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Autore: Arthalmia    16/02/2018    0 recensioni
Dieci anni fa, un incendio ha inferto al cuore di Fuyuki una ferita ancora aperta. Il Graal, col suo rovente abbraccio, ha lasciato al suo passaggio una scia di desolazione e morte… e parti di sé.
Uno di quei frammenti è finito in mano ai più grandi avversari dei maghi giapponesi: la Torre dell’orologio. Aiutati dagli Einzbern, che hanno visto l’occasione come una benedizione, gli inglesi hanno sfruttato la reliquia per creare il proprio Graal e la propria guerra. Cosa succederebbe dunque se sette nuovi Master, contemporaneamente a quelli di Fuyuki, combattessero per la coppa su suolo inglese?
Genere: Dark, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Emiya Shirou, Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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Luce cremisi.
Il pianto della notte mette in mostra uno spettacolo crudele.
La madre terra accoglie ingorda l'ultima scintilla del suo figlio
martoriato, straziato.
La natura geme.
Rossa di vergogna, la luna regala una tinta scarlatta agli ultimi secondi di lui.
E vermiglia è la terra e il cielo e l'aspro aere notturno.
Luce di lama che infilza la terra.

Lanciò il foglio stropicciato davanti a sé e questo, come controllato da una forza mistica, si arrestò a mezz'aria e si distese ai lati con schiocchi sordi.

- Noto un lieve miglioramento...
Non rispose. Era una frase offerta con voce gentile, quasi un complimento, ma non poteva ignorare il tono del Servant nello scandire quelle parole.
Sufficienza.
Dopo tutto quel lavoro. Dopo un'ora di estenuante combattimento per entrambi, un'ora di fatica per ottenere quello spettacolo. Solo un certo miglioramento?

Le mani incrociate dietro la schiena, fece qualche passo in avanti e osservò il defunto.

Era la vista più bella degli ultimi dieci anni, come minimo; non avrebbe mai immaginato che già al primo giorno della guerra del Santo Graal avrebbe avuto l'occasione di provare una simile gioia, una tale euforia nel petto mista a strabiliante serenità.

Si era impegnato in quella poesia, ma nemmeno così era riuscito a rendere appieno le emozioni che il corpo sventrato suscitava.
Aveva scritto che la luna era rossa di vergogna; non era del tutto esatto. Cosa non si sarebbe tinto di cremisi, con il sangue sgorgato da quell'uomo ormai cibo per vermi? La luna, il cielo... se fosse stato possibile, avrebbe affermato che gli schizzi avevano colpito Dio in persona.
Si chinò sul corpo come un bambino si inginocchia al parco ad osservare le lumache fra i fili d'erba.
Le interiora fuoriuscite dagli squarci nel ventre erano disposte attorno al mago in uno strano, confortante disegno di morte illuminato dai primi raggi di sole. Le toccò delicatamente: erano ancora calde.

L'odore di sangue era intenso, inebriante.
La maggior parte era fuoriuscita dalla carotide, l'arteria che aveva subìto il destino peggiore, venendo recisa di netto. Probabilmente la morte era sopraggiunta per soffocamento una volta che il liquido scarlatto era entrato nei polmoni...
Tuttavia, aveva avuto il tempo di soffrire.
Il volto dell'uomo che era stato un Master era congelato, a causa del rigor mortis, in un ghigno di terrore. Le sue urla suine si erano fermate solo pochi istanti prima di crepare.
A ripensarci una morsa gli attanagliava lo stomaco. Erano state la sola cosa che gli avesse davvero dato fastidio, durante tutto il loro confronto. Odiava il rumore. Lui stesso parlava il meno possibile.
Tutto ciò che di bello c'era al mondo era comunicabile, secondo lui, in poesia: era sufficiente scrivere su carta le emozioni giuste, le menti di coloro che erano degni e minimamente in grado di capire avrebbero tratto dal componimento tutto ciò che c'era da carpire. La parola era per gli stolti.
Quando una vittima gridava, implorava o bestemmiava il solo risultato che otteneva era rendersi destinataria di torture ancora più atroci. 

