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Autore: lalla124    29/06/2009    2 recensioni
Avete mai provato a leggere Stargirl di Jerry Spinelli? Se sì, tanto meglio, se no, bhè, non importa; scoprirete chi è leggendo questa fanfiction.
E se Edward incontrasse Stargirl, una ragazza molto fuori dal comune, cosa succederebbe?
Sinceramente non so quello che sto scrivendo! é solo un'idea che mi è venuta così! Mi è sembrata abbastanza carina, quindi ho deciso di provarci......non auguro niente, però!
Premetto subito una cosa: la storia è vista sotto il punto di vista di Edward e con tutte le seghe mentali che si fa quel ragazzo (non dico nella mia storia, ma in generale) spero di essere riuscita ad esprimere al meglio i suoi pensieri! Che dire, buona fortu...cioè....lettura!
Genere: Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Edward Cullen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film, Contesto generale/vago
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Cercai di concentrarmi sulle note della canzone, ma non ci riuscii, di nuovo

Cercai di concentrarmi sulle note della canzone, ma non ci riuscii, di nuovo.

Ero un vampiro, bastava solamente un millesimo della capacità di concentrazione che avevo per suonare al pianoforte in modo perfetto ed impeccabile canzoni del calibro di Claire de Lune di Debussy. Tuttavia, quando suonavo il piano, il mio obiettivo era quello di concentrarmi al massimo e porre tutta la mia attenzione nell’esecuzione, per non pensare ad altro. E sempre, anche se spesso ed involontariamente qualche pensiero veniva formulato, l’esecuzione di quella canzone riusciva a trascinarmi completamente nei mondi immaginari che suscitavano quelle note.

Per l’ennesima volta mi interruppi di scatto. In quei mondi immaginari era comparso nuovamente il suo viso. Appoggiai pesantemente le dita sul mio pianoforte e un impercepibile rumore di legno rotto concluse quello delle note senza ordine. Stupidi e deboli oggetti; non potevo controllare la mia forza in quelle condizioni. Nemmeno Debussy riusciva a non farmi pensare a lei. Volevo starle vicino. Non avevo mai provato una sensazione tale e solo la sua lontananza riuscì a venire a galla nella mia mente. Il mio non era il solito desiderio di uccidere, di volere il suo sangue, desiderio che non mi avrebbe suscitato alcun sospetto; quante di quelle volte avevo desiderato farlo. No, il mio era il desiderio di conoscerla, di sapere com’era, un sentimento del tutto umano e nuovo.

Provai a pensare perché mai mi suscitava questo. E perché proprio a me. Né Jasper, né Alice, né tanto meno ad Emmett e Rosalie erano minimamente coinvolti da questa Stargirl. I loro pensieri, per quanto mi sforzassi di non ascoltarli, non erano minimamente rivolti verso di lei. Perché i miei sì?

Non era il desiderio stesso ad incutermi la paranoia ed il tormento che stavo vivendo, anzi, quasi mi rincuorava pensare a quella debole, ma al contempo forte creatura.

Era la voglia di vederla che proveniva dal mio lato più oscuro che mi agonizzava. Ero un vampiro ed io, anche se a dirsi era assurdo, avevo paura degli esseri umani, riversavo i tormenti di me stesso su di loro, perché erano inevitabilmente prelibati ed invitanti e bastava un semplice errore affinché il demone potesse prevalere e portasse a farmi sentire un mostro. Ed io avevo un’ assurda e impadroneggiabile paura del mio demone. Avevo paura che questa bambina lo avrebbe potuto stuzzicare, se soddisfavo il mio ingenuo e segreto desiderio di conoscerla. Inoltre c’era quel sentimento umano, quello che mi faceva nascere questo desiderio. Una sorta di strana ed inspiegabile senso di felicità dimenticata con il tempo, che sapevo non mi apparteneva e che perciò mi metteva a disagio.

