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Autore: tixit    24/02/2018    5 recensioni
Una ragazzina torna a casa e cerca di adeguarsi alla vita in famiglia.
Breve storia minore su personaggi minori che non è diventata originale.
Genere: Commedia, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sorelle Jarjeyes, Victor Clemente Girodelle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Sigyn la rossa'
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Chi ci capisce è bravo

“Non ci penso nemmeno!”

“Dicevo solo che visto che l’abbiamo trovata, potremmo….”

“No!”

“Come no?” gli occhi di Sigyn si ridussero a due fessure. “Perché no?” 
Si fermò per le scale che portavano giù alla cucina. Si poteva sentire lo scroscio dell’acqua fin lì mentre Sigyn tratteneva il fiato pensando che non era giusto per niente - c’era così vicina.

Intuì che André stava arrossendo nel buio, ascoltò irritata il frusciare delle sue scarpette contro la pietra e riuscì ad immaginarne i gesti un po’ goffi, la mano affondata nei capelli che tormentava il ciuffo sulla fronte - non le piacque affatto, era chiaro che si vergognava, proprio come avrebbe dovuto.
Non gli concesse il lusso di far finta di niente, rimase lì, immersa in un silenzio ostinato che sapeva di temporale, con gli occhi che si andavano abituando al buio e alla rabbia. Non avrebbe pianto - André se lo poteva scordare.

“Tu ed Oscar finite sempre per mettermi in mezzo.” si scusò André “Ed io mi ritrovo che faccio cose che non voglio fare.”

“Non mi pare, proprio.” cercò di essere educata, in fondo era la nipote del Nonno. C’era sempre una pentola in più di minestra in cucina, lo zio Jean-Claude su quello non transigeva, c'era sempre un pasto caldo per chi aveva fame.

“Pare a me, però.”  lo sentì temporeggiare, “Quella volta che vi siete tuffate dalla falesia e mi avete fatto prendere un colpo? E quando Oscar ha usato il monta-vivande? Quasi si ammazzava, ci sono voluti giorni per le vesciche lo sai? Per non parlare di quando…”

“Ma tieni un elenco?” per il compleanno gli avrebbe regalato un taccuino. Per le Lamentazioni di Grandier Profeta.

“Ascolta…” il ragazzo cerco di essere gentile, ma Sigyn lo detestò per questo, perché non c’era niente di gentile in tutta la faccenda e lui avrebbe dovuto avere il buon gusto di ammetterlo. Perché tutti quando sono gentili è perché ti vogliono piegare ai loro scopi facendo finta che sia solo questione di affetto. 

“Voglio prendermi tutto il tempo che mi serve.” aggiunse André. “Voglio fare la cosa giusta. Cerca di capire”

“Per chi?”

“Come per chi?”

“Non può essere la cosa giusta per tutti, lo sai. Quindi giusta per chi?”

“Tuo Nonno non voleva che tu la leggessi, ci avrebbe scritto su il tuo nome, altrimenti, no? La lettera è sua.” André cercò di essere pratico, “E nemmeno il Generale vuole che tu la legga, ed è sua, l’hanno scritta a lui. Tu non c'entri niente.”

“Ma sono fatti miei. Cose mie.” la vocetta della ragazzina era gelida.

“Sei una femmina, sei troppo emotiva. Il Generale dice che voi femmine non sapete accettare la realtà, che bisogna proteggervi, che le vostre pessime decisioni vi distruggono, per cui non bisognerebbe lasciarvi scegliere mai...” la vocetta del ragazzino si era fatta lamentosa.

Sigyn si irritò “Ma se un attimo fa hai detto che eri tu la Damigella in Pericolo… che Oscar ed io ti costringevamo!”

“Se adesso tu la apri, il Generale si arrabbierà. Joséphine si arrabbierà…”

“Sono sempre arrabbiati.”

“Ci andrebbe di mezzo Oscar.” sospirò André con un filo di voce. 

