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Autore: queenjane    24/02/2018    2 recensioni
In prigione, i ricordi, i pensieri di Alessio, che pensa alla sua prediletta Catherine, sorella delle assenze. Che parla in prima persona.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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“E’ come stare sempre dentro l’armadio, al buio” disse Alessio ad Olga, erano in Siberia, prigionieri, dopo l’abdicazione dello zar, nel marzo 1917.
“Eh.. “ era assorta nei suoi pensieri, dimagrita e snervata, remota come al solito, nel 1905 come nel 1917. 
“Olga, volevo …”
“Non importa, dopo la luce viene sempre il buio”
“Sì, ma io sono stato davvero dentro un armadio, lo sai, varie volte”e mica lo ascoltava, lasciò perdere, si perse a ricordare.  
Aveva da compiere sei anni, il viziato principe ereditario dalle cattive maniere a tavola, la delizia della famiglia, era in carrozza con Olga, mentre lo zar assisteva a una parata di boy scout, lui si voleva unire e Olga lo aveva contenuto a livello fisico, tanto che il ragazzino le aveva mollato un ceffone in faccia “Non puoi, se ti urtano .. o che.. stai male” “Io non posso mai fare nulla” la rabbia, la frustrazione, contro di lei, che non aveva fatto un fiato, gli aveva trattenuto la mano, l’urto dello schiaffo non le aveva causato un vero dolore fisico, Alessio, non ce la aveva con lei, quanto con la vita, non poteva fare nulla (andare in bicicletta, giocare a tennis, che stava male, sua madre sempre aveva l’emicrania, pregava e piangeva..che si ritrovava a letto, divorato dai dolori.. mai una volta che la zarina si fosse premurata di raccontargli una favola, mai, giocare un poco con lui, al contrario di Olga, Tata o Catherine, sorvolando su Marie e Anastasia).
Olga, lontano da occhi ufficiali, gli aveva baciato la mano. “Mi spiace, non posso” e si era ritirata in camera sua, le spalle curve, in tempo di poco aveva sentito il suo pianto, singhiozzi amari, uno sfogo, piangendo, lei che era sempre composta, senza alcun cedimento. Alessio aveva passato due ore al chiuso, al buio,  senza muoversi, dentro l’armadio, per un paio di  giorni di seguito aveva dato il suo dessert alla sorella, era contrito, sul momento. Era l'erede di un impero, amato e viziato, peccato che soffrisse di emofilia, il sangue non cogualava .. Poteva morire per ogni urto. 

Il 1910, un anno di tragedie immateriali e ribellioni. "Tu?" una sola sillaba di disprezzo. La  zarina mi aveva scrutato più inquisitoria del solito,appurando che ero cresciuta e la somiglianza con mia madre, a quando era una ragazza come me.Le evidenze sempre più suntuose e marcate, i capelli castani che nel sole vibravano di ramati riflessi, ero  alta e snella, senza goffaggini apparenti. La copia della giovane principessa Ella, che, in segreto, aveva conquistato principi e granduchi,  l’allora zarevic Nicola l’avrebbe voluta sposare, essendosene innamorato, tranne che non era possibile,che le regole dinastiche erano precise.. Uno zar, un erede al trono dovevano sposare una straniera, per evitare conflitti e diatribe nel Paese.. E mia madre Ella, secondo i pettegoli, lo aveva ricambiato, tranne che si era sposata presto e male,  con Pietr Raulov. E Nicola II aveva voluto che io e le sue figlie fossimo amiche, festeggiando la gioiosa congiuntura che io e Olga eravamo nate nello stesso anno. Lui stesso, come mio zio Sasha e Pietr Raulov, erano cresciuti insieme, amici, compagni d’armi e avventure. E mia madre Ella era tra le dame preferite dell’arcinemica di Alix, ovvero la zarina vedova. Non poteva farla riscontare ad Ella, aguzzò le armi contro di me, inventando un plausibile pretesto. Si convinse, infatti, che fossi io a istigare Olga ed essere intrigante e malevola, a discutere di Rasputin, nessuno doveva creare attriti o ingerenze tra lei e il sant’uomo giunto dalla Siberia, nemmeno l’amica di sua figlia. Fu un esilio, una dura stagione, una desolata nostalgia.
Correvano appunto i primi mesi  dell’anno 1910 quando Alessandra decise che la mia frequentazione non risultava più essere gradita.Anzi era inopportuna, non confacente.
Non lo disse in questi esatti termini, non in mia presenza, ma gli effetti erano quelli.