Edward, che hai?” La squillante e severa voce di Alice mi riportò alla riva, dopo ben… già, dopo ben quarantacinque secondi che ero perso nell’oceano tempestoso dei miei pensieri. La guardai con fare disinvolto. Da tempo aveva notato qualcosa di strano. Per fortuna era stata l’unica.

“Non ho idea di cosa tu stia parlando” replicai pacato. Una miriade di immagini si susseguirono in testa. Confuse e troppo veloci per capirle. Tutte però avevano come soggetto Stargirl.

“Non fare lo stupido” disse questa volta più preoccupata. Ripresi a suonare Claire de Lune.

“Niente che ti possa preoccupare”

Non volevo coinvolgerla in questa storia, in alcun modo. Era un problema unicamente mio, personale, intimo. Anche se credevo fosse davvero difficile tenere nascosto qualcosa a qualcuno che fosse capace di vedere il futuro. In quel periodo tuttavia anche Alice mi preoccupava; era agitata ed inquieta per i problemi di autocontrollo di Jasper e non faceva che pensare a lui. Motivo in più per evitare di coinvolgerla nei miei di problemi.

Cercai di lanciarle un sorriso rassicurante per essere credibile e soprattutto chiaro sulle mie intenzioni. Lei mise il broncio, in realtà davvero dispiaciuta che non condividessi con lei i miei pensieri.  

Quindi questa la posso buttare via” Mi fece vedere la rosa che mi avevano regalato al mio “compleanno”.

“Sì” risposi impassibile continuando a suonare. Subito dopo inspiegabilmente me ne pentii. Lei non la buttò; con un sorriso malizioso me la mise sul pianoforte. Sapeva che non l’avrei buttata. Io però non sapevo perché non l’avrei buttata. Era solo una rosa che era appartenuta a Stargirl, non Stargirl. Perché mai mi doveva importare anche della rosa? Continuai a suonare.

“Riceverai finalmente un regalo che ti piacerà”

Mi fermai ed Alice se ne andò. Tutto questo avvenne in un decimo di secondo. Provai a leggere da lontano i pensieri di Alice, per sapere a cosa si stesse riferendo. Quels transports il doit exciter… C'est nous n ose méditerDe rendre à l'antique esclavageSentii un sorriso amaro dipingersi sulla faccia. Aveva inteso alla lettera, e aveva ragione; non potevo un momento prima escluderla, per poi leggerle il futuro.

Era inutile cercare scuse; Stargirl era diventata il mio passatempo, quello che mi permetteva di uscire dalla noia, quello che mi stava dando finalmente una “botta di vita”. Quello che mi stava facendo sentire pian piano umano.

Sentii le mie labbra piegarsi in quel sorrisino sghembo che avevo sempre detestato, ma che Esme adorava. Stargirl rimaneva una semplice umana e quello strano profumo di lavanda rendeva le cose piuttosto facili. Resistevo ogni giorno ad un’orda di profumi allettanti, perché uno solo dovrebbe cambiare qualcosa? Inoltre l’accenno di Alice era evidentemente positivo, ed io mi fidavo di lei. Mi convinsi che sarei riuscito a resistere a Stargirl e sarei riuscito a stare con lei. E smisi di suonare.

 

Il giorno dopo aspettai con impazienza il pranzo alla mensa. Una sensazione che non avrei mai detto che avrei provato. Almeno era qualcosa di diverso rispetto alla noia. Prevedibilmente Jasper si era accorto delle mie strane sensazioni, ma Alice era riuscita a convincerlo a non badarci troppo. Aveva già i suoi di problemi e l’ultima cosa che mi auguravo per lui era occuparsi anche dei miei. A mensa quindi non pensò troppo a me e ben presto lasciò stare.