Sigyn non rispose - lo superò sfiorandolo con le gonne e senza voltarsi indietro, con gli occhi che le bruciavano per l’umiliazione.
Non ci sarebbe andata di mezzo Oscar. Mai. Ma cosa credeva? E poi che senso avrebbe avuto far sparire la lettera dalla camera di quella grandissima sciocca? Avrebbe solo voluto sbirciare, senza aprirla, e, nel caso, si sarebbe presa le sue responsabilità. Davanti al Generale, però, non davanti a Joséphine.

Ma il punto era che André aveva scelto, la sua preoccupazione era Oscar.

Non che la cosa la stupisse, però accidenti a volte aveva pensato che loro tre erano amici, amici veri, che il rapporto che c’era tra loro… e invece lei era solo l’eterna seconda. Era difficile essere sorella, era complicato essere amica, se poi al dunque ti ritrovavi da sola, tre passi dietro a quei due sempre intenti a guardarsi le spalle tra loro. 
Tutto quello che aveva conosciuto, la casa in Normandia, le viuzze di Saint Malo, le onde gonfie del mare d’inverno, perfino la casa del Vecchio, le sembrò migliore del posto in cui stava. 

Lo sguardo le naufragò sui vetri della porta-finestra, liquidi di pioggia scura - le mancava Clément, pensò sedendosi al buio della Cucina Piccola.
Lei era più grande di Oscar e di André, non era solo una questione anagrafica, era più grande e basta.
E lui non era grande come Alo e Maxence, ma grande, più grande abbastanza. 

Accidenti a Violaine, pensò. 
Violaine l’aveva scorticata viva a Versailles, l’aveva raccontata piccola, scontata, maldestra e, soprattutto, superficiale. Si, lei, Sigyn, ci aveva messo del suo, era stata una stupida.
Ma Clément l’aveva ascoltata, Violaine.
 

I due si fronteggiavano nel Salottino.

Lei indossava un panciotto verde muschio, terribilmente informale, una cosa adatta giusto per allenarsi con la spada in cortile. Sopra una redingote pesantemente ricamata - costata un patrimonio - che somigliava ad una divisa militare per una parata; il tutto era completato da una fusciacca dorata annodata su un fianco. Dall’altro portava il fioretto, in un fodero vecchio e tarlato.

Soprattutto indossava con orgoglio le idee di suo padre - quelle incontestabili su come dovesse essere un cucciolo aristocratico, e quelle ferocemente territoriali del Generale. 
Il risultato era un leone biondo e irritato, dall’aria scontrosa e dai boccoli corti e ribelli.

Lui aveva lo sguardo obliquo del lupo - si era dovuto fare il suo spazio a morsi con i suoi fratelli, un paio di lupi poco più grandi di lui, perché così andava fatto, senza un briciolo di crudeltà.

Una volpacchiotta fulva, che in quel momento non c’era, il territorio che avevano in comune senza esserne davvero coscienti.

Non fare la lagna e trova il rimedio, è così che l’avevano cresciuto. Si ricordava di Alo e Maxence quando lo avevano abbandonato - che parolone - dentro un labirinto di bossi nel parco di qualche parente. Aveva percorso tutti i meandri sfiorando con la mano destra le siepi, così più alte di lui, che all’epoca era solo un bambino.
Niente lagne e trova il rimedio
Vicolo cieco dopo vicolo cieco era uscito, trovandoli lì, sdraiati pigri sull’erba. In attesa.

“E così ti sei ricordato.” aveva detto Maxence con quel suo sorriso un po’ sghembo, porgendogli un dolcetto. Si, si era ricordato, ad un certo punto gli era tornato in mente che una sera quei due gli avevano spiegato come comportarsi in un labirinto - e a guardarli sul prato, gli era stato chiaro che ci avevano contato, che a un certo punto si ricordasse. 
Due amabili stronzi. L’affetto tra loro un ossimoro.

Con Sigyn era un’altra storia - il ragazzo ci aveva messo su un possessivo talmente tanto di quel tempo prima che nemmeno se ne ricordava più. 
Le volpi sono carine. E morbide. E buffe. Pensò
Le volpi corrono sole, cancellano le loro tracce con la coda - sono anche parecchio elusive e permalose. Ci voleva pazienza.
Non fare la lagna e trova il rimedio.

