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Autore: avalon9    19/02/2018    2 recensioni
I loro pugni fendono l'aria e i loro calci spaccano la terra; ma i loro corpi sono quelli di normali esseri umani. Una dea bambina trasforma le loro mani; una tyche beffarda gioco con il loro corpo e i loro desideri. E li incammina su una strada che dissolve i pensieri
. Cento parole per ogni cavaliere d'oro; cento parole per raccontare la sorte diversa delle mani di ognuno.
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
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A Francine.

Tu sai il perché.

 

 

 

6. Arriccoghniru

[Cancer no Death Mask]

 

 

 

Le mani sono tutto quello che hai, a Brancaccio.

E da picciriddu le mani avevi imparato a usarle: per menare e per arrubari a focaccia. O il tabacco da rollare. Avevi imparato ad armare un cane, colle mani; e anche a farli fuori, i cani. Di quelli a due zampe.

C’erano cose che potevi fare solo con le tue, di mani. E altre, che avresti imparare: a romperle e a baciarle, le mani. E c’avevi fattu ‘u caddu a quella vita.

Ma tenevi una capa dura: per questo Saro ti ha pigliato.

Chè tu volevi pigliari lu celu cu li mani.

 

 

 

 


Un grazie di cuore a Italo per l'aiuto con la lingua e per il proverbio, fonte di ispirazione.


Nota al titolo:

In dialetto catanese, arricugghiutu è il participio passato del verbo arriccogniri che significa sia raccogliere sia morire.

 

De verbis

Sesta drabble.

Sono passati quasi dieci anni, dall’ultima volta che ho aggiornato questa raccolta. E sono passati molto veloci. Confesso che è strano tornare a scrivere qualcosa che si era lasciato in sospeso a così tanto tempo di distanza.

Sono cambiata io; è cambiato il mio stile. Il modo che ho di scrivere e il modo che ho di voler scrivere. Forse più diretto; forse più smaliziato.

Quello che non è cambiato, per me, è la voglia che ho di creare gli ambienti. Di creare quel substrato culturale in cui si muovono i personaggi. Arms l’avevo dovuto lasciare anche per questo. Perché non riuscivo a trovare nulla che si adattasse alla nostra italianità. Alla nostra tradizione sicula.

Poi. L’ho detto: sono cresciuta io. E forse. Forse sono cresciute anche le mie idee. E quindi. Ecco. Ecco che è nata questa sesta drabble. Dopo una gestazione di anni. Meglio tardi che mai.

Death Mask è un personaggio complesso, un personaggio che non si riesce a capire se sia buono o cattivo. Un personaggio che forse è solo la faccia più squallida che la guerra si porta dietro: quella del soldato senza illusioni, ma che fa comunque il suo dovere. Quella del soldato che raccoglie ciò che semina: la morte. E lo fa senza raccontarsi ideali e belle parole. Lo fa sputandoti in faccia quello che è semplicemente la realtà.

Per questo ho scelto di dargli un backgroud di violenza. La violenza di Brancaccio, che è uno dei quartieri tristemente famosi di Palermo per le lotte interne mafiose e di territorio. Siamo negli anni Settanta (sì: niente tablet, smarphon e simili. I miei cavalieri si muovono nell’universo cronologico che appartiene loro): l’Italia vive il terrorismo bianco e rosso e gli anni di piombo. Non era Woodstock e nemmeno la libertà del Sessantotto, la Palermo di piombo. Era una città violenta, dove Cosa Nostra aveva ripreso ad avere potere. E il potere voleva dire controllo e lotta per restare a galla.

Angelo, al secolo il nome del mio Death Mask, si muove nei rioni di questa guerra. Si muove come un picciriddu, un ragazzino, che vuole solo sopravvivere. Si muove rubando e sgraffignando (arrubari) quello che può e gli serve.

L’ho ricostruito sulla scia dei ragazzi di vita di Pasolini: quei ragazzi dai sorrisi caldi, mediterranei, quasi sfrontati, affamati di vita. Quei ragazzi che erano quattro ossa e un po’ di pelle e tanta disperata energia.

Ecco come vorrei che fosse il mio Angelo: un ragazzino che combatte a fare l’adulto, con le sue sigarette fumate a nove anni e una pistola in mano. E la disillusione che, per sopravvivere, nella vita devi uccidere (sì: il mio Angelo aveva già ucciso, prima del Santuario. Ragazzini come lui. Ma in quell’epoca e in certi contesti o ammazzi o sei ammazzato. È l’unica legge).

Ed era l’unica vita che poteva, che immaginava che avrebbe fatto. Fin quando è arrivato Saro. Un metro e sessanta di nervo e pelle bruciata dal sole, con una barba ispida di cinque giorni e una braccio in meno.

Saro è l’uomo che cresce Death Mask. È l’uomo che se lo trascina da Palermo a Catania e gli insegna cosa significhi davvero usarle, le mani. Che lo trasforma senza togliergli l’anima cresciuta in fondo ai qanat e nelle occhiatacce di paese. Saro è l’uomo che si accorge che Angelo vuole e può prendere il cielo con le mani, può fare quel qualcosa di impossibile che altrimenti sarebbe solo talento sprecato.

E perdonate: non ho resistito nel citare il baciamo le mani di padriniana memoria.


 

 

Anticipazione

 

Prossimo personaggio: Interludio

 

 

 

  
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