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Autore: gattina04    20/02/2018    0 recensioni
Kathleen non è una ragazza come tante: sottoposta alla pressione di una famiglia che le chiede sempre troppo, ha un passato che non riesce a lasciare andare. Lei sa cosa vuole, sa qual è il suo sogno, ma ci ha rinunciato già da tempo per l'unica persona a cui sente di essere ancora legata.
Trevor invece è schietto, deciso, con un passato fin troppo burrascoso, che vorrebbe solo dimenticare. Trevor vuole voltare pagina e per questo si ritrova in un mondo, in una scuola, dove è completamente fuori posto.
Come potrà una ragazza legata al passato trovare un punto di contatto con un ragazzo invece che farebbe di tutto pur di recidere quel legame?
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La mia storia è pubblicata anche su WATTPAD
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Capitolo 14
 
Nonostante la stravolgente visita della madre e le sconvolgenti verità scoperte in quel fine settimana, ben presto arrivò a scuola una novità capace di distrarre perfino Trevor da quel brutto periodo. Era prevista per la terza settimana di febbraio una gara di cheerleading a Chicago che avrebbe coinvolto molte scuole di vari paesi compresa la nostra. Erano anni che la nostra scuola gareggiava per poter accedervi e sembrava proprio che, grazie alla guida di mia sorella, ci fosse finalmente riuscita.
La cosa non sarebbe stata tanto eccitante o emozionante, almeno per me, se non per il fatto che gli studenti dell’ultimo anno avrebbero partecipato al ritiro insieme agli altri membri delle cheerleader e a quelli della squadra di football. In poche parole il preside della scuola aveva preso due piccioni con una fava: aveva organizzato la nostra gita scolastica nella città ventosa facendola coincidere con il campionato. E visto che al massimo la nostra gita sarebbe stata di un paio di giorni in qualche località sperduta di montagna, o roba del genere, noi studenti avevamo accolto la proposta più che volentieri. Avremo avuto quattro giorni da trascorrere a Chicago, a fare il tifo per la nostra scuola oltre che a visitare la città, ma erano pur sempre quattro giorni, lontano da casa e da qualsiasi altro problema.
Il fatto poi che la mia verginità fosse ancora al suo posto, del tutto integra, andava ad aumentare l’impazienza per quell’imminente partenza. Io e Trevor avevamo avuto altri momenti intimi, molti proprio sulla sua stessa mustang in quello stesso spiazzo, tuttavia era stato difficile andare oltre. Non avevamo un posto nostro, dove poter sfuggire al controllo dei genitori, o una casa vuota dove poter consumare in maniera dignitosa la nostra prima volta; ma a Chicago sarebbe stato tutto diverso. Non c’erano genitori, i professori potevano essere aggirati e saremo stati solo io e lui.
Erano ovviamente discorsi da innamorata persa, considerando il fatto che io – l’onesta e ligia Kathleen – ero arrivata a pensare di beffare i nostri stessi insegnanti; era una cosa che prima di Trevor non avrei mai considerato ed anzi mi sarei scandalizzata alla sola idea. Tuttavia il pensiero di ciò che sarebbe potuto succedere, di ciò che molto probabilmente sarebbe successo tra noi due, faceva scomparire ogni dubbio.
Così i giorni prima della partenza trascorsero in una sorta di incantata euforia. Tutta la scuola, non solo quelli dell’ultimo anno, sembrava eccitata ed esaltata; le cheerleader, Queen per prima, raddoppiarono gli allenamenti, spronate da un cameratismo mai visto. E così anche le tensioni tra me e Queen passarono in qualche modo in secondo piano; non sparirono ovviamente, ma l’ostilità fu messa da parte sostituita da un silenzio che dopo tanti contrasti poteva definirsi quasi tranquillo.
Ogni pettegolezzo che non riguardasse il torneo o Chicago fu messo momentaneamente a tacere; si parlava delle altre scuole in competizione, delle debolezze o dei punti di forza che chissà come si erano scoperti, del campo dove si sarebbero svolte le gare, dell’hotel dove avremo alloggiato. Dio solo sa come fosse venuto fuori il fatto che nell’hotel avremo potuto usufruire della piscina interna, utilizzata per permettere a molte ragazze di allenarsi. Come se a delle cheerleader servisse una piscina! Comunque quello era un surplus non da poco: avremo alloggiato in un hotel di classe e tutto per vedere delle ragazze agitare dei pon pon. La cosa mi andava più che bene anche se era ovvio che stavamo sfiorando il ridicolo.
E come per ogni gita che si rispetti, i professori iniziarono a tenerci sotto torchio già dalla settimana prima: dovevamo comportarci bene, non creare problemi, chiunque avesse infranto anche una sola regola se ne sarebbe pentito amaramente una volta tornati a casa. Insomma le solite minacce che non sarebbero certo servite ad intimorire degli adolescenti in piena tempesta ormonale, me compresa.
Fu per questo che mi ritrovai a bisbigliare con Trevor durante l’ora di biologia, il giorno prima della partenza. «Domani dovrai riuscire a stare in camera con Paul. Succeda quel che succeda».
«Come vuoi, è già un miracolo che Fred mi abbia pagato il viaggio senza storie. Credevo che avrei dovuto litigare con lui per poter venire a Chicago… anche se ovviamente non avrebbe potuto fare niente per impedirlo». Almeno su quel punto ero contenta che il signor Simons non avesse obbiettato e avesse evitato un litigio con il figlio; un litigio che si sarebbe rivelato del tutto inutile, dato che Trevor aveva l’età per prendere le proprie decisioni da solo.
«Comunque», continuò lui, aspettando che il professore si rigirasse e iniziasse a scrivere qualcosa sulla lavagna. «Non è che avrei molta scelta, non sono molte le persone che vogliono stare in camera con me. Quindi immagino che starò con Paul ed Evan».
«No!», scattai attirando l’attenzione del signor Robbins. «Cioè volevo dire non mi è chiaro quel passaggio». Arrossii e aspettai che il prof ripetesse concetti a cui non stavo prestando la minima attenzione. Non appena tornò alla lavagna e ad altri nozioni, di cui difficilmente avrei afferrato il senso in quel momento, iniziai di nuovo a bisbigliare.
