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Autore: voiceOFsoul    20/02/2018    1 recensioni
Ram aveva ormai raggiunto un equilibrio ma adesso si ritrova senza lavoro, convive con Diego in una situazione imbarazzante e non vede Alex e Vale da troppo tempo. Da qui deve ricominciare da capo. Il suo percorso la porterà a incrociare nuove vite, tra cui quella di Tommaso che ha appena imparato a sue spese che la perfezione a cui tanto Ram aspirava non esiste.
Si può essere felici anche se si è imperfetti?
[Seguito di "Volevo fossi tu" e "Ancora Tu", viene integrata e proseguita l'opera incompleta "Open your wings and fly"].
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Quando ci siamo conosciuti, non avrei mai pensato che lui sarebbe stato il prossimo a cui l’avrei detto. Quando ci siamo scambiati il nostro primo bacio, sono stata tentata di farlo, ma poi mi sono detta che era poco probabile che la situazione si evolvesse in questa direzione perciò ho continuato a star zitta. Da quando siamo entrati in camera stasera, invece, ho sentito il bisogno di trovare il momento giusto per dirgli tutto. Spogliandomi, ho capito che non potevo più rimandare, ma ancora non riuscivo a dir nulla. Più andavamo avanti, più fingevo di essere sicura di quello che stavo facendo. Mi fingevo un’esperta, cercavo di fare ciò che ho sempre pensato si dovesse fare, solo per ingannare me stessa e convincermi che avrei potuto non dirgli nulla, ma gli scenari, più o meno probabili, che mi si prospettavano in nessun caso avevano un esito positivo. In un primo scenario, non dicevo nulla, continuavo così come stavo facendo, ma Tommaso capiva da solo la mia situazione. A quel punto avrebbe potuto arrabbiarsi perché non ero stata sincera con lui, oppure avrebbe potuto farsi un’idea sbagliata di me, povera sfigata verginella che l’aveva data via alla prima occasione perché la data di scadenza era passata da un pezzo. In un secondo scenario, continuavo in silenzio, fin quando un suono, un profumo o un movimento non mi avessero riportato dentro quella maledetta auto insieme a Dario Simoni. Allora avrei avuto uno dei miei attacchi di panico seguito da una crisi catatonica o isterica. In entrambi i casi, Tommaso andava via convinto di essere di fronte a una psicopatica e non lo rivedevo mai più. Non potevo permettere che niente di tutto ciò accadesse, non mi restava che affrontare la paura della sua reazione, anche se i dubbi non mancavano di certo. Mi avrebbe creduto? Avrebbe riso? Si sarebbe arrabbiato? Sarebbe stato felice? Avrebbe voluto continuare? Se ne sarebbe andato?

Tommaso, più semplicisticamente di quanto da me immaginato, si è limitato a non reagire. Quelle tre paroline sembrano essere state una doccia fredda e improvvisa, di sicuro inaspettata. Siamo entrambi imbambolati a fissarci. Una strana associazione di idee mi riporta a quando da piccola incrociavo gli occhi nel fare le linguacce a mio padre e lui mi rispondeva di stare attenta, che se passava l’angioletto mi avrebbe fatto un incantesimo e sarei rimasta bloccata in quel modo per sempre. Ecco, sembra essere arrivato a frizzarci in questa posizione.

Sono io la prima a sbloccarsi. D’improvviso, essere quasi nuda davanti a lui, cosa che fino a qualche istante fa per la prima volta in vita mia sembrava essere la sensazione più normale del mondo, mi imbarazza. Raccolgo in fretta la canotta e la infilo velocemente. Questo sembra attivare la sequenza di sblocco anche su Tommaso.

«Scusa, Ram. Oddio, ti prego scusami.» continua a ripetere in tono mortificato.

«Di cosa dovresti scusarti?» gli chiedo con un pizzico di acidità di troppo.

«Sono un coglione. Sono rimasto lì immobile come se mi avessi raccontato di aver strangolato il gatto da piccola.»

«Tranquillo, è una delle reazioni più accettabili che ho visto. Non hai idea di cosa sia pronta a fare o dire la gente quando si prendono certi argomenti. E parlano anche di tollerabilità e mente aperta! Ma io sono quella strana, lo so e l’ho accettato. Questo non significa che debba accettarlo anche tu.»