La istigavo alla ribellione, al malumore, sosteneva Alix, la mia era una cattiva influenza e andava estirpata, come se fossi una gramigna. Solo perché Olga non tollerava la presenza di Rasputin, l’Amico, anzi il Nostro Amico, come lo appellava la zarina, si faceva abbindolare da chi fingeva di darle retta, nessuno doveva contrastare la volontà imperiale di ricevere il santone, il novello Messia che sosteneva che per salvarsi occorreva peccare sempre di più. Tranne che di religione o di quel finto contadino, i cui scandali erano la favola della capitale, non avevamo mai parlato, se non scarni accenni, io e Olga. .(... Contadino poi ucciso nel dicembre 1916 da un attentato complottato dal principe Jusopov, il granduca Dimitri Romanov e un deputato della Duma, Puriskev ..Buttarono il cadavere nella Neva ghiacciata, quando si seppe che il finto monaco era morto la gente ballava e la zarina Alessandra piangeva.. )Un esilio e toccava aspettare le domeniche, quando visitavano San Pietroburgo e ci ritrovavamo da Olga, la zia delle ragazze, la sorella di Nicola II.
Erano  solo miseri surrogati rispetto alla frequentazione di prima, ci sarebbe voluto poi Aleksei che voleva le mie storie, sempre e comunque, e sua madre aveva esaurito le scuse plausibili e non, non potevo essere sempre malata, in viaggio o in visita.
Per scambiare due parole e ridere, era mio zio a tenermi allegra, mia madre era occupata da Sasha e mio padre era ancora più evanescente del solito. Non era cattiveria, lei mi riteneva abbastanza grande per arrangiarmi da sola, mentre mio fratello era piccolo.
Un grande affare, come no. Un primo assaggio dell’età adulta e la luce del tramonto bagnava i petali delle rose come sempre … come ai tempi degli antichi dei, che riempivano forse i bagagli di sogni e parole, una mia remota fantasia.
 
Ne ignoravo le ragioni precise, lo intuivo che poteva non sopportare me o Ella Raulov, ma amava suo figlio e anteponeva il suo bene al proprio.
Dopo compresi, anche troppo bene.
Solo che io ero una ragazza, ribelle, irrequieta, non proprio simpatica,a dirla tutta, ero una vera spina nel fianco, ma il vero caos lo aveva combinato mia madre, insieme allo zar, io ero un effetto e una conseguenza, non la causa scatenante, ma Alix aveva il dono di dare sempre la colpa a chi non godeva delle sue simpatie, o traslava, meglio rifarsela con me, che con mia madre, che non poteva toccarla in modo diretto, facendo soffrire gli altri.
E avevo capito come mutare odio e rabbia.
Una magica alchimia.
Che nella mia vita, ho adorato Olga, le sue sorelle e Alessio. Che, a prescindere dalla sua malattia, non meritava di crescere come uno smidollato, preda dei suoi capricci e impulsi, né di soffrire per la mancanza di una persona a cui voleva bene, ovvero io, che stava lontano senza che lui ne comprendesse i motivi. È amica tua, ti vuole bene e ti fa ridere, aveva detto una volta a Olga, perché non può stare sempre con noi.. perché? Già. Chi aveva cuore di spiegargli quei misteri.
Nemmeno sua madre.
 
Entrai nella stanza dei giochi, rivedendo le pareti tappezzate di cretonne verde, i giocattoli  ordinati, di tutte le fogge, forme e dimensioni, dai trenini alle bambole, piccole e grandi, con suntuosi vestiti di seta e minuscoli stivali in vera pelle, accurate e perfette, come i soldatini con cui amava giocare Alessio, come un teatrino, i puzzle e i domino, la tenda indiana, le finestre alte, illuminate dal sole, i piedi che si muovevano silenziosi sulla moquette.
Un cenno, giocava sul pavimento, in una divisa da marinaio, la testa castana dalle ciocche ramate assorta in qualche battaglia, davanti aveva una vasta teoria di militari giocattolo e piccoli cannoni.
“Zarevic, una persona chiede di voi” Olga, con dolcezza “Si può avvicinare..”
 “Olga, CAT” fermo, mi ero raccolta vicino a lui, la gonna color crema sulle ginocchia, una mano vicina, senza muovermi, magari non gradiva, si doveva riabituare come l’anno avanti, varie le assenze,  in altre occasioni mi sarebbe saltato diretto in braccio “Cat, sei qui” incredulo “Posso?”
