Crossover
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Autore: evil 65    25/02/2018    21 recensioni
Il Multiverso, così come lo conosciamo… non esiste più. In seguito ad un fenomeno distruttivo noto come Lo Scisma, un uomo misterioso che si fa chiamare il Maestro è riuscito creare una realtà completamente separata dalle altre, dov’è adorato come un dio onnipotente.
Apparentemente inarrestabile, il Maestro comanda col pugno di ferro questa nuova terra, chiamata "Battleground", nella quale vivono numerosi personaggi provenienti dai vari universi, tutti immemori delle loro vite precedenti.
Ogni storia ha il suo principio. E questa è la loro epopea...
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Anime/Manga, Film, Fumetti, Telefilm, Videogiochi
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NOTE IMPORTANTI:
L’autrice del capitolo si scusa per il ritardo, vi sono stati alcuni problemi legati ai tempi di consegna.
Questo capitolo sarà un po’ diverso dagli altri, perché gran parte di esso è narrato dal punto di vista di un’entità pressoché onnipotente. L’autrice in questione ha fatto del suo meglio per rappresentare tale concetto. Se avete domande, non esitate a consultarci nelle recensioni.
Il capitolo costituisce un balzo all’indietro rispetto all’ultimo, ed è ambientato durante lo Scisma. È anche l’ultimo capitolo d’introduzione, dal prossimo inizierà la storia vera e propria. Saranno presenti anche alcune tracce musicali, alle quali potrete accedere attraverso i vari link.
Buona lettura!



