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Autore: New Moon Black    24/02/2018    2 recensioni
{Human!AU}
Hunk capì che la sua giornata non sarebbe andata a finire nei modi migliori possibili, quando si rese conto di aver perso l’ombrello.
Sbuffò sconsolato e guardò, con la coda dell’occhio, le prime gocce d’acqua cadere dal cielo finché non si mise a piovere.
E che sì, sarebbe ritornato a casa, bagnato fradicio come un randagio.
“Fantastico, veramente non avrei chiesto di meglio.”
Ed ora eccolo lì, da solo, sull’uscio della pasticceria di famiglia e senza una minima protezione per la tormenta.
Finché una voce femminile, delicata ed amichevole, non raggiunse le sue orecchie.
-“Hey, ciao.”
--Questa storia partecipa al “Rainy Time” a cura di Fanwriter.it!--
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Garrison Hunk, Shay
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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Iniziativa: Questa storia partecipa al "Rainy Time", a cura di Fanwriter.it!
Tot. parole: 3.421
Prompt/Traccia: 35) " A  ha perso/dimenticato il proprio ombrello e B gli offre di smezzare il proprio."

 

 

He Kino Nui*

 

 

Oggi, alla pasticceria “Ata Manaia”**, c’era uno strano silenzio.
Tranne il vociferare degli altri dipendenti, ovvero la sua stessa famiglia, che cercavano di smorzare un po’ l’atmosfera.
Suo padre, un uomo alto e grosso quasi sulla cinquantina, era vicino alla cassa che borbottava varie cose incomprensibili, sua madre, invece, dalla cucina aiutava la figlia maggiore, di appena ventiquattro anni, a preparare le varie ordinazioni.
Insomma, tutto nella norma secondo il giovane samoano.
Eppure, si sentiva leggermente a disagio.

Come “osservato”.

Se ne rese conto solo quando alzò distrattamente la testa dal bancone,  mentre ne puliva la superficie con un panno bagnato.
Nessuno dei clienti si era messo a chiacchierare sui propri programmi giornalieri: tipo le marachelle dei bambini di strada, il continuo lamentarsi delle signore quando vedono le ragazzine farsi più altezzose o che, quest’oggi, la temperatura era diventata ancora più umida del solito.
Erano intenti a finire la propria bevanda, con uno dei tanti dolci usciti dal forno; nessuno di loro stava guardando il figlio del proprietario che era occupato a fare il suo lavoro di cameriere.

Tutti, eccetto una.

Come incrociò gli occhi alla sua interlocutrice, Hunk ebbe un tuffo al cuore per l’emozione.
Le iridi scure misero bene a fuoco l’immagine di fronte a sé e poco a poco, le sue guance avvamparono per il troppo calore.

“Wow..”

Una ragazza mora dal taglio corto e sbarazzino guardava, con occhi vispi e curiosi, la sua figura; le varie sfumature ambrate, celate nelle sue iridi, rendevano ancora più intenso il suo sguardo, quasi felino, come se stesse cercando di scavare nel profondo della sua anima.
La pelle color cioccolato di lei spezzava magnificamente il viso lievemente tondo e levigato, le labbra piene e morbide, il naso a patata e le ciglia lunghe, doveva dimostrare al massimo sedici anni eppure aveva un’aria molto raffinata nonostante il suo lato sbarazzino.
Tra i suoi ciuffi scuri, aveva intravisto dei cerchi argentati, proprio vicino alle orecchie; il tutto magistralmente decorato con un vestito militare con vari ghirigori dorati, seguiti poi da una banalissima giacchettina spessa color cachi.
Era come ammirare un bel campo di girasoli, dopo una lunga tempesta.
Solare, gentile e allegra.

Semplicemente bella.

Il suo stomaco fece tante capriole all’indietro e si costrinse a mordersi un labbro, per non fare la figura dello scemo.
Fece un piccolo accenno con la mano, che tremava leggermente per l’agitazione, come per salutarla amichevolmente; voleva anche parlarle, ma non uscì nemmeno un suono dalle sue labbra.
Era lì, con la ragazza per cui si era preso una cotta da nemmeno un mese, a fare una figuraccia proprio durante l’orario di lavoro.

Si sentiva non poco patetico.