Attesi, cercando di non dare nell’occhio, la sua comparsa. Ancora una volta quell’agitazione per il suo arrivò mi mise di nuovo a disagio; non era da me preoccuparmi troppo per un essere umano. Quel giorno il suo tavolo rimase vuoto. Lessi velocemente i primi pensieri che mi capitarono sottomano, ma non riuscii a trovarla da nessuna parte. Quel giorno non era venuta a scuola a quanto pare. Le mie spalle si abbassarono impercettibilmente. Cercai di distrarmi, invano, intervenendo più volte nella conversazione del giorno riguardante la prossima partita a baseball, fino al suono della campanella. Dal mio tono non traspariva nessuna emozione; ormai tutti se n’erano abituati, tutti sapevano del mio periodo cupo e buio e non se ne sorpresero molto. Tranne ovviamente Alice e, per un momento, Jasper.

La verità era che ero rimasto deluso dall’assenza di Stargirl. Quel desiderio era tanto forte che stava traboccando dal mio spirito.

Un qualcosa di oscuro nel mio animo decise che quel giorno me se sarei fregato di tutto. Quel giorno non lo avrei passato nella noia come al solito. Quel giorno dovevo vedere l’unica persona che l’avrebbe potuto rendere diverso e meno monotono. Mi diressi immediatamente verso il parcheggio, senza dire niente. Sarei andato a casa di Stargirl.

 

Non sapevo dove abitasse, perciò andai a caso. Non erano però molte le abitazioni disponibili per l’affitto in una cittadina così piccola, quindi riuscii a trovarla subito. Parcheggiai piuttosto lontano. Non appena scesi dalla mia Volvo sentii la voce della bambina che cercavo. Proveniva dal suo giardino. Di nuovo quel senso di curiosità.

Attraversai veloce la strada e mi appostai davanti alla betulla che sorgeva davanti a casa sua, dall’altra parte della strada. Era troppo occupata per accorgersi di me, anche se in quella posizione ero più che visibile; volevo infatti essere visto da lei. Osservai con attenzione quello che stava facendo. Con una vecchia macchina fotografica stava cercando di immortalare dal suo giardino il bambino che viveva nella casa vicino, in quel mentre intento a giocare con un triciclo e del tutto ignaro che qualcuno gli stesse scattando una foto. Era quindi questo il motivo per cui non era venuta a scuola? Ancora, per l’ennesima volta, mi stupii. Non mi ero ancora abituato. Soprattutto non avevo ancora capito cosa stesse facendo. Rivolse l’obiettivo verso di me. Io sorrisi abbassando gli occhi. Da tantissimo tempo nessuno mi faceva sorridere in quel modo. Gli rialzai quando sentii un lieve scatto.

“Buongiorno, Edward Cullen!” gridò con un sorriso. Aveva anche un bellissimo sorriso. Io veloce attraversai la strada. Finalmente, eccomi davanti a lei, piena di segreti e sorprese. Quell’insopportabile desiderio di curiosità era del tutto scomparso ora, lasciando posto solo ad una totale serenità. Esattamente come l’altra volta, nella foresta, liberai i miei pensieri.

Cosa stavi facendo?”

“Stavo fotografando Ben” disse lei con fare innocente indicando il bambino.

Perché?” Lei sorrise di nuovo.  

Cosa diresti se qualcuno di cui non conosci nemmeno l’esistenza in questo momento ti consegnasse un album di foto sulla tua vita? Una piacevole sorpresa, non trovi?”
Risi molto più fragorosamente della scorsa volta. No, era troppo bizzarra. Tanto bizzarra da farmi rendere conto di quanto quello che stavo provando era diverso dalla noia. Pensai realmente ad una situazione assurda come questa; se qualcuno mi avesse dato in quel momento un tomo di migliaia di pagine su centosette anni.

“Farei i complimenti al fotografo.” Mi fu inevitabile trattenermi; cercai di rimediare.

“E quello che vorresti fare tu con quel bambino?” Lei fece spallucce, ingenua.

“Sì. Bhè… è quello che cerco di fare.” Questa volta mi limitai a sorridere.

“Sei rimasta a casa per questo?”

