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Autore: Mannu    16/02/2018    0 recensioni
Malcant è un paesino di contadini, piccolo e modesto. La terra intorno al vulcano Maas trema, si spacca lasciando sfuggire fumo, gas velenosi, a volte zampilla anche lava incandescente. Ma è fertile e se coltivata con cura rende raccolti che ripagano delle fatiche e del pericolo costante. Tutto sommato la vita procede normale, calma e tranquilla, punteggiata solo dal lontano brontolare del cratere principale. Tranquillità destinata a terminare quando un giorno verso la fine dell'inverno la terra nuovamente si spacca e la lava ribollente forma un laghetto solo in apparenza simile ad altri già visti...
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aktha Demochye
6. Brutta da vedere, ma non cattiva

Li guardò fuggire, impotente. Abbassò la mano che aveva teso come per trattenerli, finendo con lo spaventarli di più. Era bastata la sua figura per scatenare il panico, come per il primo umano che aveva avuto la ventura di trovare ad attenderla all'uscita dal camino. Nonostante fosse stanco e denutrito era fuggito a gambe levate. La prossima volta non alzerò la mano, si ripromise.
I Prospettori le avevano indicato quel camino non solo perché di un vulcano attivo, che le avrebbe agevolato il rientro, ma anche perchè vicino a un piccolo insediamento. Sapeva che gli umani erano venuti più volte a contatto con la sua razza in passato, e sempre in modo piuttosto traumatico. Tali incontri avevano lasciato un profondo segno nella cultura popolare degli uomini. Negativo, per lo più. In cuor suo, da studiosa, sperava che i tempi fossero ormai maturi per iniziare un nuovo rapporto: pacifico, reciprocamente proficuo.
Era stata molto galvanizzata quando il Maestro era intervenuto presso il Consiglio per chiedere l'autorizzazione a stare nel Mondo Fuori. Non l'avrebbe mai detto che sarebbe stata autorizzata, e senza obbligo di camuffamento. Era chiaro che il Maestro e il Consiglio tutto si attendevano da lei la maturità sufficiente per non combinare guai. Oppure la pensavano come lei: era ora che si venisse a contatto con gli umani senza trucchi e senza sotterfugi.
Le era dunque spiaciuto molto d'aver spaventato l'uomo. Si era ripromessa di fare meglio all'incontro successivo, ma coloro che aveva trovato intenti a lavorare la terra (curiosa necessità quella umana: lavorare la superficie della terra per far crescere lentamente e faticosamente poco cibo) avevano avuto la medesima reazione. Sospirò, esalando una nuvoletta di fiato bianco davanti al viso. Faceva freddo da quelle parti. Il Maestro e i Tutori l'avevano avvisata che il clima era tutt'altro che stabile come a casa. Le avevano fatto assistere a una tempesta per prepararla un po' prima del viaggio da sola ma le era piaciuta. Aveva avuto freddo, sì, ma era durato poco e la tempesta con vento, pioggia sferzante (che gran stupore per l'acqua che cadeva dal cielo!), boati e fulmini era stata davvero divertente. E dire che gli umani temevano le tempeste! Se n'era chiesta la ragione, riproponendosi di indagare una volta in viaggio.
Ma quegli umani minacciavano di rendere il suo studio molto difficile: come avrebbe potuto far loro domande se nemmeno si lasciavano avvicinare? Doveva vincere secoli di pregiudizi verso la sua razza! Ecco, ecco cosa si attendevano da lei tutti quanti. Che tornasse sconfitta. I suoi studi avrebbero subìto una battuta d'arresto, la sua reputazione ne avrebbe risentito. A causa del fallimento le sarebbero state negate risorse, l'accesso alle scritture più importanti. L'avrebbero rimandata a ripassare le lezioni già seguite.
No, non sarebbe successo.
Io, Aktha Demochye farò tutto quello che posso per non tornare sconfitta. Questo viaggio non è un capriccio come qualche invidioso ha spifferato in giro, ma è meritato. E io lo dimostrerò.
Guardò i campi deserti, gli attrezzi abbandonati, le case vuote. Guardò il cielo: era così strano che i suoi occhi non incontrassero barriere rocciose quando volti in alto! Invero, non vi erano barriere affatto. Il suo sguardo era libero di vagare all'infinito. O fino alle nuvole, dato che il cielo era coperto e minacciava pioggia.
Inspirò di nuovo l'aria fredda e povera di gas (già si stava abituando, si sentiva molto meglio) e con ottimismo si incamminò di buon passo.
Giunse allegra e felice per aver potuto rimirare il paesaggio tutto nuovo e così estraneo, ma sentire da lontano quanto strillassero gli umani al suo approssimarsi le guastò la serenità raggiunta. In cima alla dolce salita già si scorgevano i bassi tetti delle prime case.
Una volta alle soglie del paese trovò solo porte sprangate, finestre sbarrate e silenzio. In mezzo alla strada quello che sembrava un fagotto di stracci era in realtà un umano raggomitolato. Si avvicinò, curiosa. Non poteva certo andare ad aprire le porte senza permesso. Poi sentiva che dietro le assi delle imposte, dai lucernai delle soffitte e dalle strette finestrelle delle cantine decine di occhi la spiavano. Poteva vederli: forme sfuocate per via del materiale che si frapponeva tra i suoi occhi e i paurosi umani nascosti. Erano tutti scappati in casa, lasciando sul terreno uno di loro. Forse lo avevano scelto come vittima sacrificale? Quale orribile rito pagano era permeato nella cultura di queste persone per far loro credere che lei fosse un demonio adirato da placare col sacrificio di una vittima? Davvero qualcuno di loro pensava che se lo sarebbe mangiato convinto che così avrebbe lasciato in pace gli altri?
