Crossover
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Autore: Registe    24/02/2018    4 recensioni
Tredici guardiani. Tredici custodi del sapere.
Da sempre lo scopo dell'Organizzazione è proteggere e difendere il Castello dell'Oblio ed i suoi segreti dalle minacce di chi vorrebbe impadronirsene. Ma il Superiore ignora che il pericolo più grande si annida proprio tra quelle mura immacolate.
Questa storia può essere letta come un racconto autonomo o come prologo della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
[fandom principale Kingdom Hearts; nelle storie successive lo spettro si allargherà notevolmente]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anime/Manga, Videogiochi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 14 - Vexen (V)





La sala dei troni dell'Organizzazione





Il silenzio pesava come un macigno nella sala dei troni, tanto che ogni fruscio delle tuniche o colpo di tosse risuonava fragoroso e sgradevole alle orecchie. Persino il Superiore sembrava aver perso tutta la retorica e la sicurezza sfoggiate davanti a Mistobaan, e dovette schiarirsi la voce più volte prima di riuscire a iniziare il suo discorso.
Quando finalmente parlò, Vexen non riconobbe più il patriarca bonario che tante volte aveva messo a dura prova la sua pazienza, ma solo un uomo profondamente scosso nelle sue certezze. Era come se la maschera del sovrano fosse scivolata via dal suo volto, lasciando a nudo l’uomo stanco e impaurito.
“Figli miei, oggi la nostra amata Organizzazione si trova a fronteggiare la crisi più terribile dal giorno della sua nascita. Oggi, per la prima volta, la nostra stessa esistenza viene minacciata. La segretezza che ci aveva protetti finora è stata violentemente infranta, e per questo è giunto il momento di prendere una decisione di importanza critica per il nostro futuro.”
Istintivamente, Vexen cercò lo sguardo di Zexion, che gli rispose con un impercettibile sorriso, un tentativo di rassicurarlo che stava bene, che le minacce dell’araldo del Grande Satana non lo avevano scosso. Non avevano avuto modo di scambiare nemmeno due parole da quando il demone era piombato tra di loro nel bel mezzo del pranzo.
L’odore di un demone maggiore, per di più carico di odio e disprezzo verso l’umanità intera, doveva rappresentare uno shock non indifferente per l’olfatto del ragazzo, abituato a routine ben più tranquille e prevedibili. Se le minacce roboanti di Mistobaan avevano sconvolto tutti loro, non immaginava come potesse sentirsi Zexion, che percepiva a livello fisico ogni sfumatura di intento omicida dietro di esse.
“Proteggere il Castello dell’Oblio e il suo tesoro di conoscenza è il compito che mi è stato affidato dai miei saggi antenati, e non intendo tradirlo. Ma non voglio imporre un simile vincolo su nessuno di voi. Chi desidera lasciare l’Organizzazione è libero di farlo, anche in questo stesso momento.”
Nessuno emise un fiato, anche se Axel continuava a cambiare posizione sul suo trono come se fosse seduto su una massa di rovi. Per un attimo parve che il n. IX volesse dire qualcosa, ma aprì la bocca senza spiccicare parola e si ritrasse ancora di più contro lo schienale, forse sperando che questo si spalancasse per inghiottirlo.
“Come ho già accennato, ho un’idea per una possibile via d’uscita. I membri più anziani immagineranno già di cosa sto parlando” proseguì il Superiore. “Ma non è di facile realizzazione, e richiede sforzi notevoli da parte di tutti noi. Potremmo addirittura non avere il tempo di metterla in atto. Nei loro diari, i miei antenati parlano di un incantesimo per teletrasportare il Castello dell’Oblio. Non soltanto entro i confini del nostro mondo, ma ovunque. In qualsiasi dimensione i demoni non possano trovarci. Tuttavia” Xemnas sollevò un dito per rimarcare l’importanza di quanto stava per dire, “si tratta di un rituale lungo e complicato, e richiede il potere magico di tutti gli abitanti del Castello. E soprattutto significa l’allontanamento definitivo dal nostro mondo, che non potremo più visitare nemmeno con i portali dell’oscurità. Non possiamo permettere ai demoni di inseguirci ancora. Per questo motivo ci tengo ad ascoltare il vostro parere prima di prendere una decisione. Parlate liberamente, figli miei, e troviamo insieme la soluzione migliore per salvare la nostra amata Organizzazione e le conoscenze di cui siamo i custodi.”
