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Autore: Sproutty    20/02/2018    0 recensioni
Cosa significa essere una famiglia?
La storia parla di un ragazzo di 16 anni che viene adottato. Nonostante la sua nuova famiglia cerchi di farlo sentire a proprio agio e di dargli affetto come un figlio naturale, lui finisce per chiudersi in se stesso.
"Nonostante i tentativi di contatto, dei miseri tentativi per creare un rapporto ci siano stati non mi sono mai sentito a mio agio.
E questa cosa mi fa solo che soffrire, non penso che si meritino una cosa del genere. Hanno tentato di accogliermi, quando eravamo tutti insieme erano sempre sorridenti.
Eppure in quel sorriso scorgevo la tristezza. Tristezza dettata dal fatto che chiamarmi "figlio" fosse completamente fuori luogo. Non mi comportavo da figlio, piuttosto mi definirei un estraneo."
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La sveglia suonò incredibilmente presto quella mattina nonostante fosse una giornata estiva. Mi alzai dal letto e diedi un’occhiata al calendario appeso in camera. Oggi era il giorno in cui sarebbero dovuti uscire i risultati dell'esame di maturità. Dopo essermi dato una sciacquata ed essermi vestito mi diressi verso il salone, dove ogni giorno ci riunivamo per fare colazione. Onestamente odiavo quel momento della giornata. L'essere così vicini rendeva obbligatorio il parlarsi, cercando di evitare un imbarazzante silenzio. Quella mattina in particolare ero da solo, i miei genitori adottivi erano in vacanza e sarebbero tornati sabato, mia sorella probabilmente dormiva ancora. Guardai l'orologio, i risultati sarebbero usciti alle nove in punto e le lancette puntavano le sette e mezza. Avevo ancora tempo. Una volta finito di fare colazione, mi diressi verso la porta d'ingresso e aprii la porta. Guardando dietro vidi mia sorella in cima alle scale, ci scambiammo al volo uno sguardo, poi uscii.


La scuola si trovava abbastanza vicina a casa, giusto una ventina di minuti a piedi. Durante i miei tre anni scolastici non strinsi amicizia con molte persone. Il mio carattere devo ammettere che non era dei migliori, non che fossi una persona arrogante e perfida. Ero solamente molto restio a stringere un rapporto. Probabilmente avevo paura.
Nonostante ciò con una persona ero riuscito a legare. Ad essere sincero non avevo neanche idea di come avessi fatto. L’unica cosa di cui sono certo è che la sua amicizia per me era veramente importante. Probabilmente è stata la sua amicizia a impedirmi di sprofondare in un baratro. Avere una persona con cui parlare, ridere e sfogarsi è stata decisamente la mia salvezza.


In lontananza iniziavo a vedere la scuola, e con l’avvicinarsi dell’edificio il mio cuore iniziava a battere sempre più forte. Devo ammettere che ero veramente agitato e in stato di ansia. Per me questa giornata, questi risultati erano veramente importanti. Proprio davanti al cancello scolastico sentii il cellulare suonare, era un messaggio dai miei genitori adottivi.

“Oggi non uscivano i risultati dell’esame di maturità? Facci sapere, forza e coraggio!”;

Guardai quel messaggio per qualche secondo. Non sapendo cosa rispondere rimisi il cellulare in tasca e mi avvicinai all’ingresso dove erano affissi i risultati. Feci un respiro profondo e guardai verso l’alto. I risultati della mia sezione erano proprio davanti ai miei occhi.

Dopo una mezz’ora ero nuovamente a casa. Mi spogliai e mi misi sul letto e iniziai a guardare il soffitto.
Mentre vagavo con la mente i miei pensieri furono interrotti da una chiamata.
Scocciato presi il telefono, pensando si trattasse dei miei genitori. Con grande sorpresa vidi che il numero era di Mic, il mio unico amico.

“Ehy, oggi è il grande giorno vero? Già visti i risultati?”;
“Già, era proprio oggi, sono appena tornato”;
“E?”


Decisi di attendere qualche secondo prima di rispondere, senza un apparente motivo.

“Pronto, ci sei ancora? Non mi dire che sono andati male!”;
“In realtà sono uscito con 100 e lode, idiota! Che ti aspettavi?”;


Entrambi scoppiammo a ridere.

“Bene! Andiamo a festeggiare?”
“Mi stai chiedendo di uscire? Mi sono appena spogliato, non se ne parla”;
“Allora vengo a casa tua.”
“No, sai che non voglio che vieni qui.”


Sentii Mic fare un lungo sospiro, quasi scocciato.

“Ormai sono quasi tre anni che ci conosciamo e ancora non mi hai mai fatto conoscere la tua famigl-”;

Mic si interruppe, sapeva che per me quello era un argomento delicato.

“Scusami” disse, “non ho pensato prima di parlare”.
“Ormai pensi che io mi possa stupire per una cosa del genere?” - dissi ridendo.
“Dai, allora che facciamo? Se ti dico che voglio festeggiare significa che festeggeremo. Sai anche quanto sia testardo no?”;
“Lo so, lo so. Dammi due secondi che ti metto in vivavoce, almeno posso rivestirmi”;


Misi il telefono in vivavoce e mi iniziai a spogliare, riprendendo i vestiti che avevo poggiato sulla sedia poco prima. Nel frattempo sentivo che mia sorella stava salendo le scale per tornare in camera sua.

