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Autore: Betta7    19/02/2018    6 recensioni
La ragazza S. e il ragazzo A.
Il Destino è un mistero che ci avvolge completamente nelle sue mani e, tra due anime affini, niente può fermare il corso dell'Amore.
" Non riuscivo a pensare lucidamente e, anche se era piuttosto stupido e alquanto imbarazzante, non riuscivo neanche ad immaginare quanto sarebbe stata bella.
Stringevo tra le mani il pacchetto con la rosa all'interno e, riflesso su di esso, vidi Sana scendere dalle scale.
Mi sembrò che il mio cuore si fosse fermato e che, improvvisamente dopo qualche secondo, avesse ripreso a battere. "

" Appoggiai di nuovo la testa sulla sua spalla e mi lasciai portare da lui, e mi resi conto in quel preciso istante dell'enorme fiducia che riponevo in quel ragazzo.
Eravamo amici-nemici, da sempre, eppure non avrei affidato la mia vita in mano a nessun altro. "

Dopo University Life, un'altra storia su un rapporto ai limiti dell'impossibile, un passo separa l'Amicizia e l'Amore.
Ma il Destino sa sempre cosa fa.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Natsumi Hayama/Nelly, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 22.
REGALI DI NATALE.
Pov Akito.

Guardai Sana uscire dal camerino del negozietto in cui ci trovavamo, e vedere il suo sguardo felice riempì anche me di una felicità che ormai, da quando lei era nella mia vita, non potevo più definire insolita come facevo prima.
Sana mi aveva dato la sicurezza di una vita appagante, accanto alla persona che amavo, ed era l'unica cosa che mi importava.
“Allora? Cosa ne dici?” disse accarezzando l'abito rosa che indossava.
“Dico che ti sta benissimo, come gli ultimi sedici vestiti che hai provato.”
Sana mi sorrise, in fondo lo sapeva anche lei che tutto quel tempo passato ad entrare ed uscire da quel camerino era solo un modo per farmi impazzire. Ci divertivamo a stuzzicarci, e la cosa mi andava più che bene, lo avevamo sempre fatto.
“Siamo tornati un po' stressati dal viaggio di nozze o è una mia impressione?”. La guardai di sfuggita, ripensando al meraviglioso viaggio in Italia che Rei ci aveva organizzato con cura, e forse si, un po' stressato lo ero, ma non per via del ritorno dal viaggio.
“Ti prego non ricordarmi che siamo a casa, mi viene voglia di fare le valigie e partire di nuovo.” Mi alzai in fretta per avvicinarmi a lei, abbracciandola in mezzo al negozio.
“Prendiamo questo, o mia moglie mi farà impazzire.” dissi velocemente alla commessa che attendeva una risposta per l'abito, poi tornai a guardare Sana.
“Andiamo a casa, ho proprio un'idea di come farti impazzire davvero.” Sana mi rivolse uno sguardo ammiccante e per tutto il tragitto verso casa le sue parole risuonarono nella mia mente, come una promessa che mi sarei impegnato a farle mantenere.
Quella era la nostra vita da due mesi, dopo il matrimonio Sana aveva disdetto tutti i suoi impegni per il nostro viaggio e, non appena eravamo tornati, avevamo ripreso il controllo delle nostre vite. Lei era tornata a lavoro e io avevo fatto lo stesso, cominciando a lavorare per il museo che mi aveva ingaggiato. Ero ormai in procinto di presentare la tesi di laurea e in quel preciso momento la mia vita poteva essere definita perfetta.
Fu ancora più perfetta quando, arrivati a casa, Sana non mi diede neanche il tempo di dire una parola che si fiondò sulle mie labbra e mi trascinò in camera da letto. Cosa avrei potuto desiderare di meglio?


Pov Sana.