“Certo, cosa aspetti, ops ..non mi sono inchinata e..” e mi si era già buttato addosso, le mie braccia come un riparo, una fortezza lo avevo cullato per un pezzo, maledicendo sua madre e le sue fisime, mi mancava, sempre, eravamo legatissimi, perché restare separati? Tra dire e fare,appunto, mi si era già attaccato come una foglia di edera, ricambiato con zelo, stretto addosso con amore, disperazione, gli baciavo la fronte, i capelli, le guance,  le sue manine sul viso, lo serrai contro la clavicola, con le gambe mi si era già attaccato ai fianchi, gli toccai la schiena, le scapole magre, sollevandolo in un piccolo giro di danza
“Hai finito con i viaggi, le visite, le malattie?” un sussurro, la testa contro la mia clavicola, annodato stretto. Tutte scuse che gli propinava sua madre, cercando di essere logica, io ai pranzi domenicali, un misero surrogato rispetto alla frequenza di prima, ero spesso distante, la testa altrove “Verrò ogni volta che potrò, fammi chiamare quando vuoi, d’accordo, ora andiamo a giocare, scommetto che hai tante cose da farmi vedere” risposi, piano “Certo, un trenino elettrico e ..” “Giochiamo Alessio, pensa a questo, cerca di non essere triste!” quindi, ispirata “ E ti tengo sempre sollevato, ti scaldo le mani, ti massaggio le gambe, ti prevengo” una sua richiesta ai suoi marinai, agivo in via cautelare, appunto, sorrise, radioso, se mi preferiva un motivo vi era.

Per l’ora del tè, scrutai la porcellana dei piatti, i decori di rose e foglie che li orlavano, passando quindi su il profilo di Anna V. e della zarina, che mi fissavano, allibite “Buon pomeriggio, lo zarevic mi ha requisito” alzando la testa e serrando il bimbo tra le braccia, che mi allacciò sul collo “.. vero, mi imbocchi..” “Basta che mangiate tutto, va bene, zarevic” “Si” una impresa da titano, del mio viziato autocrate in fieri che era, ci riuscimmo, tempo una manciata di ore, e ritornammo, affiati, da tradizione.

Diciamo che la bizza più grande di Aleksey ero io, nel breve  e lungo periodo, senza pericolo.

In quel periodo, lo zar era meccanico, lontano ed assorto, faceva il cosiddetto dovere coniugale perché così doveva essere. “Allora, Alix, gli abbiamo preso una montagna di giocattoli e assicurato idonei compagni di giochi, chi vuole” e lei taceva, le labbra strette, la fronte corrugata
“Catherine, la mia figlioccia, la nipote del mio amico Rostov-Raulov, senza fallo” una retorica constatazione “E questo e’ quanto, non piangere, non accampare svenimenti o mal di testa, le palpitazioni o altro .. ” un duro tono che ben di rado le serviva, lui che la accontentava in tutto “Alessio deve stare bene e finché la vuole, non aggiungo altro, basta così per tutto, hai visto come sorride appena la vede, anche se sta male”
“Ma Padre Grigori, il Nostro Amico, Anna V..” che Alessio mi adorasse era una constatazione di fatto, e viceversa, quello non lo avrebbe mai smentito
“Padre Grigori ora non è qui, mai avuto a che ridire sulla principessa Raulov, o sbaglio.. Anna .. lasciamo perdere, argomento chiuso, da quella volta in Crimea, che pretendeva che NON sapesse cavalcare, Catherine, e l’ha invitata a provare, certo pensando che si sarebbe ricoperta di ridicolo e ridicola era lei, che la ragazza ha lasciato tutti a bocca aperta, cavalca come una vera amazzone,  lasciamo stare” E Alix tacque, sapeva quando era il caso di tacere. “Alessio con lei sta bene, lo sai” era viziato e capriccioso, ma io cercavo di trattarlo come un bambino normale, senza tare o limiti, stava bene in quel senso, che di miracoli non ne compivo, purtroppo, oltre che amarlo poco più facevo. Non si trattava di essere buoni o cattivi, penso ora, tranne che la zarina aveva il dono di dare sui nervi a tutti, ed era una persona buona, in fondo, peccato che fosse  ottusa e lo zar in genere passivo, sommerso dai senso di colpa per mia madre  Ella e per me.
