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Autore: EffyLou    21/02/2018    2 recensioni
Londra, Inghilterra. 1888.
«[...] Se siete qui è perché siete individui curiosi, coraggiosi, bramosi di scoprire nuovi mondi. E noi, umili artisti e fenomeni da baraccone, siamo al vostro più totale servizio Ma badate bene: non lasciatevi sopraffare dalle regole della società. Nel perimetro dell'Imaginaerum... non bisogna opporre resistenza. Potreste fronteggiare cose inspiegabili, magiche forse. Non fatevi domande, perché non avrete risposte»
- - - - -
La compagnia circense Imaginaerum è sulla bocca di tutti e genera emozioni contrastanti nel popolo e nell'individuo singolo: provocano curiosità per la ventata di novità e il tocco osé, ma al contempo vengono disprezzati per i loro azzardi.
Quando Jack lo Squartatore comincerà ad infestare Whitechapel, Scotland Yard dovrà far fronte anche alla misteriosa scomparsa di bambini per mano di colui che viene chiamato il Pifferaio Magico. L'Imaginaerum finisce sotto i riflettori: non è possibile che quell'accozzaglia di straccioni non c'entri niente.
Genere: Dark, Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Capitolo sesto
 
 
 
«Gesù, Anderson, ma perché non dormi la notte?» si lamentò, esasperato, l’ispettore Burke.
Scosse il giovane agente per una spalla. Jonathan aveva lo sguardo fisso nel vuoto, non dava cenni di vitalità e sembrava che le sue iridi azzurro-verdastre fossero opache, non brillanti e vivaci come al solito. Non ci volle certo un genio per capire che stava dormendo ad occhi aperti. Una cosa che aveva imparato a fare ai tempi della scuola, durante l’adolescenza, ma che – a pensarci bene – non portò grandi benefici ma più note disciplinari e preoccupazioni dei genitori.
Troppi pensieri affollavano la brillante mente di Jonathan, non dormiva mai così bene.

Dopo l’ennesimo scossone di Charles Burke, sembrò finalmente destarsi dal torpore con uno sfarfallio di ciglia. «Che mi sono perso?» si stiracchiò, come se si fosse appena svegliato da un lungo sonno ristoratore.
L’ispettore evitò persino di commentare o rimproverarlo ulteriormente. «Sono arrivati dei documenti dalle questure delle principali città europee»
«Fantastico, che ce ne facciamo?» sorrise sornione, continuando a stiracchiarsi.
«Non farmi prudere le mani, Anderson, è già tanto se non ti ammonisco per esserti addormentato durante il tuo orario di lavoro»
«Scherzavo. – si difese, alzando le mani. – Che documenti sono arrivati?»
«Qualcosa che riguarda il circo» e gli fece cenno di seguirlo nel suo ufficio.
Jonathan si alzò in piedi controvoglia e sospirò. «Ancora? Non ci sono prove che l’Imaginaerum c’entri con i rapimenti».
Charles Burke gli tenne la porta aperta per farlo passare, e l’agente si lasciò sfuggire un sarcastico “Grazie” accompagnato da un sorrisetto compiaciuto. Si accomodò di fronte la scrivania, mentre l’ispettore dietro, ed estrasse, da un cassetto lì in basso, una cartellina foderata di pelle nera. Non era piena come si aspettava, ma c’era una bella quantità di fogli.

