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Autore: SalmaDirectioner99    23/02/2018    0 recensioni
La storia di Debora Nocentini, separata dalla sua metà, dall'amica migliore che la vita potesse darle. Sua sorella gemella che all'età di 14 anni scomparse senza lasciare nemmeno un biglietto. Nemmeno un ti voglio bene. Solo una stanza piena di ricordi condivisi che divorano Debora impedendole di vivere i suoi 18 anni. Basteranno gli occhi forti e al tempo stesso dolci di Nicolò a farle tornare il sorriso? Ma soprattutto, riusciranno insieme a venire a capo della scomparsa misteriosa della sorella Natalia?
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Suona il campanello, una, due, tre volte. Guardo l’ora, sono le 10 del mattino. Sicuramente a suonare non sono i miei. Ieri all’ultimo minuto mi hanno avvisata che avevano una riunione importante con altri medici a Bruxelles, quindi sono sola per i prossimi tre giorni. Gli occhi mi fanno male e ho ancora un sonno tremendo. Non ricordo nemmeno quando mi sono addormentata. Mi alzo, mi gira la testa. Scendo le scale e mentre vado verso la porta noto la tazza di caffè sulla penisola in cucina. Mamma deve avermela preparata prima di partire. E’ strano che una mamma medico incoraggi in questo modo a bere caffè, ma lo sa che senza quello non mi alzo dal letto. Guardo dallo spioncino della porta prima di aprire. Nicolò tiene le mani in tasca e si dondola facendo tacco-punta con i piedi. Se li guarda attento, scarpe nere rovinate. Cerco di nascondere il mio stupore nel vederlo lì e penso che forse è uno stalker e dargli il mio indirizzo non è stato proprio geniale. Eppure gli apro.
“Ehi, buongiorno!” quella sua voce allegra torna a suonare nelle mie orecchie e quasi mi da fastidio.
“Giorno.” Dico piano mentre apro la porta per permettergli di entrare.
“Che sei venuto a fare?” mi esce dalla bocca, ma non è quello che volevo dire. Almeno, non in quel modo.
“Ecco, io non pensavo di disturbarti.. ieri hai detto che non stai facendo niente in questi giorni e.. non so.” Dal suo tono impacciato e un po' triste intuisco che ci è rimasto male.
“No, scusami. Non volevo pormi in quel modo, solo che non ricevo spesso delle visite.”
Intanto ci dirigiamo verso la cucina e prendo la tazza che trovo poggiata sul tavolino davanti al divano.
Giurerei di averla vista sulla penisola della cucina qualche minuto fa… scaccio il pensiero e non ci do troppo peso. Sono stanca e la mia mente non regge.
“Ma i tuoi genitori non sono mai in casa?” mi chiede poggiando i piedi sul tavolino di legno scuro. Se sapesse quanto è costato, forse ci avrebbe pensato due volte.
“Tanto per cominciare, se mia madre ti vedesse con i piedi la sopra ti caccerebbe in men che non si dica!” scherzo. Lui arrossisce e poggia i piedi sul tappeto.
“Comunque sono a Bruxelles, sono partiti stamattina presto, o stanotte. Non saprei. Mia madre è medico e mio padre è uno psicologo. E se pure non fossero partiti, non sarebbero comunque a casa. Sono sempre in giro.”
Lui fa un fischio.
“Caspita, sono persone da stimare!” afferma.
Già.
“E i tuoi?” chiedo io, con nessuna cattiva intenzione.
Silenzio. Silenzio e ancora silenzio. Imbarazzo.
“Ho fatto una domanda inopportuna?” prendo coraggio e lascio uscire le parole.
“Oh, no. Solo, stavo pensando a come risponderti. E’ sempre così quando me lo chiedono. Non so se parlare dei miei genitori biologici o dei miei genitori adottivo.”
Ah, caspita.
“Alla fine parlo di entrambi.” Aggiunge sorridendomi, “i miei non li ho mai conosciuti. So solo che sono Americani, California per la precisione.”
“Quindi lo sei anche tu.” Intervengo io.
“Mi sento molto più italiano, sai! Sono stato adottato appena nato. Mia madre era giovane e non era in grado di tenermi, quindi i miei che erano lì per lavoro mi hanno adottato.” Si tortura le pellicine delle unghie togliendole una ad una. La schiena curva, le gambe divaricate e i gomiti poggiati sulle ginocchia.
Bella storia insomma, un americano finito in un paese di merda. Poteva andargli meglio!
“E scusa che lavoro fanno?” voglio cambiare discorso perché so che parlare del passato non è sempre bello.
“Mio padre è un ingegnere e mia madre è fotografa.. infatti se entri in casa mia vedi solo foto, ovunque, su ogni parete!”
Sento che potremmo parlare per ore, ma decidiamo che farsi un tuffo è meglio. Passa tutta la giornata da me e quando fa buio chiamiamo la pizzeria e ordiniamo la cena. Mi chiede se voglio vedere un film, ma gli dico di no. Voglio fargli vedere le mie foto. Infondo questo si fa con gli amici o sbaglio? E mi costa ammetterlo, ma temo che la nostra stia diventando proprio una bella amicizia. Mentre saliamo le scale lui si ferma dietro di me. Lo so perché non sento più i suoi passi. Mi giro, è fermo davanti una fotografia incorniciata.
“Perché in questa foto hai gli occhi verdi?” mi chiede.
Ecco, il discorso che volevo evitare almeno per un altro po'. Natalia.
“Non sono io quella.” Parole pesanti.
“Seh!” dice senza pensarci.
“E’ mia sorella gemella. E’ scomparsa quattro anni fa.”
Un altro silenzio.
“Ah, voi siete le gemelle.”
Le sue parole mi feriscono, noi siamo quelle gemelle. Una famiglia fatta a pezzi, la faccia di Natalia è finita in tv mille volte e questo imbecille non mi ha riconosciuta.
“Scusa ma mi è venuto un tremendo mal di testa. Mi sa che è meglio se te ne vai.”
Lo accompagno alla porta e mi sembra quasi di sentire i suoi pensieri. Sul suo volto colgo consapevolezza. Consapevole delle parole sbagliate che ha detto.
Quando chiudo la porta sento un rumore assordante venire dalla mia stanza. E’ caduto qualcosa. Ma chi l’ha fatta cadere? Mi munisco di coltello preso alla svelta in cucina, non sono nemmeno sicura di come si usa.
  
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