Appena venne richiamato dal padre abbastanza spazientito, Hunk si scusò per poi rimboccarsi, per l’ennesima volta, le maniche.
Sospirò leggermente, sentendosi goffo con ancora le guance calde per l’imbarazzo.
Ma, con la coda dell’occhio, riuscì ad intravvedere la moretta poggiare una mano sulla bocca, socchiudendo appena le palpebre per poi dissetarsi con la sua tisana alla cannella.
Forse si era messa a ridere per quanto era impacciato, pensò lui.
Non era la prima volta che la donzella in questione venisse alla pasticceria; infatti, era quasi da un mesetto e mezzo che veniva qui, a prendere sempre quella tisana alla cannella.  
E guarda caso, ogni volta che i loro sguardi s’incrociavano, scarabocchiava qualcosa sul suo taccuino nero, dalla copertina rigida.

Era uno strano tipo di rituale, tra loro due.

A detta di Lance, suo amico originario di Cuba che ogni tanto veniva a trovarlo al negozio, sembrava che per Hunk fosse diventato la sua “musa” ispiratrice; certe volte, le sue idee erano veramente assurde e fuori da ogni logica.
Eppure avevano un fondo di verità.
Detestava pensarlo, ma dovette abbassare il capo e rimettersi a lavoro; un po’ gli era dispiaciuto non poter guardare, ancora una volta, gli occhi cangianti della ragazza.
Tuttavia, non voleva farsi beccare, di nuovo, in flagrante dal padre.
Per quanto gli volesse un’infinità di bene, era abbastanza severo e prendeva molto seriamente la gestione della pasticceria di famiglia.
Quando finì le pulizie al bancone, raccolse tutto senza fare il minimo rumore e lasciò la sala, entrando nel suo piccolo angolo di paradiso: la cucina.

-“Ah, il mio posto preferito..”

Notò la madre che stava sminuzzando il cocco, rendendolo in mille pezzettini, facendosi anche aiutare da Moana, sua sorella maggiore.
I lunghi capelli ricci e neri, spesso indomabili, erano legati splendidamente in una treccia alta, nascosti appena da una cuffia bianca.
Rise appena quando si rese conto di essersi passata, accidentalmente, lo zucchero a velo sulle guance.

-“Hey sorellona, cosa combini con la mamma?”

L’odore delicato del cocco, con la miscela dello zucchero a velo e dell’impasto crudo, gli arrivò fino alle narici lasciandosi scappare un sonoro brontolio dallo stomaco.
Le due donne risero per quel buffo suono mentre il ragazzo si toccò la guancia, unendosi con loro alle risate.

-“Stavamo preparando le ultime cose, prima di chiudere.
Oggi non promette nulla di buono.. ti conviene prepararti, tra poco avremo una tempesta.”

Alzò lo sguardo abbastanza confuso.
Trovò l’orologio appeso al muro, al fianco del forno con le varie decorazioni in murales del paesaggio tropicale polinesiano.
Il ticchettio della lancetta era puntata verso le sei in punto.
Per un’assurda ragione, alcune volte, gli mandava il mal di testa e non sapeva nemmeno spiegarselo.

-“Di già?
Ma sono solo le sei del pomeriggio.”

I suoi occhi color cioccolato fondente saettarono prima alla madre e poi a Moana, quest’ultima alzò le spalle mettendo poi tutti gli ingredienti in un recipiente, grande quanto una casseruola, e dopo essersi lavata le mani mise il tutto in una delle tante buste presenti vicino al piano del forno.

-“Non guardare me, l’ha detto lei.
Se si parla del suo sesto senso, ha sempre ragione.”

Hunk alzò un sopracciglio e guardò sua madre, ancora più confuso di prima.

-“Non è un po’ troppo presto per chiudere?”

La più anziana, dopo aver lavato le posate e i vari utensili della cucina nel lavandino, sorrise allegra facendo evidenziare appena le rughe al viso; la cuffia bianca, a motivi floreali rosa antico, copriva una buona parte dei capelli corti ed ondulati color cioccolato al latte, rendendola ancora più luminosa.
Doveva avere all’incirca una quarantina d’anni, eppure se li portava bene.
Allontanandosi poi per posare il grembiule, si avvicinò al forno e prendendo un secchio d’acqua, le fiamme da prima accese, si spensero all’istante.

-“Lau pele***, tua sorella ha ragione.
Dovresti sapere che ho un certo talento a leggere l’atmosfera.
Mica sono così imprevedibili come me, Pania Tuheaf?”

