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Autore: Shichan    20/02/2018    2 recensioni
[The Case Study of Vanitas]
Gli occhi di Vanitas davano l'idea di un lettore disinteressato, annoiato e che continuava a leggere la stessa storia, conosciuta già a memoria. Quell'immagine rendeva quanto a Vanitas interessasse del mondo.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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N/A: scritta per la sesta settimana del cow-t, missione 4.
Il titolo fa riferimento al brano richiamato anche nella storia stessa, composto da Kreisler.




Parigi appariva e suonava così diversa, quella notte. Noè era certo che persino i fiori stessero facendo del loro meglio per rendere quella notte primaverile speciale, con il loro aroma ovunque a fargli credere di essere di nuovo nella foresta in cui era cresciuto. Da qualche parte nel suo cuore, felice grazie all'atmosfera per le strade, aveva l'impressione di abbandonare il sentiero per vagare da qualche parte sarebbe bastato per permettergli di trovare un campo di boccioli in piena fioritura, lo stesso in cui andava a raccoglierne alcuni per le tombe dei nonni, quando era bambino.
La città era incredibilmente bella e l'aria tiepida. Un cielo sereno sopra le loro teste mostrava una timida luna crescente, e guardando in alto verso di essa diede a Noè la sensazione che quella notte fosse destinata ad avere una magia di qualche tipo – non i trucchi degli artisti di strada, ma veri e propri incantesimi così potenti che nessuno avrebbe potuto combatterli nemmeno se lo avesse voluto.
I lampioni aiutavano a illuminare il luogo e le persone – no, i vampiri – con il loro chiacchiericcio animavano lo spazio aperto dove la maggior parte della piccola folla stava affluendo.
Da quanto ne sapeva Noè, le lucciole non erano qualcosa che doveva essere possibile vedere in una città come Parigi; perciò quelle luci tremolanti che sembravano fluttuare nell'aria quando guardava verso il cielo dovevano essere qualcos'altro che lui non riusciva a riconoscere.
«Sto cominciando a provare pena per Dominique. Ti perdi davvero nell'istante in cui non ti si tiene più d'occhio.»
Noè non ebbe bisogno di smettere di guardare il cielo per sapere chi avesse parlato; eppure lo fece, gli occhi magenta sulla figura conosciuta di Vanitas. L'attenzione dell'umano non era su di lui, però, ma sulle persone che si stavano radunando. C'erano molte cose che Noè non conosceva, ma di sicuro sapeva come una persona osservava un libro, una storia il cui finale non era stato ancora letto: gli occhi di Vanitas davano l'idea di un lettore disinteressato, annoiato e che continuava a leggere la stessa storia, conosciuta già a memoria. Quell'immagine rendeva quanto a Vanitas interessasse del mondo.
«A Dominique sarebbe piaciuto.» decise di dire. A giudicare da quanto animato si stava facendo l'ambiente, la sua amica d'infanzia avrebbe di sicuro trovato eccitante l'intera situazione, la perfetta opportunità di dimenticare i ricordi spiacevoli e godersi la notte giovane, complice. Chissà se Louis...
«Di certo è pieno di giovani fanciulle con cui potremmo danzare.» pronunciò la voce di Vanitas, una nota di divertimento nel suo tono di voce, le labbra incurvate in un sorriso che a Noè non piacque affatto – c'erano volte in cui era più semplice notare quel qualcosa che Noè aveva scoperto quasi per caso: Vanitas aveva così tante maschere che era facile perderlo tra di esse. Era un sentimento che Noè non aveva prima di incontrare quell'uomo; se avesse dovuto descriverlo, avrebbe detto che era come cadere in una piscina di liquido scuro e appiccicoso, senz essere in grado di fare altro se non annegare. A un certo punto una persona poteva solo smettere di combattere l'urgenza di respirare e dimenticarsi come nuotare, arrendendosi. Nello stesso modo, a Noè a volte sembrava di riuscire a cogliere solo un guizzo del vero Vanitas, ma non era mai per più di un istante: quel frammento di verita finiva con il vacillare immediatamente come la fiammella di una candela, per poi sparire sotto bugie e bugie e ancora bugie.
Ed era a quel punto che Noè se ne era accorto: il sorriso di Vanitas non raggiungeva mai gli occhi dell'uomo, se non quando era falso.