- Master... non voglio credere che mi ignori, ma l'assenza di una tua risposta non mi lascia dedurre altrimenti.

- Ma no, non ti ignoravo. Riflettevo solo su cosa fare di questo porco.

A pensarci bene, non ne conosceva nemmeno il nome. Sapeva solo, dal suo accento, che veniva dal nord Europa. Si era presentato nel posto sbagliato al momento sbagliato; lui e Assassin erano dentro casa, indisturbati. Stavano parlando proprio dei piani da attuare per la guerra del Graal, quando il Servant aveva captato la presenza di un suo avversario.
Non avrebbe neanche voluto scontrarsi con qualcuno a quell'ora della notte, ma non aveva avuto scelta. Quell'imbecille aveva spudoratamente dichiarato di aver scoperto ogni sua intenzione e futura mossa. Se avesse taciuto, probabilmente se la sarebbe cavata, almeno per qualche altra settimana.

Il mago non si era scontrato con lui direttamente, se si escludeva uno scambio di incantesimi offensivi poco prima della vera battaglia. Nessuno dei due era realmente interessato ad attaccare l'altro. Gli aveva subito sguinzagliato contro il suo spirito eroico e lui non aveva esitato a fare lo stesso, dopodiché si era goduto lo spettacolo nel più completo silenzio.
L'altro, invece, era profondamente irritante. Non troppo alto, non troppo magro, aveva il timbro di voce borioso e gioviale di chi generalmente ama solo godersi la buona cucina e sfogliare libri fra un pasto e l'altro. Non aveva fatto altro che decantare il proprio Archer con tono di scherno ogni volta che quel dannato famiglio metteva a segno un colpo decente. Non si era nemmeno penato di nasconderne il vero nome. Un mago indegno.

- Non lo lasciamo qui?

- Qualcuno potrebbe scatenare un putiferio se lo trovasse in un luogo come questo. Ho cercato di allontanarlo in vista del combattimento, ma da bravo maiale è stato pigro e stolto. Mi dispiace solo non aver potuto esaminare meglio il suo Archer. Tutto sommato, se fossi riuscito a strapparglielo sarebbe stato un buon supporto per te. - Rubare il Servant nemico era una buona idea, ma a quanto pareva le urla di paura di quell'essere non erano ben tollerate nemmeno dal suo Assassin. Ci aveva impiegato tre minuti a dipingere il quadro di morte che avevano davanti, una volta avuto campo libero.

- Non definirei scagliare due o tre frecce combattere, tsk... non ho nemmeno mai sentito il suo nome. Come si chiamava, Örvar Oddr? Un guerriero dal nome sconosciuto meritava di tornare alle ombre. Ah, se mio fratello fosse stato qui, lo avrebbe sistemato in ancora meno tempo! Lui era un vero guerriero. Uno spadaccino, il migliore. E' da lui che ho imparato quel che so e ho avuto il Noble Phantasm che ho usato prima.

Come al solito, si perse in uno sproloquio sulla sua famiglia d'origine. La devozione di quel particolare spirito a cose come le radici era ammirevole, doveva ammetterlo.
Aveva sentito una volta la storia di Oddr l'arciere, l'eroe norvegese dalle magiche frecce che poco prima aveva usato come arma nobile. Örvar Oddr, un tiro che una volta scagliato trapassa ogni armatura non abbia resistenza magica di rango A. 
Con una magia di comando del suo Master aveva potuto usarla tre volte. Uno spettacolo di luce, una cometa che indicava la via per l'aldilà a chi avesse la malasorte di incapparvi. Un vero peccato che il suo, di Servant, avesse resistenza massima pur essendo stato in vita un mago mediocre. Nessuno di quei due idioti era stato in grado di pensare di mirare a lui, al Master. Scrollò le spalle. Dio li fa...

