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Autore: Selene_ag    21/02/2018    0 recensioni
Da due lunghissimi anni sulle montagne si combatte una logorante guerra di Resistenza, che vede coinvolti numerosi giovani volontari, pronti a dare la vita per contrastare l’occupazione nemica. Tra questi, ci sono Moro e Seb, due amici inseparabili che hanno deciso di condividere anche questa dolorosa esperienza. Saranno messi a dura prova, molto più di quanto si aspettino e in modi che nemmeno immaginano. Perché quello che succede in guerra non rimane in guerra, lo porteranno per sempre con sé. Perché sono arrivati a un punto in cui non si torna più indietro. E quando anche la loro natura sarà messa in discussione, riusciranno a rimanere fedeli alla loro amicizia? Saranno ancora Moro e Seb, quando tutto finirà?
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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– Quando tutto finirà –


Un gran trambusto. Grida e rumori di mobili in frantumi. Poi tre spari. Moro si sveglia di soprassalto, incerto se la confusione provenga dai suoi incubi. Ma di nuovo si sentono urla in una lingua che non conosce, passi concitati e frastuoni che poco lasciano all’immaginazione. Scatta in piedi, la mano svelta ad estrarre la pistola dalla fondina. Nel buio del capanno chiama i suoi compagni, che sono svegli ma poco consapevoli di quello che sta accadendo a pochi metri di distanza. Moro invece ha tutto chiaro. Li hanno beccati. Stanno rischiando grosso a rimanere lì. Devono muoversi al più presto, il più silenziosamente possibile.
«Gli spari … Il contadino, lui è … » balbetta il Rosso. È così giovane, un bambino quasi.
«È morto» taglia secco Moro. Non ci sono mezzi termini. Per quanto atroce sia la verità, non ci si può permettere di indorare la pillola. Piuttosto, stanno perdendo tempo. «Dobbiamo uscire da qui, subito».
Azzarda un’occhiata fuori dalla piccola finestra del capanno. La confusione sembra essersi attenuata, ma mai abbassare la guardia. D’altra parte bisogna fare in fretta. Si avvicina alla porta e ne apre uno spiraglio. Sta per dare il via libera, quando dalla porta della casa del contadino esce la pattuglia nemica. Per fortuna non si accorgono di nulla. L’ufficiale grida ordini e i soldati si sparpagliano nei dintorni. Merda.
Dopo attimi infiniti anche l’ufficiale sparisce dalla visuale, rientrando in casa. Dovrà sicuramente rubare qualcosa, quel bastardo. È rischioso uscire adesso allo scoperto, ma è ancora più rischioso rimanere lì.
«Mani alle armi, si va» fa cenno con la mano di non emettere un suono o sono morti, poi si avvia fuori dal capanno, aprendo la strada ai compagni che gli stanno dietro.
Il peggio è ormai passato quando finalmente riescono a raggiungere il fitto bosco alle spalle della piccola proprietà del disgraziato contadino. Si appostano in un punto strategicamente nascosto da sterpaglie e massi, da dove possono tenere d’occhio il sentiero. Aspetteranno finché non vedranno la pattuglia passare di lì, poi proveranno a tornare alla casa, dove potranno recuperare qualcosa di utile, sempre che quei parassiti ne lascino.