«Questi sono tutti i documenti che li riguardano. – esordì, eloquente. – Loro hanno girato tutta l’Europa, e il loro percorso è stato generalmente tranquillo. L’ultima città in cui soggiornarono prima di Londra, fu Southampton. Ma nel corso delle loro tournée, in alcune città, ci sono stati eventi strani, violenti»
Jonathan intrecciò le dita sul ventre, stravaccato sulla sedia. «Del tipo?»
«Le città in questione sono Bucarest, Berlino, Roma, Parigi. E ora mettici anche Londra. – spiegò. – A Bucarest, nel 1850, tutti i bambini di un orfanotrofio sono stati trovati morti una mattina. Tutti insieme, all’improvviso, senza motivo. Dall’autopsia non risultò nulla, ci credi? Erano semplicemente passati a miglior vita»
«Questo sì che è inquietante, ma non c’entra niente con il circo»
«Dici di no, Anderson? Il circo si trovava lì proprio in quei giorni»
«È uguale, non c’entra niente. – replicò. – Non possono essere coinvolti in un’ondata di morte del genere, è impossibile. E poi perché avrebbero dovuto prendere di mira un solo orfanotrofio? Nell’autopsia non hanno trovato niente, e poi sarebbe stato difficile non trovare subito i colpevoli se si fosse trattato di una specie di sterminio di massa entro le pareti di un orfanotrofio»
«No, ma concorderai con me sul fatto che è una coincidenza alquanto bizzarra»
«Vai avanti»
«Berlino, 1878. Qui è coinvolta una dei fenomeni da baraccone, indovina chi? La chiromante. Una famiglia proveniente dalla Persia. Persiani tutti e tre, ma la donna era di origine zingara di etnia Dom. Il circo è in città, tieni conto questo. I due coniugi periscono sotto l’odio improvviso di una banda di adolescenti: vengono presi a sassate e, dopo morti, i loro corpi vengono bruciati in un vicolo berlinese. L’unica superstite è la figlia quattordicenne che viene fortunatamente trovata dal grande mago Faust, il fondatore dell’Imaginaerum, nientemeno. Sai cosa si dice di Faust?»
«Che ha fatto un patto col Diavolo. – alzò gli occhi al cielo. – Non credo in queste storie»
«Faust dispone di uno specchio magico, lo sapevi?»
Jonathan aggrottò le sopracciglia con un cipiglio vagamente divertito. «A quanta gente ha chiesto riguardo la reputazione del mago, ispettore?»
«Non è questo il punto. – lo liquidò. – Si vocifera che Faust abbia fatto un patto col Diavolo, e che insieme a poteri magici e capacità occulte, abbia ricevuto in dono anche questo specchio in grado di fare cose incredibili. Le persone vi entrano e si ritrovano in mondi fantastici, vedono nel riflesso profezie e premonizioni, angeli o demoni»
«Non ci credo. - si limitò a dire Anderson. – Insomma, persone che entrano in uno specchio? Sul serio? Concorderà con me se le dico che c’è sotto un trucco, non può essere uno specchio vero. Ciò che vedono nel riflesso, invece, potrebbe solo essere frutto di suggestione»
«Fatto sta – continuò l’ispettore, ignorandolo – che a Roma nel 1880, quando il circo era in città, ci fu un caso d’isteria di massa. Il popolo vedeva mostri e demoni terrificanti nei riflessi degli specchi, non potevano dormire con uno specchio in camera proprio perché, dicevano, i mostri si approfittavano del loro sonno per uscire dalla dimensione imposta dall’oggetto. Fu catalogato come isteria di massa, e archiviato. Non venne più preso in considerazione poiché nessuno crede nei demoni, Anderson, tu per primo, e perché le crisi terminarono quando il circo se ne fu andato»
«Questo è inquietante, un ottimo racconto dell’orrore da narrare di fronte al camino la notte di Halloween» abbozzò un sorriso sarcastico.
«Parigi, 1870. – riprese Burke. – Due circhi in città, l’Imaginaerum e il Cirque de la Mer. Quest’ultimo, durante il suo spettacolo di debutto a Parigi, prese fuoco. Nessun superstite, né tra gli artisti e né tra il pubblico»
«Tragica coincidenza. Come fa ad essere immischiato l’Imaginaerum, se magari in quel momento i suoi artisti erano impegnati in uno dei loro spettacoli?»
«Non sto dicendo che l’Imaginaerum era colpevole di tutte le stranezze, dico solo che sono coincidenze troppo bizzarre. Ogni evento nefasto in queste città si è verificato nel periodo in cui era presente il nostro circo. E guarda caso, ora che sono a Londra, spariscono bambini in dinamiche strane» richiuse la cartellina con uno scatto, spazientito dallo scetticismo e le obbiezioni sempre pronte dell’agente.
Jonathan alzò gli occhi al cielo. «Nelle altre innumerevoli città visitate non è successo. Io dico che sia una coincidenza, strana certo, ma pur sempre una coincidenza»
Burke si alzò in piedi, posò le mani sulla scrivania e sospirò. L’agente non l’aveva mai visto così stanco e turbato. «Anderson, non crederci, va bene. Ma pensaci. Colpevole o no, quel circo è l’unica pista che abbiamo e sono i maggiori sospettati».


