le labbra sottili, gli zigomi bassi; indosso un completo a righe grigio. 

«Smettila di fissarmi, è fastidioso» non aveva neanche alzato gli occhi dal portatile. 

«Tu con me hai fatto la stessa cosa!» l’uomo la guardò per qualche secondo, poi abbassò nuovamente lo sguardo. 

«Non ci siamo presentati, io sono Camille» sorrise. 

«Non te l’ho chiesto, Camille» ella sembrò afflosciarsi come un soufflé uscito male, infatti abbassò lo sguardo e cominciò a giocherellare con il bordo della tazza di cioccolata, ormai quasi finita. 

Lui sospirò, sentendosi un po’ in colpa per aver ignorato l’unica frase cordiale uscita da quella bocca larga. 

«Mi chiamo Thomas» la rossa parve animarsi di nuovo. 

«Thomas è un po’ da vecchi, ti spiace se ti chiamo Tom?» ed ecco che l’impertinenza riaffiorava... 

«Ti sembro un ragazzino? E non osare chiamarmi in altri modi che non siano ‘Thomas’ o ‘Signor Thomas’» lo scrittore non stava più lavorando, ma perforando il cranio della ragazza con lo sguardo, la quale si era fermata alla prima parte della frase, focalizzando la sua attenzione ad una questione: “quanti anni avrà Thomas?”.

«Secondo me i cinquant’anni non li superi, Tom» l’espressione dello scrittore passò da irata a sorpresa in un batter d’occhio. 

«Ma hai sentito ciò che ho detto, ragazzina?» questa si accigliò. 

«Ho ventiquattro anni, smettila di appellarti a me in quel modo!» esclamò irritata;

«Io ne ho quarantasette, perciò smettila di rivolgerti a me con abbreviazioni infantili» i due adesso si stavano scrutando attentamente fra loro, non emettendo neanche un suono. Un minuto dopo, senza né ‘a’ né ‘b’, Thomas ricominciò a digitare e Camille a bere e guardarsi intorno. 

«Che stai scrivendo?» la curiosità aveva avuto la meglio sulla ventiquattrenne. 

«Lavoro» rispose lui, concentrato. 

«Che tipo di lavoro?» per i gusti dell’uomo, la ragazza era veramente troppo fastidiosa. 

«Sto scrivendo un romanzo giallo» forse se l’avesse informata subito avrebbe evitato fastidi aggiuntivi. 

«Uh, mi piacciono i racconti gialli. Com’è il caso?» Camille si era alzata ed aveva accostato la sua sedia vicino a quella del quarantasettenne, pronta ad ascoltare ogni minimo dettaglio. Thomas sospirò. 

«Ma tu sei sempre così insistente?» chiese togliendosi gli occhiali e massaggiandosi le tempie. 

«Solo se qualcosa mi interessa davvero» annuì contenta. 

«Lieto di essere un soggetto di tuo piacimento. Comunque, il caso racconta di una ricca donna trovata morta in un appartamento di un quartiere popolare» raccontò orgoglioso lui. 

«Sei sicuro di voler scrivere questo?» l’orgoglio si smontò facilmente dopo quelle parole. 

«Come scusa? Certo che sono sicuro, è il mio romanzo!» esclamò indispettito l’uomo. 

«Non dico che non mi piaccia, solo che è un po’ banale; alla fine scommetto che è stato o il figlio o il maggiordomo e tutto per l’eredità» il povero Thomas rimase esterrefatto e non poté far altro che pensare al fatto che, se alla conclusione ci è arrivata una ventiquattrenne senza leggere nulla, figuriamoci un lettore medio immerso nel racconto!

«Scusa Tom, non volevo rattristarti, ma meglio atterriti mentre si scrive, che dubbiosi dopo aver pubblicato» non voleva rovinargli l’operato, ma tacere quando poteva dire che qualcosa non andava? No, mai. 

«Lavoro su questo libro da mesi ed in molti hanno sentito o letto la trama, ma nessuno ha mai detto nulla» Thomas, non si stava realmente rivolgendo a Camille, infatti era piuttosto assente e stava, per lo più, parlando con se stesso. 

«Ho sprecato sei mesi di lavoro e ho solo altri sessanta giorni prima della consegna: sono nella merda!» aveva spostato il computer in avanti, aveva poggiato i gomiti sul tavolino ed infilato le dita nei capelli brizzolati. 

«Su, Tommy, non ti disperare! Due mesi sono formati da tante ore, ce n’è di tempo per lavorare» lo incoraggiò la rossa, calcando sul nomignolo. 

«Tu non sai cosa vuol dire scrivere sotto una breve data di scadenza. Non sai cosa vuol dire cercare di scrivere qualcosa che possa lasciare un segno, qualcosa per cui essere ricordati. Io voglio essere grande!» gli occhi scuri dell’uomo stavano fissando la ragazza con un misto di rabbia e sconfitta. Camille lo osservò per qualche altro secondo, per poi avvicinarsi al viso dell’autore al suo fianco e dire

«È questo il tuo problema, Thomas: è anche il solo pensare di scrivere un capolavoro, un qualcosa che tutti dovranno amare e venerare, ma non è così che funziona, mio caro scrittore: sai qual è il vero segreto di un libro di successo, di un Best Seller?» gli occhi di lui luccicavano. 

«No, non lo so» sul volto di Camille spuntò il sorriso di chi aveva capito tutto dalla vita. 

«Un libro diventa un buon libro solo quando chi lo ha scritto ne è convinto» Thomas rimase fermo a pensare e neanche notò che la giovane rossa si era alzata e lo aveva salutato, appena prima di salutare Jay ed uscire dalla porta. Che Camille avesse ragione? 

 

                                             Due mesi e mezzo dopo 

Era un tranquillo mercoledì pomeriggio da Jay’s e Camille era appena entrata nel locale per la sua solita cioccolata calda. 

«Ah Camille, finalmente» l’anziana signora parve illuminarsi appena la ragazza giunse. 

«Oggi un cliente ha portato questo per te, ha detto di fartelo avere il prima possibile» e con queste parole, oltre alla tazza smeraldina, le consegnò anche un pacchetto di grandezza media e di forma rettangolare. Camille ringraziò e prese il tutto, dirigendosi poi verso quello che era stato il suo tavolino nei precedenti settantanove giorni a quella parte; bevve un sorso e poi aprì il pacco dalla carta marrone. Un libro, “Lettere Dal Paradiso” di Thomas Lowel. Alla prima pagina una dedica, poche parole che la fecero sorridere:

“A Camille,

l’unica ragazzina che è riuscita a farmi uscire dal Labirinto degli scrittori: la banalità”

   
 
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