 
Interludio: La fine di Tutto
 

https://youtu.be/r1PHHWjLKWE
 
Non a tutti interessa sapere da dove nascono i racconti, e ciò è perfettamente lecito. Non è necessario conoscere il funzionamento di un motore a combustione interna per guidare un'automobile, così come non è necessario conoscere le circostanze dalle quali è scaturito un racconto per provare piacere nel leggerlo.
I motori interessano ai meccanici e le creazioni letterarie interessano agli accademici, agli ammiratori e agli impiccioni. I primi e gli ultimi sono quasi sinonimi, ma pazienza.
Leggere una buona storia è, per molti versi, come avere una relazione sentimentale lunga e soddisfacente. Un racconto è tutt'altra cosa.
Un racconto è come un bacio veloce, nel buio, ricevuto da uno sconosciuto. Naturalmente non è la stessa cosa di una relazione o un matrimonio, ma un bacio può essere dolcissimo, e nell'intrinseca brevità del gesto risiede la sua speciale attrazione.
Perché i racconti durano, e sono parte di ognuno di noi. E questo racconto, come molti altri, comincia in una calda giornata di primavera.
Quella mattina, i campi erano più verdi del solito: le spighe di grano selvatico protese verso il cielo si piegavano dolcemente sotto la brezza che lambiva la terra con pallide e immateriali dita delicate, le quali si posavano su quella landa con tocco fantasma, portando l’aria frizzante tipica del sorgere del sole. Le colline, dal canto loro, si susseguivano l'una dopo l'altra in dolci pendii dominati da un soffice manto erboso, fitto e rigoglioso.
Poi, con il fenomeno notturno della rugiada, ecco levarsi il profumo della terra bagnata, l'aroma di freschi pascoli che tanto facevano gola ai numerosi branchi di ruminanti che avevano fatto della vallata lussureggiante di Nimiria, la loro casa, un tranquillo e sperduto angolo di mondo lontano dalle vette montuose dominate dai draghi e le vaste foreste asfissianti, patria delle chimere.
Era proprio durante l'alba che la vallata pareva risplendere di luce propria, con i corsi d'acqua che scivolavano placidi nei loro letti di ciottoli, e pesci variopinti che si lasciavano trasportare verso i loro luoghi di nidificazione. Poco più avanti si stagliava la foce nella quale confluivano la maggior parte dei fiumi di quella regione, prima di sfociare nell’immensa landa salata conosciuta dai più come il grande oceano.
Tanti piccoli occhi si destavano col sorgere del sole, appartenenti a roditori ,marmotte e varie altre specie di mammiferi. Zampette dalle dita sottili cominciarono a trattare le pellicce con fare parsimonioso, umide per la recente rugiada.
Era una visione magica, quasi fiabesca.
Poi, come dal nulla, l'acqua cominciò a tingersi col rosso scarlatto del sangue, mentre i pesci si attardarono presso brandelli di carne che galleggiavano lungo il pelo dell'acqua.
Nei pressi delle rive fangose, sciami di formiche cacciatrici iniziarono a setacciare la zona in cerca di cibo, saziandosi in gran quantità delle membra e dei crani spaccati sparsi per la valle. Alcune di loro trasportavano bulbi oculari colmi di puro terrore, mentre altre si dilettavano nello sgranocchiare dita sottili e organi lasciati all’aria aperta.
I raggi del sole inondarono la pianura e l'argento e l'acciaio ne riflessero la luce calda e benevola che schiariva i volti squarciati dalla spada e dal piombo, mettendo in risalto le frecce sparse su tutta la distesa erbosa, le catapulte annerite dalle fiamme e i corpi agonizzanti dei cavalli impalati contro barricate grondanti d’interiora appartenenti a uomini e bestie.
Quando le ombre si allungarono, i torrioni abbattuti e le cinta in legno gettarono le loro aspre figure sui cannoni scalfiti, i toraci squarciati e i cuori sbranati dai mastini e dai leoni da guerra.
Le membra delle chimere erano coperte da decine di cavalieri divelti e sembrati con artigli e denti. Ecco invece i grifoni, i cui corpi erano stati issati al di sopra di picche e lance, le ali tagliate, le zampe mozzate e i becchi staccati di netto da poderosi colpi d'ascia.
Il vento si fece sferzante e spazzò la terra, facendo ondeggiare i vessilli squarciati e tristemente piantati sui corpi dei caduti. Le bocche aperte dei cadaveri ritraevano l’orrore e la follia provati in punto di morte.
Un ippogrifo si arrestò in cima ad una delle poche colline rimaste immacolate per tutta la durata di quella feroce battaglia. Il fiero corpo era velato da leggere piastre intagliate nell'oro e nel diamante, fuse assieme nelle fucine ai piedi delle lontane montagne, dove i ciclopi avevano conservato i loro antichi strumenti di orafi e armaioli.
Con un verso acuto chinò il capo per permettere alla donna seduta sul suo dorso di poggiarsi a terra con gli stivali ferrati. In tutta risposta, ricevette una lenta carezza, cosa che lo spinse a poggiare il capo a forma d’aquila contro il palmo di quella mano amorevole.
Auth, la Madre di Tutto, fissò atona i resti dello scontro e scese con grazia per il lieve pendio, scavalcando i corpi e ignorando i resti di organi e muscoli che risucchiavano le suole dentate degli stivali.
Portandosi il pollice destro alle labbra, fece scorrere lo sguardo tutt'attorno con un'espressione neutra.
<< Avete svolto il vostro dovere >> disse rivolta ad una testa mozzata di quello che riconobbe come uno dei suoi numerosi fedeli, e senza aggiungere altro volse le spalle alla vallata, con la cappa bianca che ne avvolgeva la slanciata figura come una sacra aura smossa dal vento.
Quella era una guerra di santi e dannati… e lei si trovava proprio nel mezzo. Lei era ciò che in molti odiavano e altrettanti amavano; alcuni uccidevano per lei, mentre altri avrebbero voluto vederla pendere da una forca, col corpo perfetto violentato dai cani e la testa divorata dai serpenti. Perché questo era il fato di ogni divinità, che fosse buona o cattiva.
Restando indifferente anche a quei pensieri, la donna passò accanto alla sua aspirante sacerdotessa. Alzò lo sguardo sulla pallida figura di Kyrie, capelli biondi e sinuosi che circondavano un volto ancora fanciullesco e segnato da una singola lacrima turchese.
<< Questa sono io, e queste sono le guerre combattute nel mio nome.  Molti dèi sono morti, nel tentativo di affermare il loro dominio su di me. Io li ho bruciati, facendo precipitare il loro ricordo nell’oblio. Ora scegli. Mi veneri? Mi ami? Sei disposta a seguirmi, nonostante tutto questo? >>
 E, dopo aver pronunciato tali parole, le sfiorò amorevolmente un ginocchio e passò oltre... attraversando tempo e spazio.
 