Era un uomo buono, in fondo, la sua sola disgrazia era regnare,  ebbe a dire a mio zio R-R e suo cugino, il granduca Alessandro, quando suo padre morì nel 1894, stroncato dalla nefrite, pochi momenti dopo, cosa ne sarebbe stato di tutti loro, della Russia, non era pronto a diventare imperatore, non lo aveva mai desiderato e non aveva nemmeno idea di come parlare ai ministri. Era totalmente smarrito a vestire quei panni. Nel tardo pomeriggio di quel giorno di novembre 1894, eretto un altare, i cannoni avevano rombato per il defunto zar, le campane avevano suonato per il nuovo, che giurava fedeltà all’impero, la voce tremante, diventando “Sua Maestà imperiale imperatore e supremo autocrate di tutte le Russie, supremo zar Nicola II” 
I ricordi suntuosi tornavano in quel lungo inverno, a dire il vero rifugiarsi nel passato era un grato esercizio per estraniarsi dal freddo. E dall’esilio, le corrispondenze intercorse erano un filtro contro l’umiliazione, il precipitare dalle stelle alle stalle. Olga si tuffò letteralmente nei libri, come Tanik, cercando di non soccombere alla malinconia, a una sorta di autunno che continuava, crepuscolare, nei loro pensieri. Gentile e distratta, pensava al tempo fuggitivo.
Ruit hora. 

Nell’estate del 1910 la famiglia imperiale si recò in Germania, per un ciclo di cure termali vicino a Friburgo.  Lo scopo principale era rinsaldare la salute della zarina.. E venni invitata pure io, non commentai, appresi poi come il mio tesoro si fosse fatto furbo. “Zarevic ..”
“Cat.. “ un dolce e sghembo sorriso, aveva perso i denti da latte davanti.”Lo sai che accarezzo le pecore  e gli agnellini.. “ una pausa, mi si buttò addosso, lo serrai contro di me, ascoltando le sue buffe e grandi imprese, aveva spinto uno dei suoi cuginetti, uno dei figli del Granduca Ernie,  su una macchina-giocattolo e poi sul’altalena e accarezzato agnellini, appunto.
  Quando voleva era dolce, e comunque era ben conscio del suo rango  di erede ed era spesso preda dell’arroganza.Una volta, appurato che gli avrebbero obbedito, chiese agli appartenenti di un reggimento di cui era comandante onorario di buttarsi dentro una fontana, con uniformi e sciabola sguainata, venne obbedito  e ne rise fino alle lacrime.
Alle parate cui lo conduceva suo padre, urlava i suoi motteggi, “  Bravo, avanti così, ma cosa fai, i bottoni sono sghembi.”
Entrando talvolta nello studio dello zar, pretendeva che il ministro di turno si alzasse in piedi per salutarlo e, cortese, gli stringeva la mano.
Con lui ve la caverete male, asseriva ridendo Nicola quando si allontanava.
Per timore che, preda di un capriccio, si facesse male tirando un calcio a un mobile come tutti i  bambini normali, nessuno lo riprendeva, così che il fanciullo faceva tutto a modo suo, con il risultato che divenne recalcitrante e maleducato, viziato oltre ogni dire e obbediva solo a suo padre, atteso che la servitù aveva la consegna precisa di non contrariarlo in nulla, pena la scomunica, ironizzava Olga con me, di contrabbando, è proprio l’imperatore dei viziati, la tua è una definizione azzeccata, vedi la volta che non ha partecipato al corteo dei boy scouts che comportamento. Ora che sei rientrata è molto più calmo, insomma. Come a significare che soffriva  e si comportava male come reazione.
Alessio il Terribile, come no.
 
Le sorelle, ormai cresciute, dinanzi agli estranei  restavano sedute a braccia incrociate o  ricamavano, la voce bassa, sempre composte a tavola, salvo scatenarsi quando erano da sole.
Uno sfogo di energia, dai doveri declinati dalla inesorabile volontà della loro madre.
“Sono contento che sei qui..” ancora “Tu?”
“Certo..”gli presi una mano, gli scaldai le dita, e arrivò una confidenza “Volevo un cavallo, sai uno di quelli alti.. Mamma ha detto che devo aspettare ancora, ma che potevo chiedere quello che volevo .. tutto. E ho chiesto che venissi, tanto me lo avevi detto che potevo chiedere”
“Bravo Aleksej, sei magistrale” diplomaticamente parlando era stato impareggiabile, e mi barattava per un cavallo.. Mm ne avevo di che riflettere, meno male che non aveva letto Riccardo III e Shakespeare, riflettei rapida.
“Mica rivai in Spagna?”rievocando i miei giri
“Fatto questa primavera, per un pezzettino ho finito con soggiorni all’estero”Ahumada era il mio posto magico. E avevo avuto altre proposte di matrimonio, per mia somma perplessità, oltre al piacere di vagare, da sola, come un lupo, una stella caduta.