 
 

 
Nel pomeriggio, Jonathan Anderson si aggirò per le strade dell’East End quasi traballando di noia. E la noia non faceva che aumentare la sua stanchezza. Nonostante questo decise comunque di fare ulteriori domande ai bambini che giocavano in strada, riguardo quelli scomparsi. Erano arrivati a quota quindici. Erano davvero troppi, un quantitativo incredibile. Il suddetto rapitore doveva essere un abile maestro nell’attirare l’attenzione dei più giovani, se riusciva a farli avvicinare senza difficoltà.
Le testimonianze erano poche, e tutti dicevano la stessa cosa: “Ha sentito una melodia bellissima ed è andato verso est. Io non l’ho sentita, però, forse ero distratto oppure c’era troppo rumore”.
Questo fece pensare al giovane agente che il rapitore era, forse, selettivo nella scelta dei bambini. Forse aveva un criterio di scelta. Ormai Anderson conosceva a memoria i nomi e le caratteristiche fisiche principali di tutti quei fanciulli scomparsi, e non avevano niente in comune l’uno con l’altro, nemmeno la classe sociale, le origini o il sesso. E se fosse stata una caratteristica interiore? Un tratto caratteriale, magari. In tal caso, il rapitore doveva essere qualcuno che conosceva abbastanza bene tutti quei ragazzini. Un pediatra o un insegnante, poteva essere possibile.
Seduto su una panchina al lato della strada, con alle spalle il placido Tamigi, Jonathan trascriveva i suoi pensieri e le sue considerazioni su un taccuino. Le pagine ingiallite erano coperte da fitti tratti di matita che prendevano la forma di parole apparentemente indecifrabili, in una grafia disordinata e incomprensibile a chiunque tranne che al suo possessore. Meglio, si diceva Anderson, così nessuno può frugare nella mia testa.