Assassin aveva neutralizzato ogni loro difesa in poco tempo. Nemmeno lui sapeva il perché. D'un tratto, Oddr l'arciere si era accasciato a terra e l'energia magica percepibile nell'aria era calata di oltre la metà. Il resto era facilmente intuibile. Dopo aver fatto fuori lo spirito, uccidere il Master, un mago dotato ma senza dubbio impreparato a un simile scontro, era diventato oltremodo semplice. Quasi divertente, a giudicare dalle risa dello spirito eroico.

Ed ora, la notte aveva regalato loro, oltre a una visione magnifica, anche quel fardello di cui occuparsi. Rifletté sul da farsi. Rimase lì, fermo, con aria pensierosa e con lo sguardo accigliato, per circa cinque minuti, mentre l'alba conferiva al cadavere una nuova, bizzarra sfumatura di luce rosata.

- Devo seppellirlo. Mi occuperò delle formalità dopo - annunciò, destando il Servant, ancora in forma spirito, dai suoi dolci ricordi.

- Beh... come vuoi, va bene - commentò con disapprovazione.

- Non voglio fare vittime, non inutilmente. - Non ci sarebbe stato alcuno sfizio. -Tu starai di guardia al cancello, a badare che nessuno venga a curiosare. Ma prima...

Alzò la testa. Il suo foglio con su scritta la poesia era ancora sospeso in aria. Con una mossa fulminea, lo afferrò e lo strinse nel pugno fino a sentire le unghie oltre il sottile strato di carta.

- Sappi che ti farò rimangiare ogni tua presa in giro, Assassin, fino all'ultima parola. Te lo giuro sul mio onore.

***** *****

- Non è che mi convinca molto, sai? - osservò la giovane ragazza, mentre per la ventesima volta si rimirava nel grosso specchio che aveva di fronte, il volto perplesso. 

- E' la decima cosa che non ti convince... o l'undicesima. Hai voluto fare tu questa cosa, dovrai accontentarti - stabilì Eleanor. Erano salite nella sua stanza dopo una lenta e rilassante colazione, per procurare alla Servant qualcosa che non desse nell'occhio in giro per la città. Era stata Circe ad insistere su quel particolare, asserendo che aveva il diritto di vestire come una signorina del ventunesimo secolo "per una volta che era là".
Eleanor si era fatta convincere abbastanza presto. Cosa le costava, dopotutto? Non aveva piani per la giornata. Così come lei era piombata in un'era sconosciuta, quella ragazza aveva portato una ventata di novità anche nella sua, di vita. La vita di una pensionata... di una donna sola.

Circe aveva fatto quella speciale richiesta anche per motivi legati alla battaglia, ma una volta spiegatole i motivi, la donna aveva preferito apportare una piccola variazione al piano. Per quello si stavano trattenendo così a lungo nella spaziosa camera da letto, come due ragazzine intente a vestire le bambole.

- Perché è la decima o undicesima gonna a tubino che mi fai abbinare alla decima o undicesima maglia dai motivi stravaganti - ribatté lei, sarcastica. Poche volte aveva conosciuto un individuo simile: era capricciosa, testarda e superba. In poche parole il genere di allieva che alla Torre dell'orologio aveva sempre cercato di approcciare il meno possibile; solitamente anche quelle ragazze la evitavano. Caster sembrava diversa, però. Alternava quei momenti infantili a riflessioni molto mature. Tutto sommato stava iniziando ad apprezzarla vagamente.
Si portò un dito alla tempia. Eleanor soffriva di emicranie da un paio d'anni circa. Il suo corpo era fisicamente in ottima forma anche a causa dell'uso costante della magia, ma contro quelle non aveva potuto fare niente. La natura doveva in qualche modo chiedere il conto a tutti, forse?

- Erano i miei abiti di quando avevo circa la tua età. Non me ne sono rimasti molti, purtroppo.