«Ram, frena.» Mi prende le mani per fermarle, mentre sto infilando di nuovo la felpa. Le allontano dalle mie. «Non ho reagito bene e ti chiedo scusa, ma non credi di stare correndo un po’ troppo?»

«Io starei correndo?» Lui non ride e capisco di essere l’unica ad aver afferrato l’ironia della sua frase in questo contesto.

«Mi sono bloccato, ma solo perché quello che hai detto mi ha spiazzato. Non me l’aspettavo e non credo tu possa biasimarmi per questo. Ma non c’è dietro nessun altro strano ragionamento, nessuna critica al riguardo. Solo un po’ di stupore.»

Per quanto poco lo conosca, credo che i suoi occhi non sappiano mentire.

«E dovresti considerare anche l’attenuante del caso: buona parte del mio volume sanguigno si trova ben lontano dal cervello, quindi le mie connessioni nervose sono rimaste a lungo senza ossigeno. Non ci si può aspettare da me una reazione immediata.»

Cerca di farmi ridere. Il fatto che ci riesca, in una situazione che ha dell’assurdo come questa, non può che stupirmi.

«Ram, è una cosa rara. Pensavo che tu fossi speciale, ma adesso che...»

«Frena Tommaso. Questo non cambia nulla di me. Non è una dote o una speciale qualità. Non fa di me un supereroe né una donna diversa dalle altre. Non dire né pensare niente del genere.»

«Non sarà un super potere ma non può non essere considerato.»

«“Una cosa del genere”. Non riesci neanche a dirlo.»

«Ram, non prendere ogni parola per un giudizio avverso nei tuoi confronti. Non lo è. Il fatto che tu sia vergine - ecco, vedi, l’ho detto, posso dirlo senza problemi, sei vergine - non toglie qualcosa all’idea che ho avuto finora di te, anzi ti valorizza.»

«Tom, io non sono vergine per un ideale morale o religioso. Quello che c’è dietro non è niente di poetico, niente che debba valorizzare una persona. Credo che non si possa neanche definire una mia scelta al 100%.»

«Cosa vuoi dire?» è visibilmente confuso.

Il momento di parlare è arrivato, senza girovagare per la stanza e senza cercare parole infiocchettate. Adesso ci vuole solo la verità.

«Il ragazzo che hai visto oggi, quello che mi ha quasi aggredito...»

«Togli il “quasi”. Ti ha aggredito, punto. Non ho idea di come si faccia a essere così stronzi. Come fa a sentirsi uomo gente del genere?» afferra il mio sguardo innervosito. «Ok, continua, scusa l’interruzione.»

«Dicevo, il ragazzo che hai visto oggi, si chiama Dario Simoni. L’ho conosciuto quando avevo dodici anni. Mese più, mese meno.»

«Hai detto dodici anni?»

«Sì, te l’ho detto che era una storia lunga, no?»


Ram si è addormentata, mentre io non riesco neanche ad immaginare di poter dormire stanotte. Non dopo quello che mi ha raccontato.

Credevo di essere io quello incasinato dei due. Non avevo capito un cazzo di lei! L’avevo immaginata come una ragazza al limite della perfezione, a scuola sempre voti alti, benvoluta da tutti ovunque andasse, una sana dose di cazzate ma senza esagerare, circondata da ragazzi che facevano a gara per guadagnarsi la sua attenzione. Beh, a quanto mi ha detto almeno sulla sua media scolastica ci avevo preso, bella consolazione. Dopo la laurea, un buon lavoro e una realizzazione professionale, ma con in mente l’obiettivo di poter comunque creare una famiglia. La mia versione di Ram aveva avuto come apice del dolore subito aver preso un paio di chili che non la facevano entrare più in un abito appena comprato, oppure un litigio con la migliore amica. Almeno fin quando non ha avuto la sfortuna di incontrare quel pazzo che la stalkerava. Non avrei mai creduto che fosse una ragazza con dei fantasmi così osceni nel suo passato. Non avrei mai osato pensare che avesse subito così tanto, che avesse sofferto così eccessivamente.