«Jonathan?» una voce femminile lo riscosse dalle sue riflessioni.
In fretta, l’agente passò in rassegna tutti i ricordi uditivi per cercare tra essi la proprietaria di tale voce. Fu un secondo di troppo, ma non la trovò, e si costrinse a sollevare la testa incontrando due occhi ambrati. Il languore malizioso dei felini.
La chiromante dell’Imaginaerum indossava una gonna marrone scuro e un corsetto di cuoio sopra una camicia color bianco sporco, dalle maniche larghe che tornavano a stringersi sui polsi. Sul capo portava un velo pesante, ripiegato morbidamente sulle spalle, e da cui sfuggivano i capelli scuri.
«Ah, Gipsy» le sorrise, alzandosi in piedi e infilando il taccuino nella tasca della giacca.
Lei gli scoccò un’occhiata divertita, indicando i gradi cuciti sulla spalla della giacca. «Lo sapevo che era uno sbirro, Jonathan, si vede lontano un miglio»
Il giovane agente si strinse nelle spalle, con aria colpevole, e si accorse di un cestello di vimini che lei teneva sul braccio piegato come una contadinella. «Che cos’hai lì?»
«La spesa per il Tempio. – rispose. – Ho pagato tutto, se è questo che le interessa»
«Non volevo mettere in dubbio la tua onestà» ridacchiò.
Persia lo scrutò con attenzione, soppesandolo con lo sguardo, come se qualcosa non le tornasse. «Che cosa ci faceva all’Imaginaerum? Abbiamo fatto qualcosa di sbagliato, agente
«Questo bisogna ancora appurarlo. – le rispose, onestamente. – È per via dei bambini scomparsi»
Lei sistemò il velo sul capo, con disinteresse. «Non è molto astuto dirmelo. E se fossimo davvero gli artefici dei rapimenti?»
«Io credo – replicò, tranquillo – che voi celiate qualcosa di strano. Ma non credo che siate coinvolti in questa losca faccenda».
Jonathan ripensò agli eventi bizzarri avvenuti nelle città europee, in particolare sull’impeto d’odio che mosse quegli adolescenti berlinesi a lapidare i genitori della chiromante. Era sicuro che un tormento sordo le appesantisse l’animo, a dispetto di quanto mostrava. Erano passati dieci anni dal 1878, la quattordicenne che allora era una figlia di nessuno, senza arte né parte, era stata cresciuta dalle mani del mago Faust, nientemeno. Era diventata una chiromante, un’abile ciarlatana lettrice dell’animo della gente, e di certo non perché scrutava le carte astrali o i palmi delle mani.
La vide arricciare gli angoli delle labbra, in quel suo modo un po’ felino. «Non credo che qualcuno darà conto alle sue considerazioni, Jonathan. Non perché è uno stolto, ma perché è l’unico che lo pensa. Da quando sono cominciati i casi di sparizioni e Scotland Yard ha avanzato l’ipotesi che siamo noi i colpevoli, le cose ci vanno male e il popolo ci detesta. Un po’ detesta anche voi della polizia, in realtà, perché non avete ancora cavato un ragno dal buco»
«Ci stiamo dando da fare» si difese.
«Non lo dubito. Allora, questi bambini?»
Jonathan la squadrò, cercando di decidere se dirglielo o meno. Jonathan Anderson gliel’avrebbe detto, per cercare un confronto con una ragazza di mondo, ma l’agente di Scotland Yard non era sicuro che sarebbe stato saggio rendere partecipe una dei sospettati.  Eppure lei aveva quello sguardo ipnotico, che avrebbe spinto qualsiasi persona a rivelarle i suoi segreti.
«Mh… Testimoni dicono che si allontanavano per ascoltare una melodia, venivano attirati da quella» si limitò a dirle. Per sgrullarsi di dosso il pensiero di aver fatto una sciocchezza, si diceva che le aveva solo rivelato le dinamiche del rapimento. Se l’Imaginaerum era davvero l’artefice di questo triste caso, quelle modalità le conosceva. Non le avrebbe rivelato altro.
Si era sempre reputato un ragazzo brillante, con intuizioni geniali, ma in presenza di Gipsy Persia si sentiva a disagio. Era una ciarlatana, ma c’era qualcosa di strano in lei.
«Come la fiaba del Pifferaio Magico» commentò semplicemente, la chiromante.
Jonathan si fermò vicino alla ragazza, colto da una vaga intuizione che avrebbe richiesto altri collegamenti e altre informazioni. «Un tributo di sangue, un pagamento»
«Dipende. – replicò con voce piatta. – Ci sono città talmente antiche, o dalle strade talmente insozzate di sangue innocente, che attirano forze. Vi si annidano energie dormienti che tuttavia possono essere scatenate».  
L’agente ebbe un brivido. Persia parlava come se sapesse ciò che lui aveva appreso quella mattina alla centrale, parlava come se lo stesse mettendo in guardia o stesse cercando di fargli capire dinamiche a lui sconosciute. Nemmeno le parole e gli eventi nefasti descritti dall’ispettore Burke l’avevano fatto rabbrividire in quel modo.
«Io non credo in queste cose» mormorò.
«E fa male, Jonathan, forse dovrebbe cominciare»
«Che cosa sai sul Pifferaio? Parli come se potessi risolvere il caso»
«Le sto dicendo queste cose in base a ciò che ho visto e vissuto, e ciò che so. E una buona dose di sensazioni di pancia… intuizioni, se vuole»
«Sei una persona molto ambigua, Gipsy» commentò.
Lei sorrise sinceramente divertita, ma evitò di rispondergli. I suoi occhi si posarono su alcune persone di fronte ad un’aiuola. Jonathan seguì la direzione del suo sguardo e individuò cinque individui, di cui tre dovevano avere la sua età e due erano ragazzini. Li riconobbe come alcuni membri del circo.