- Certo che eri monotematica, Master. Ma davvero posso andare in giro vestita così? Non rideranno di me, vero?

- Sono considerati abiti eleganti oggi... - Si interruppe un attimo per il dolore alla testa. - Ma non credo avrai problemi...

- Qualcosa non va? Ho notato da ieri sera che ogni tanto non riesci a parlare. - Il tono di Circe tradiva sincero interesse.

- Non è nulla, ci sono abituata. Soffro di mai di testa da un po'. Ho delle medicine che mi aiutano, quando il dolore si fa insopportabile, ma non è questo il caso.

- Mmm... deve essere dura... Ehi, idea! Dov'è il tuo laboratorio?

- Vuoi vederlo? - domandò l'anziana.

- Voglio usarlo. - Negli occhi della maga dai capelli color della neve riluceva una luce maliziosa ora. Sospirò. Mentre alzava gli occhi al cielo Eleanor decise che, a meno che le cose non prendessero una brutta piega, per quel giorno non avrebbe discusso. Così facendo di sera sarebbe stata di nuovo in forma per partecipare attivamente al conflitto... e magari Caster sarebbe stata buona per un po'.
Si mise in piedi e, lo sguardo basso, precedette l'altra fuori dalla stanza e le fece strada per i corridoi della vecchia villa. Per un po', il solo rumore che giunse, ovattato, alle sue orecchie, fu il leggero passo della ragazza che accompagnava ritmicamente il suo.

- Sai che questa casa è proprio enorme? E' persino più grossa della mia! - Esclamò divertita Circe.- Uno di questi giorni potrei esplorarla tutta?

- Se prometti di non rompere nulla, forse.

- Chiaro, chiaro! Non sono mica maldestra! E poi hai un sacco di oggettini dall'aria preziosa, sarebbe un peccato romperli. Sai, mi ricordano i miei... i miei gioielli! Posso vedere i tuoi, eh, Master? Mi mancano terribilmente l'oro e le pietre preziose, il mio adorato Odisseo mi aveva donato tante belle gemme e...

- Caster - la supplicò l'anziana, gemendo. - Se continui così, la mia testa finirà per scoppiare...

- Oh. - Improvvisamente calma, la Servant tacque. - Scusa, Master. 

Eleanor trasse un sospiro di sollievo mentre scendevano l'ampia scala che conduceva al piano di sotto. Si fermò proprio alla base di essa, indicando una porticina che vi era nascosta sotto.

- Il laboratorio è lì sotto. Posso fidarmi di te, giovane maga? - La signora si sentì improvvisamente afferrare un braccio. La mano pallida di Circe la tirò per la manica fino al sottoscala. 

- Certo, ma vorrei che tu venissi! Appena finito il filtro, mi servirai. Inoltre, è pur sempre il tuo laboratorio... dovrai pur dirmi dove sono i vari ingredienti, se vuoi che faccia in fretta... Master? Posso sapere perché quel sorriso?

Era vero, stava sorridendo vagamente. Era da tanto che non incontrava qualcuno di tanto travolgente; essendo una vecchia signora, anche le compagnie di Eleanor erano per lo più anziane ormai prive di vigore.

- Semplicemente, per come sei credevo fossi molto gelosa della tua autonomia e volessi lavorare da sola.

- In effetti è vero - confermò lo spirito eroico. - Nessuno mi ha mai vista all'opera... ma i visitatori che arrivavano alla mia isola erano soltanto navigatori rozzi e ignoranti. Mi sarei infuriata se avessero preteso di osservare una cosa tanto complicata e bella quale è la magia. Tu sei una maga e sei anche una donna: sei il genere di persona che più sognavo di incontrare in un certo senso. Quindi, lavorare con te in un laboratorio mi farebbe davvero piacere, Master!