Il mio ginecologo mi aveva riempito di telefonate quella settimana e, prevedibilmente, non avevo risposto a nessuna di esse. Akito non sapeva nulla, altrimenti mi avrebbe costretto a richiamarlo e quella era proprio l'ultima cosa che desideravo. Tornare con Akito era stato il massimo, mi sentivo finalmente felice, ma una parte di me era ancora devastata da quella sedntenza che i medici mi avevano buttato sulle spalle. Non ero propriamente sterile, il concepimento poteva ancora avvenire, ma la mia patologia mi avrebbe condannata a subire aborti per il resto della mia vita, e una volta era stata sufficiente a distruggermi, non osavo immaginare cosa avrei potuto provare andando avanti.
Il medico mi avrebbe sicuramente introdotta in qualche progetto di sperimentazione ma davvero valeva la pena torturarmi mentalmente e fisicamente per qualcosa che alla fine non sarebbe successo ugualmente?
Per questo non ne avevo parlato con Akito, per evitargli il nutrimento di una speranza assolutamente inutile.
Ero andata a trovare mia madre che mi aveva aperto la porta ancora in pigiama alle tre di pomeriggio.
“Mamma… come mai non sei ancora vestita?” chiesi entrando e togliendomi le scarpe.
“Oggi mi sento un'anziana Bridget Jones, voglio rimanere in pigiama e cantare a squarciagola mangiando gelato.”
La guardai sconvolta e la rincorsi per il corridoio, toccandole la fronte.
“Ma ti senti bene? Sei stata rapita dagli alieni e sono davanti ad un tuo replicante?”
Mia madre scoppiò a ridere e mi spiegò che aveva solo bisogno di riposo perché erano settimane che andava a letto tardi per la consegna imminente del nuovo libro. Parlammo un po' della pubblicazione, mi raccontò di quanto fosse emozionata per quei personaggi tutti nuovi.
“I due protagonisti sono ispirati a te e Akito.”
Il tè mi andò di traverso. “Cosa? Mamma dimmi che non hai raccontato la storia mia e di Akito, ti prego.”
“Ma cosa dici, tesoro? Ho detto che sono ispirati, non che il libro parla di voi.”
Non c'era da fidarsi di mia madre quando si trattava di un suo libro, perciò presi le sue parole con le pinze, perché sapevo che mi avrebbe riservato qualche sorpresina.
Cercai di estorcerle qualche informazione in più, ma mia madre era una tomba e io non avevo più tempo da dedicarle perché Rei mi era venuto a prendere per andare all'orfanotrofio che mi aveva fatto conoscere Naozumi.
Era quasi Natale e sentivo il bisogno di canalizzare il mio amore verso qualcuno che non fosse Akito. Chi meglio di quei bambini che non avevano nessuno al mondo?
Salutai mia madre e corsi verso la macchina di Rei mentre fuori diluviava.
“Hai preso i giocattoli che ti avevo chiesto?”
Rei annuì e indicò i sedili posteriori, stracolmi di pacchetti di ogni genere.
“Sei sicura di volerci andare?”
“Devi smetterla di preoccuparti per me, Rei. Sto bene, dovrò vedere qualche bambino prima o poi, non pensi? Il mondo non smette di girare per me.”
Dissi quelle parole più per convincere me che lui, e il resto del tragitto lo passai in silenzio. La mia mente aveva pianificato attentamente quella giornata, sarei andata lì, avrei giocato un po' con i bambini, gli avrei dato i miei regali e sarei tornata a casa felice di aver passato la giornata con loro.
Magari avrebbero cantato qualche canzoncina di Natale, o avremmo potuto giocare a nascondino, comunque sarei tornata a casa serena e senza pesi sul cuore.
Quando arrivai davanti al cancello che conoscevo fin troppo bene il respiro mi mancò per un attimo. Un paio di bambini mi guardavano dalle finestre, non potendo uscire ad accogliermi a causa della pioggia, con i sorrisi a trentadue denti ciascuno, o qualcuno in meno sicuramente, ma a loro non importava. Le occasioni per sorridere dovevano essere colte al volo per loro.
Entrai con i pacchetti in mano, con l'aiuto di Rei li avevo portati dentro, e i bambini mi saltarono addosso non appena capirono che erano regali per loro.
“Sana!” urlarono tutti in coro. Il mio cuore si riempì di gioia, una gioia che non provavo da tanto tempo, diversa da quella che provavo stando con Akito.
La signora Yatsuma arrivò giusto in tempo, prima che mi soffocassero d'abbracci. “Bambini, piano! O Sana non verrà più a trovarci.”
Alzai lo sguardo verso quella signora paffuta che Naozumi mi aveva presentato anni prima. “Ma no, signora Yatsuma, mi fa piacere che siano così affettuosi.” ribattei sorridendole e avvicinandomi per abbracciarla. Lei ricambiò e poi mi tolse dalle mani l'ultimo pacchetto. “Questo veramente era per lei.”