Come ritornò indietro, sfiorò con la punta dell’indice il naso a patata del ragazzo e punzecchiandolo appena, gli fece l’occhiolino.
La ventiquattrenne era già pronta per uscire dalla cucina: era incappucciata per bene, con le buste degli alimenti in una mano e l’ombrello in un'altra; un piccolo broncio le si formò sulle labbra carnose e arricciando il naso, sembrava che avesse visto o odorato qualcosa di poco piacevole.
Era già vicino all’uscio, aspettando pazientemente la madre che si coprisse con il suo impermeabile, alzando lo sguardo verso il minore gli lanciò un occhiata quasi torva.

-“Muoviti tu, non voglio farmi una doccia appena usciamo da qui.
Ti chiudiamo dentro fino a domattina.”

Tutto sommato, anche se il caratterino pimpante, era una gran ragazza; nonostante molti uomini la corteggiassero, nessuno era stato capace nel fare breccia nel suo cuore.
Non si stupì più di tanto, dopotutto era uno spirito libero.

Insomma, aveva una forza fuori dal comune e tutti sapevano quant’era brava al “braccio di ferro.”

Ma al samoano venne un attacco di panico, per quella palese minaccia e,  in meno di cinque minuti era già pronto per uscire: borsa e cappotto antivento erano presenti, eppure non riusciva a trovare il suo ombrello.
Si stava agitando non poco, non ricordava nemmeno dove lo aveva poggiato.
Forse l’aveva lasciato, per sbaglio, dentro allo sgabuzzino delle scope, oppure era nel poggia ombrelli vicino all’entrata principale del negozio.
Gli era impensabile che se lo fosse dimenticato.

O almeno era quello che pensava.

Nel mentre il diciassettenne faceva mente locale su dove diamine aveva poggiato il suo fidato ombrello, la madre diede un piccolo pizzicotto alla guancia della maggiore, sempre accompagnata dal suo sorriso candido e allegro.

-“Moana, smettila di prendertela con tuo fratello.
Dovresti essere più garbata, quando fai così sembri tuo padre.”

Diede un piccolo bacio al figlio, raccomandandolo di non fare tardi e di chiudere la pasticceria appena avrebbe ritrovato l’oggetto che stava cercando.
In un battito di ciglia, loro erano già fuori.
Si toccò il capo, guardando a destra e a sinistra, e controllò ogni singolo angolo della cucina sperando di scorgere la figura del suo ombrello.

-“E va bene, vediamo dove sei finito..”

Diede un occhiata prima allo sgabuzzino delle scope e perlustrò dentro: c’erano ogni tipo di scope, palette e altra roba per la pulizia ma niente ombrello.

Strano.

Eppure capitava che lo trovava sempre lì, in certe situazioni d’emergenza.
Chiudendo la porta, si sforzò a ricordare dove l’avrebbe trovato.

-“Mhhm…”

Ad un tratto, i suoi occhi luccicarono di una strana luce, come colpito da una folgorazione.
Gli si accese una lampadina.

“Magari l’ho lasciato veramente vicino all’entrata.”

Hunk fece dietrofront, ritornando nella sala e notò con estremo stupore che non c’era un anima viva.
Tutti i clienti si erano volatilizzati.
Persino quella ragazza.

-“Accidenti, che velocità..”

E vide suo padre sparecchiare i tavoli, silenzioso, mettendo poi i piatti, le posate e i le tazzine di porcellana dentro ad un carrello argentato; come lo vide, gli andò incontro.

-“Papà, per caso… hai visto dov’è finito l’ombrell-“

Non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase che, in un battito di ciglia ebbe tra le mani il manico del carrello, con annesso di occhiata fulminante, quasi minacciosa, dal suo vecchio.
Faceva così ogni volta che il ragazzo sbagliava qualcosa durante l’orario di servizio.
D’istinto, chiuse gli occhi pronto per ricevere la sua sfuriata.

Ma tardava ad arrivare.

Aprì un occhio, confuso, e vide che suo padre si stava già mettendo l’impermeabile per la pioggia.

-“Faresti meglio ad affrettarti figliolo, prima si sono sentiti dei tuoni potenti.
Ci si vede a casa.”

Sgranò gli occhi scioccato, con la bocca che s’allargò per il stupore.
L’ha solo avvertito di non fare tardi al negozio.
Stava forse sognando, oppure il temibile Anui Garrett si era dimenticato di fargli la ramanzina per essersi distratto a lavoro?
Non capì del perché, ma il diciassettenne si stava già pregustando il dolce sapore della vittoria.
Ringraziò mentalmente tutti gli Dei esistenti dell’universo, per questo giorno indimenticabile e quando fece un passo dentro alla cucina, per posare il carrello, la voce rauca del padre lo fermò.