 
***

Quelli della Uno sono fortunati, di solito: la loro è la Divisione più vicina a un paese di una certa rilevanza, e per questo la meglio equipaggiata. Le altre, dalla Due alla Sei, sono dislocate fra le montagne e al massimo possono sperare di trovarsi nei dintorni di qualche villaggio di pastori, posizioni ben poco utili e ben più rischiose dopo l’occupazione nemica. Eppure, i quattro della compagnia si stanno trasferendo proprio alla Sei, la più bersagliata, la più pericolosa. Due giorni prima alla Uno è arrivato un messaggio di richiesta di rinforzi, che al Capitano non è piaciuto. Moro e Seb si sono offerti volontari, il che ha provocato sonore proteste da parte del Capitano stesso.
«Non lascio andare via i miei soldati migliori» ha detto, per la prima volta con un’aria preoccupata.
«Con tutto il rispetto, signore, qui non succede molto ultimamente e se siamo davvero i suoi soldati migliori avranno più bisogno di noi alla Sei» è stato Seb a rispondere, con grande sorpresa di tutti, soprattutto di Moro. Seb è uno di quelli silenziosi, riflessivi, uno di quelli che non diresti mai in grado di compiere sforzi fisici, ma è davvero uno dei migliori. Moro, d’altro canto, era studente di medicina prima della guerra e ha coraggio da vendere, mente lucida e fredda, oltre che prestanza fisica notevole. È logico che il Capitano non voglia separarsene. Ma ha dovuto cedere, alla fine.
Gli altri due sono stati sorteggiati. Prima Cesare, che in realtà si chiama Ludovico Scarsetti ma viene chiamato così per quel suo continuo ripetere “date a Cesare quel che è di Cesare”, un tipo per bene, dall’aria un po’ intellettuale e quindi un po’ fuori luogo in quel contesto, nessuno sa veramente perché si è arruolato con la Resistenza, ma è uno che sa il fatto suo. Poi Rino il Rosso, il ragazzino, si sono intristiti tutti quando è uscito il suo nome, anche se nessuno è stato disposto a sostituirlo, non immaginavano di doverlo salutare così presto, è arrivato pochi giorni prima alla Divisione e non sembra molto portato per i combattimenti, ma è sveglio e potrà cavarsela, in qualche modo.