I suoi occhi dolci mi guardarono sgomenta, sorridendomi. “Sei davvero una ragazza d'oro, piccola Sana.”
La lasciai aprire il suo regalo in pace e mi chinai di nuovo all'altezza dei bambini. “Allora, tutti questi regali sono per voi...”
“Ma sono tantissimi!” mi risposero un paio d'occhi scuri, con delle ciglia foltissime che gli invidiavo assolutamente. Quel bambino si avvicinò, scansando tutti gli altri, poteva avere si e no tre anni.
“Ma sono tutti, proprio tutti per noi?” domandò di nuovo.
Annuii, sorridendogli. “Tutti, proprio tutti.” ripetei le sue esatte parole per accentuare la cosa.
La sua bocca si spalancò in una smorfia di stupore che comprendevo benissimo. Forse, a parte me e Naozumi, nessuno andava lì a portargli dei regali.
Cominciai a distribuirli con attenzione, cercando di accontentare tutti. Avevo portato anche vestiti, sia maschili che femminili, e avevo lasciato alla signora Yatsuma piena libertà di cambiarli nel caso le misure fossero state sbagliate o non incontrassero i gusti dei bambini.
Quando tutti ebbero ricevuto il loro regalo, cominciai a giocare con loro, cercando di coinvolgerli tutti, chiamandoli ad avvicinarsi quando si allontanavano, sorridendogli e stringendogli le manine quando mi accorgevo che erano solo troppo timidi per parlare con qualcuno che non conoscevano.
Alla fine tutti erano venuti a giocare. Tutti tranne due bambini che non avevano fatto altro che starsene in fondo alla sala dove eravamo riuniti e avevano a mala pena accettato i regali.
Erano un maschio e una femmina, di una bellezza che mi faceva venire le lacrime agli occhi. Tutti quei bambini erano belli, ma quei due… i loro sguardi mi facevano tremare i polsi.
Mi alzai da terra, lasciando gli altri bambini a giocare tra di loro, e mi avvicinai a quei due che non facevano altro che fissarmi mentre avanzavo verso di loro.
Sgranarono gli occhi non appena mi abbassai per stare alla loro altezza.
“Ciao..” sussurrai. Mi sembrava potessero fuggire da un momento all'altro per cui cercai di essere il più delicata possibile.
Non risposero, si limitarono a scambiarsi uno sguardo e poi a fissare per terra, come se si vergognassero.
“Come vi chiamate?” chiesi sfoderando il mio miglior sorriso.
Provai a sfiorare la manina della bambina, ma lei si ritrasse bruscamente e da quel gesto capii che non le piaceva essere toccata.
Chissà cosa aveva passato e chissà perché l'unico contatto che non la infastidiva era quello del bambino a fianco a lei.
“Lei si chiama Akane. Io invece sono Kanata.”
Rivolsi immediatamente l'attenzione a lui, che la teneva stretta. “E lei è la tua fidanzatina?”
Mi rivolse uno sguardo per lo più schifato.
“Bleah! Ma cosa dici? E' mia sorella!”
Li guardai bene ed effettivamente notai una certa somiglianza.
Volevo sapere di più su di loro. Sapere perché Akane non amava il contatto, perché Kanata non le lasciava mai la mano. Volevo sapere. I bambini si allontanarono da me e io rimasi a guardare il punto in cui erano un secondo prima.
La mia curiosità fu subito colmata.
“Sono gemelli.”. La signora Yatsuma si avvicinò a me con le braccia incrociate. “Hanno cinque anni. Sono arrivati qui quando ne avevano tre.” Mi alzai e la seguii mentre camminava.
“Sono così carini, e sembrano anche molto uniti.”
“Devono esserlo: sono rimasti soli al mondo. I genitori sono finiti in prigione per possesso e spaccio di droga e per maltrattamenti.”
L'ultima parola spiegò tutto. “Su Akane immagino.”
“Anche su Kanata… ma lui non ha sviluppato quest'avversione al contatto. Inizialmente Akane non voleva neppure essere pettinata, o lavata… adesso va meglio, ma non ama i contatti bruschi. E' molto diffidente.”
Annuii, cercando di immaginare la vita di quei due piccoli esserini che in pochissimo tempo avevano conosciuto una quantità di dolore che a quell'età non avrebbero nemmeno dovuto immaginare.
“Avete trovato qualche famiglia disposta ad adottarli?”
La signora Yatsuma scosse la testa. “Molti vengono, li vedono e rimangono estasiati. Quando poi scoprono che Akane non parla e che ha questo problema sull'essere toccata, si tirano tutti indietro.”
Non riuscivo a concepire l'idea che qualcuno di così innocente potesse soffrire così tanto.
Dopo aver giocato ancora con tutti i bambini e aver tentato di includere anche Akane e Kanata, li lasciai a fare merenda e me ne andai.
Avevo bisogno di pensare, di schiarirmi le idee.
Forse quella idea di passare la giornata in orfanotrofio non era stata un granchè.