“Va a finire che ti stabilirai là” rise Tatiana avvicinandosi“Quanti figli ha il tuo parente..?”
“Tre maschi, Enrique, Jaime e Andrej” pronunciando quell’ultimo nome in fretta, alla russa, ricordando un giovane malinconico dai grandi occhi verdi, in spagnolo era Andres.. Andres Fuentes, arrossendo tra me (..e va bene, Cat che male vi era, ti piacevo anche allora.., rise lui, leggendo quel passaggio, ridendo a doppia cifra del mio rossore, dopo anni di matrimonio mi faceva sempre sentire una ragazzina imbambolata, il suo fascino immutato, il mio gladiatore, il picador senza paura apparente)  “Tutti scapoli, peraltro..” vai a vedere che trame imbastiva mia mamma, se non accalappiavo il granduca Dimitri, che peraltro si svagava correndo dietro a molte sottane, come da tradizione Romanov, insieme alla carriera militare che aveva intrapreso di recente. E io non lo volevo accalappiare, era una altrui idea, Dimitri, che Andres me lo presi e di corsa, senza se e ma, gli chiesi IO di sposarmi, dopo una missione terrificante.
“Vedi..?” Tanik non continuò il suo ragionamento, che ci ero arrivata, per quanto dormissi in piedi per quelle cose, pensava Olga, con un minimo capivo finanche io “Ma la religione qual è?”
“Cattolica romana” anzi, cattolica apostolica romana, il titolo completo.
“Allora nulla.. che ti dovresti convertire” per lei la questione era chiusa, lei era russa, ortodossa, la sua fede intatta e meravigliosa, senza accenni.. allora, io soprassedetti, la giovane età per un matrimonio poteva reggere ancora come scusa, un fidanzamento ufficioso vi poteva stare ma anche no  (.. e quando sposai Andres mi convertii di corsa al cattolicesimo, che la madre di un principe Fuentes deve seguire quella religione e tanto è un’altra storia. Quando Alix rifiutò Nicola, al principio, per la conversione dal luteranesimo alla fede ortodossa, la sua coscienza non contemplava di abiurare la fede della sua infanzia, lo zarevic iniziò la storia parallela con mia madre Ella.. Il risultato, io. Quando fu il mio turno, fidanzata di Andres Fuentes, io agnostica per non definirmi atea, non  feci storie, ero pratica fino al cinismo, allora, senza falsi e apparenti scrupoli formali .. Altra storia, glissiamo, qui almeno. Se mi avessero detto firma, sorridi, non pensare, lo avrei fatto di puro impeto, ma o se banditi, Andres era solo mio, un perenne ingombro, io solo sua)
“Oggi andiamo a Friburgo”disse Aleksej e quindi “Cat.. non ti sei accorta di qualcosa?” malizioso, un piccolo sorriso accompagnava la frase.
“Zarevic.. possibile che ..”esasperata, realizzando che,  abile come un prestigiatore, mi aveva tolto il nastro e sciolto i capelli, non gli avevo badato per mezzo minuto  e mi aveva fatto quel dispetto, mi dava sui nervi, strattonò una ciocca.
“Tienili sciolti, grazie”  e mi sorrise “Prendimi in braccio, dai”
Incrociai le mani sui gomiti “Che hai saltato? Un per piacere o simili” sorridendo, ogni tanto ci provavo, a insegnargli grazie e per favore e prego, e avrei ceduto in pochi attimi davanti al suo sorriso, mi rigirava intorno un dito.
“Principessa Raulov, per cortesia, prendetemi in braccio”formale, il monello mi sfotteva, alla grande.
“Con piacere, grazie”le precise formule, fosse mai, una volta o l’altra le avrebbe imparate.
“Prego”mi appoggiò la testa sulla spalla, me lo allacciai addosso “Sei stanco?”saltando la forma, un soffio contro la sua tempia, mi inginocchiai per raccoglierlo in braccio, mi circondò con braccia e gambe, fluido, era abituato a quei movimenti..
“Ho corso vicino alle fontane, abbiamo giocato a nascondino vicino ai cespugli di rose”era stanco, allora, e non voleva ammetterlo, cacciò uno sbadiglio senza volere“Molto carino.”
“Cat.. ho fame” Tanik si mise a ridere “Questa la segno sul calendario..”