Sei una maga e sei anche una donna. Eleanor dovette fare del suo meglio per mantenere l'espressione sul suo volto inalterata, stavolta. Quella ragazza non lo aveva fatto intenzionalmente, ma aveva toccato un tasto piuttosto dolente. Nessuno nella sua vita, in nessuna occasione, aveva mai fatto quell'accostamento in senso positivo. Per quello, per un istante soltanto, si trovò a voler bene a quel Servant così ambiguo e vivace. Forse sentirsi dire quelle cose a quell'età, dopo anni di speranze mai avveratesi, le aveva restituito un briciolo del calore che la sua carriera le aveva portato via.

- Ti ringrazio, Caster. - Quel grazie non era solo per averla voluta accanto. - Sai, anche a me interesserebbe imparare qualcosa da te. Vieni dall'era degli dèi, dopotutto: immagino tu possieda conoscenze straordinarie per me, che sono nata in questa epoca.

- Puoi scommetterci! Dai, Master, andiamo!

Sempre tirandola per il braccio, la maga Circe spalancò la porta e si precipitò delle scale, evidentemente non curandosi del fatto che a differenza sua Eleanor non era capace di vedere al buio così in fretta. Rischiò almeno due volte di precipitarle addosso e rompersi qualcosa. E' la volta buona che finisco in sedia a rotelle, come le mie coetanee.

Il laboratorio era freddo e umido. La Master non lo usava da giorni e aveva lasciato la porta chiusa; essendo un sotterraneo, non c'erano finestre. L'ambiente, vasto e difficile da riscaldare, odorava a momenti alternati di muffa e infusi alle erbe. Eleanor riusciva ad ambientarvisi con facilità anche al buio ormai, ma essere lì e restare immersa nella più completa oscurità non era ciò a cui anelava.

- Caster, ti spiacerebbe accendere la luce sulla parete accanto a te e permettere anche a noi comuni mortali di vedere qualcosa? - chiese, tornando al suo tono di scherno.

- Sì, sì... che spreco di energia, accidenti! Avrei potuto usare delle fiamme per illuminare il tutto... ehi, ma non sei una maga del fuoco?

- L'elettricità mi permette di concentrarmi sulle pozioni senza sprecare la mia, di energia. E sono ufficialmente un'alchimista, il fuoco è semplicemente il mio attributo.

- Mmm...pff, va bene! - Rumore di passi. Pochi secondi dopo, la Master poté finalmente avere una visuale del glaciale scantinato. Era la stanza più grande di casa, sebbene fosse la meno usata. Lunga circa venti metri e larga quindici, la sua area copriva quasi metà dell'ancor più enorme piano inferiore della villa. Fra un minuscolo labirinto di librerie e mensole in cui erano riposti antichi tomi e svariati ingredienti, erano disposti verticalmente due tavoli da lavoro. Lungo la parete in fondo, invece, erano stipati alcuni bauli, lampade rotte e un paio di vecchie sedie. Non c'era una soffitta in quell'enorme abitazione. Eleanor aveva stipato il suo poco ciarpame lì, dove era poco visibile. Meno lo aveva davanti, meno si innervosiva all'idea che quella centenaria spazzatura creasse disordine nell'ambiente in cui avrebbe dovuto regnare più che negli altri la calma perfetta. Persino il modo in cui li aveva accantonati era maniacalmente preciso.

- Brr! - rabbrividì Circe. - E' b-bellissimo ma diavoli, un fuoco servirebbe davvero!

Lei si strinse nella cappa di lana viola e scrollò le spalle.

- Mi sono abituata. E' tutto a tua disposizione, prego.

- Grazie! - La ragazza corse subito a uno dei tavoli. Passeggiò a passo svelto fra gli scaffali, ignorando completamente i libri di magia ma osservando con attenzione ogni singola ciotola, boccetta o bottiglia.
- Dove si trova la malva?

- Alla tua sinistra, poco più avanti.

- Mhm... ah, trovata! E il rafano?

- Lo scaffale accanto. Lato destro, verso il centro.