-“Ah, già che ci sei.. dato che ultimamente sei sempre un po’ troppo distratto, vedi di pulire tutto.
Anche la sala.
Non voglio vedere una singola briciola di sporco nella mia pasticceria.
Intesi?”

Peccato che aveva cantato fin troppo presto.

-“Sì, papà.”

E con ciò, la figura imponente di quell’uomo scomparì all’istante; accompagnato dai nuvoloni nel cielo, che intanto si erano fatti ancora più scuri e minacciosi. 
Adesso era da solo.
E doveva fare anche gli straordinari per oggi.

Sospirò rassegnato e si avviò in cucina.

 

~*Due ore più tardi*~

 

-“Halleluja ho finito!”

Si asciugò la fronte sudata ed ammirò con orgoglio il proprio operato: l’argenteria era lucida e brillante come uno specchio e la sala era in perfetto ordine, con un lieve profumo di limone e vaniglia.
Senza ulteriore indugio, il diciassettenne rimise a posto tutto quanto e riprese con sé l’impermeabile e la borsa.
Le dita scivolarono lungo le chiavi della pasticceria e con ciò uscì fuori, chiudendosi la porta alle spalle.
Hunk capì che la sua giornata non sarebbe andata a finire nei modi migliori possibili, quando si rese conto di aver perso l’ombrello.
E che sì, sarebbe ritornato a casa, bagnato fradicio come un randagio.
Sbuffò sconsolato e guardò, con la coda dell’occhio, le prime gocce d’acqua cadere dal cielo finché non si mise a piovere.

“Fantastico, veramente non avrei chiesto di meglio.”

Ed ora eccolo lì, da solo, sull’uscio della pasticceria di famiglia e senza una minima protezione per la tormenta.
Finché una voce femminile, delicata ed amichevole, non raggiunse le sue orecchie.

-“Hey, ciao.”

In quel momento, il tempo cessò di esistere.
La prima cosa che notò fu un ombrello color giallo limone, con alcuni motivi floreali bianchi, abbastanza grande da ospitare al suo interno tre persone; realizzò lentamente che, al suo interno, c’era la ragazza dall’aria sbarazzina con gli occhi ambrati ad illuminarle il viso.
Era coperta da un cappottino scuro e alcuni ciuffi mori uscirono quasi di prepotenza dal cappuccio; gli dedicò un sorriso allegro, avvicinandosi appena a lui per proteggerlo dalla pioggia battente.
Le parole gli morirono in gola e sentì lo sfarfallio delle farfalle nel suo stomaco, facendogli tremare appena il labbro inferiore.
Era così carina con quell’espressione dolce e genuina, nonostante non sapeva ancora il suo nome era semplicemente stupenda.

-“Sei il ragazzo che lavora qui alla pasticceria… giusto?”

Se stava facendo un sogno ad occhi aperti, per di più bellissimo, si augurò di non svegliarsi mai.
Perché, dannazione, era come vedere un doppio arcobaleno dopo la tempesta; era una visione così celestiale che pensò di essere morto sul colpo.
Non solo l’aveva salutato, ma si era persino ricordata di lui.
Gli mancò uno o due battiti, troppo emozionato, gli tremarono terribilmente tanto le dita delle mani che le nascose, subito, dentro alle tasche dell’impermeabile ridacchiando nervoso.

-“Ahaah.. s-si sono, sono proprio io ahahahah.”

Stava già sudando freddo, agitato com’era e, annuendo lentamente con il capo, si lasciò sfuggire qualche balbettio dalle labbra; si diede mentalmente dello stupido, ma non poteva fare molto stando nel pallone totale.
Nonostante la sua statura imponente e goffa, per non parlare del suo spasmodico bisogno di cibo quando era fortemente stressato, era la prima volta che Hunk venisse notato da qualcuno.
La moretta gli sorrise nuovamente, notando che aveva le guance e il naso arrossati per via del mal tempo mentre un leggero fumo di condensa si propagò nell’aria umida e fredda; le gocce d’acqua picchiettarono dolcemente sull’ombrello giallo limone, creando vari tipi di sequenze e suoni.
Fu difficile per lui rimanere sull’attenti di fronte alla sua interlocutrice, quei piccoli “blop blop” erano talmente ipnotici che gli stavano giocando un brutto scherzo all’udito.