Quindi "E dai Aleksej, come sei permaloso" aveva messo il broncio, serrandosi contro di me, mi misi a ridere "Zarevic, tu non hai mai appetito.. va bene, vediamo di assaggiare qualcosa della cucina tedesca..che è ora di pranzo" Scese dalle mie gambe e si avviò, tenendo me e Tanik per mano, mangiò mezza porzione di pollo arrosto e insalata di patate, per i suoi standard un pasto abbondantissimo, senza alzarsi ( parentesi, Cat, mi ero impuntato che dovevo mangiare sulle tue gambe, ti rovesciai addosso l’altra metà delle porzione, per giocare, almeno ottenemmo che non scappassi da una parte all’altra della stanza, mi tenevi la vita con un braccio, con l’altro mi imboccavi, e non era un capriccio, quanto la curiosità, la voglia di giocare, sorridesti al tavolo dei cosiddetti bambini, cambiandoti poi, era solo una parentesi, come il mio non fare capricci, per circa due giorni, c’eri, accorrevi a ogni gesto, era a posto, ti volevo  e eri sempre presente, non desideravo altro, l’imperatore dei viziati, quale mi definivi, era all’opera).
 
Vamos, Tintagel” lo spronai con la voce e i talloni, era giunto fresco fresco dalla Russia, il mio baio.
 Avevo  fatto mettere la sella da uomo anche in quel di Friburgo, per calmarlo dal lungo viaggio in treno.
Luogo dell’allenamento  era un prato vicino al castello luogo del soggiorno degli zar e compagnia. Mio zio mi fece segno di andare aventi, annotando che usavo lo spagnolo, poche parole,  i movimenti fluidi, eravamo noi, discreti, era presto. Lo spagnolo, come avevo appreso da Andrej Fuentes, il malinconico picador,  ogni tanto spuntava a rate.  ANDRES..
 La mattina era appena sorta,  Tintagel aveva calpestato l‘erba, gli steli schiacciati emanavano un dolce profumo, tra i suoi zoccoli spuntava l’oro dei ranuncoli
 “Sei una vera amazzone, continua Catherine” fumando la sua usuale sigaretta “Mento in alto, testa dritta, braccia sui fianchi, metti meglio il gomito..”  una pausa, battendo le mani, il mio addestramento, sempre “ L’imperatrice d’Austria Elisabetta era la più grande amazzone dei suoi tempi, tu dei nostri..la migliore amazzone di tutte le Russie” mi schernii modesta, ero “immodesta” cavalcando come una zingara, come se lavorassi in un circo e tanto.. Mi divertiva, mi piaceva, mi faceva sentire viva.
Rampai e feci corvettare Tintagel, immergendoci nel nostro magico mondo quando captai il silenzio.
Mi girai sulla spalla, oltre a mio zio vi era lo zar con Alessio in braccio che osservano lo spettacolo della sottoscritta che montava a uomo, le gonne spumose intorno ai sottili rilievi di ginocchi e polpacci, come sospesi e incantati.
“Che fate R-R?” ridendo “Una passeggiata interessante.. la nostra”
“Nulla di che, Maestà, la principessa mia nipote è un portento a cavallo”
“Lo notiamo .. Catherine” senza traccia di collera, osservai che pareva .. commosso, orgoglioso, come se vedesse uno spettacolo meraviglioso mentre lo zarevic gli sussurrava qualcosa contro la barba castana, in cui, sebbene curata comparivano i primi fili bianchi dell’età. Era invecchiato come  il mio dionisiaco zio, rilevai, perplessa, per un attimo.  
“Chiedilo a lei” enunciò alla fine
“Per favore, Cat, posso salire con te?” un tono deciso, che non era quello delle sue lagne e dei capricci. E ci teneva, davvero, vibrava per l’aspettativa, era un fremito come una lepre marzolina, gli occhi azzurri spalancati e tesi, verso l’orizzonte e una meraviglia, mi si fermò il cuore.
Lo  zar fece un cenno di assenso con la testa, io avevo già aperto le mani.
“Ma niente galoppate o che, giusto?Immobili” si fidava di me come di se stesso, rilevai, la zarina non voleva per gli urti ma Alessio era un vero Romanov, adorava i cavalli.
La sua voglia di vivere, di essere come gli altri si scontrava con i limiti della sua malattia, stava a noi trovare un modo di fargli fare le cose senza ossessionarlo con i divieti.
 
“Cat, ti prego” Fate sì che un sogno, un mio sogno diventi reale.. Tu cavalchi il vento.. CAT. 
“Certo, vieni qui”, allungando il polso,  me lo passarono, mi spinsi leggermente indietro per dargli posto sulla sella, la schiena dritta, le redini in una mano, schioccai la lingua, per immobilizzare Tintagel, che peraltro stava fermo, docile.