Fa bene non andare a scuola qualche volta.” Mi guardò per un attimo negli occhi. Non mi spiegavo come facesse a non staccarli dai miei. Non riusciva ancora a capire che ero pericoloso?

“Vuoi venire a Port Angeles con me?” Sussultai per l’improvvisa domanda. Ebbi un attimo di esitazione prima di risponderle. Qualcosa mi diceva di non accettare, la paura del demone aveva di nuovo preso il sopravvento, inevitabilmente. E poi non mi conosceva neppure, come faceva a proporre una domanda del genere ad uno sconosciuto?

Se non vuoi, non importa” La sua voce mi riportò alla realtà. Chiusi gli occhi cercando di uscire dallo stato confusionale in cui ero entrato.

“E… s-sì…” balbettai un risposta, incerto anch’io su ciò che avevo deciso di fare.  

“Possiamo usare la tua macchina?”

“Sì”

Perché improvvisamente mi era riuscito così difficile dimostrarmi convinto? Non ero più sicuro di niente. Lei corse dentro casa, mentre io camminai verso la Volvo. Stavo facendo salire sulla mia auto un essere umano che neppure conoscevo e che rischiava la vita. Stai cadendo, Edward, stai precipitando. Solamente quel malsano desiderio, che stava diventando assillante e non vedevo l’ora che sparisse, mi costringeva ad andare a Port Angeles con lei. Sapevo che l’unico modo per liberarsene era soddisfarlo, almeno un minimo. E in quel momento quel malsano desiderio mi costringeva a scoprire cosa Stargirl avrebbe fatto a Port Angeles.

La feci salire in auto e partii spedito. Non mi sforzai di sorreggere una conversazione; ero troppo impegnato a pensare alla sciocchezza che stavo facendo. Intanto la freccetta del contachilometri saliva indisturbata. Mi voltai di scatto verso il finestrino del passeggero che si stava abbassando. Quella matta aveva messo la testa fuori dal finestrino in corsa e stava sorridendo mentre l’aria le colpiva il viso. Come la freccia era salita ora era scesa.

“Ma sei matta?!

Per istinto avvicinai la mano alla sua spalla per tirarla dentro, la ragione che però mi era rimasta mi suggerì saggiamente a ritirarla in tempo e a non toccarla. Ritrasse per fortuna la testa subito dopo. Stava ridendo. Io invece non ci trovavo assolutamente nulla di divertente; cosa diavolo le aveva preso la testa?! Il suo senso del pericolo doveva essere senza dubbio andato; non aveva pensato che le avrebbe potuto succedere qualcosa se avesse tirato fuori la testa ad una velocità simile? Questo era senza dubbio un ottimo modo per farmi rallentare. Lei d’altro canto non la smetteva di ridire.

Perché diavolo l’hai fatto?” Dal mio tono volevo sembrare arrabbiato, ma lei non smise di sorridere.

“È bellissimo sentire l’aria sul viso. Dovresti provarlo.”

Non avrebbe mai immaginato che lo facevo quotidianamente e per di più ad una velocità doppia di questa. Non negavo nemmeno che fosse una fantastica sensazione, ma io ero un vampiro, lei un essere umano, si sarebbe potuta fare male e non volevo averla sulla coscienza. Ero terribilmente arrabbiato; non pensavo potesse essere così infantile.

Ma non così! Potevi farti male” Lei smise di ridere, ma continuò a guardarmi.

“Pensi che sia matta?” disse senza alcun risentimento.

“Sì, qualche volta” risposi io sincero e deciso, guardando la strada davanti di me, pur di non incrociare il suo sguardo. Non riuscivo a mantenere un costante contatto visivo con lei. C’era sempre una gara di sguardi che lei vinceva sempre. Strinsi lievemente il volante; non mi ero mai sentito così sottomesso e condizionato da un umano. Era una sensazione irritante, ma al contempo rasserenante; era una piccola debolezza che mi faceva sentire umano.  