 
***
 
Un paio d’ore dopo, la pattuglia nemica si allontana, come previsto da Moro. I quattro sono pronti per lasciare il nascondiglio, fare nuovamente tappa alla casa e riprendere in fretta la marcia. Ormai non sono lontani dalla Sei, lo hanno capito dall’infittirsi degli spiacevoli incontri con il nemico. Probabilmente, il loro cammino subirà spesso interruzioni e deviazioni da lì in poi, ma fra un giorno al massimo dovrebbero arrivare a destinazione.
All’interno della casa regna un’atmosfera di morte. E non è soltanto per il cadavere del padrone riverso sul pavimento con tre fori nel petto e gli indumenti stracciati intrisi del suo sangue. L’intera stanza è un totale caos. Mobili rovesciati e svuotati, oggetti in pezzi sparsi ovunque, vecchie cornici con foto di famiglia deturpate, l’esistenza di un uomo cancellata da un tornado umano. Cesare e Moro sono impegnati a cercare qualsiasi cosa ancora integra di una qualche utilità. Solo Seb si accorge di quanto il Rosso sia sconvolto da quella vista.
«Gli … gli o-occhi … » sussurra il ragazzo, il dito puntato al volto sfigurato del contadino.
Seb non può che essere d’accordo, quegli occhi vacui, privati della luce che li ha accolti solo la sera precedente, fanno terribilmente paura. L’anima non avrà mai pace se quegli occhi rimarranno aperti. Seb non sa se crede più a queste cose, ma si premura comunque di chiuderglieli, per poi stendere uno straccio sul suo corpo, celandolo completamente alla vista del mondo dei vivi.
«Dobbiamo andare»
Presto sono di nuovo in marcia, ma è solo per cercare un rifugio dove attendere che cali la notte, quando procedere verso la Sei sarà meno rischioso. Non hanno molte armi e munizioni, né tantomeno sono riusciti a trovarne alla casa del contadino. In compenso, una bottiglia di latte si è salvata dalla devastazione, insieme a qualche tozzo di pane. Saranno a posto fino a destinazione.
Salgono molto, nonostante la fatica, più in alto è difficile che vengano sorpresi dal nemico. Nessuno parla, neanche Cesare, che di solito è un gran chiacchierone, si risparmia il fiato per la marcia, che procede per tre ore senza intoppi. Infine, riescono a trovare una costruzione diroccata e abbandonata, sperduta in mezzo al bosco.
«Ci riposiamo un paio d’ore. Ripartiamo al tramonto» annuncia Moro.
Seb sorride, guardando come all’amico risulti naturale fare da leader. È sempre stato così, da che ne ha memoria, sarebbe stato destinato a una brillante carriera, se la guerra non l’avesse bruscamente interrotta.
«A che pensi?» Moro gli si siede accanto, la schiena appoggiata al muro.
«A quanto saremmo persi senza una guida come te» l’ha detto di proposito, sa quanto queste “smancerie” imbarazzino Moro, almeno quanto lo lusingano. Ma sa anche che l’amico ha deciso di chiudere le emozioni in un cassetto del suo cuore di cui sembra aver smarrito la chiave. Tutta colpa della fottutissima guerra.
«È fuori luogo, Seb» lo rimprovera infatti, pur con tono bonario.
«Avanti, ragazzi, diteglielo anche voi. Così magari la smette di fare il duro»
Cesare e il Rosso stanno al gioco, sinceramente divertiti. Di fronte alla coalizione di quei tre, Moro non può fare altro che lasciarsi andare a una risata insieme a loro, che scioglie la tensione accumulata in quella giornata. In momenti come quelli sembra che le cose possano solo migliorare ed è di questo che bisogna convincersi per poter andare avanti.
Al tramonto, scattano in piedi e si apprestano a scendere nuovamente di altitudine. Impiegano meno tempo a ripercorrere lo stesso dislivello in discesa, ma devono stare sempre all’erta ed essere cauti a non fare troppo rumore, nonostante il buio si infittisca rapidamente. Una volta raggiunto un sentiero agevole, proseguono in piano senza ostacoli. Non sanno per quanto camminano, la notte fonda li avvolge, li protegge, il silenzio è irreale, come se quello non fosse territorio di guerra, come se gli spari e le esplosioni fossero lontani anni luce da lì.
«Per quanto dobbiamo andare avanti?» sussurra il Rosso. È stremato, non si aspettava quella marcia infinita, non si aspettava niente di tutto quello che gli sta succedendo. Voleva unirsi alla causa, fare la sua parte, ma non avrebbe immaginato niente del genere così presto. Ora vuole solo riposare, chiudere un po’ gli occhi, magari …
«È ancora buio – la voce di Moro tronca ogni speranza – dobbiamo portarci avanti»
«Ma se … » prova a ribattere il ragazzo. Si è fermato, sfilandosi lo zaino dalle spalle.
«No» il tono di Moro è duro. Come se anche lui non fosse stanco, come se un po’ di riposo non alleviasse anche la sua tensione.
«Quello che Moro vuole dire – interviene Seb – è che non possiamo fermarci qui, ora. È troppo rischioso. Cerchiamo un posto sicuro» Prende lo zaino dalle mani del ragazzo, toccherà a lui portarlo di lì in poi. Lo sguardo eloquente che Seb lancia a Moro non lascia spazio a dubbi su come si senta. È esausto e non ha vergogna di ammetterlo, al contrario suo. E ha paura, non della guerra, non del nemico, ha paura della maschera che ha deciso di indossare il suo amico, la persona che lo ha sempre ascoltato e che ora non presta attenzione nemmeno a sé stesso. E Moro è trafitto da quello sguardo, ma non può far crollare il muro o crollerà anche lui con esso, e nemmeno Seb sarà in grado di raccoglierne i pezzi.
«Mancheranno un paio d’ore all’alba – Cesare invece mostra sempre una calma invidiabile – se iniziamo a salire da qua, ci mettiamo al sicuro prima che sorga il sole»
«D’accordo allora, andiamo»