Gli posai la mano sulle scapole per raddrizzarlo, la postura corretta, e gli passai le briglie,”Ecco, tieni,  ti tengo va bene” in un dolce sussurro, circondandolo con le braccia, per riflesso si stava inarcando, la schiena contro il mio petto, per rassicurarsi,  e realizzando che razza di responsabilità mi ero presa e in cui mi avevano cacciata, per poco a mio zio non cadde la mascella  per lo stupore, non intervenne per la sorpresa della situazione e il rispetto che tributava in ogni occasione allo zar, sorvolando sulla rapidità della scena. Se perdevo il controllo, rischiavamo di farci male, io e il bambino, l’erede al trono, il solo maschietto a me affidato, in quel momento era una mia responsabilità, mia sola ed esclusiva. Avevo montato Tintagel senza briglie, le mani nella sua criniera, rampando come due stelle cadute, poco tempo prima e ora.. una ulteriore pazzia “E’ da folli” sottovoce allo zar, in effetti era vero, da un placido asinello era salito su un cavallo da guerra, maestoso e splendido, e tuttavia il sorriso di Alessio era raggiante, un suo sogno prendeva forma “Con lei è al sicuro, lasciaglielo fare, avanti, è il suo sogno, lo vuole, non glielo impedire R-R”il sogno di Alessio.  
“Cat..” in estasi“Fermo zarevic, nessun movimento brusco, parliamo quando siamo scesi” un tono duro e secco, a cui avrebbe sempre obbedito “ Per favore”
“Guarda davanti a te..non avere paura, non cadi, non cadremo”incrociai mentalmente le dita.
“Non ho paura, mamma quanto è alto.. so che mi tieni al sicuro”
Lo zar lo fece scendere, smontai a mia volta con il fiato corto “Grazie, è stato bellissimo,”rilevò attaccandosi al mio collo, per riflesso me lo strinsi addosso, gli baciai la guancia, le mie ginocchia tremavano, a posteriori, nascoste cortesemente dalle gonne “Si è avverato .. quasi, Cat, che bello, davvero”
“Cosa?” si sporse indietro con la testa, il mondo all’ingiù, le gambe contro i miei fianchi, continuavo a tenerlo, una mano sotto la sua nuca “Cosa Alexei.. Dimmi, se vuoi ”mi appoggiò il mento sulla spalla, si allacciò stretto.
“Le stelle cadenti.. Volevo andare su un cavallo alto e l’ho fatto, uno dei desideri, ma cavalcare..trotto e galoppo e saltare gli ostacoli, comunque non avevo paura..è stato meraviglioso, non te non cade nessuno, il mio sogno “
“Dopo .. poi, Alessio, cavalcare dico” Molti anni dopo, glielo avrei fatto fare, saremmo cresciuti entrambi, più io di lui, a essere onesti.
“.. e gli altri. Comunque che sono salito resta tra noi.” Già,  Alessandra e le sue reazioni.. Non osavo nemmeno immaginarle. Come minimo mi avrebbe bandito vita natural durante, messo mio zio in galera o al confino, sorvoliamo scenate e svenimenti allo zar, coccolando in tripla misura Alessio, facendolo sentire un menomato senza ritorno. No, non era il caso. Sleali, e tanto . . Era così. Non osai nemmeno dirlo ad Olga, figuriamoci. E mi fece male quella uscita di Alessio, che, per quanto piccolo, mi serviva lezioni sui segreti.
“Non li dire, che poi non si avverano”
“Mi racconti di Bucefalo..?”
Allibii, che ne sapeva lui, era un piccoletto.  “Gli affreschi in sala da pranzo, ho chiesto, Catherine, è il ciclo di Alessandro Magno.. e c’è questo cavallo, baio, con una macchia candida sulla fronte.. che fece tante guerre e conquistò un bell’impero .. grande, grandissimo..”
“Detto tutto tu.. Io aggiungo molto poco”
“Era un grande .. dai racconta, giuro che non ti sciolgo la treccia, almeno per questa volta”
“Allora.. “mi sciolsi io i capelli, si tuffò contro le ciocche, raccontai, tra una risata e l’altra.
“E’ un grande come mio padre, anche se in modo diverso. L’altro giorno passeggiavamo in campagna e un carrettiere aveva perso il suo carico, Papa lo ha aiutato, che non riusciva a caricarlo e.. Non lo aveva riconosciuto, tranne che è stato contento.. Boh .. Papa dice che se un uomo occupa un’alta posizione non deve darsi arie”
“Giusto” seguendo quella linea di pensiero, gli zar cercavano di allevare senza troppo lusso i loro bambini, invitandoli a trattare con cura e rispetto le loro cose, mantenere l’ordine ed il decoro, delegare una parte della loro mancia mensile per fare beneficenza, dormivano, almeno le ragazze, su lettini da campo. Vivevano nel lusso, ma non dovevano esaltarsi.