“Senti, il fatto che tu abbia preso 100 e lode significa che..”
“Si, posso iscrivermi a quell’università senza pagare niente. Vitto, alloggio e tasse tutte pagate!”;
“Quindi per noi sarà l’ultima settimana, vero?”;


Improvvisamente calò il silenzio, sia da parte mia che da parte sua. Quello che diceva era vero, l’università non si trovava in questa città. A dire il vero era anche piuttosto lontana.

Il silenzio fu interrotto dai passi di mia sorella. Sembrava quasi che si fosse appostata dietro la porta di camera mia per ascoltare. Sentii la porta di camera sua chiudersi.


“Dai, non penso che sia il momento di parlarne, pensiamoci dopo. Adesso muoviti, tra dieci minuti sono sotto casa tua.”;
“Va bene, non tardare come al solito, a dopo”;


Finita la chiamata uscii da camera mia e fissai la porta di camera di mia sorella. Non so per quale motivo ma il cuore iniziò a battere in maniera energica. Aver preso 100 e lode per me significava l’inizio di una nuova vita, abbandonare questa famiglia.

A essere onesto mi sono sempre sentito in colpa verso di loro. Nonostante loro abbiano cercato di darmi tutto l’affetto possibile non sono mai riuscito a ricambiare. E questa cosa mi faceva veramente soffrire, sapevo che era un comportamente pessimo, che non se lo meritavano.

E adesso mi trovavo lì, davanti la porta della camera di mia sorella, con il cuore a mille, come se il fatto che possa aver sentito mi spaventi.

Io e Diana non ci siamo mai parlati più di tanto. Eppure era come se fossimo collegati in un certo modo. Anche lei era stata adottata, l’anno prima che fossi adottato io. Al contrario mio, lei cercava di sforzarsi ad avere un rapporto con i nostri genitori, era spesso sorridente a tavola.
Eppure io e lei non siamo mai riusciti ad aprirci. Spesso la vedevo che mi osservava. In realtà molte volte sembrava come se uno dei due cercasse di parlare con l’altro, cercava di stringere un rapporto ma, anche se le occasioni ci sono state, non riuscimmo mai a concretizzare nulla.

 

Diana era veramente una bella ragazza, capelli neri lunghi fino a metà schiena, un bel fisico per una ragazza di 16 anni e degli occhi azzurri ghiaccio.
Popolare a scuola, aveva veramente tantissimi amici. Da questo punto di vista era veramente il mio opposto.


Per quale motivo mi ero fermato ad osservare la sua porta? Per quale motivo continuavo a preoccuparmi del fatto che possa avermi sentito?
Infondo, per me lei non è nulla.

Per me lei non è nulla” - ripetei tra me e me, quasi a cercare un consenso.

Non ero per nulla convinto di quelle parole. Nonostante abbia cercato di creare un muro tra me e lei, non sono mai riuscito a costruirlo completamente. Non so cosa mi bloccasse, ma ogni volta che il nostro sguardo si incrociava sentivo come se lei potesse capirmi, come se sentissi il bisogno di parlarle, di conoscerla, di apprezzarla, di avere un semplice contatto.

Eppure questo contatto non c’è mai stato, avevo paura, la mia insicurezza ha fatto si che due fratelli che vivono sotto lo stesso tetto siano a tutti gli effetti degli sconosciuti.
Nonostante abbia sentito il bisogno di costruire un rapporto con lei sono fuggito.

E adesso mi trovavo lì, a pochi passi dalla sua porta, ancora una volta con l’indecisione e la paura che la facevano da padroni.

Cosa dovrei fare?” pensai.

Mi avvicinai ancora di più, fino a trovarmi a pochi centimetri dalla maniglia.
Per la prima volta da quando arrivai in quella famiglia bussai su quella porta.
Due leggeri tocchi, delicati.

Poco dopo la porta della camera si aprì.

C’è qualcosa che non va?” chiese lei.

Non risposi subito, passai qualche secondo ad osservarla. I suoi occhi erano stranamente lucidi.

Io...” dissi timidamente, “Io vorrei parlarti di una cosa per me molto importante”.

In quel momento, in quel preciso istante, il mio cuore ebbe come un blocco.
Cosa stavo dicendo? Non era da me, non era decisamente da me. Era come se la mia volontà fosse trainata da un insieme di emozioni represse e tenute nascoste per un lungo tempo.

Il silenzio regnava sovrano, ne io ne Diana avevamo il coraggio di guardarci negli occhi. Passarono secondi interminabili.

“D-Dimmi pure…” disse lei, decisamente imbarazzata.

Non so se quello fosse veramente imbarazzo o meno. La situazione era decisamente atipica, era come se entrambi ci sentissimo a disagio.

“Se vuoi entra, non stavo facendo niente in particolare” continuò lei.

Feci un passo in avanti, il cuore continuava a battere decisamente troppo veloce.

All’improvviso suonò il telefono, era sicuramente Mic.

Scusami… preferirei parlarne in un altro momento” dissi.

Vidi lo sguardo di Diana spegnersi.

“Va bene, non ti preoccupare” sussurrò.

Feci un passo indietro e abbozzai un saluto. Ero decisamente turbato.
Avevo provato emozioni stranissime, emozioni che a causa del mio “guscio” non avrei mai pensato di provare. Era come se all’improvviso avessi sentito il bisogno di rompere la barriera che avevo creato. Ma soprattutto, era come se avessi appena bruciato la mia unica occasione per parlare con mia sorella.

Mi diressi verso la porta. Prima di uscire diedi un veloce sguardo dietro di me. La porta della camera di mia sorella era chiusa.

L’orologio segnava le 12 in punto.
   
 
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