“Va bene, non farò più la matta con te”

Era tornata ad essere felice, passando il tempo a guardare quello che c’era fuori dal finestrino, senza aprirlo. Tornai ad accelerare, osservando di sottocchio il passeggero accanto a me. Solo allora mi accorsi di nuovo del suo forte odore di lavanda. Mi stupii ancora una volta di quanto fosse naturale e poco umano. Ed ancor più mi attirò il fatto che non mi faceva venire l’acquolina.

“Cannella, cosa ti succede?”

Oh no, aveva portato anche il topo. Intravidi un leggere tremolio dentro la sua borsa. Quel povero topo sarebbe morto letteralmente dalla paura vicino a me. Cercò di tirarlo fuori dalla borsa, ma senza risultato. Avrebbe dovuto seguire l’esempio del suo topo, la ragazza.

“Non credo che tu stia simpatico a Cannella. È strano, è un topo molto socievole.” Sorrisi alla sua vocina sconfortata.  

“Non ho molto feeling con gli animali”

Mi sentii particolarmente colpevole per la futura e probabile morte di quel topo. Lei tornò a perforarmi con lo sguardo. Aumentai la pressione sull’acceleratore per far si che quel viaggio terminasse al più presto. Quando mi osservava cominciava ad infastidirmi, mi metteva a disagio. Distolsi per una attimo gli occhi dalla strada; mi stava studiando con fare attento. In quel momento rimpiansi di non poterle leggere i pensieri.

“Hai l’aria di uno che sta cercando qualcosa. Riflettei con aria confusa su quello che aveva detto.

“Tutti cercano qualcosa” azzardai a rispondere, per niente abituato al suo modo di pensare. Lei ci pensò un attimo.

“Vero”

“Tu invece cosa stai cercando?” Lei si lasciò andare in una risata.

Quando lo troverò, lo saprò.”

Respirai più profondamente di quanto fossi solito fare. Che strana conversazione, mi richiedeva più concentrazione di quanto pensassi. Stargirl invece sembrava tranquilla.

“Come fai a sapere che è quello?” Lei appoggiò la testa sulle mani. Dopo pochi minuti mi guardò confusa.

“Non lo so. Dovrei chiederlo al Senor Saguaro.” Strabuzzai gli occhi. Lei notò la mia sorpresa.

“È un mio vecchio maestro” mi spiegò, concludendo l’argomento. Non volli andare oltre neppure io. Anche se mi stuzzicava il desiderio di conoscere anche il suo passato. Mi sarei dimostrato troppo invadente se glielo avessi chiesto, sebbene l’invadenza non c’era mai stata con lei. I primi edifici di Port Angeles si fecero vedere.

Dove andiamo?”

“Fermati pure qua.”

Parcheggiai l’auto dove mi aveva indicato. Si sedette sulla prima panchina che trovò. Mi sistemai vicino a lei, tenendo la distanza. Come sempre, a Port Angeles c’era molta gente, indipendentemente dall’ora. Lei sembrava osservare e studiare ogni viso che passava per quel marciapiede. Ancora una volta non capivo cosa stesse facendo.

“Vedi quel ragazzo laggiù” disse d’un tratto “È appena uscito dal lavoro e sta andando a prendere il suo cane Smuggler dal veterinario. Si era rotto una zampa, ma ora sta meglio. Stasera però dovrebbe andare a dormire abbastanza presto, domani avrò un importante incontro con una persona che non vedeva da tempo.”

Quella fu forse la volta che mi stupii di più, nonostante la mia mente avesse compreso che non avrebbe mai capito le sue idee se non fosse stata Stargirl stessa a spiegarmele. Ero rimasto totalmente attonito. Lei mi guardò con un sorriso.

“È un gioco; devi indovinare la vita delle persone. Prova tu.”