-“Devo farti i complimenti per come preparate il vostro thè alla cannella che, a proposito, è buonissimo!
Per non parlare dei dolci poi, sono la settima meraviglia del mondo.”

Ok, stava decisamente sognando.

Ed era più che sicuro di non volersi svegliare per nulla al mondo; eppure era fin troppo reale per i suoi gusti.
Troppo candido.
Troppo puro.

Insomma: era decisamente troppo per Hunk.

Non era mica da tutti i giorni riuscire a conversare, per più di cinque minuti, con la propria crush; per lo più sotto la protezione dell’ombrello, cosicché la pioggia e il freddo non spezzassero quel momento così mistico e surreale.
Per accertarsi che non si trattasse solo di un bellissimo, ma effimero, sogno, si diede un pizzicotto sul braccio sibilando poi un sonoro “ahia” dato che ci aveva messo un po’ troppa enfasi.
Alla ragazza non sfuggì nulla e ridacchiò appena per la sua espressione buffa; aveva una risata così cristallina e gioiosa che avvampò nuovamente in viso.
Era decisamente cotto come una pera, pensò lui.

-“Come mai sei ancora qui, non hai l’ombrello per tornare a casa?
Di questo passo.. ti prenderai un malanno.”

Percepì ancora una volta il battito delle farfalle nello stomaco, ma stavolta si era fatto più intenso e temeva che la moretta avesse sentito tutto; quelle parole così gentili, seppur preoccupate, scattarono in Hunk una lunga serie di brividi lungo la spina dorsale.
Il volto, paonazzo com’era, aveva preso varie sfumature interessanti di rosso sulla sua pelle color cioccolata e, ringraziando che fosse buio pesto per via dei nuvoloni, questo piccolo dettaglio non venne subito notato agli occhi di lei; stessa cosa valeva per il suo, continuo, rossore sulla faccia.
Era una sensazione paradisiaca, come il dolce aroma del cioccolato che si scioglie per il calore, ma anche estranea alle sue emozioni e aveva non poca paura ed ansia.
Le sopraciglia si arcuarono in un’espressione confusa, anzi smarrita: non capiva perché quella misteriosa ragazza gli facesse questo strano effetto; aveva provato, in tutti i modi, di ignorare quello strano sentimento che sentiva nel profondo del suo essere.
Ma non ce la faceva.

O meglio, lui non voleva riuscirci.

Si era preoccupata per lui e questo lo aveva reso inconsciamente felice.
Dannatamente felice.
Un timido sorriso si delineò lungo le sue labbra mentre giocherellava con gli indici, indicando anche il cielo scuro con la sua pioggia battente e senza fine.

-“Ecco, bhè… mi sono reso conto che ho perso l’ombrello..
E niente, ammiravo la pioggia come un completo idiota hehehe.”

-“Puoi dividerlo con me.”

Ma non si sarebbe mai aspettato della proposta della mora, così sagace eppure tanto innocente, spingendo così il suo povero cuore a fare due o tre capriole all’indietro e vari salti mortali.

Era, forse, il fato che aveva predetto questo incontro?
O era stato il volere del grande Maui**** che ciò accadesse e diventasse realtà?
Nessuno poteva saperlo, nemmeno il giovane samoano.

-“Cosa, ma no.. veramente..

Aspetto che spiova, non pensare a me.”

Non l’avesse mai detto.
La ragazza, per niente d’accordo dalle sue parole, si mise al suo fianco e, prendendo con decisione il suo braccio, lo trascinò dall’uscio della pasticceria proteggendolo dalla pioggia con l’ombrello.
La guardò sbigottito, incapace di proferire una singola parola o frase di senso compiuto, con le guance che ripresero immediatamente colore al tocco delicato della sua mano.
Era calda e morbida, in confronto alla sua era decisamente fredda e tremante; ricambiò la stretta, facendo attenzione a non lasciarla andare e di non crearle alcun fastidio, senza sapere con quale forza, fisica o morale che sia, riusciva a fare ciò.
Eppure lo rendeva felice.
Sereno.
In pace con se stesso.
Ma la voce della ragazza lo riportò alla realtà, strappandolo quasi ingiustamente del mondo dei sogni ove viaggiava in vari mondi fantastici assieme a lei, mano per la mano, accompagnato da quel bel sorriso, dolce quanto un bignè.