https://youtu.be/UDVtMYqUAyw
 
Mentre quei ricordi sfumavano nel passato, un megalitico occhio si aprì sui luminosi astri dell'esistenza.
Un'iride formata da stelle, galassie e nebulose. Una pupilla nella quale aleggiavano pianeti, sistemi solari e civiltà interstellari, che si muovevano su navi fra i sub spazi delle dimensioni, attraversando le barriere della logica e della realtà.
L’occhio si mosse, osservando i vari piani spaziali attorno a lui, varie dimensioni l'una sopra l'altra connesse sa quella rete geomantica che interfacciava fra loro i fulcri degli universi in un pilastro ancestrale posto al centro del creato. E lei lo comprendeva tutto.
Al centro di quella colonna di essere e di nulla, una mano di sostanza e potere puro si sollevò attraverso anni luce e più di altezza, andando a congiungersi con la sinistra al di sotto di un pianeta nano appena nato, un piccolo Urania che volteggiava su un mastodontico oceano di idee, dati e numeri sovrapposti in un moto eterno di flutti che s'infrangevano contro l'etera spuma cristallina. Erano questi mari nient'altro che palmi e dita, i quali, amorevolmente, si strinsero attorno a quella nuova forma di esistenza tangibile .
Una voce dolce e carezzevole giunse da innumerevoli millenni, in alto, appena prima della vetta del pilastro, ma il cui suono era quasi totale, colmante di ogni cosa. Vorticava attorno all’esistenza come un velo nella corrente.
<< Urania, comportati bene, è arrivato il momento di far parte di qualcosa di più grande di te. Guarda >> sussurrò  la somma voce, portando il globo ancora più in alto, nei pressi dell’universo astrale posto lungo la 46esima base della colonna. 
Lo avvicinò alle varie galassie, mostrandogliele una ad una.
Urania quasi tremò, girando sul proprio asse, e parve osservare la Madre con apprensione.
Ella era in piedi al centro del tutto, mirava ogni millisecondo che passava nuovi aspetti della realtà, mutando come e quando voleva la fisica, la matematica e le più antiche leggi quantistiche o atomiche. Frutto sì di miliardi di anni di evoluzione e riflessioni, contratti però nel milionesimo frammento di un millesimo di secondo.
Tale era la velocità di pensiero e di potere di creazione e distruzione di Auth, la Madre al centro del tutto, che tutto vedeva e TUTTO poteva. Un’entità generata dall’inconscio collettivo di ogni singolo essere vivente del creato, figlia, per certi versi, del Multiverso stesso.
Volse quello sguardo omnisciente sugli infiniti piani della colonna, un monumento di astri e pura esistenza diviso in basi sparse.
La milionesima base poggiava sotto la quarantaseiesima, la 20.000esima accanto alla decima e così via, susseguendosi lungo ciò che era, che sarà, che è... e che mai sarebbe stato.
Il continum dello spazio e del tempo, racchiuso all’interno di quella costruzione metafisica.
<< Vai Urania, i tuoi fratelli ti attendono. Pensa ad un mosaico, formato da migliaia di tasselli. Ognuno di essi è già perfetto, ma è nell’insieme di tutto che troveranno il loro posto. Gli uomini, gli elfi, i Tuatha... ogni essere vivente deve far parte del Disegno. Quindi va, l'esistenza ti attende. >>
E così dicendo, magnifiche labbra azzurrine e violette, rese vive e accese da nebulose di fulmini, tuoni e saette, si posarono sul corpo celeste in un rapido bacio. Labbra di particelle che viaggiavano alla velocità della luce, delineanti i contorni di una bocca appena dischiusa.
Spostando abnormi masse di materia esistenziale con il suono della sua voce, Auth spargeva nel cosmo il senso di quella canzone, così come questa veniva concepita nelle svariate miriadi di pianeti collocati in tutto il mistico pilastro.
L’entità quindi si sedette, incrociando le gambe e fluttuando al centro del creato, scrutando i suoi figli e figlie, muovendo lentamente le braccia e accarezzando il vuoto cosmico con i polpastrelli, dai quali scaturì polvere stellare e materia grezza.
E con quell'azione andava cancellando interi piani e civiltà, spazzandole via, facendo crollare lune e pianeti,  condannando all'oblio intere specie. In quegli stessi istanti nacquero altre essenze e razze, con nuove religioni, lingue, giochi, tradizioni e politiche. Alcune venivano messe al mondo già sviluppate, altre affrontavano milioni di anni di evoluzione attraversando crisi, disastri e proliferi periodi dorati.
Auth vide quindi primati ricoperti di pelliccia e analfabeti arrivare a combattere guerre nello spazio, a bordo di incrociatori stellari balenanti nel buio, attraverso campi di asteroidi, tempeste magnetiche e corpi celesti di magma ribollente.
Tutto ciò avveniva in un tempo infinitamente inferiore all'istante, almeno per un’entità come Auth. Era conosciuta in ogni civiltà con aspetti e nomi diversi, ed era venerata come una dea.
Per molte razze, sedeva al di sopra dello sconfinato pantheon che lei aveva sfidato, sostituendosi agli dei primordiali. In quanto tale, era evocata, veniva pregata, si offrivano a lei libagioni e canti... e in quanto Dea, sebbene un termine tanto semplice non potesse in alcun modo rendere giustizia alla sua totale natura, essa esaudiva i desideri dei suoi sudditi.
Dividendo la sua essenza in cloni senza numero, vagava sulle lande di quei pianeti vicini e lontani al tempo stesso, recandovisi per studiare e aiutare coloro che necessitavano della sua benedizione. E in tutto questo, lei rimaneva sempre al centro del suo dominio, osservando con la stessa precisione con cui un microscopio osserva gli organismi microcellulari di cui è composta una goccia d’acqua.
Tranne rare volte, quando ad invocarla era colei che NON era compresa nella sua onniscienza. Una creatura esterna, immortale, ma legata alle leggi della Madre.
Kyrie, la sua prima sacerdotessa. Un’entità originata in maniera quasi inconscia dalla stessa Auth, per affrontare la sua solitudine.
Vi era un palazzo nel dipinto del multiverso, creato dalla manifestazione fisica dell’inconscio collettivo, celato da ogni quando e ogni dove. L'entità aveva creato questa realtà separata apposta per quella donna, nel tentativo di compiacerla, e tale dimensione portava il nome di Vanisya, un luogo pallido e immacolato, caratterizzato da campi erbosi i cui steli d'erba erano in vetro, cristallo e perfino diamanti.
Nonostante questo, essi si piegavano dolcemente sotto i passi di Auth, i piedi nudi che calavano sul suolo, lambendolo appena. L’entità, infatti, pareva fluttuare nel vuoto dell’aria, mentre si avvicinava al centro di quella micro-realtà. I suoi lunghissimi capelli variopinti danzavano nelle fresca brezze che aleggiava sulla pianura, irradiata da puri raggi di luce e colori.
Un dipinto, questo era la dimensione. Un perfetto dipinto dove Auth si era divertita a giocare con i colori, mescolandoli sulla tela che era l'universo, fondendoli a eccelse rappresentazioni grafiche di una geometria e prospettiva studiate oltre il fanatismo dei più abili scultori.
Vi aveva infuso tutto il suo potere senza alcuna limitazione, facendo sì che la stessa Vanisya fosse dotata di una propria aura, di un'essenza distaccata dal pilastro dell’esistenza.
Nascosta a tutto e tutti… almeno così credeva.