«Non puoi stare in stanza con Evan, devi stare solo con Paul».
«E perché mai? Hai paura che Evan possa approfittare di me?», ridacchiò. «Mi dispiace piccola, ma anche se io gli piaccio lui non è il mio tipo, penso che riuscirò a mantenere la mia virtù».
Alzai gli occhi al cielo esasperata. «Imbecille. Beh comunque proprio di una virtù stiamo parlando».
«In che senso?». Ma andiamo! Davvero non ci aveva pensato? Da quando ero io la ninfomane? Oddio in effetti lo ero stata fin dall’inizio del nostro rapporto.
«Io starò in camera con Lea», lo informai. Io e la mia amica avevamo già organizzato tutto.
«E con ciò?». Si voltò leggermente verso di me e io fui tentata di sbattere la testa contro il banco. Mi stava prendendo in giro? Da quando un ragazzo non pensava alle implicazioni del sesso?
«Io e Lea, tu e Paul», sussurrai diventando rossa. «Io e Paul o tu e Lea potremo scambiarci di camera». All’improvviso la comprensione si disegnò sul suo volto.
«Oh». Mi rivolse uno dei suoi più bei sorrisi che mi facevano letteralmente sciogliere. «Allora credo proprio che Evan dovrà cercarsi un altro compagno di stanza». Sorrisi e mi morsi involontariamente il labbro inferiore.
«E credo anche», aggiunse in un sussurro, «che dovrò passare a rifornire la mia scorta di preservativi». Ed eccolo di nuovo là: il ragazzo capace di farmi diventare rossa come un peperone nel giro di un secondo.
 
La notte della partenza io e Queen, caricammo i bagagli sulla nostra Honda e ci dirigemmo verso la scuola, dove era stato fissato il punto di ritrovo. Visto che i nostri genitori non erano i tipi da accompagnare le loro figlie, in piena notte per giunta, al pullman per poter dare loro un ultimo abbraccio prima di partire, li avevamo salutati la sera prima e ci eravamo arrangiate da sole. Il viaggio fu tranquillo e silenzioso; Queen era un po’ nervosa per l’imminente gara e proprio per scaricare la tensione mi aveva chiesto di poter guidare. Io non avevo avuto niente in contrario, accettando quella tregua momentanea e silenziosa ben volentieri. Sapevo che una volta tornati a casa le cose non si sarebbero mantenute così: non ci sarebbero state più gare né tentennamenti e avremo dovuto chiarirci. Tuttavia accettavo quell’armistizio momentaneo con un certo sollievo.
Quando parcheggiammo l’Honda accanto ad una lunga schiera di macchine, notai subito Trevor scorgermi da vicino al pullman e rivolgermi un ampio sorriso. Non aspettò neanche che scendessimo di macchina per dirigersi a grandi falcate verso di noi.
«Ciao», mi salutò baciandomi sulle labbra e rivolgendomi il suo sorriso migliore. Sembrava che la tensione dovuta alla visita della madre fosse in quel momento stata del tutto accantonata.
«Ciao». Un sorriso ebete mi si disegnò sulla faccia, ma ero così felice in quel momento, per la nostra vacanza e tutto quello che sarebbe potuto accadere, da non riuscire a trattenermi.
Notai Queen studiarci con la coda dell’occhio, mentre si affrettava a prendere le valige dal bagagliaio. Qualsiasi cosa pensasse non disse niente e si limitò ad armeggiare con il suo trolley e il suo borsone.
Senza che glielo chiedessi Trevor andò a prendere la mia valigia e trascinandosela dietro tornò a riprendere la mia mano. Guardai Queen faticare con le sue due borse, avendo con sé anche tutta l’attrezzatura che le sarebbe servita per la gara. Lanciai uno sguardo al pullman dove vidi Sean intento a parlare con i suoi compagni di squadra; non doveva neanche essersi accorto del nostro arrivo e quindi sperare che arrivasse in soccorso della sua ragazza sembrava ridicolo.
Conoscevo abbastanza Queen da sapere che, a prescindere dalla nostra tregua, non si sarebbe mai abbassata a chiedere aiuto, al costo di fare due viaggi o di caricarsi come un mulo da soma. Tuttavia le cose tra di noi erano state relativamente tranquille e volevo che quella pace durasse almeno fino al nostro ritorno; per questo stavo per andare ad aiutarla, quando Trevor, seguendo il mio sguardo mi anticipò e senza dire una parola sollevò il suo borsone mettendoselo in spalla.
Queen rimase un attimo interdetta, sbattendo le sue folte ciglia, del tutto stupita per quel gesto gentile da parte di una persona che teoricamente avrebbe dovuto odiarla. «Oh grazie».
«Non c’è di che». Lui alzò le spalle e iniziò ad avviarsi a grandi falcate verso il pullman.
Trotterellai dietro di lui che, nonostante il peso di due valige, camminava molto più veloce di me, anche per via delle sue lunghe gambe. «È stato un gesto molto gentile», dissi quando lo raggiunsi.
«Non voglio che niente rovini questi quattro giorni», affermò. Si voltò a guardarmi facendomi gli occhi dolci ed io non potei che sciogliermi ancora di più. Sarebbero stati dei giorni magnifici e avevo come la netta impressione che non sarei più stata la stessa al ritorno da quel viaggio, che noi non saremmo più stati gli stessi.
Dopo aver sistemato i bagagli nella stiva del pullman, raggiungemmo Evan che nel frattempo era già salito e aveva miracolosamente conquistato i posti in fondo. Si sbracciò subito appena comparimmo all’inizio del corridoio, facendoci cenno di raggiungerlo.
«Chi hai corrotto per questi posti?», gli domandò Trevor dopo aver faticosamente percorso tutta la stretta corsia tra i seggiolini.
«Ho i miei agganci», rispose stendendo le gambe su i sedili finali.
«Ben fatto amico». Batterono il pugno ed io non potei che sorridere.
«Finestrino o corridoio?», mi chiese Trevor, passandomi le dita tra i capelli e portandomi un ricciolo dietro l’orecchio. Quello era un gesto che compiva in automatico ogni volta che i miei ricci, per qualche strana forza esterna, ripiombavano in avanti sul mio viso.