La ragazza doveva essere coetanea di Persia, aveva capelli del colore del miele e grandi occhi tondi, castano scuro; l’aveva vista esibirsi sul trapezio e fare acrobazie sul dorso di un cavallo. Uno dei due giovani uomini era molto alto, con capelli bruni spettinati, il viso magro e il naso all’insù; era il mangiafuoco e giocoliere. L’altro era più basso, con la carnagione ambrata, occhi e capelli neri, l’aspetto esotico; non l’aveva visto esibirsi. I due ragazzini erano un maschio ed una femmina, li riconobbe come i piccoli amici del figlio dell’ispettore Burke, Jimmy. Due individui singolari: lui un addestratore di scimmie, lei una ginnasta muta.
La giovane dai capelli color miele adocchiò Persia, e si sbracciò per farsi notare: «Persia!»
La chiromante lanciò un’occhiata di sfida all’agente. «È pronto per conoscere quei loschi individui dell’Imaginaerum?»
Jonathan non le rispose, si limitò a seguirla con le mani nelle tasche. Fu subito adocchiato da tutti gli artisti lì presenti. Gli faceva quasi strano vederli nei panni di persone comuni, individui ordinari e rispettabili. Ma i circensi nascondevano i loro nomi dietro pseudonimi più o meno fantasiosi.
«È uno sbirro» esalò il ragazzino, con la scimmia cappuccino appollaiata sulla spalla.
«Non dirmi che ti sei fatta arrestare!» esclamò invece, in un impeto d’ilarità, la ragazza bionda. Parlava con un vago accento spagnolo, quasi impercettibile.
«Ma che! – rise Persia. – È un cliente abituale del Tempio» mentì, e Jonathan gliene fu grato. Cosa avrebbe potuto dire, altrimenti? Non potevano essere accusati senza prove, non avrebbe avuto altro motivo di avvicinarsi alla ragazza. Anche se, di fatto, era stata lei ad avvicinarlo.
«Jonathan, loro sono Prittle, Diablo, Nahuel, Alegria e Dolly» continuò, indicando rispettivamente la ragazza bionda, il mangiafuoco, l’altro ragazzo, il fanciullo con la scimmietta, e la ragazza muta.
«Enchanté» si limitò a dire, con un leggero inchino.
«Oh, è francese!» esclamò Prittle, sovreccitata.
«Irlandese, veramente. – le rivelò con fare cospiratorio. – Ma non lo dica a nessuno, da queste parti non hanno simpatia per gli irlandesi»
Lei fece una risatina. «Non si preoccupi, agente, nessuno di noi è inglese, non abbiamo problemi con gli irlandesi!»
 Persia le lanciò un’occhiata e poi mollò una gomitata all’agente: «Non faccia il Casanova, lei!»
«Questa è violenza nei confronti della divisa»
Diablo incrociò le braccia al petto, fulminandolo con quegli occhi del colore del mare in tempesta, un blu elettrico sporcato di pagliuzze grigie. «Non abbiamo problemi con gli irlandesi, ma con le guardie sì»
«Se non avete niente da nascondere, non avete di che temere» rispose semplicemente.
Il mangiafuoco era sul punto di replicare ancora, aveva già schiuso le labbra per parlare. Ma venne preceduto da una voce che Jonathan conosceva davvero bene, ormai, ed era l’ultima che avrebbe voluto sentire in quel momento.
«Anderson?»
Alzò lo sguardo al cielo, trattenendo un’imprecazione tra i denti, e si voltò lentamente. «Ispettore! È uscito da quella topaia finalmente»
Gli occhi di Charles Burke lanciavano saette e promesse omicide. Di certo non si aspettava di trovare l’agente Anderson intento a fare amicizia con i circensi, i loro principali indagati. Meritava un richiamo per il suo comportamento poco professionale e irresponsabile.
«E adesso ci tornerò, ma tu verrai con me»
«Problemi con i superiori, Casanova?» commentò Persia con quell’aria furbesca, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Jonathan.
«Arrivo» si limitò a dire, e con un gesto del capo si congedò dai circensi.
Si aspettava già una lavata di capo senza esclusione di colpi. La giornata non era cominciata affatto bene, e probabilmente di quel passo sarebbe finita ancora peggio.  
   
 
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