 
***

«Non sarà il massimo, ma può andare» annuncia Cesare, che apre la fila, serafico come al solito. Hanno trovato una legnaia, stranamente ad alta quota, ma non c’è tempo di farsi domande. Si concederanno qualche ora per recuperare le energie, per far riprendere i muscoli dall’assalto dei crampi.
Il Rosso sprofonda in un sonno profondo nel giro di pochi minuti, mentre gli altri tre si dividono un pezzo di pane con un sorso di latte. Anche Cesare decide di chiudere un po’ gli occhi, «per far riposare la mia nobile mente» afferma. Come fa ad essere ancora così lucido, ad apparire così tranquillo, pur combattendo quella dannatissima battaglia da tanto tempo quanto Moro e Seb.
I due giovani si guardano, seduti l’uno di fronte all’altro, come fanno da sempre. Con un po’ di immaginazione, non è poi molto diverso da quando trascorrevano i pomeriggi insieme nel giardino del nonno di Moro, quando Seb sgattaiolava via dalle lezioni di musica e si rifugiava in quella casa, dove sapeva che l’avrebbero sempre accolto.
«Parla. Che cosa c’è?» Seb è sempre stato un libro aperto per tutti, ma solo Moro riesce a fargli esprimere a voce alta i suoi pensieri, anche se non ne ha bisogno perché li conosce alla perfezione.
«Non c’è niente» è la risposta poco convinta di Seb. Non la dà a bere a nessuno.
«Credi che non me ne accorga? Credi che non sappia cosa ti frulli in testa? Se la pensi così sul serio, devi esserti bevuto il cervello, amico, perché il Seb che conosco sa benissimo di non poter nascondermi nulla»
«Se davvero sai già tutto, non c’è bisogno che dica niente, o sbaglio?»
«Faresti meglio a parlare, invece, per il tuo bene, più che altro. E questo è il momento migliore. Quindi o sputi il rospo, o taci per sempre. A te la scelta»
«Bene. Vuoi che parli? Parlerò. Ma lascia che ti faccia una domanda prima. Si può sapere che cazzo ti sta succedendo?»
«Non … che vuoi - »
«Oh, non fare il finto tonto con me. Non ti permettere di fingere con me»
Moro è senza parole. Stavolta, per la prima volta, Seb lo coglie di sorpresa, del tutto impreparato. E questo lo manda nel panico, perché il fatto di sapere sempre e comunque cosa passi per la testa dell’amico è stata la sua ancora di salvezza, l’appiglio che ha cercato fino a quel momento per rimanere a galla. Se perde quello, affonderà. Boccheggia, si guarda intorno, non sa cosa dire.
«Lo vedi? – prosegue Seb – è proprio quello che temevo. Stai ingannando gli altri, stai ingannando perfino te stesso. Ma io non ci casco, amico. Puoi anche rassicurare tutti e fare bella figura comportandoti da duro, atteggiandoti come se nulla fosse, come se non fossimo in una cazzo di guerra da anni senza una fottuta speranza di uscirne. Fai pure l’eroe, lo stratega perfetto, il soldato coraggioso e senza scrupoli che combatte per la patria. Ma io lo so, che questa maschera non ti appartiene, non ti è mai appartenuta. Perché ora? Te lo dico io. Tu hai paura. Ma anche io ne ho, tutti ne abbiamo»
«Non c’entra la paura, Seb» la voce di Moro è ridotta a un balbettio.
«Non è la paura della guerra, Moro. Non è un proiettile nel petto, o nella testa, è passato troppo tempo per avere paura di queste cose. Quello che spaventa di più è che da qui non si torna più indietro. Quello che succede in guerra non rimane in guerra, ce lo porteremo per sempre con noi, marchiato sulla pelle, nelle ossa. E tu ti stai distruggendo. Se è questo che vuoi, non ti fermerò. Ma devo sentirlo dalla tua bocca. Devo sentirti dire chiaramente che vuoi tagliare la corda, perché è questo che stai facendo. So che non può essere quello che vuoi, perché così stai trascinando anche me con te, e so che non lo vorresti. Ma se lo dici ad alta voce, lo accetterò. E se me lo chiedi, sarò disposto ad affondare con te. Solo, non darla vinta a quei bastardi. Non dimenticare chi sei per annientare loro»