“Buonasera Monsieur Oscar.” disse producendosi un inchino elegante, mantenendosi impassibile, non senza sforzo, dinanzi all’abbigliamento della bambina.
E così a Palazzo Jarjayes gli adulti ormai erano finiti. E nessuno si occupava dei vestiti di quella nobile creatura dal destino amaro, costretta ad vestirsi in qualche modo.
E la volpe cucciola non lo voleva incontrare. 
Qualcosa stava andando davvero storto.

Dopo i soliti convenevoli di rito tra un Girodelle gelido ed una Oscar infastidita, il ragazzo disse con voce compita “Cercavo Mademoiselle de Jarjayes.” se Sigyn voleva essere trattata da adulta la avrebbe accontentata anche se era una cosa ridicola.

“Non c’è.” fu la risposta stupita, “E’ andata a teatro.” Oscar lo fissò con gli occhi spalancati, questo Girodelle di solito non veniva per Joséphine, passava direttamente per la Serra per portarsi via Sigyn. Andavano a vedere quadri o a sentire musica a casa di qualche vecchia mummia. Però questo prima, prima che Sigyn partisse per la Normandia per l'ultima volta. Adesso, a quanto pare era cambiato tutto. Timidamente pensò per fortuna.

Victor sollevò lentamente un sopracciglio, “Da sola?” si era trascinata il giardiniere fino all’Opéra di Parigi?

Oscar pensò che era scemo.
Come tutti gli sciocchi senza speranza che andavano appresso a sua sorella Josée, del resto.
“Con i suoi ammiratori.” rispose seccamente, poi aggiunse “Come sempre.” Se era uno che voleva unirsi alla schiera era bene che sapesse come stavano le cose: c’era già la coda dietro a sua sorella, che era bella, e frizzante e non si concedeva a nessuno perché era già fidanzata.

Victor fece un cenno di assenso “Sapete tra quanto sarà di ritorno?”

“Di solito molto dopo mezzanotte.” Oscar lo guardò irritata, quello spilungone non aveva mica intenzione di piazzarsi lì nel salotto ad aspettare? E magari voleva pure dei dolci? una limonata? E poi? O vista l’ora voleva un cosciotto di agnello? Non aveva la minima idea di cosa prevedesse l’etichetta.
“Forse gradireste incontrare l’altra mia sorella.” suggerì sbrigativa. Sigyn era più adatta per queste cose, anche se non le faceva molto piacere vedere quei due assieme. Lui aveva i capelli troppo lunghi.

“Vostra sorella maggiore è a Palazzo?” Victor era perplesso.

“Stava per andare a coricarsi. Nostro Padre ritiene che un buon soldato debba coricarsi presto per svegliarsi presto, Voi cosa ne pensate?” sperò che l'allusione al fatto che era ora che si levasse dai piedi arrivasse forte e chiara, ma non troppo forte, né troppo chiara.

“Mi pare una opinione ottima.” rispose freddamente il giovane Girodelle, pensando a Sigyn.

“Ritiene anche dovrebbero rasarsi il capo ed indossare una parrucca.”

“E’ difficile avere sempre ottime opinioni. Ma lo sforzo è ammirevole.” rispose il giovane diplomaticamente, poi aggiunse con estrema cortesia “Ma non restate ad aspettare che Mademoiselle de Jarjayes rientri? Perché è Mademoiselle de Jarjayes che è a teatro, ho capito bene?”

Oscar scrollò il capo, ma che impiccione! Oppure era geloso di Joséphine? Magari ci sarebbe stato un duello? Perché sarebbe stata l’unica cosa interessante di questa faccenda, solo che il Generale si sarebbe irritato - non voleva chiacchiere sulla sua famiglia. L'onore per lui era una cosa molto seria. “Mademoiselle de Jarjayes non è sotto il nostro controllo.” rispose piccata, sottintendo che non era nemmeno sotto il controllo di un ospite non invitato.

“Non è sotto il controllo di nessuno a quanto pare.” mormorò gelido Victor. “Porgetele i miei saluti, al suo rientro.”

“Domani.”