Pov Akito.

Sana non era ancora tornata dalla sua giornata in orfanotrofio e io ne avevo approfittato per fare zapping e rilassarmi un po'. Avevo passato una settimana infernale, dopo il ritorno dal viaggio di nozze, con il lavoro al museo e la gestione della palestra. Mi era impossibile fare tutto da solo e mi sembrava che la mia vita fosse diventata frenetica a livelli esasperanti, i miei unici momenti di tranquillità arrivavano alla sera quando mi ritrovavo a letto a fianco a Sana.
Presi il telefono e mi accorsi che Sana mi aveva mandato un messaggio dicendomi che stava per tornare.
Il mio umore fece un balzo in su. Non la vedevo dalla sera prima e mi sembrava un'eternità, per cui quando sentii la porta di casa aprirsi mi fiondai all'ingresso, ma Sana non era felice quanto me.
“Ciao amore.” mi schioccò un bacio all'angolo della bocca, salutandomi distrattamente. Si diresse in cucina togliendosi la giacca e io la seguii.
“Come è andata all'orfanotrofio?”
Mi piazzai davanti a lei e la costrinsi a fermarsi, mentre si agitava davanti al piano cottura fingendo di iniziare a cucinare.
“Cosa è successo?”
Il suo sguardo era sconfitto, come se avesse passato una giornata d'inferno e non volesse dirmelo.
“Ma nulla Akito, i bambini erano un po' irrequieti.” mi liquidò lei.
Pensava fossi stupido?
“Sana...” le tolsi la pentola dalle mani e la obbligai a fermarsi di nuovo. “Ti conosco come le mie tasche, pensi sia davvero così facile prendermi in giro?”
Sana sbuffò, sconfitta dalla mia insistenza. Finalmente poteva comprendere come mi sentivo io ogni volta che lei mi costringeva ad esprimere i miei sentimenti.
Si spostò verso il tavolo e mi fece cenno di sedermi, obbedii e cercai di capire dai suoi occhi cosa la turbasse. Ma Sana era diventata brava a nascondersi, persino da me a volte.
“Sono rimasta… scioccata dalla crudeltà della vita oggi.”
Era distante e immersa in ciò che stava provando, così immersa che io non riuscivo ad afferrarla.
Le accarezzai una guancia e lei poggiò la mano sulla mia, accennando un sorriso. “Oggi guardando tutti quei bambini ho pensato che la vita fosse profondamente ingiusta. Perché il destino da un figlio a chi non lo desidera e lo toglie per sempre a chi lo ha desiderato con tutta l'anima?”
La guardai e per poco non mi scesero le lacrime, sentivo il suo dolore, lo sentivo proprio al centro del petto ma non potevo capire fino in fondo cosa provasse. Ero sempre stato convinto che quel tipo di dolore fosse incomprensibile per noi uomini, e quella sera Sana aveva confermato la mia idea. Io soffrivo con lei, ma non come lei. Sapere che stava soffrendo in quel modo ed essere consapevole di essere impotente mi distruggeva.
“Sana… riusciremo ad avere un figlio nostro. Anche se dovesse volerci tutta la nostra forza.”
Lei scosse la testa, visibilmente contrariata.
“No, Aki. Non voglio alimentare speranze, non voglio soffrire per poi rimanere comunque a mani vuote.”
“Ma...” tentai di controbattere.
“I medici sono stati molto chiari: è altamente improbabile, per non dire impossibile, che io possa portare a termine una gravidanza.”
Sana si alzò di scatto e fece per allontanarsi, ma io la bloccai immediatamente.
“Non permetterò a tutto questo di allontanarci un'altra volta.” Poggiai la fronte sulla sua, provando a tranquillizzarla, provando a farle capire che non era sola, che se fosse caduta avrebbe potuto appoggiarsi a me.
“Non ho alcuna intenzione di allontanarmi da te, Akito. Solo… ho bisogno di aiutare quei bambini. Io voglio un bambino e loro… loro hanno bisogno di una madre.”
Non ero sicuro di aver capito bene. Sana mi stava proponendo di adottare un bambino?
“C'erano questi due gemelli oggi… che nessuno vuole adottare.”
La bloccai subito. “Frena, Sana, frena! Adottare un bambino, potremmo anche considerlo… ma adottarne due? Abbiamo appena ripreso in mano il nostro rapporto.”
Sana sembrò rinsavire per un secondo, mi sembrò che il suo sguardo tornasse razionale ma poi si allontanò da me e uscì dalla cucina.