«Corridoio. Non sopporto di non riuscire ad allungare le gambe».
«D’accordo». Si sedette di fronte a Evan proprio mentre alle nostre spalle comparivano Paul e Lea.
«Non oso neanche chiedere che cosa tu abbia fatto per ottenere questi posti», disse subito lei, avvicinandosi a me per darmi un bacio sulla guancia. «Buongiorno splendore».
«Ce lo stavamo chiedendo anche noi», ridacchiai, «ma forse è meglio non sapere».
«Quasi mi dispiace di lasciarti solo in camera», commentò Paul, beccandosi subito una gomitata da parte di Lea. Di certo io e lei avevamo progettato tutto, ma avevamo aspettato a comunicare la notizia al nostro amico. Anche perché non eravamo sicure al cento per cento di riuscire ad ottenere due camere doppie tutte per noi.
«Cosa c’è ragazze?», intervenne Evan. «Forse non dovrei sapere che avete già progettato di lasciarmi senza compagni di stanza?».
«Glielo hai detto?». Lea si girò verso Paul che aveva cominciato a sistemarsi al suo posto.
«Veramente è stato Trevor», la smentì l’altro. Mi voltai verso di lui mentre il diretto interessato faceva di tutto per non essere coinvolto nella conversazione.
«Trev», mugugnai come una specie di rimprovero.
«Beh che c’è?». Mi guardò come se non capisse quale fosse il problema. «Mi dispiaceva per lui e volevo che cominciasse a cercare delle alternative».
«Beh almeno lui è stato onesto», confermò. «E comunque potevate dirmelo, non me la sarei presa. Soprattutto considerando il fatto che si tratta della tua verginità Linny». Diventai bordeaux in meno di un secondo, non aspettandomi per niente un’affermazione del genere soprattutto da lui.
«Evan!», strillai con un tono piuttosto acuto.
«Che c’è? Non è forse vero?».
«Io… io». Non riuscendo ad articolare parola mi voltai subito verso colui che sarebbe dovuto intervenire per difendermi. «Trevor!».
Lui alzò le spalle, trattenendo un sorriso. «Che c’è? Non gliel’ho mica detto io».
«Beh non ce n’era bisogno e, anche se non l’avessi saputo, dalla tua reazione è stato facile capirlo. Comunque non era difficile da indovinare, visto che quella nave per Lea è già partita, giusto Paul?». Evan gli rivolse un cenno del capo, Trevor ammiccò nella sua direzione e Paul si limitò semplicemente a sorridere alzando il pollice. Vidi Lea portarsi una mano alla fronte, mentre io mi sentii travolgere dall’imbarazzo. Era ovvio che Lea ed Evan, essendo i miei due migliori amici, sapessero o perlomeno immaginassero fin dove fosse progredita la mia vita sessuale, ma metterlo in piazza così era alquanto umiliante, almeno per me.
«Adesso sarà meglio sedersi», borbottai, prendendo posto accanto a Trevor e stringendomi le braccia al petto.
«Dai non te la prendere Katy», sussurrò lui avvicinandosi al mio orecchio. «Evan stava solo scherzando».
«E manifestando la mia più completa approvazione», intervenne il diretto interessato.
«Lo so», sbuffai alzando gli occhi al cielo. Purtroppo lo conoscevo bene e avevo ormai imparato che in alcune occasioni la sua schiettezza era sia un difetto che una virtù.
«Credo di aver un metodo infallibile per far sparire quel broncio». Trevor mi passò un dito sulle labbra e mi guardò con fare provocante. Senza aspettare una risposta posò le sue labbra sulle mie, in uno dei suoi baci che mi faceva immediatamente smettere di pensare a qualsiasi altra cosa. E come volevasi dimostrare, passai subito la lingua sulla sua approfondendo il bacio, afferrandogli alcune ciocche di capelli con le dita; lo sentii mugolare leggermente quando gliele tirai, mentre le sue mani si fecero strada lungo il mio corpo.
«Ehi ragazzi! Datevi una calmata», intervenne Evan riportandoci al presente e mettendo fine a quel bacio mozzafiato. «Sarà un viaggio davvero molto lungo se vuoi due iniziate a copulare così proprio davanti a me già da ora».
«Sta’ zitto», lo ammonì scherzosamente Trevor mentre io arrossivo di nuovo e mi coprivo la faccia con le mani.
 
Per nostra fortuna – e forse anche di Evan – il viaggio non fu così lungo come prospettato e fu invece decisamente piacevole. Dopo per aver dormito per qualche ora, Evan iniziò a scherzare, sapendo essere davvero un buon intrattenitore, anche se un po’ fastidioso alle volte. In più Trevor mi teneva stretta tra le braccia, continuando a farmi i grattini sul braccio – il massimo consentito dal nostro comune amico. Ogni tanto mi sussurrava qualcosa all’orecchio che mi faceva o scoppiare a ridere o arrossire senza preavviso.
Quel viaggio era esattamente quello che ci voleva sia me e soprattutto a lui: ci stavamo allontanando da tutti i problemi e gli stavamo accantonando da una parte almeno per il momento. E se, qualche mese prima, non avrei fatto altro che pensare a James, adesso ero in qualche modo riuscita a non farmi sopraffare e avevo messo me al primo posto. Ed era davvero un grosso passo in avanti, visto che avevo smesso di pensare al mio benessere nell’esatto istante in cui James era finito in quel letto d’ospedale. Ma forse anche allora non stavo semplicemente pensando a me, bensì a noi, a me e Trevor, ed era soprattutto grazie a lui e per lui che ero arrivata a quel punto.
Quando giungemmo a Chicago, dopo aver scaricato i bagagli, la fortuna sembrò girare ancora dalla nostra. C’erano poche camere doppie, ma sia io e Lea che i ragazzi riuscimmo ad accaparrarcene una. Evan, inaspettatamente, finì in camera con alcuni giocatori della squadra di football e ci promise che si sarebbe impegnato a rendere la loro vacanza un inferno; ovviamente in cambio dovevamo garantirgli ospitalità qualora l’avessero cacciato dalla stanza.