Seb ha il fiatone, gli occhi lucidi. Moro ha il cuore martellante in petto e mille pensieri in testa. Non si aspettava un tale fiume di parole. Non lo avrebbe mai neppure immaginato. Apre la bocca per provare a rispondere, ma alle sue orecchie giunge un rumore ben più terrificante.
Sono parole straniere, gridate nella foresta.
«Cazzo, la pattuglia dell’alba!» In una frazione di secondo sono tutti in piedi, con un balzo si nascondono sul lato della legnaia opposto a quello della provenienza della voce. Scorgono un soldato nemico avvicinarsi di corsa, facendo fuoco ripetutamente nella loro direzione.
È Cesare il più veloce. Pistola alla mano, si sporge oltre la protezione e spara tre colpi. Uno va a segno, troncando le urla di allarme del nemico. Poi torna il silenzio più totale.
«Credete ci sia una possibilità che i suoi amichetti non abbiano sentito?» Cesare è perfino capace di ironizzare, mentre il Rosso trema di terrore. Passano attimi interminabili, in cui la tensione e l’incertezza sono alle stelle. Il ragazzo sta per crollare, lo si vede chiaramente, è sul punto di una crisi di nervi, ma sono tutti troppo concentrati per accorgersene in tempo. Cominciano a sentirsi movimenti in lontananza, ma è ancora presto per capirne la direzione. Non possono muoversi, non ancora.
Quando il Rosso salta in piedi, con il volto rigato dalle lacrime, nessuno riesce a trattenerlo. Ora è del tutto visibile, si mette a farfugliare disperatamente, e rumorosamente. Se c’era la minima speranza che prima non si fosse sentito molto, adesso non ci sono dubbi. Il resto della pattuglia si avvicina rapidamente, da dove è sbucato il primo. Almeno ora sanno da che parte scappare.
Seb si lancia contro il ragazzo, atterrandolo, cercando di tappargli la bocca, ma quello scalcia e sgomita, ormai completamente fuori di sé. Quando finalmente riesce a immobilizzarlo, a cavalcioni sopra di lui, schiacciato il più possibile contro il terreno, un braccio a bloccargli il petto e le spalle, l’altra mano premuta saldamente contro la bocca, segue di nuovo qualche secondo di silenzio innaturale.
Poi gli spari.
Ci sono quattro fucili che fanno fuoco, da dietro gli alberi.
«Merda! Seb!!» è Moro a gridare, senza riuscire a nascondere l’angoscia. Lui e Cesare cominciano a rispondere al fuoco, cercando di prendere al meglio la mira, anche se non è per niente facile. Sono costretti a uscire allo scoperto anche loro. Ma almeno riescono a coprire per qualche istante Seb, che coglie al volo l’occasione e scatta in piedi trascinando con sé il Rosso.
«Via! Via! Via!» Devono scappare. Devono voltarsi e correre. Sperare di avere più resistenza del nemico.
Cesare si lancia per primo a gambe levate, lasciando a Moro gli ultimi colpi di copertura e aprendo la strada ai compagni, che subito gli vanno dietro. Purtroppo anche i nemici li inseguono, continuando a fare fuoco di tanto in tanto e costringendo i quattro a zigzagare nella boscaglia.
Accade in un lampo.
L’urlo del Rosso raggiunge le orecchie di Seb e il giovane si ritrova a fermarsi e a voltarsi indietro. La vista che gli si presenta è straziante. Il corpo del ragazzo giace a terra, privo di vita, riverso in avanti con le braccia larghe e un foro sanguinante in mezzo alla schiena.
Un urlo disperato esce dal petto di Seb. Non ragiona più. Non pensa a mettersi in salvo. Pensa solo a quanto fosse giovane il ragazzo, un bambino quasi. Il nemico si avvicina, ma a lui non importa. Torna indietro. Si inginocchia di fianco al Rosso. Non può lasciarlo lì, ha bisogno di loro anche adesso. I soldati della pattuglia gli sparano contro. Che mira di merda. Risponde al fuoco con le poche munizioni che gli rimangono. Ne centra uno. Ne colpisce sicuramente un altro, forse addirittura un terzo, ma non capisce molto, perché le lacrime gli annebbiano la vista. Alla fine, un dolore lancinante alla spalla destra.