Il silenzio, se possibile, divenne ancora più profondo. Una ragnatela di sguardi fugaci si intessé rapidamente da un trono all’altro: occhiate rimbalzavano tra Xigbar e Xaldin come in una partita di tennis, ciascuno che palesemente cercava di convincere l’altro a intervenire. Il n. X aveva estratto l’immancabile mazzo da gioco e faceva volare le carte da una mano all’altra in una danza nervosa.
Ma nessuno intervenne, nessuno proferì parola. Vexen quasi sussultò quando udì la sua stessa voce echeggiare nella grande sala bianca.
“Superiore, forse un’alternativa esiste. Possiamo usare il rito di teletrasporto, certo. Finché rimaniamo qui saremo esposti agli attacchi dei demoni. Ma perché nascondersi e basta? Potremmo sfruttare il nostro nuovo nascondiglio per organizzare un contrattacco.”
Aveva parlato senza pensare, con urgenza. Era paradossale, ma in quel momento di incertezza e paura per il futuro la cosa che lo terrorizzava di più non era l’ira dei demoni, né la minaccia racchiusa negli occhi luminosi dell’araldo del Grande Satana. Era l’isolamento, il rintanarsi in qualche mondo selvaggio e lontano come un animale rannicchiato nella tana in attesa di morire. La fuga dai demoni avrebbe portato nuovi divieti, nuove limitazioni imposte dal Superiore.
Una palla di fuoco in piena faccia sarebbe stata preferibile.
Il n. I lo fissò corrugando le sopracciglia, ma stranamente non gli impedì di continuare.
“Spiegati meglio, n. IV. Cosa proponi esattamente?”
“È molto semplice.” Ormai si era messo in gioco, tanto valeva andare fino in fondo. “Gli umani del nostro mondo sono molto più numerosi dei demoni, ma non hanno i mezzi per contrastarli. Noi abbiamo la conoscenza e la magia, ma siamo in pochi. Loro hanno i numeri, noi i mezzi. Quello che propongo è unire le due cose. Insegnare agli umani a usare le nostre conoscenze. Sviluppare tecnologie, potenziare le loro difese… costruire armi per un contrattacco.”
Il silenzio che seguì fu profondo, ma non ostile come si sarebbe aspettato dopo aver lanciato una bomba di quella portata. Incrociò lo sguardo di Xaldin dal trono immediatamente superiore al suo: gli occhi viola del guerriero lo soppesarono con intensità, poi il n. III fece un lento, impercettibile cenno del capo mentre sulle sue labbra appariva l’ombra di un sorriso di approvazione.
In quel momento, inaspettatamente, una voce si levò dalla metà inferiore della sala.
“Superiore, domando umilmente il permesso di parlare.”
Malgrado il tono deferente nulla nel portamento del n. XI suggeriva umiltà. Sedeva eretto contro lo schienale del trono, le mani poggiate sui braccioli e lo sguardo che riusciva ad abbracciare tutti i presenti malgrado si trovasse su uno dei seggi più bassi.
Attese il cenno di assenso del n. I per proseguire.
“Ci tenevo a congratularmi con il n. IV per l’idea che ha voluto condividere con noi. E vorrei rivolgere un appello a tutti voi affinché la prendiate in considerazione, senza lasciarvi sopraffare dall’emozione del momento. È un’idea che a prima vista può spaventare, ed è sacrosanto provare paura quando tutte le certezze che ci hanno protetti per tanto tempo vengono a mancare improvvisamente. Anch'io, che ho ricevuto un addestramento da guerriero, ho avuto paura. Non mi vergogno ad ammetterlo. Tuttavia, le parole del n. IV mi hanno riempito il cuore di una nuova speranza. Il suo piano sconvolge e mette in dubbio tutto ciò in cui crediamo: ma questo, signori, è l’impatto di tutte le grandi idee che cambiano la storia.”
Vexen non poté trattenere un sorriso compiaciuto. Il n. XI aveva mobilitato la lingua comune e la mandava in battaglia in difesa della sua proposta. Per qualche breve attimo, Vexen concesse a un’immagine piacevole di indugiare davanti agli occhi della mente: quella di se stesso circondato da una folla che lo pregava di rivelare i suoi segreti, di insegnare loro tutto sull’alchimia, la scienza, la magia.