Visto che prima di fare un giro in città, avemmo giusto il tempo di posare i bagagli in camera, io e Lea decidemmo di effettuare lo scambio subito dopo il nostro rientro. Sapevamo per esperienza che i professori non ci avrebbero controllato, o almeno noi non saremmo state nel loro mirino. Per nostra fortuna cheerleader e giocatori di football sarebbero stati più soggetti a controlli ed ispezioni e se avessimo giocato d’astuzia, non avremo avuto problemi, considerando che per puro caso avevamo ottenuto due camere sullo stesso piano, anche se da parti opposte.
Così passammo quel resto del primo giorno a visitare la città, almeno noi che non partecipavamo alla gara. Queen e le altre cheerleader erano state reclutate subito per esplorare la palestra ed allenarsi visto che l’esibizione della nostra scuola si sarebbe tenuta il giorno dopo. Quando rientrammo era tardo pomeriggio, e nonostante la giornata appena trascorsa non mi sentivo affatto stanca, anzi il solo pensiero di ciò che sarebbe accaduto da lì a poche ore mi rese ancora più iperattiva.
Trevor riuscì a sgattaiolare nella mia stanza inosservato, prendendo il posto di Lea e, quando chiuse la porta alle sue spalle, sentii il cuore iniziare a battere all’impazzata. Avevamo per noi un’intera camera a disposizione, senza nessuno che potesse entrare senza bussare e con tutta l’intimità che ci occorreva. E all’improvviso quella consapevolezza mi travolse come un treno in corsa.
«Eccoci qua», mormorò rivolgendomi un sorriso a trentadue denti.
«Già eccoci qua», balbettai. Senza riuscire ad evitarlo, sentii la tensione crescere dentro di me; se fino a quel momento ero stata calma, rilassata e molto emozionata, adesso mi ritrovavo stranamente tesa e preoccupata. Non che avessi paura o non volessi, solo che stavo realizzando che il momento tanto atteso era finalmente giunto ed io non sapevo minimamente da che parte iniziare. Con molta probabilità sarei stata inadeguata ed inesperta anche se volevo davvero che la nostra prima volta, la mia prima volta, fosse speciale ed indimenticabile, in senso positivo ovviamente, e non solo per me.
Trevor sembrò leggere l’incertezza sul mio volto e ancora una volta non fece pressioni, ma mi presentò un compromesso che mi avrebbe concesso il tempo necessario per riprendere la calma. «Evan voleva andare a vedere se la storia della piscina è realmente vera. Che ne dici se ci mettiamo il costume e lo raggiungiamo? Potremo farci una nuotata prima di cena, per scaricare un po’ la tensione».
Emisi un sospiro di sollievo che fece trapelare un po’ troppo le mie emozioni. «Sì, grazie». Era paradossale: avevo desiderato quel momento fin da subito eppure una strana ansia mista a nervosismo stava prendendo possesso di me proprio quando tutto era a portata di mano.
Proprio per questo dieci minuti dopo ci ritrovammo nell’hall dell’hotel insieme ad Evan, Lea e Paul e scoprimmo che le voci circolate erano realmente corrette. Quell’albergo era provvisto di piscina annessa, visto che era una struttura che solitamente ospitava gli atleti più disparati per via della vicinanza all’impianti sportivi di uso olimpionico. Scoprimmo anche che l’ingresso era riservato solo ai clienti dell’albergo e che la maggior parte dei nostri compagni, così come quelli provenienti da altre scuole e alloggiati nel nostro stesso hotel, avevano avuto la nostra stessa idea, cosa che rese la piscina particolarmente affollata e caotica. Comunque, visto che il mio stomaco continuava ad essere in subbuglio e il mio cuore continuava ad avere le palpitazioni, accettai quella confusione di buon grado. Era come se soffrissi di una sorta di ansia da prestazione, ed era del tutto ridicolo considerando il fatto che, se non fosse stato per Trevor, sarei stata disposta a perdere la mia verginità su una mustang in mezzo al nulla.
Scossi la testa scacciando quel pensiero e tirai fuori l’asciugamano, che avevo infilato in borsa, stendendolo sul bordo piscina. Mentre lo sistemavo, insieme a Lea, la mia attenzione fu attratta dai vestiti di Trevor che cadevano per terra e dal suo corpo, coperto solo dal costume, che si manifestava in tutta la sua bellezza. Se avevo pensato che la piscina sarebbe stata una distrazione mi ero decisamente sbagliata: mi sarei mai abituata a vederlo così? Il pensiero che di lì a poche ore l’avrei visto completamente nudo, condividendo un’intimità profonda che a stento riuscivo ad immaginare, mi fece agitare ancora di più.
Arrossii senza poter far nulla per evitarlo e cercai di concentrarmi sulle pieghe dell’asciugamano.
«Ehi hai più tatuaggi di quanto mi aspettassi», commentò Lea alzando lo sguardo. «Hanno delle storie particolari dietro?». Mi irrigidii pensando ad alcune storie che mi aveva raccontato a riguardo; di certo non era pronto per fare le stesse confessioni anche agli altri.
«Nah niente di particolare», la liquidò con gesto della mano. Si girò verso Evan che lo stava osservando spudoratamente. «Evan te l’ho già detto, sono un uomo impegnato; non mangiarmi con gli occhi di fronte alla mia ragazza». Quell’affermazione mi strappò un sorriso, nonostante il subbuglio interiore, mentre gli altri iniziarono a ridere.
«Beh non faccio niente di male», si difese l’altro. «Guardo e basta».
«Guardare ma non toccare, giusto amore?». Trevor si avvicinò a me, che nel frattempo mi ero rialzata, e mi baciò sulla guancia. Mi posò una mano sulla schiena, come se avesse intuito la confusione e il tumulto che si agitavano dentro di me.
«Dovrei sentirmi offeso dal fatto di non attrarre l’attenzione di nessuno?», intervenne Paul. «Eppure sono in qualche modo sollevato».
«Hai la mia», aggiunse Lea guardandolo dolcemente. «L’importante è quello». Sorrisi osservando quanto la mia amica fosse innamorata e scorgendo in lei gli stessi sentimenti che provavo io.