Io abbassai la testa con un sorriso, imbarazzato, per molti motivi. Innanzitutto per il gioco infantile e senza senso che mi stava proponendo. Poi, per l’impossibilità della cosa; come potevo indovinare se sapevo esattamente quale fosse la vita delle persone che mi circondavano?

“Non credo di essere molto bravo”

“Prova ad usare la fantasia.”

Respirai ancora una volta profondamente, cercando di darle corda e coinvolgendomi in un gioco stupido come questo. Mi limitai a leggere nel pensiero del primo passante.

“Quella signora sta andando a trovare il marito in ospedale per poi andare a casa a far la cena ai suoi due figli ed andare nuovamente in ospedale il giorno dopo” dissi lievemente annoiato. Seppur ne avessi abbastanza di quel gioco, non mi ero ancora stufato di chi lo aveva ideato. Anzi, con queste sue pazze idee mi sentivo stranamente rilassato. Mi distraevano e mi facevano pensare in un altro modo, un’altra sconosciuta ottica.

“Non sei molto bravo” concluse lei alla fine. Io alzai le spalle. In realtà non aveva la minima idea di quanto fossi stato bravo, se indovinare era lo scopo del gioco. In realtà non credevo fosse esattamente questo, anche perché nessun umano l’avrebbe saputo con esattezza. Dato il personaggio che aveva proposto il gioco, non credevo fosse così scontato. Si alzò quindi improvvisamente.

“Era solo per compensare l’attesa. Andiamo.” Si incamminò fuori Port Angeles. Io mi limitai a seguirla, sempre mantenendo le distanze, facendomi trascinare dalla sua stranezza.

Camminammo per circa mezz’ora. Eravamo ormai fuori Port Angeles. Stavamo ritornando a Forks a piedi; non capivo allora perché mi aveva fatto andare fino in città. Ormai era il crepuscolo. Salì sulla collinetta poco lontano dalla statale ed arrivata in cima, rivolta verso il sole, si mise seduta a gambe incrociate. Mi sedetti silenzioso accanto a lei. Stava cominciando ad alzarsi il vento, ma lei pareva non accorgersene. Dapprima mi limitai ad osservarla, mentre immobile era immersa nella sua strana meditazione.

Solo dopo iniziò a farsi sentire. Uno strano senso allo stomaco, che era da tantissimo tempo che non provavo. Ero quasi sicuro che fosse invidia. Senza imbarazzo od orgoglio affermai a me stesso che ero geloso; geloso di quel corpicino davanti a me. Guardavamo me, e c’era un ammasso di tensioni, rimorsi, tristezza, debolezze, una coltre di noia. Guardavo lei, invece, e vedevo felicità, spensieratezza, voglia di vivere. Era un’invidia acida ed acerba. Desideravo anch’io quella sua voglia di vivere che avevo perso tempo fa e che rivedevo in lei solo ora. Ne avevo bisogno per uscire da quella condizione che mi stava tormentando e che mi ero illuso fino a mesi fa che sarebbe stata la mia eterna dimora. Stargirl aveva ragione, stavo cercando qualcosa ed era questo: un cambiamento immanente della mia filosofia di vita.

Lottai contro il mio orgoglio e vinsi.

Stargirl” sussurrai, confondendo il suono della mia voce con il vento. Lei riuscì a percepirla ed aprì gli occhi. Qualcosa che non apparteneva al mio animo mi spinse a parlare, sempre quel qualcosa di oscuro che mi aveva portato ad andare a Port Angeles.

Se tu vivessi per sempre, come affronteresti l’Eternità?” Guardò davanti a sé con quel suo sorrisino.

“Come adesso” rispose semplicemente.

“Non ti annoieresti?” Le mi rivolse uno sguardo ed ancora una volta mi sentii sottomesso. La guardavo incantato aspettando una risposta. Tornò a guardare davanti a sé.

“Già, mi annoierei. Credo proprio che si debba avere… sì… una ragione di vita. Un qualcosa che coinvolge, che si ama con tutto se stessi, che fa provare emozioni. Così questo qualcosa ti fa vivere.” Ritornò di nuovo a guardarmi. Io non staccai lo sguardo da lei.