“Superiore, lei ci ha ricordato giustamente la nostra responsabilità nei confronti dei segreti che il Castello protegge. Ma con tutto il rispetto, io credo che tale responsabilità vada oltre questo. Noi non siamo i padroni della conoscenza, ne siamo semplicemente i custodi. La proteggiamo in attesa del momento di restituirla ai suoi legittimi proprietari, gli uomini e le donne di questo mondo. Ma quale momento è migliore di questo, quando il mondo stesso è sotto una minaccia senza precedenti? Ragionare con i demoni non è possibile, su questo siamo tutti concordi: non puoi scendere a patti con una tigre se la tua testa è tra le sue fauci. Ma anche fuggire non può, non deve essere una possibilità. Voltare le spalle al mondo in cui tutti noi siamo nati e cresciuti, quando rappresentiamo l’unica forza in grado di opporsi all’invasione demoniaca… sono parole forti quelle che sto per pronunciare, signori, ma ci credo fermamente: se ci ritiriamo ora, il sangue della gente di questo mondo sarà sulle nostre mani.”
Impeccabile. Retorico, enfatico, ma terribilmente coinvolgente, tanto che persino Vexen provò l’impulso di battere le mani. Qualcun altro lo fece davvero. Vexen dubitava che il n. XI credesse veramente a ogni parola che aveva detto (i nobili del loro mondo non erano famosi per avere a cuore gli interessi del popolo), ma stava aiutando la sua causa, ed era tutto ciò che importava. Lanciò un’altra occhiata a Zexion. Il ragazzo guardava verso il basso, e i capelli argentati ne nascondevano completamente l’espressione.
Sul trono più alto, il Superiore era impenetrabile.
“N. IV, n. XI, vi ringrazio per aver parlato con il cuore in mano. Comprendo i vostri sentimenti, e ammiro la vostra risolutezza. Prima di esprimere un giudizio, tuttavia, vorrei sentire l’opinione di tutti gli altri riguardo la vostra proposta. Non voglio influenzare nessuno, pertanto sarò l’ultimo a parlare.”
“È un piano folle.”
Come al solito la voce di Saïx somigliava più a un ringhio che a un suono prodotto da corde vocali umane.
“Il n. XI si è espresso bene, i demoni sono la tigre e la nostra testa è tra le loro fauci. Ma provocare la tigre è il gesto più stupido che si possa commettere! Superiore, con tutto il rispetto, nessuno di loro conosce i demoni quanto me che ho vissuto parte della mia vita tra i loro sottoposti licantropi. Non perdoneranno una fuga da parte nostra, ma addirittura una ribellione? Non avranno pietà. Ci daranno la caccia fino allo stremo e ci distruggeranno completamente, noi e tutti gli umani abbastanza pazzi da seguirci. Se davvero abbiamo una responsabilità nei confronti degli umani di questo mondo, sparire e non farci più rivedere è la cosa migliore che possiamo fare per loro. Ricordatevi di Stagview.”
“Non ti facevo così cacasotto, Saïx!” Il n. II per poco non saltò in piedi sul trono, incapace di trattenersi oltre. “Sei il più forte di tutti noi, non avrei mai creduto che il n. IV potesse avere più palle di te! Superiore, io sono d’accordo con il n XI: scappare è da vigliacchi. Siamo addestrati per questo. Ci alleniamo tutti i giorni da anni al solo scopo di proteggere il Castello… beh, ora siamo pronti a metterci in gioco! Giusto, Xaldin?”
“Concordo pienamente anch’io, Superiore. Siamo membri dell’Organizzazione, ma rimaniamo pur sempre abitanti di questo mondo.”
Quattro voti contro uno. L’appoggio dei n. II e III era importante. Amici inseparabili, i due erano detti da sempre il braccio destro e il braccio sinistro del Superiore. Servivano la famiglia di Xemnas fin dalla nascita, molto prima della fondazione dell’Organizzazione. Erano le persone più vicine al n. I dell’intero Castello.
Saïx non controbatté l’insulto dei suoi superiori, ma i canini affilati che affioravano sotto le labbra ritratte la dicevano lunga sul suo stato d’animo.