«Dunque, Noè» proseguì l'altro «a chi chiederai di danzare?»
«A nessuno.»
«Non, non, non. Quale uomo, in questa situazione, non avverte l'impulso di prendere la mano di qualcuno e danzare con quella persona?» Vanitas si stava prendendo gioco di lui, era piuttosto ovvio. Noè lo guardò, confuso, dopodiché decise di lasciar vagare lo sguardo altrove. Gentiluomini e dame avevano formato delle coppie mentre lui era distratto e alcuni di loro si stavano godendo l'atmosfera, chiacchierando e aspettando che la musica iniziasse pur senza l'intenzione di unirsi alle danze. Altri, invece, camminavano verso il centro della piazza e Noè focalizzò l'attenzione su una coppia non troppo lontana da lui: la ragazza indossava un abito semplice ma grazioso, di un rosa pallido che donava a lei e alla sua figura esile. Aveva un sorriso timido e gentile, oltre che occhi solo per l'uomo di fronte a lei che le stava prendendo la mano con delicatezza, quasi pronto per danzare. Non sembrava molto più grande di lei, ma di certo felice quando la giovane che aveva invitato.
A essere sincero, Noè non sapeva come considerare le persone intorno a lui, non perché fosse sospettoso, ma perché danzare era qualcosa che aveva sempre fatto con le persone importanti per lui. Domi non era stata l'unica, ma era l'unica ancora viva; Noè ancora ricordava, seppure vagamente, come Louis era solito aiutarlo a imparare i passi di danza quando erano giovani – a volte si odia per non riuscire a ricordarlo meglio.
Alla sua sinistra, i musicisti sono pronti per suonare. Noè li nota scambiarsi frasi brevi e aggiustare le loro posture, gli strumenti nelle mani. Non ce n'erano molti: due violinisti, un violoncellista e un pianista. Il pianoforte doveva essere stato offerto dal negozio di fronte a dove si trovavano – Noè provò a sbirciare all'interno e gli sembrò di intravedere qualche oggetto di antiquariato. Con sua sorpresa, le prime note del piano non rivelarono un suono scordato, il che suggerì a Noè che lo strumento dovesse essere in buone condizioni. Quando  il violoncello si unì, Vanitas fece un piccolo suono, come se si stesse burlando di loro; quando Noè lo guardò notò un lieve sorriso sulle labbra dell'uomo ma, come c'era da aspettarsi, gli occhi di Vanitas non lo riflettevano affatto. Erano gli occhi di qualcuno che aveva appena visto qualcosa di disgustoso.
Ovviamente Vanitas si riprese prima che Noè potesse fare alcuna domanda.
«Un suono così bello, eppure questi gentiluomini dimostrano un concetto piuttosto particolare riguardo il corteggiare qualcuno. O sono troppo giovani per sapere che canzone orribile hanno scelto di ballare con i loro interessi sentimentali.»
«Sono probabilmente più grandi di te, però.» replicò Noè, non molto sicuro di cosa Vanitas intendesse: «Perché la canzone non va bene?»
«Liebesleid.» pronunciò Vanitas, una parola che Noè non aveva mai sentito prima. Era un linguaggio a lui sconosciuto, eppure c'era qualcosa di affascinante nella parola stessa e nel modo in cui suonava «Il titolo di questo brano. Capiresti meglio se ti dicessi "Love's sorrow"? Non è un brano che balleresti con una persona che stai cercando di sedurre, giusto?»
«Non lo faresti?» chiese Noè, facendola suonare più come una sfida che in verità non era reale. Vanitas gli mostrò un'espressione stupita, anche se solo per un momento.
«Tu sì?» chiese di rimando, tono ed espressioni beffarde; c'erano volte – volte come questa – in cui Noè non era certo dei suoi sentimenti nei confronti dell'uomo: l'insopportabile desiderio di comprenderlo era forte tanto quanto l'implacabile istinto di prenderlo a pugni.
Alla fine, cercò di fare del suo meglio (dovresti bilanciare ogni cosa che fa, Noè; è così che si riesce a esistere) e prese la mano di Vanitas, tirandolo verso le persone che stavano già ballando.
«Che stai facendo?!»