- Sì, sì... hai mica degli zaffiri?

- Sopra la tua testa.

Andò avanti così per circa cinque minuti. Circe chiedeva, lei indicava e il Servant si metteva fra le braccia già colme un altro, improbabile ingrediente per un intruglio di cui lei non era riuscita a intuire in alcun modo la finalità. Alla fine, senza più spazio nemmeno per una piccola pietra preziosa, la maga posò tutto delicatamente -se proprio si voleva esagerare- sul tavolo, affrettandosi subito dopo a procurarsi mortai, pestelli e ciotole di legno.

-Cosa vuoi preparare?

- Uhm... è una cosa da nulla, ma se solo avessi una lama d'argento, non la trovo! Che sia là? - Senza aspettare la risposta di Eleanor, Circe si avvicinò a uno dei bauli nell'angolo e lo aprí.

- Caster, quella è solo spazzatura! - tentò di fermarla lei. - Non ci troverai nulla di utile.

- Ah... davvero? In questo caso va bene. Oh! - Nel tentativo di richiudere il forziere, un foglio volò danzando sul pavimento. Caster lo raccolse distrattamente e si fermò a osservare ciò che vi era sopra.
- Che bel giovane - commentò. - Tuo figlio?

Eleanor le prese di mano il ritratto e rimase immobile. Pietrificata. 
Fissò senza espressione. Era effettivamente un uomo bellissimo. Il più bello dell'Associazione, ricordò nostalgica. Di quanti sospiri femminili colmi di ammirazione e infatuazione era stato la causa?
Li meritava tutti; con gli occhi verde chiaro e i capelli neri, lo sguardo fiero e i lineamenti cosí perfetti da non sembrare umani, i pensieri di ogni donna non potevano che rivolgersi a lui. In quel ritratto doveva essere nel suo periodo migliore, circa venticinque anni. Lei lo aveva conosciuto dopo. Se n'era innamorata quando ormai chiunque lo considerava un inguaribile scapolo amante del divertimento, che alla soglia dei trenta non aveva ancora neanche considerato di prender moglie. Una sfida ben accetta.
Si costrinse a non guardare da un'altra parte, a fissarlo per bene e imprimere quel bel ricordo di nuovo nella memoria, nella speranza che cancellasse quelli di ogni disgrazia, per l'ennesima e inutile volta.

- No - replicò calma. - Era mio marito. Qui era molto giovane. Questa casa, sai, era originariamente sua. Ma ora, lui è morto... è tanto che non c'è piú.

- È un peccato, Master... mi dispiace. Sai, so cosa si prova quando perdi l'amore della tua vita.

- Non fa nulla. Ho avuto il tempo di abituarmi, sta' tranquilla. Lo... lo rimetto a posto io. Tu va' tranquillamente a finire la tua pozione.

- Agli ordini! - La ragazza le rivolse un sorriso splendente. Anche con quel segno sul volto, raramente aveva visto donne tanto belle.
- Sai, spero che le tue emicranie migliorino: questo rimedio non ha mai fallito finora!

Eleanor fu grata d'un tratto di avere quella ragazza davanti. L'essere accanto a qualcuno con cui mantenere il contegno le diede la forza necessaria a non stracciare quel foglio in preda alla disperazione e alla rabbia.
Quanti anni erano che non apriva quei bauli? Troppi, a giudicare dalla polvere che il movimento dei ganci aveva lasciato sul pavimento. Sempre troppo pochi, però, per il suo cuore.

Più tardi, poco prima di addormentarsi, finalmente libera dal mal di testa grazie al siero prodotto da Caster e stesa sopra le coperte sul suo letto, ripensò a quelle parole.

Lui è morto, è tanto che non c'è piú.

Morto...
Morto... 
Morto.

Stava scivolando nel sonno, distrutta, eppure riuscí senza sforzo ad augurarsi che fosse davvero così.

   
 
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