Con un po’ di titubanza cercai di mettere a tacere i pensieri dentro la mia testa, ed iniziai a spogliarmi, non sentendomi inoltre del tutto a mio agio col bikini che avevo indossato; era di mia sorella e proprio per questo era più succinto di quanto avessi immaginato, ma l’avevo preso, o meglio rubato, perché il mio repertorio di costumi da bagno era terribile. Per non parlare del colore rosso acceso che attirava l’attenzione su di me come una lampadina gigante.
«Merda…», borbottò Trevor a mezza voce spalancando gli occhi e non riuscendo più a distogliere lo sguardo dal mio corpo. «Tu mi vuoi fare impazzire Katy».
Evan proruppe in un fischio di apprezzamento facendo voltare alcuni ragazzi lì vicino, il che mi fece raggiungere tonalità di rosso che facevano concorrenza al mio costume. «Eccola qua la mia ragazza».
«Beh ti sbagli perché è la mia ragazza», intervenne Trevor con fare possessivo. «Ed in questo momento ha un po’ troppi occhi puntati addosso». Mi abbracciò cercando di farmi scudo con il suo corpo da chi intorno a noi mi stava fissando; mi sentivo al centro dell’attenzione come se fossi stata in topless o addirittura nuda e non ero certo abituata a quel genere di sguardi. Non avevo mai pensato di poter sembrare attraente con quel bikini, almeno non come Queen.
«Da quando rubi i costumi a tua sorella?», mi domandò Lea, mentre si liberava dei suoi vestiti per sfoggiare un semplice costume nero.
«Come fai a sapere che è di Queen?», chiesi anche se era ovvio che la mia domanda risultasse sciocca. Era così evidente, per chi almeno mi conosceva.
«Me lo stai chiedendo davvero?». Lea alzò un sopracciglio con espressione esplicativa. «Beh non è intero e già sarebbe un indizio sufficiente, per non parlare del fatto che è appena adatto a coprire ciò che non si dovrebbe vedere».
«È troppo succinto», mormorai stretta nell’abbraccio di Trevor, poggiando la fronte sul suo petto.
Lea e Trevor risposero contemporaneamente. «No».
«Sì».
«No», ripeté Lea lanciando un’occhiataccia all’altro. «Sei sexy».
«Un po’ troppo», aggiunse lui. «Non che la cosa mi dispiaccia ma stai mettendo in mostra cose che vorrei poter vedere solo io. Katy stai sopravvalutando la mia pazienza».
«Forse dovrei rivestirmi», azzardai alzando la testa per studiare l’espressione di Trevor. Mi stava abbracciando, ma il suo sguardo scrutava minaccioso intorno a noi.
«Non dire sciocchezze», intervenne Evan. «Era l’ora che iniziassi a mettere in mostra quel corpicino che ti ritrovi».
«Sì», confermò Paul. «Stai benissimo Kathleen, Trevor è soltanto un po’ geloso. Attiri lo sguardo di un po’ troppi ragazzi per i suoi gusti, ha solo bisogno di marcare il territorio».
«Le metterei in testa un cappello gigante con su scritto “proprietà privata” se servisse a far distogliere lo sguardo a tutta la popolazione maschile presente qua dentro».
«Non posso credere che stia succedendo davvero», mi rammaricai contro il suo caldo petto.
«Beh io si invece», intervenne lui passandomi una mano su e giù lungo la schiena. «Sei uno schianto Katy: io l’ho sempre saputo, Lea ed Evan l’hanno sempre saputo. Solo tu parevi non essertene accorta». Le sue parole mi fecero sorridere nonostante l’imbarazzo, anche se stentavo ancora a ritenerle vere. Sembrava più probabile che attirassi gli sguardi perché risultavo ridicola piuttosto che sexy; tuttavia i miei amici avevano appena affermato il contrario e forse io avevo davvero una visione distorta del mio corpo.
Tuttavia Trevor mi distolse dai miei pensieri, sollevandomi di peso e mettendomi sulla sua spalla. «Adesso basta, ci sono un po’ troppi sguardi». Pensai che volesse portarmi via di peso, ma invece si diresse verso il bordo della piscina e senza preavviso si tuffò di colpo. Feci giusto a tempo a chiudermi il naso con la mano, per evitare di bere, prima di piombare nell’acqua che mi sembrò terribilmente fredda rispetto al calore dell’ambiente circostante.
«Sei impazzito?», sputacchiai una volta che fui riemersa. Nuotai verso il bordo con i capelli che mi ricadevano disordinatamente sugli occhi e che sarebbero diventati crespi fino all’inverosimile.
«Scusa», mormorò nuotando al mio fianco e raggiungendomi con due veloci bracciate. «Ma almeno finché resti dentro l’acqua gli sguardi non riusciranno a raggiungerti». Era vero, ma era stato un assalto a sorpresa a cui non ero per nulla preparata.
«Scusa amore», ripeté di nuovo incastrandomi tra il suo petto ed il bordo della piscina e scostandomi i capelli dagli occhi. «Non ti ho tuffata in acqua per farti un dispetto ma per tre validissime ragioni: primo avevi troppi occhi puntati addosso, secondo avevo anch’io bisogno di calmare i miei bollenti spiriti prima che diventassero palesi a tutti i presenti e terzo mi piaci ancora di più tutta bagnata». La malizia era evidente sia nella sua voce che nel suo sguardo, e dopo ciò che aveva appena detto mi risultava difficile avercela ancora con lui, anche perché la sua trovata era riuscita finalmente a distrarmi da tutta la tensione che avevo provato fino a quel momento.
«D’accordo», sussurrai strusciando il naso contro il suo ad un centimetro dalle sue labbra. «Mi sembrano tre buonissime ragioni». Lo baciai dolcemente, dimenticandomi del resto del mondo almeno per un momento.
Purtroppo fummo interrotti dal bagnino che ci ricordava l’uso delle cuffie, cosa che a quanto pareva era obbligatoria e che avrebbe risparmiato ai miei capelli di diventare una matassa ingestibile. Dopo aver docilmente obbedito – Trevor aiutandomi a metterla senza farmi uscire dall’acqua – fummo raggiunti dai nostri amici e iniziammo a nuotare, ridere e scherzare tutti insieme. Sembrava davvero impossibile che fosse metà febbraio e che ci trovassimo a fare il bagno nella ventosa Chicago, totalmente liberi di divertirci, senza sentire la pressione costante dei professori a vigilarci. Anche se ne avevo visti un paio a bordo vasca, compreso il coach e l’allenatrice, sembravano lasciarci la nostra libertà ed era davvero un miracolo. Forse sarà stato il fatto che fossimo all’ultimo anno, alla nostra ultima gita, o che ci fosse una competizione imminente ad attrarre la loro attenzione; comunque mi stavo divertendo come mai prima di allora, soprattutto negli ultimi  anni.