«Non ho mai provato a sedurre qualcuno.» ammise, la sua mano libera già sulla parte bassa della schiena di Vanitas, pronto per danzare e con nessuna intenzione di lasciar andare l'altro da nessuna parte «Ma Domi una volta mi ha detto che l'amore riguarda sia la gioia che il dolore.»
In verità Noè non aveva capito cosa Dominique stesse cercando di dirgli, quella volta, ma in un certo senso era riuscito a comprenderlo adesso: l'amore non poteva essere solo una o l'altra cosa. Noè era piuttosto sicuro che qualunque forma assumesse – tra amanti, verso gli amici, per la propria famiglia – fosse qualcosa che poteva riempire il cuore di una persona in così tanti modi che una melodia sul dolore non gli suonava giusta, completa.
Vanitas non tentò di scappare e si limitò a danzare con lui, senza preoccuparsi di chi intorno a loro li guardava stupito. Niente fuori dall'ordinario, d'altronde: quando mai Vanitas si lasciava sfiorare da persone che per lui non contavano nulla? (C'era qualcuno che contava, per Vanitas?)
«Perciò questo significa che pensi di poter amare qualcuno che ti fa soffrire?»
«Io ho già—» cominciò Noè, ma si fermò a metà della frase. Non era pronto per questo, per dire a qualcuno di Louis. Non era pronto a dare tutto a Vanitas senza avere nulla indietro. Non era—
«Sei un pessimo ballerino, Noè. Non prestare attenzione al tuo partner è davvero orribile, sai?» scherzò Vanitas, e Noè era sicuro che stesse facendo del suo meglio per mostrare una certa sensibilità, una premura che Noè avrebbe potuto descrivere con una sola parola, la stessa con cui avrebbe descritto lo stesso Vanitas: inaspettato. Cercò di concentrarsi sulla musica, fraintendendo le parole dell'altro. Era la prima volta che ascoltava quella canzone, ma poteva capire facilmente perché Vanitas avesse pensato a essa come a qualcosa che descriveva una amore finito male. Quando la musica cambiò un poco, tuttavia, e soprattutto grazie ai violini, Noè notò che non era solo un brano su un amore non corrisposto o che non era destinato a durare. La tristezza somigliava più a quella di qualcuno incredibilmente felice di fronte alla possibilità di provare un sentimento così importante e profondo, ma che si ritrovava a doverlo lasciar andare.
«Questa canzone...» mormorò, conscio che gli occhi blu di Vanitas fossero su di lui «Vanitas, hai mai tenuto a qualcosa così tanto che lasciarla andare ti ha fatto molto male, anche se era necessario?»
Non era nelle sue intenzioni chiederlo – gli era solo sfuggito, con naturalezza – ma seppe subito che era stato un errore. La mano di Vanitas strinse di più la sua, anche se di poco, e sgranò gli occhi per un istante talmente breve che Noè non fu nemmeno sicuro che fosse successo davvero. Vanitas si rilassò, continuò a danzare (a nascondere) e ridacchiò.
«Chissà.» rispose «Come puoi essere sicuro che lasciar andare fosse la cosa migliore?» chiese vanitas, ma non per pura e genuina curiosità – perché non c'era nulla, di lui, che fosse genuino; tutto era sempre affilato, come un coltello che ti affondava nel petto finché non sanguinava, e sanguinava, e sanguinava lasciandoti senza fiato.
La musica continuò, un'armonia curiosa fatta di segreti nascosti e parole non dette; Noè poteva sentire il lieve odore di fiori che non riusciva a riconoscere. Un aroma dolce che non era sicuro fosse la vera causa del nodo che sentiva nello stomaco.
«Non lo so.» ammise «Dipende.»
(era una scusa)
«Che giovane disonesto, mio caro Noè.» disse Vanitas – era strano essere chiamato "disonesto" da un uomo del genere, eppure Noè non poté che essere confuso su come rispondere. Era sempre così con Vanitas. Sempre, sempre così.
Si accorse che la musica si era fermata, non perché le coppie non stavano più danzando, ma perché sentì la mano di Vanitas scivolare via dalla sua presa.
«E sei ancora un pessimo partner.» insistette, un ghigno divertito (che maschera irritante) sul viso.
Era così difficile, lasciar andare.

   
 
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