Moro si accorge del folle gesto di Seb solo quando l’amico è ormai una facile preda per il nemico, accanto al corpo del compagno. E poi lo sente gridare, e lo vede accasciarsi. Una paura indescrivibile lo pervade. La razionalità lo abbandona del tutto, e corre, corre come un forsennato per raggiungerlo prima che …
Ma poi lo sente emettere un lamento. Seb è vivo, è ancora con lui. È stato ferito alla spalla, ma se la caverà, lui lo salverà. Strappa la manica alla sua giacca e fa un nodo stretto intorno alla ferita. Quello geme di dolore, ma è necessario per fermare l’emorragia. Continuando a fare pressione, Moro si passa il braccio sano dell’amico intorno al collo, lo afferra saldamente per il fianco. È ora di andare via da lì.
«Non possiamo … – Seb farfuglia, sconvolto – Noi … Rino, lui … » oppone resistenza, ma Moro non cede. I rinforzi dei nemici saranno vicini ormai, non possono attendere un momento di più.
«No, dobbiamo andare. Seb, guardami! Dobbiamo andare!»
Ma Seb non collabora. E Moro non ce la fa a caricarselo in spalla e correre allo stesso tempo. Sente movimenti avvicinarsi rapidamente nella loro direzione. Continua a chiamare Seb, che un po’ per il dolore fisico e un po’ per lo shock mentale sta perdendo i sensi.
«No, amico, devi rimanere sveglio. Ehi, Seb! Ti porto via di qua, ma tu devi tenere gli occhi aperti, chiaro? Non provarci neanche a lasciarmi, hai capito? Non provarci!»
Allora, con uno sforzo sovrumano, Moro lo tira su di peso. Muove qualche passo, ma non di più. Di certo non ce la fa a seminare nemici in quel modo. È troppo stanco. È nel panico. E intanto chiama l’amico, lo chiama disperato, tentando di farlo rimanere cosciente.
«Seb! Non puoi dargliela vinta a quei bastardi! Non puoi lasciarmi solo con loro. Non ce la farei, Seb. Senza di te, loro vincono. L’hai detto tu. L’hai detto tu che questo non sono io. E hai ragione, hai fottutamente ragione. Sei tu ad aprirmi gli occhi, come sempre. Io non voglio finire così. Non voglio affondare. Ma devi aiutarmi a rimanere a galla, Seb, devi aiutarmi, perché da solo non ce la faccio»
I passi si fanno sempre più vicini, terribilmente più vicini. È la fine. Non c’è più tempo di fare niente, solo di rassegnarsi. Senza mollare la presa su Seb, Moro punta la pistola davanti a sé, pronto a fare fuoco con gli ultimi tre colpi che gli restano. Prova a capire in quanti sono. Tre, quattro, cinque. Troppi. È davvero la fine.
Abbraccia Seb, lo stringe forte a sé. Se è arrivato il loro momento, non vuole che sia in altro modo.
«Sono contento che tu abbia scelto … » la voce di Seb è un sussurro rauco, ma fa sciogliere il cuore di Moro. Ora è sereno, lo sono entrambi. È pronto ad accettare tutto.
Eccoli che arrivano. Li riesce a vedere. Sono a pochi passi, hanno un fucile puntato contro loro due. Moro chiude gli occhi, fa un respiro profondo, in attesa dell’inevitabile.
«Fermi! – grida una voce potente – Non sparate, sono dei nostri!»
A quelle parole, Moro scoppia in un pianto liberatorio, ancora abbracciato all’amico, che trova la forza di sollevare il braccio sano e stringersi ancora di più a lui.
«Non ci annienteranno, Seb – riesce a dire, tra un singhiozzo e l’altro – non ci annienteranno … »
«Non ce ne andremo prima del tempo, Moro. Ci saremo ancora, io e te, quando tutto finirà … »

 
 
 
 
 
* L’angolo delle riflessioni *
Ciao! Prima ancora di dire qualsiasi cosa, vorrei ringraziare tutti coloro che hanno dedicato una parte del loro tempo a leggere le mie sudate carte (poco carte, molto sudate). Significa molto per me, anche se avete semplicemente dato un’occhiata. Detto ciò, siete autorizzati a ignorare il resto del noiosissimo sproloquio in cui proverò a dire qualcosa sulla storia.
Questa è la seconda one-shot che pubblico, ma è del tutto diversa dalla prima. Ho voluto sperimentare un ambito nuovo, uno stile un po’ diverso da quello che sarebbe più nelle mie corde. Il fatto è che la narrativa della Resistenza mi affascina moltissimo proprio per come mette in mostra il carattere umano. Spero che il messaggio sia passato, e che magari la storia vi sia piaciuta (o anche no …). Sentitevi liberi di lasciare un’opinione, un commento, un suggerimento, qualsiasi cosa vi passi per la testa (anche le domande sono ben accette).
Grazie ancora e a presto!
– Selene_ag –
   
 
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