“Domani.” Victor fece un cenno di assenso. Poi tirò fuori dalla tasca un involto “Mio fratello mi aveva chiesto la cortesia di farle avere questo.”

Oscar osservò il pacchettino un po’ delusa. Non aveva creduto davvero che il pazzo avesse portato con sé un ghepardo, ma fino all'ultimo aveva sperato in qualcosa di un po' più interessante.
 

Sigyn poggiò la fronte contro il vetro della finestra. Avrebbe scritto, avrebbe scritto stasera stessa e avrebbe chiesto scusa a Clément e a Cassandra, non c’era altro rimedio. 

Poi improvvisamente lo vide. Clément stava salendo a cavallo per… andare via?

Uscì di corsa per raggiungerlo, le scarpette che affondavano nel fango, lo scrosciare della pioggia che inghiottiva la sua voce.

Infine si fermò lì, vicino al cancello, guardandolo sparire e sentendo che non c’era niente di giusto.
Rimpianse di non avere gli stivali, rimpianse di non avere le gambe più lunghe. Rimpianse Versailles, sua madre, rimpianse soprattutto di non avere accettato l’offerta di Clément, di non avere bevuto quel tè insieme a lui.

A quel punto tornò indietro a passo di carica, diretta alle stalle, incurante della pioggia, dei capelli viscidi che le colavano sulla nuca e sulla fronte, del brivido a fior di pelle, dell’acqua nelle scarpette. Incurante soprattutto di un cuore che faceva davvero tanto male. 
Lei non era la figlia di sua madre, rintanata a Versailles coi fantasmi, lei era nipote di sua nonna, qualunque cosa questo volesse dire.

Dibatté dentro di sé sul da farsi, se prendere la Carriola o Fulmine. Nel primo caso avrebbe attaccato un cavallo da tiro tranquillo, sarebbe andata molto più lenta di Clément, ma sarebbe stata al sicuro. Nel secondo, avrebbe anche potuto raggiungerlo, montando all’amazzone.
La seconda era chiaramente una pessima idea - di grande effetto, ma pessima: era un cavaliere appena passabile su qualche vecchia giumenta che prendeva la vita con filosofia, a prender Fulmine c’era il rischio di farsi male e basta.
Però la prima scelta era la certezza di arrivare, sì, tutta intera, ma di trovare il cancello chiuso.
 
Ma se lui era venuto fin lì per darle una seconda possibilità, stanotte l’avrebbe accolta. Magari con quegli occhi gelidi che parevano neve, ma l’avrebbe accolta.
E poi c’era Madame Girodelle, lei non avrebbe mai permesso ad un ospite di essere scacciato sotto la pioggia. Le avrebbe fatto preparare una stanza come nemmeno alla Principessa sul Pisello, e fatto portare del brodo, e teli per asciugarsi, e vestiti asciutti e l’avrebbe chiamata piccola con quel suo accento inglese e avrebbe costretto tutti i Girodelle ad essere gentili con lei. Perfino Cassandra.
Perché quando uno arriva di sera, sorpreso dal temporale, per chiedere asilo, allora le recriminazioni si fermano e ci si ascolta, finalmente.

Oppure Madame Girodelle si sarebbe arrabbiata e l'avrebbe tratta freddamente pensando che Violaine era una amica migliore per tutti i suoi figli. E al massimo li avrebbe costretti tutti ad essere educati, cosa che gli riusciva benissimo anche da soli.

Era una scommessa, ma di quelle in cui non perdi nulla perché tanto hai già perso il grosso - perdi solo la faccia.

Con decisione entrò nella stalla dei cavalli da tiro, e cominciò a sistemare le stanghe della Carriola.

Ma che diavolo vuoi fare?” la voce allarmata di André la sorprese.

“Ti do un’altra cosa da annotare su quel tuo taccuino immaginario.”

Lui e sua sorella erano insieme, rintanati sotto un mantello cerato, uno di quelli che usavano in Normandia, e la fissavano spaventati.

“Se ci tenevi così tanto, potevi dirmelo…” mormorò Oscar confusa.”Io non avevo nessuna voglia...”