Si rifiutò di crederlo. Non potevano essere così primitivi.
Dall'odore riconobbe lo stesso uomo che aveva trovato non appena uscita dal camino. Era sporco, puzzava di merda di almeno due tipi differenti ed era davvero malconcio. Non mangiava da tempo, era disidratato. Poteva chiaramente vedere che un osso della mano sinistra, portata a protezione della testa, era stato spezzato da pochissimo tempo. Aveva lividi e tumefazioni sulle braccia, sulle spalle, sulle gambe e anche sulla schiena. Da alcune ferite sanguinava e se non si fosse lavato presto si sarebbe infettato.
Cercò di convincere a parole che non era venuta per far del male a qualcuno, nella speranza che uscissero tutti e si predessero cura del loro simile.
Niente da fare. Li vedeva tutti lì, fermi dietro i loro ripari che si illudevano sufficienti a proteggerli, a spiare ogni sua mossa. Fermi, paralizzati.
Quindi prese la prima decisione importante: si chinò sull'umano in difficoltà e lo toccò per curarlo.
Senza una sfera sarebbe stato molto faticoso e poco efficace, ma meglio di nulla. Poi si sentiva davvero bene, forte come uno dei colossali Protettori a guardia dei passaggi strategici che portavano alla sua terra. Si sentiva in grado di spaccare una montagna a mani nude e non risparmiò energie per curare l'umano.
Quando fu soddisfatta interruppe il contatto e si drizzò guardandosi intorno alla ricerca di qualche reazione positiva. Non ne vide. Nemmeno dalle abitazioni più vicine, dove di certo chi spiava dalle fessure aveva visto bene cos'era accaduto.
Anche l'umano a un passo da lei si rimise in piedi. Deformato dal troppo cibo e dal troppo bere, barcollò un istante ma poi si mise bene in equilibrio per guardarsi intorno. Quando i loro sguardi si incrociarono gli sorrise dolcmente.
Per tutta risposta quello usò le energie che lei gli aveva appena infuso nelle membra per una fuga precipitosa e molto più efficace della precedente. In poco tempo fu lontano, lungo la via maestra, urlando di terrore.
Aktha ci rimase male. Si era attesa un po' più di gratitudine. Ci avrebbe messo del tempo a recuperare le energie spese per curare l'ometto grasso e puzzolente.
Poi accadde l'inatteso.
Alla sua destra la finestra più vicina si aprì. Una femmina umana la guardava come un coniglio terrorizzato, indeciso se rimanere ancora un istante o fuggire via a tutta velocità.
Si voltò verso di lei e le sorrise. Vide chiaramente la giovane umana perdere il controllo della vescica e inzupparsi fino ai piedi della propria paura. Ma non si mosse.
- Io non faccio il male. Faccio il bene – le disse ancora. Era la migliore del suo corso nella lingua di Elzer ma sapeva di doverla perfezionare ancora tantissimo.
Non ottenne risposta. L'umana, pallida in viso e tremante, era una muta sfidante. La più coraggiosa di tutti, l'unica che aveva osato mostrarsi. Ma non proferiva parola. Andava premiata.
- Io sono Aktha Demochye. Non sono pericolosa. Io so di essere brutta da vedere, ma non sono cattiva.
Aveva usato il tono di voce più dolce che poteva produrre. Se avesse parlato così a un amante lo avrebbe di certo molto invogliato. Ma quella umana rimaneva paralizzata. Senza nemmeno riflettere, Aktha crollò le spalle e con le mani si strofinò la pelle delle braccia. Alla lunga il freddo era fastidioso. I Tutori l'avevano messa in guardia dal freddo: avrebbe lentamente consumato le sue energie fino alla morte.
Stretta tra le sue stesse braccia in cerca di calore, Aktha trasalì. L'umana si stava muovendo, finalmente. Tremando si tolse dalle spalle uno degli indumenti che la ricopriva (sapeva che era grazie a quelli che gli umani preservavano la loro energia) e glielo tese. Attraverso la finestra aperta. I cuori le si scaldarono come pietra fusa nel petto, la sua gioia traboccò in un ampio sorriso. Si trattenne dal balzare incontro a quella mano tesa, a completare di slancio quel gesto unificatore e pacificatore. Misurando i passi, lenta e sorridente si avvicinò e teso il braccio a sua volta, badando bene a non toccare la mano dell'umana, ricevette l'indumento come se fosse la cosa più preziosa che avesse mai avuto in vita sua.
- Grazie! - disse ricordandosi d'un tratto cosa bisognava dire quando si riceve qualcosa in dono o in prestito. Accompagnò la parola con un accenno d'inchino, solo un accenno per non spaventare. Sapeva perfettamente che le corna in testa non erano una caratteristica degli uomini ma solo delle bestie, lì in superficie. Non era saggio agitarle troppo. Le sue splendide, adorate corna! Ora, con gli umani di mezzo, lavoravano contro di lei.
Armeggiò un poco, impacciata su come usare quel triangolo di morbido filo intrecciato a formare una maglia e decorato da fili di colori differenti e da frangette annodate alle estremità. Alla fine ci riuscì. La copriva meno di quanto coprisse l'umana ma era un inizio. Ne intuì subito le potenzialità come indumento termico. Se solo fosse stato più grande! Ma non è importante stare caldi adesso, si consolò.
   
 
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