E se non si riesce a trovare? Se ormai tutto è diventato noioso ed inutile?” Il mio orgoglio aveva ricominciato a premere, a soffocarmi, ma il bisogno di trovare una via d’uscita era dannatamente più forte.

“Devi essere tu a vederlo con occhi diversi. Magari è sempre stato sotto il tuo naso, ma non l’hai mai visto veramente. Cominciò a ciondolare avanti ed indietro, cingendosi le gambe con le braccia esili.

“Come si fa a riconoscerlo?”

“Per ognuno è qualcosa di personale e diverso. Credo che… si riesca a capirlo, e basta.”

E se non c’è? Se in un’eternità non si riesce a trovare?” Lei mi guardò confusa, non capendo la mia domanda. Come se la risposta fosse evidente.

“Tutti hanno una ragione di vita, bisogna solo imparare a riconoscerla. Si ha un’eternità a disposizione, giusto? Prima o poi si riuscirà a trovarla.”

Quello fu il mio ultimo incontro con Stargirl.

 

Il giorno dopo non venne a scuola e nemmeno il mese successivo. Se n’era improvvisamente andata, come era arrivata. Nessuno sapeva più niente di lei, né perché si era nuovamente trasferita. Quella ragazza non lasciò alcuna particolare impronta in nessuna delle menti dei ragazzini di quella scuola, né in quelle della mia famiglia. Tranne che nella mia. Alice aveva avuto ragione, avevo ricevuto un regalo.

Da quella discussione con Stargirl ero finalmente uscito da quella coltre di noia. Uno strano senso di libertà era presente in me, che anche la mia famiglia aveva notato. Ora non ero più perso nei tormenti della mia mente.

Ora stavo aspettando, stavo aspettando quel qualcosa di speciale che lei aveva premunito, ma non con impazienza, ma con la semplice tranquilla sicurezza che sarebbe accaduto. Tempo fa avrei pensato che potesse essere solamente una sciocca ed infantile illusione, ma la mia considerazione di ciò che era sciocco, stupido ed infantile era cambiata. Dentro di me era nata una piccola, ma forte certezza. Piccola e forte come quella Stargirl, che dovevo ringraziare.

Avevo pensato spesso a lei; qualche volta avevo supposto che non fosse stata reale, quanto più un sogno, o un miraggio. Avevo soprattutto riflettuto sulle sue parole, che erano diventate ancore nell’oceano, ora tranquillo, della mia mente.

Anche quel giorno mi fu inevitabile pensare a lei, mentre entravo nella mensa e mi sedetti. Era difficile da ammettere, ma mi mancavano i suoi auguri di buon compleanno, così fuori dall’ordinario. Tentavo di tener lontano il forte cicaleccio della mensa, quel giorno più forte del solito, senza riuscirci. Venni più volte disturbato dai pensieri dagli stupidi ragazzini che mi circondavano. Circolava la voce che sarebbe arrivato un altro nuovo studente. Era la figlia del capo di polizia di Forks; si chiamava Isabella Swan.

 

 

 

 

 

Dopo un anno mi è venuto finalmente il lampo di genio e in due giorni sono riuscita a finirla! Forse non si è conclusa come me l’ero immaginata quando l’avevo iniziata, ma spero che vi sia piaciuto questo piccolo esperimento! Ripeto dicendo ancora una volta che il personaggio di Stargirl, insieme alla maggior parte delle sue azioni, non appartiene a me ma al signor autore Jerry Spinelli.

Ringrazio quindi tutti quelli che hanno commentato e quelli che commenteranno, coloro che hanno inserito tra i loro preferiti questo piccolo esperimento e, ultimi, ma non meno importanti, tutti coloro hanno letto questi tre capitolo.

Concludo con un alla prossima!

 

Lalla124

   
 
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