Stavo ridendo stretta nell’abbraccio di Trevor per qualcosa che aveva detto Evan, quando voltandomi leggermente notai mia sorella intenta a fissarmi con sguardo imperscrutabile. Era ad una decina di metri da noi, in piedi sul bordo vasca, avvolta nel suo costume verde smeraldo, bella e perfetta come al solito. Soltanto la sua espressione sembrava indecifrabile: non riusciva a distogliere lo sguardo da noi, ma sul suo volto non sembrava esserci nessun risentimento, cosa assai insolita. Non si era fatta scrupolo di manifestare la sua disapprovazione per Trevor sia a parole che con gesti; invece quella sera sembrava solo triste e la cosa mi sorprese.
Svicolandomi dall’abbraccio di Trevor, nuotai verso di lei in modo tale da raggiungerla al bordo. Lei non si mosse, ma mi guardò avvicinarmi lentamente, mantenendo la sua espressione pensierosa.
«Ciao», mormorai, fermandomi e alzando la testa per guardarla negli occhi.
«Ciao».
«Scusa se ti ho rubato il costume senza neanche chiedertelo». Era la prima cosa che mi fosse venuta in mente e probabilmente anche una delle cose più inutili per cui mi sarei dovuta scusare.
«Non fa niente, ti sta bene». Era una risposta gentile, una di quelle che ci saremmo date qualche mese prima, prima ancora che la nostra faida iniziasse.
«Vi siete allenate?», domandai non sapendo cos’altro dire.
«Sì, ma adesso la Miller ci ha detto di rilassarci». Ecco spiegata la sua presenza là. Chissà da quanto mi stava osservando senza dire una parola.
«In bocca al lupo per domani, se qualcuno può far vincere la  squadra quella sei tu». E lo pensavo davvero, non avevo mai avuto dubbi sulle sue capacità.
«Crepi», mormorò accennando un piccolo sorriso.
«Sarò lì a fare il tifo per te», aggiunsi di slancio. Nonostante ciò che era accaduto tra noi, sapevo quanto Queen ci tenesse a quella gara e alle cheerleader in generale e volevo che sapesse che io l’avrei sostenuta sempre, a prescindere da quale fosse il nostro rapporto.
«Grazie», mormorò alzando lo sguardo per osservare il punto dal quale ero appena venuta. «Credo che il tuo ragazzo si stia un po’ innervosendo vedendoti socializzare col nemico». Era quella la Queen che conoscevo: la ragazza capace di scherzare e di ironizzare con estrema facilità. Ed era anche la sorella che più mi mancava.
Mi voltai a guardare Trevor, rivolgendogli uno sguardo rassicurante, per poi tornare a dirigere la mia attenzione su di lei. «Dov’è Sean?». Era strano che non fossero insieme e quella mancanza avrebbe dovuto risaltarmi prima agli occhi.
«Da qualche parte qua in giro», rispose frettolosamente. «Adesso devo andare, ci vediamo Linny». Così dicendo si allontanò lasciando che io tornassi dai miei amici e continuassi a divertirmi.
 
Restammo in acqua ancora un po’, fino a quando gli insegnanti vennero a chiamare ordinandoci di asciugarci e andare a cena. Dopo aver mangiato ci venne imposto una sorta di coprifuoco che ci rispedì nelle nostre stanze, anche se era più che altro rivolto a chi il giorno dopo avrebbe dovuto gareggiare. Quando mi ritrovai nell’ascensore con i miei amici diretti al nostro piano, sentii di nuovo la tensione crescere dentro di me. Se avevo dimenticato, almeno per un po’, ciò che sarebbe successo in quel momento tornò ad occupare in pieno la mia attenzione.
L’ascensore si fermò per fare scendere alcuni ragazzi alcuni piani sotto di noi, compreso Evan.
«Buonanotte», ci salutò con un gesto della mano. Stava per uscire quando il suo sguardo si posò su di me, rannicchiata in un angolo con lo sguardo basso persa tra i miei pensieri. Se c’era una cosa che lui sapeva fare era capirmi con un solo sguardo, anche se a volte sembrava fare di tutto per far credere il contrario. E probabilmente capì meglio di quanto riuscissi a fare io ciò che mi stava agitando e che attirava tutta la mia concentrazione.
Proprio per questo ritornò di slancio indietro e mi posò un bacio sulla guancia. «Andrà bene», sussurrò. «Devi smetterla di rimuginarci sopra».
Alzai gli occhi su di lui grata per quel sostegno del tutto inaspettato. «Grazie».
Fece un gesto con la mano prima di uscire e vidi Trevor accanto a me sorridergli riconoscente, probabilmente avendo colto il senso del nostro scambio di battute. Infatti, una volta che le porte si furono richiuse, le sue dita cercarono subito le mie, intrecciandosi saldamente. Non mi lasciò andare fino a che la porta della camera non si richiuse alle nostre spalle e noi rimanemmo finalmente da soli.
Restammo per qualche secondo in silenzio, non sapendo bene cosa dire o fare. Non c’era mai stato imbarazzo tra noi, a parte quello che avevo provato io nell’approfondire il nostro rapporto; tuttavia le implicazioni di ciò che stava per succedere, il fatto che lui lo desiderasse e se lo aspettasse, rendevano tutto più difficile. Non che volessi tirarmi indietro, ma era ovvio che l’avremo fatto e quella imposizione, per quanto desiderata, ci portava ad essere più impacciati del solito e a rendere la nostra prima volta meno naturale di quanto avrei voluto. Forse avevo sbagliato a voler programmare tutto, ma in quel momento non potevo, e non volevo tirarmi indietro.
«Credo che dovrei farmi una doccia», mormorai cercando di sembrare più naturale possibile. «I miei capelli sono un disastro».