“Proprio perché Saïx è il più forte di noi la sua cautela dovrebbe farci riflettere.”
“Non ci credo Lex! Anche tu! Dov’è finito il tuo onore di guerriero?”
“Un guerriero per prima cosa sa valutare quali battaglie può vincere e quali no.”
Quattro contro due. Maledetto n. V. Un guerriero che rifiuta di lottare è come uno scienziato che smette di fare esperimenti.
Prevedibilmente, i n. VIII, IX e X espressero uno dopo l’altro la loro contrarietà al piano con argomenti che andavano dalla cautela (“Ci sono partite in cui rischiare l’intera posta in gioco porta inevitabilmente alla sconfitta.”) al puro e semplice terrore (“Combattere i demoni? Ma siamo scemi?”).
“Io invece ci sto! Sono pronta a far sputare sangue a demoni, mostri, licantropi e chi più ne ha più ne metta, Superiore!”
Vexen non avrebbe mai immaginato di dovere un ringraziamento alla n. XII, anche se la sua risposta era effettivamente prevedibile. Tutte le risposte lo erano state finora, e anche quella del giovane n. XIII non generò alcuna sorpresa.
“Io… non credo che dovremmo combattere. Morirebbe troppa gente per colpa nostra.”
Non aggiunse tiritere sugli dèi solo perché ormai aveva capito che gli avrebbero riso tutti in faccia.
Cinque contro sei.
Rimaneva un ultimo voto prima di quello definitivo del Superiore, e Vexen sorrise amaro all’ironia della situazione. Zexion era la persona che conosceva meglio tra tutti i membri dell’Organizzazione: lo aveva cresciuto, era la cosa più vicina a una famiglia che avesse mai posseduto nella sua vita adulta, l’unica persona vivente a cui tenesse. E proprio per questo non riusciva a prevedere quale sarebbe stata la sua risposta. Incontrò il suo unico occhio azzurro visibile e vi lesse tutto il conflitto che lo dilaniava.
Ti prego, Zexion. Non abbandonarmi adesso. Non a un passo dalla soluzione. Siamo così vicini…
Zexion era un ragazzo chiuso e riservato. Da bambino non aveva mai cercato la compagnia dei suoi coetanei, neanche quando Vexen lo portava a esplorare altri mondi in cui poteva incontrare molte più persone che tra le mura del Castello dell’Oblio. Il suo potere lo induceva a diffidare della gente, perché nessuno è mai del tutto sincero nemmeno con se stesso, e Zexion poteva sentire ogni bugia, ogni ombra di fastidio o fantasma di pensiero inconsapevole prima ancora che la mente che lo formulava se ne accorgesse. Vexen lo aveva imparato molto presto, e a proprie spese.
Per questo non lo aveva mai forzato a cercare contatti con altre persone, e capiva quanto fosse repellente per lui l’idea di entrare in un conflitto, di mischiarsi alle popolazioni di città e villaggi per portare tra gli umani la conoscenza del Castello dell’Oblio. Di respirare il loro odio, la loro paura, tutta la miseria della loro esistenza.
Dall’altro lato, Zexion gli voleva bene, e sapeva quanto quella decisione fosse importante per lui.
Non dovrai fare niente che non vorrai. Penserò io a ogni cosa, mi occuperò di tutto. Non permetterò che ti succeda nulla di male.
“Sono d’accordo con i n. IV e XI.”
Aveva parlato a voce bassa, in tono neutro, e non aggiunse altro. Ma era sufficiente.
Sei contro sei.
Grazie, Zexion.
Gli sorrise dall’alto. Il Superiore adesso non poteva esimersi dal prendere in considerazione una proposta che ben metà della sua Organizzazione aveva appoggiato pienamente. Probabilmente non sarebbe servito a smuoverlo dai suoi ideali isolazionisti, ma ora doveva quanto meno pensarci su. E forse, in sei, avrebbero avuto qualche possibilità in più di convincerlo.
Forse.
“Vi ringrazio, figli miei. Il contributo di ciascuno di voi è prezioso, e mi avete dato molto di che riflettere.” Dall’alto, Xemnas fece scorrere lo sguardo su ciascuno di loro in una sorta di ringraziamento silenzioso.
“Ora, però, ho bisogno di un po’ di tempo per riflettere da solo.”
  
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