L’ho vista piangere in modo disperato, il cuore si strappava ad ogni sua lacrima. Quella sottospecie di uomo le ha rubato non solo l’affetto e l’amore delle persone più care al mondo, non solo il lavoro e la reputazione. Come se tutto ciò non fosse abbastanza, le ha portato via la serenità, la possibilità di vivere le sue scelte senza il timore di avere una crisi da un momento all’altro. E proprio quando lei è riuscita a riprendere in mano la sua vita, a ricominciare, ad andare avanti, a fare a meno della Dottoressa De Simone, fa la sua ricomparsa.

A mettere su tutto ciò una bella ciliegina ci sono io che, anche se inconsapevolmente, l’ho portata alle strette, a dover decidere di raccontarmi tutto ciò. Io che stanotte avrei solo voluto far l’amore con lei e farlo al meglio per riuscire a farla stare bene.

Le bacio i capelli, Ram fa una smorfia dolcissima muovendo il naso. Il suo viso è tornato quello della piccola secchiona con tanti amici che mi ero creato fino a qualche ora fa, ma adesso so cosa si nasconde dietro quegli enormi occhi castani e posso solo immaginare quanta forza le sia servita per ritornare a splendere così come io la vedo adesso.

Osservo fuori dalla finestra, la notte farsi più chiara. Ormai non piove più. Della fuggevole tempesta restano solo le gocce sui vetri e qualche nuvola più scura che ancora campeggia in cielo che è tornato prevalentemente sereno. Il sole deve essere alle porte, perché il blu scuro ha lasciato il suo posto a una sfumatura di azzurro polvere che all’orizzonte diventa ormai più simile al bianco. Tra poco quel chiarore verrà ad essere colorato di un lieve tono di ocra chiaro che col passare dei minuti si trasformerà in un giallo intenso e poi virerà all’arancione fuoco finché il sole non farà la sua entrata trionfale nella volta. Sempre che le nubi non decidano di accalcarsi nuovamente, impedendone lo spettacolo.

Prendo il mio telefono da sopra il comodino. Una piccola luce bianca lampeggiante mi ricorda che devo controllare quante volte mio fratello e gli altri mi abbiano stramaledetto per non averli avvisati che non sarei rientrato. Controllo le chiamate perse, un totale di dodici, di cui tre sono di mia madre. Non ho dato la buonanotte a Rose, cacchio. Su Whatsapp, i messaggi rientrano a stento nelle due cifre e l’appellativo più gentile che mi riserva mio fratello è “testa di cazzo”. Ridacchio, cercando di non far tremare troppo la testa di Ram. Gli rispondo in maniera sbrigativa. “Sono vivo. Ci vediamo a pranzo.”. Prima di posare di nuovo il telefono, guardo finalmente l’orologio. Sono quasi le sei. Poggio di nuovo la testa sul cuscino e chiudo gli occhi, anche se so che non servirà a dormire.


Devo essermi addormentata mentre mi accarezzava i capelli. La guancia sinistra è calda a contatto con la sua pelle che è rimasta nuda. Ho la gola secca per il mio solito e poco femminile dormire con la bocca aperta. Sento l’angolo sinistro delle labbra troppo umido e temo già di avergli sbavato sul petto. Un tocco di classe, non c’è che dire! Poco male, certo, sentito come sta russando a causa della posizione scomoda della testa. Fa ridere.

Fuori dalla finestra i primi raggi del sole iniziano a intravedersi e il mio primo pensiero razionale da un bel po’ di ore a questa parte si fa vivo: come farò a reggere l’evento di oggi dopo la notte appena trascorsa? E Dario si presenterà? Mark e Nico sono arrivati ieri sera. Se vedessero un uomo uscire dalla mia stanza, o peggio se ci avessero incrociato ieri mentre rientravamo, per me sarebbe la fine. Di nuovo.

Mi sporgo per cercare di vedere che ore sono dalla piccola sveglia poggiata sul comodino, mezza coperta dalla maglia nera che portava Tommaso. I miei movimenti devono spezzare il suo sonno.

Apre gli occhi di colpo come spaventato, li richiude in una fessura appena percettibile. Con la mano che non è bloccata dal mio corpo, si stropiccia il viso e copre un vistoso sbadiglio. Gli sorrido.

«Buongiorno bimba.» arriccia anche lui le guance in un sorriso.