«D’accordo. Ti aspetto qui». Si sedette sul letto e mi osservò mentre prendevo velocemente il beautycase e mi avviavo verso il bagno.
«Katy», mi fermò prima che potessi chiudere la porta. Il suo sguardo era più chiaro e limpido che mai. «Prenditi tutto il tempo che vuoi». Trassi un profondo respiro, come se avessi trattenuto il fiato fino a quel momento, e annuii chiudendomi la porta alle spalle. Gli ero grata per quelle parole, perché significava che mi capiva e che, come sempre, mi stava concedendo i miei tempi senza farmi pressioni.
Lasciai che la doccia, oltre al cloro, lavasse via anche tutte le mie tensioni, e anche se continuavo a sentire il cuore battere a mille all’ora, in parte riuscii a riconquistare un minimo di calma. Quando mi avvolsi nell’immacolato accappatoio bianco dell’albergo sentii una strana consapevolezza prendere il sopravvento. Non avevo nulla per cui essere spaventata, d’altronde era Trevor: il ragazzo, o meglio l’uomo, che amavo con tutta me stessa, lo stesso che mi aveva sempre rispettata e che mi guardava con un’adorazione tale da sembrarmi quasi impossibile. Era amore quello che c’era tra noi e il passo che stavamo per compiere era solo un’altra dimostrazione di quell’amore.
Guardandomi nello specchio, con una determinazione del tutto nuova, scorsi una Kathleen diversa, più matura, pronta a fare quel passo. Mentre mi asciugavo i capelli, cercando di non farli arricciare ancora di più, sentii maturare in me una nuova forza e una nuova emozione; stavolta non era ansia, ma trepidazione. In fondo Trevor era quello che avevo sempre voluto, anche se non lo sapevo, e presto lo avrei avuto completamente. La mia tensione di poco prima era stata sciocca e riflettendoci bene anche del tutto ingiustificata.
E proprio grazie a questa nuova me stessa, non andai nel panico quando mi accorsi di non aver portato con me niente per cambiarmi. I completini intimi che avevo comprato con Lea erano rimasti ripiegati in valigia, ma capii che non avrebbe avuto importanza, che lui voleva me a prescindere da cosa indossassi, esattamente come io volevo lui.
Fu per questo che aprii la porta avvolta solo dall’accappatoio e tornai da colui che desideravo con tutta me stessa. Trevor era sul letto ed indossava solo dei pantaloni della tuta, i suoi tatuaggi in bella mostra davanti a me. Appena mi vide si alzò lentamente, studiando la mia espressione e il mio corpo con sguardo attento.
«Ciao», mormorai rivolgendogli un sorriso emozionato.
«Ciao». Lo stesso sorriso emozionato si disegnò anche sul suo volto.
«Ho dimenticato i vestiti nella valigia».
«Non importa», rispose accarezzandomi la guancia con le dita per poi baciarmi dolcemente. Lasciai che fossero le mie labbra a parlare, mentre portandogli le braccia al collo mi stringevo a lui. Assaporai il suo sapore, ormai famigliare, e fui inondata dal suo odore, così buono da farmi perdere la testa. Portai una mano sul suo petto, posando il palmo proprio dove il suo cuore batteva prepotente in una perfetta imitazione del mio.
Trevor appoggiò la fonte sulla mia, lasciando solo un centimetro tra le nostre labbra, e riaprì gli occhi per travolgermi con quel suo mare azzurro. «Ti amo».
«Ti amo», ripetei stentando a credere a quanto quelle parole risultassero vere.
«Posso?», domandò indicando la cintura del mio accappatoio. Annuii, incapace di parlare, e osservai la sua espressione mentre con estrema calma slacciava quell’unico oggetto che celava la mia nudità. Con movimenti lenti fece scivolare il tessuto di spugna giù dalle mie spalle, lungo le mie braccia, fino a che non si afflosciò a terra silenziosamente.
Il suo sguardo sembrava volermi divorare. «Sei bellissima». Per quanto quel complimento fosse di parte, gli fui davvero grata per averlo fatto: ero lì esposta, nuda e vulnerabile, di fronte a lui e Trevor riusciva comunque a farmi sentire la regina del suo mondo. E la cosa più incredibile era che  probabilmente per lui era davvero così.
Mi alzai sulle punte per baciarlo di nuovo, posandogli le mani sulle spalle. Le sue dita iniziarono a percorrere lentamente la mia pelle, su giù lungo la schiena, sul fianco, sulla pancia, sul mio seno. Senza rendermene conto mi guidò verso il letto, facendomi distendere e portandosi lentamente sopra di me. Mentre ci baciavamo le mie mani scesero giù lungo il suo petto fino ai suoi fianchi tirandogli giù i pantaloni e lasciandolo solo con i boxer. Si alzò un attimo per calciarli via e poi riprese a baciarmi da dove si era interrotto.
Le sue labbra iniziarono a percorrere ogni centimetro della mia pelle: partì dai miei piedi, su per le gambe, sulle cosce, assaporando ogni parte di me. Si soffermò un attimo nel mio centro, ma poi proseguì il suo percorso. Passò la lingua nel mio ombelico e poi salì fino al mio seno; iniziai a gemere ancor prima che con le labbra circondasse un capezzolo, accendo un fuoco dentro di me. Infilai le dita tra i suoi capelli iniziando a tirargli alcune ciocche mentre lui continuò il lavoro sul mio seno, concentrandosi prima su uno e poi sull’altro. Mi inarcai contro di lui sorpresa che riuscisse a farmi provare un piacere tale, soltanto così.
A quel mio movimento, che mi portò a percepire distintamente la sua eccitazione premere contro la mia pelle, Trevor alzò la testa e riprese il suo percorso sul mio collo fino al mio orecchio.
«Non credo che durerò a lungo se continuiamo così. Devo averti Kathleen, non resisto più». La sua voce era roca e sensuale e aveva un tono supplicante del tutto inutile. Volevo esattamente la stessa cosa.