O avevano tentato.
Che  lo zarevic rimaneva ben viziato a livello di comportamento. Sorvolando che avevo contribuito molto pure io, chiaro. O era l’eccezione che derogava alla norma, che ogni tanto lo avevo brontolato, quando era piccolo per farlo mangiare ogni boccone era una frase della storia, e mi zittivo quando tirava addosso molliche o altro, la tecnica del silenzio, era curioso e riprendevamo, di pazienza ne avevo poca in generale e con lui la trovavo, facevo di necessità virtù. Che mi ripagava, nel breve e lungo momento, affettuoso, era una stella caduta, lui, arguto e divertente, se non fosse stato la peste che era lo avrei definito un angelo. Che a volte si addormentava nel pomeriggio tra le mie braccia, lo cullavo, tenendolo contro il busto, era squisito e perfetto, una meraviglia, la trama delle guance e sopracciglia, un palmo contro la sua schiena, per il riposino pomeridiano gli facevano mettere ancora il pannolone, lo serravo senza badarci. “Sono così contento, a volte penso che tu sia andata via per sempre, invece.. ci sei, sei qui.”  A quelle sortite tacevo, non osavo dare il fiato alla rabbia, contro sua madre, che aveva combinato quel risultato, sarei stata cattiva e lui ne avrebbe sofferto, la cosiddetta grande ero io. Mi sarei sfogata e lui ci avrebbe rimuginato, soffrendo, appunto, le parole sono come sassi, recano più dolore delle botte, si insinuano come pallottole dentro la carne “Certo, dove vuoi che vada” ancora “Alessio, lo so che sei grande, solo permettimi una cosa” “Che, vediamo se posso concederlo”autocratico, per poco non scoppiai a ridere davanti alla sua aria seria e mi trattenni per non offenderlo “Stanotte vengo a dormire da te, ti tengo stretto stretto, come quando eri un piccoletto, grazie della concessione, mio autocrate in fieri” “Eh certo, tu hai paura del buio” “Mi proteggi te, va bene, zarevic” “E che vuol dire in fieri?” La dolcezza di Alessio, la sua voglia di imparare sempre cose nuove, risi  e lo baciai sui capelli “Ora te lo dico.. è latino” “ Non è che fai finta di avere paura, per farmi passare.. da grande..” “SSt. Alessio, fatti stringere.. tranquillo” che lo adoravo glielo avrei detto molto dopo.
Alessio.. e tanto lo capiva dai fatti.
Diciamo che la bizza più grande di Aleksey ero io, nel breve  e lungo periodo, senza pericolo. 
E lui il mio prediletto, una gioia costante, my little prince, my Aleksey.
Un eufemismo, Anna V. ci aveva accompagnato anche a quel giro, annotò Olga poi, quando ti vide con Alessio per poco non sbatteva i piedi per la collera, era gelosa, misera, voleva tutto e nulla aveva. Che mio fratello ti amava, sempre, e viceversa, eravate assorti nelle vostre imprese fantasiose, nelle domande, osservando i petali di una rosa bianca, che si ergeva solitaria, buffi e teneri, una farfalla, un mondo a se stante.
A volte, lo vestivi, lo cambiavi, non strepitava, un riposo per le nostre orecchie afflitte, i suoi strepiti una leggenda, eri veloce e delicata, lui  era la tua bambola, lo sfibravi di chiacchiere e ti lasciava fare, contento come una Pasqua, ti si attaccava al collo ridendo “Cat” “Zarevic, amore”Confidenze inopinate, tra tate e nurses e marinai si faceva toccare volentieri da te e pochi altri, non lo vezzeggiavi come se fosse un menomato, lo viziavi e va bene, tranne che da sempre e per sempre vedevi il ragazzino, la peste, non il fragile malatino, così sia, anni dopo, assistendolo, mai avresti dato l’idea di compatirlo. Era una peste, dicevi, un combina guai, che mi fa schiantare dal ridere, un chiacchierone ..Ti preferiva, alla fine andava bene così, per ovvi rilievi, vedi sopra. Lo amavi e basta.
Te lo caricavi in braccio, attenta, giocando con lui, che accorreva pronto dalla sua prediletta “CAT”
.. Cat. Portami via.. 
E poi .. poi .. Mio piccolo principe, quante ne abbiamo inventate.
   
 
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