-“Mi ero dimenticata di presentarmi, mi chiamo Shay.
Shay Balmèran.”

La guardò attentamente negli occhi, come se la vedesse per la prima volta dopo quel lontano giorno alla pasticceria; ricordava perfettamente cosa provò quando la vide.
Alla visione di quei splendidi occhi color rugiada, che tanto li affascinava, che si posarono timidamente sui suoi, l’aveva stregato intenzionalmente, da quell’espressione calda e percepì le proprie gambe tremare come una foglia.
A quel tempo, il giovane samoano non capì che per la prima volta, provò il suo “colpo di fulmine”; ma adesso, era tutto chiaro o almeno era quello che pensava.

“Shay…”

Sapeva il suo nome e nel suo cuore quel piccolo dettaglio ebbe un impatto stratosferico nel suo piccolo mondo; non stava scoppiando dalla gioia, era più che felice.
Non pensò più alla pioggia che stava, lentamente, inzuppando l’ombrello di Shay, che a proposito aveva un bellissimo nome; non gli scalfì nemmeno il pensiero che avrebbe fatto tardi a rincasarsi e che, con la fortuna che si ritrovava, avrebbe scontato una lunga e tortuosa punizione da suo padre per non aver rispettato il coprifuoco.
Lo avrebbe fatto dannare fino alla morte, ma in quel momento non gliene fregava un bel niente.
Erano solo loro due, mano nella mano, con le gocce di pioggia che andava a ritmo con il battito accelerato del suo cuore.

-“Hunk Garrett… ma va bene anche solo Hunk.”

 

 

 

 

~*~*~

 

 

* He Kino nui (lingua maori) = Dolce Disastro
** Ata Manaia (samoano)= Dolci Sogni.
*** La’u pele (samoano) = Tesoro mio.

****Maui (hawaiano) =
Nella mitologia hawaiana, è un semidio del vento e dell’acqua legato alla nascita delle isole Hawaii, grazie al suo enorme amo “Manaiakalani”, mandibola di Muriranga-Whenua; fa parte dei Kupua, un pantheon di semidei polinesiani.
Era figlio di Akalana e di sua moglie Hina.
La sua infanzia era particolarmente movimentata, difatti è stato abbandonato dalla madre, ancora in fasce, perché nato storpio,  ma riuscì a ritrovare la strada di casa, con astuzia ed ingegno.
Il Destino lo premiò per la sua intraprendenza facendolo diventare il più splendente dei 5 figli e riammettendolo in casa con la madre.
Molte sono le leggende e le imprese eroiche che il semidio polinesiano ha intrapreso; con le sue gesta ha plasmato il mondo e lo ha reso vivibile per gli uomini.

 

 

Angolo dell’autrice:

Buondì a tutte ragashuole, sono ritornata dall’Ade(?) per partecipare ad un altro contest di fanwriter.it che stavolta tratta questo tema “Rainy Time” e sono contenta di essere riuscita a scrivere una delle mie pairing preferite di Voltron: Shank/Hunay-
Ovvero parlo proprio del paladino giallo Hunk e dell’aliena cutie balmerana Shay: loro sono i miei bellissimi bambini dal cuore tenero e dolce come biscotti di pan di zenzero e che insieme, aiuto, mi faranno venire il colesterolo alto (ma infondo ci pensa già la Shidge a farlo lel) per quanto sono tremendamente shippabili.
Quasi nessuno ci ha pensato di trattare/parlare del loro bellissimo rapporto (e sinceramente, ne avevo un gran bisogno) e niente ho voluto sperimentare su un’altra ship etero xD
Che dire, è stata un impresa per me scriverla perché avevo poche idee chiare su di loro, specialmente sui usi e costumi delle origini tahitiane/polinesiane(?) di Hunk: dato che sono una brava masochista, in una sola settimana o giù di lì, sono riuscita a studiarmi tutta la geografia e, un po’ di storia, di una delle tante isole tropicali, Samoa.
Pretendo un premio e un biscotto per l’impegno-
Salvo imprevisti, forse parteciperò ad altri contest di scrittura (per colmare il vuoto di non essere riuscita a partecipare al contest di San Valentino sigh) e con ciò significa che dovrò darmi da fare a buttare idee interessanti e particolari, con le altre pairing di questa bellissima serie.

Vi saluto per un prossimo aggiornamento di altre ff e shots.
Baci,
Black-chan

 

   
 
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