«Sì», mormorai, dandogli un consenso che era già più che palese. Trevor mi sorrise e lasciò un dolce bacio sulle mie labbra prima di rialzarsi. Si sfilò velocemente i boxer, rimanendo completamente nudo di fronte a me, e si allungò per prendere un preservativo, che evidentemente aveva posato sul comodino. Quando strappò la bustina per poterselo infilare, sentii un familiare rossore tingermi le guance che purtroppo non riuscii ad evitare.
Trevor sorrise quando tornò a guardarmi. «Eccola qua la mia Kathleen. Mi chiedevo quando saresti arrossita di nuovo. Sei pronta?». Si posizionò tra le mie gambe, allargandomele dolcemente. Mi osservò distesa sotto di lui e il suo viso si illuminò quando annuii leggermente; intrecciò le sue dita alle mie poco prima di entrare dentro di me. Istintivamente chiusi gli occhi quando sentii una fitta di dolore, fu solo un secondo, che però mi lasciò una specie di bruciore.
«Mi dispiace», sussurrò vicino al mio orecchio. «Ha fatto molto male?».
«No», sussurrai riaprendo gli occhi e trovandomi catapultata direttamente in quelli di Trevor.
«Lascerò che ti abitui a me amore». Mi baciò sulla guancia cercando di non muoversi.
«Mi riempi», mi sfuggì detto, ma era la sensazione predominante. Era come se fossi finalmente completa. Era la prima volta in vita mia che mi sentivo così intera, senza crepe né imperfezioni.
«E tu sei così stretta Katy. La mia immaginazione non avrebbe potuto renderti giustizia».
Sorrisi sentendo il bruciore sparire piano piano; così quando mi allungai per baciarlo, Trevor capì che ero pronta ed iniziò a muoversi lentamente, facendo di me una vera donna e creando tra di noi un’intimità e una complicità sempre più profonda.
 
Diverse ore e tre preservativi dopo, mi ritrovai avvolta nel caldo abbraccio di Trevor; le nostre gambe erano intrecciate e i nostri corpo nudi e accaldati erano avvinghiati sotto le coperte. Lui aveva una mano sopra la mia pancia, dove io stavo accarezzando le sue dita, e mi stava dolcemente baciando un punto imprecisato dietro l’orecchio, immerso tra i miei ricci.
La mia mente era ancora in subbuglio, il mio cuore batteva forte e, per quanto fossi effettivamente stanca, ero preda di una miriade di emozioni che non mi avrebbero mai concesso di dormire. Non trovavo parole per descrivere quello che avevamo appena fatto: tra noi si era creato un legame ancora più profondo, una confidenza, una fiducia ancora più grande. Trevor, all’inizio dolce e attento, era diventato sempre più passionale, animalesco e prorompente, facendomi capire quanto mi avesse desiderato e quanto invece si fosse trattenuto. Ed io avevo tirato fuori una parte di me che non credevo di avere: avevo risposto alla passione con ancora più partecipazione e irruenza di lui, cosa che ci aveva mandato letteralmente in paradiso più volte.
«A cosa stai pensando?», mi domandò respirando vicino al mio orecchio. Sentii il suo piercing sul lobo, una sensazione ormai del tutto familiare.
«A tutto e a nulla, a noi». Le immagini di poco prima erano ancora vivide e le emozioni mi stavano ancora sopraffacendo per riuscire a spiegare tutto quello che mi passava per la testa.
«A noi», ripeté sorridendo quasi fosse una qualche parola magica.
«E tu a cosa stavi pensando?». Seguii il contorno delle sue dita sulla mia pelle, per poi posare la mano sulla sua.
«A qualcosa di molto sdolcinato che se detto ad alta voce metterebbe sicuramente in dubbio la mia virilità».
Feci una risatina. «Niente può mettere in dubbio la tua virilità, non dopo ciò che abbiamo fatto».
Lo sentii ridere contro la mia schiena. «Direi proprio di sì». Tuttavia non aggiunse altro, lasciandomi preda della curiosità.
«Allora questa cosa sdolcinata, me la vuoi dire o no?».
«Mmm, potrei…».
«Non lo dirò a nessuno promesso». Mi strinsi ancora di più a lui, reclinando il capo in un tentativo di guardarlo. «Anzi te ne dirò una anche io: è stata la notte più bella di sempre». Sapevo che poteva sembrare un luogo comune o una frase fatta, ma era davvero così; e anche se all’inizio mi ero sentita un po’ impacciata, dopo era stato tutto assolutamente perfetto.
«Anche per me Katy, anche per me». Sorrisi felice di aver un’ulteriore conferma che lui aveva provato esattamente le stesse cose, che eravamo insomma sulla stessa lunghezza d’onda.
«Era questa la cosa sdolcinata a cui stavi pensando?».
«No». Esitò un secondo prima di continuare. «Sei la persona più importante di tutta la mia vita; non c’è niente che non farei per te Kathleen». Le sue parole penetrarono nel mio profondo, radicando saldamente il loro significato.
Mi scostai leggermente, quel tanto che bastava per voltarmi e poterlo guardare negli occhi. Passai un dito sul suo labbro, soffermandomi sul contorno del suo piercing. «Anche per me sei la persona più importante». Mi accorsi mentre pronunciavo quelle parole che erano vere. Fino ad allora James era stato quella persona, ma nell’esatto istante in cui Trevor era entrato nella mia vita qualcosa dentro di me ero cambiato; le mie priorità erano cambiate e avevo lentamente iniziato ad accettare il fatto che, nonostante la speranza ancora viva, James come lo conoscevo io, come era prima, non ci sarebbe più stato e con lui non ci sarebbe più stata neanche la vecchia Kathleen. La nuova Kathleen era diversa, più forte, più matura, forse proprio grazie a quel dolore sordo che non se ne sarebbe mai andato del tutto; la nuova Kathleen aveva conosciuto Trevor e se ne era innamorata perché aveva visto in lui lo stesso dolore, la stessa sofferenza, e una personalità prorompente che lottava con tutte le sue forze per riemergere; un coraggio che io non avevo mai avuto fino ad allora.
«Voglio che sia per sempre Katy», mormorò, gli occhi così limpidi e sinceri. «Questa notte, noi due, tutto quanto».
«Noi per sempre», confermai prima di baciarlo dolcemente. Avevamo appena detto tutto: non c’era nient’altro da aggiungere.
 
  
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