*
Restammo in silenzio per tutta la sera, lei ferma sul suo desiderio e io fermo sui miei dubbi. Il fatto era che, avendo sperimentato così tante incertezze nel nostro matrimonio, non riuscivo a pensare di dare stabilità a qualcuno che, di base, aveva bisogno solo di quella. Come potevamo io e Sana, che non riuscivamo a passare dieci minuti senza litigare, pensare di occuparci di due creature, per di più problematiche?
Erano quelli i miei dubbi, e Sana si stava comportando da egoista.
Mentre cenavamo cercai in tutti i modi di costringerla a parlarmi, ma lei continuava ad ignorarmi. Mi passava accanto senza considerarmi e sentivo che quella discussione sarebbe durata all'infinito se non avessi fatto qualcosa.
Per cui, non appena la vidi dirigersi verso la camera da letto, la seguii e, prontamente, chiusi la porta a chiave.
“Akito, fammi uscire!” urlò Sana cercando di togliermi la chiave dalle mani.
“No! Ascoltami...” La spinsi indietro, verso il letto, e lei non oppose resistenza. “Non è l'idea dell'adozione in generale che non mi piace. Io voglio un bambino, e non mi fa paura l'idea di adottarne, anche se devo ammettere che desidero con tutto me stesso avere un bambino nostro, che abbia i tuoi occhi, il tuo sorriso, ma… non pensi che sia troppo presto, dopo tutto quello che è successo? E poi… due bambini. Insomma, Sana… sii ragionevole.”
“Ma se solo tu li conoscessi!” urlò lei esasperata. “Sono due bambini adorabili e hanno tanto bisogno d'amore! E io avevo tanto, tantissimo amore da dare a nostra figlia… e so che anche tu, nonostante lo nascondi, hai sofferto come me all'idea di non avere figli.”
Le parole di Sana mi calmarono. Non che la pensassi diversamente, ma non riuscivo a litifare con lei quando sapevo che soffriva.
Andai a sedermi accanto a lei, in silenzio.
“Cosa gli è successo?” chiesi, sinceramente interessato a sapere di più.
“I loro genitori sono in prigione: spaccio di droga e maltrattamenti su entrambi i bambini. Kanata protegge sua sorella come se fosse perennemente in pericolo. E lei… dovresti vederla! Akane non sa com'è ricevere un briciolo d'amore, Akito. Ha paura del mondo che la circonda. Ha così tanto bisogno di… di tutto. Hanno bisogno di due genitori.”
Quando Sana si fermò la violenza di quella storia mi investì come un treno. Come era possibile fare così male al sangue del tuo sangue?
Sana mi prese la mano e se la portò alla bocca, baciandola.
“Io lo so che è una cosa grande, enorme, con cui fare i conti. Ma io non ti sto chiedendo di dire di si ad occhi chiusi. Solo… incontrali. Incontrali e… se non sentirai ciò che ho sentito io… almeno ci avremo provato.”
Cosa potevo rispondere di fronte a quella richiesta?
Come potevo dirle no e distruggere tutte le sue speranze?
Se avessi detto no, mi avrebbe odiato.
Se avessi detto si e poi non fossi stato convinto una volta incontrati i bambini, mi avrebbe odiato. Forse silenziosamente, ma cosa importava?
Avevo tutto da perdere in qualsiasi caso ed ero spaventato a morte. Per cui, pur non amando quei tipi di discorsi, decisi che forse sarebbe stato meglio parlare apertamente.
“Mi prometti che, qualsiasi sia la mia decisione, le cose tra di noi rimarranno le stesse?”
Sana mi guardò come se quella domanda fosse assolutamente superflua. “Non potrebbe mai cambiare.”
La baciai e ci abbracciammo.
Parlammo tanto quella notte. Delle nostre paure e dei nostri desideri.
E poi ci addormentammo.
Non sapevo ancora che il giorno dopo la mia vita sarebbe stata prepotentemente sconvolta.



Mi scuso tantissimo per il mio immenso ritardo, ma tra le feste, gli esami, e problemi vari non ho avuto assolutamente tempo da dedicare alla stroria.
Spero che mi perdoniate anche per la lunghezza abbastanza ridotta di questo nuovo capitolo, ma mi farò perdonare con il prossimo :)
Aspetto le vostre recensioni, vi amo tutti!
Roberta.
   
 
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