“Non so proprio come hai potuto! Mandarlo via! Con la pioggia, poi.”

“Ma chi l’ha mandato via? Se ne è andato lui. Da solo!”

“Bastava che tu mi mandassi a chiamare.” sarebbe andata di corsa, accidenti.

“E che c’entri tu, adesso?”

Sigyn sbatté gli occhi, cercando di mettere a fuoco. 

“Non cercava te, cercava Joséphine, era qui per lei.” disse André guardando per terra, ambasciatore, per la seconda volta, di ovvietà sgradite.

“Gli ho chiesto se voleva parlare con te, ma non era interessato.” Oscar si sentì crudele, ma era giusto che Sigyn capisse come ci si sente ad essere messi di lato. “Per me voleva portarla a un concerto, ma lei si deve essere dimenticata dell’impegno - c’è rimasto male, secondo me, anche se era gelido come uno stoccafisso.”

“Perché gli hai chiesto se voleva parlare con me?” divenne scarlatta nel dirlo “Se non era venuto per me, intendo, perché glielo hai chiesto?” 

“Per togliermelo dai piedi, se proprio lo vuoi sapere!” Oscar la fissò arrabbiata “Ma a lui non interessava la tua compagnia! Non gliene importava proprio niente!” come a te non importava niente di me, poco fa sulle scale, non siete nemmeno venuti a chiamarmi.

“Non ha detto che non gli importava…” André cercò di intromettersi, conciliante, ma le due si voltarono verso di lui sibilando “Tu stanne fuori.”

Sigyn guardò la Carriola, poi socchiuse gli occhi, Oscar in fondo non c’entrava niente, André nemmeno; prese una vecchia coperta da uno dei box e se ne tornò a Palazzo senza voltarsi indietro.

Ci volle tanto tempo perché i capelli si asciugassero - fecero prima le lacrime. Le sembrò che la stanze odorasse di sonno e solitudine, ma non aveva voglia di fare l’elenco delle persone di cui non era la preferita - si stava allungando un po’ troppo.
Alle parole di Oscar ci credeva - Clément era per un quarto un fetente, ma non si nascondeva mai dietro un dito.

Calciò le scarpette lontano dal fuoco - ormai erano asciutte, di più non si poteva fare.

E così era diventata un ricordo, come altre cose che Clément e Cassandra, tenevano nei loro cassetti segreti, al sicuro. Si sarebbero dimenticati dei suoi nastri verde ed oro, ed avrebbero ricordato solo i Sette Re di Roma e le sue teorie sul numero perfetto di ammiratori che una ragazza dovrebbe avere, il resto sarebbe scivolato via. Pochi aneddoti che sarebbero diventati granellini di sabbia di una clessidra immaginaria, da girare ogni tanto in compagnia di un amico.

Ma che porcheria! pensò spassionatamente.

Fu in quel momento che Joséphine veleggiò nella sua stanza. Non c’era altro modo per descrivere la grazia studiata di sua sorella - Mère ne sarebbe stata orgogliosa, tutte quelle ore con il Maestro di Danza!

“Come sei pallida…” la sentì mormorare, “E sei ancora sveglia a quest’ora… non riesci a dormire?”

Sigyn annuì - c’era un tempo in cui sua sorella le faceva le trecce, da quando erano in guerra, loro due?

Joséphine le prese il polso e la costrinse a guardarla “Ascoltami Sigyn, se c’è qualcosa che va fatto, va fatto per tempo. Non so se capisci, sei così piccola. Non so nemmeno esattamente... Vorrei aver letto quella lettera. Vorrei che l’avesse letta nostro Padre…”

“Vorrei averla letta anche io.”

Joséphine spalancò gli occhi, poi disse amareggiata “Non ho scelto io di dovermi occupare di tutto, io dovrei solo pensare a ballare e a divertirmi!”

Sigyn abbassò lo sguardo - e così anche Joséphine era impazzita. Si chiese se la Regina avesse posto per tutte le femmine Jarjayes alla Reggia.  

Il giorno dopo Sigyn se ne uscì presto la mattina, prese la Carriola e se ne andò dritta a Versailles.
   
 
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