Senza un vero motivo, mi torna in mente mio padre, quando avevo circa otto anni e mamma aveva già provato a buttarmi giù dal letto per troppe volte, allora mandava lui in camera, che mi svegliava con il solletico canticchiando la prima frasi di “Buongiorno bambina” di Ramazzotti. Uno dei primi veri ricordi che ho di lui, uno dei più dolci, di quando ancora ero, come qualsiasi figlia è stata almeno per un po’, una piccola principessa follemente innamorata di mio padre.

«Dovresti andare.» gli dico, poggiando di nuovo il mento sul suo petto.

«Lo so.» sposta un ricciolo dalla mia fronte, accompagnandolo dietro la nuca. Lascia la mano poggiata tra le mie scapole, sopra la felpa.

«Credo di doverti ringraziare, per la centesima volta da quando ci conosciamo.»

«Vuoi forse battere un record?» ride.

A quel sorriso, il più bello mai incontrato in vita mia, l’idea di lasciarlo andare sembra solo pura follia.

«Cosa faremo adesso?» non riesco a guardarlo mentre lo chiedo, mi volto di nuovo verso la finestra.

«Io non ho impegni.»

«Non era una domanda a breve termine.»

«Lo so.»

«E allora che senso ha la tua risposta?» lo guardo di nuovo negli occhi.

«Significa che non ho nessuna fretta.»

«Continuo a non capirti.»

Mi metto a sedere, incrocio le gambe e sposto i capelli sulla spalla destra in modo che possa vederlo senza difficoltà. Lui si raddrizza, dispiegando finalmente il collo. Appoggia la schiena alla testiera del letto.

«Sei stata sincera con me, voglio esserlo anche io. Non credevo di essere pronto a provare di nuovo qualcosa per qualcuno. Giuro che l’ultimo pensiero che mi passava per la testa era quello di innamorarmi di nuovo.»

Il suono di quella parola mi dà una scossa, sorrido cercando di camuffare il brivido che mi attraversa.

«Io volevo solo trovare un lavoro, suonare con la mia band e riuscire a crescere mia figlia non facendole mancare nulla. Quello era il mio unico obiettivo. Poi sei comparsa tu, una sconosciuta carina in un bar, con cui ho fatto la figura dello psicopatico. Ma ci siamo incontrati di nuovo e poi ancora, e ogni volta che ti guardavo o che parlavamo sembrava come se non avessi aspettato altro per tutta la vita. Entrambi abbiamo avuto i nostri problemi. Cacchio, la tua storia è da romanzo! Credo che potresti scriverci davvero un libro e faresti milioni.»

Qualcosa in questo discorso mi disturba, stavolta il brivido è poco piacevole, perciò lo interrompo.

«Tom, davvero, non sto capendo dove vuoi arrivare.»

«Voglio solo dire che potremmo provare a dare un finale felice al romanzo. Non facciamo le cose di fretta, ma non perdiamoci di vista. Dio...» copre il viso con le mani. «Credo di non saper ancora parlare. I miei neuroni sono in coma.» Lascia di nuovo il viso libero. «Quello che sto cercando di dire è che vorrei conoscerti, conoscerti davvero. Non sapere la tua storia, ma capire chi sei, chi è Ramona. E farti conoscere chi è Tommaso.»

Sorrido. Mi tuffo a baciarlo sulle labbra, fregandomene se abbiamo entrambi la bocca impastata dalla nottata in bianco.

«Direi di iniziare dandomi il tuo numero.» aggiunge mentre gli sto ancora appiccicata alle labbra. «Così la prossima volta non dovrò aspettare che sia la fortuna a farci incontrare.»

Afferro il suo telefono, lo sblocco facilmente perché non ha impostato nessuna protezione particolare. Registro il mio numero, mentre gli faccio la linguaccia. Poi guardo l’orario.

«Cacchio!»

«Che succede?»

«Sono quasi le sette. Rebecca mi aspetta, già pronta per andare via, a colazione tra meno di un’ora. Ci saranno anche altri due nostri colleghi arrivati ieri per l’evento. E devo fare la doccia. Dopo ieri sera mi sento ancora puzza di anni ‘80 addosso!»

«Ho capito, devo scappare di già. Chiamo subito un taxi.» compone il numero mentre gli chiedo scusa, baciandolo ancora.

Inutile dire, che non smetterei mai di farlo.

   
 
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