https://youtu.be/lxRIxovS7nQ
 
Qui stava Kyrie, seduta su una panchina di vetro, all'ombra di un salice piangente le cui fronde ondeggiavano al vento, stagliandosi contro l'azzurro immacolato del celo. La fanciulla teneva il capo chino su una tela in fili argentati e dorati, avvolta attorno ad un cerchio in semplice legno, dalla quale stava ricamando qualcosa.
Motivo ricorrente delle sue creazioni erano particolari fiori, articolati in numerose e complesse forme geometriche che s'intersecavano l'una con l'altra in una lucida, folle visione di ciò che la circondava.
<< Fra poco dovrò essere gelosa. Stai diventando più brava di me >> sussurrò Auth alla sua sinistra, aggirando il massiccio tronco dell'albero e portandosi accanto a lei.
Osservò con infinita dolcezza ciò che le stava davanti, e con altrettanta delicatezza, portò una fresca e tremante mano al volto della punzella, la quale spinse il viso contro quell'amato palmo, sospirando piano e mettendo da parte la sua opera, lo sguardo volto nei confronti delle sua creatrice. 
<< Mi avete sentito, mia signora >> disse lei, dopo una piccola pausa passata ad osservare quegli occhi immersi nel viola e nel rosso. 
Come suo solito, versò una solitaria lacrima di pura gioia, che Auth non mancò di asciugare, sfiorandole la rosea guancia col pollice.
<< Ti sentirò sempre, Karasy, e sempre sarò qui a stringerti >> rispose l'entità, sedendosi accanto a lei e sorridendo appena.
La fanciulla si sdraiò sulla panchina, poggiando la testa sulle nude e perfette gambe della donna. Questa cominciò a cantare una lenta litania. Al contempo, Auth iniziò ad accarezzarle il volto, un volto che amava alla follia.
<< Karasy... che significa, mia signora? Mi chiamate sempre così, ma ne ignoro il motivo >> sussurrò Kyrie, sdraiandosi sulla schiena.
La manifestazione dell’inconscio collettivo sorrise ancora una volta, chinandosi sulla bocca della seguace e lambendola con le proprie labbra.
<< In un pianeta lontano, significa Stella Perfetta. Tu sei la mia piccola stella perfetta. Una stella sulla quale non ho potere, amore mio. >>
E, dopo aver pronunciato tali parole con un cinguettio appena udibile, poggiò la schiena all'albero posto alle sue spalle.
Imitata dalla fanciulla, chiuse adagio gli occhi, godendo dell'aria fresca sul suo corpo semi-nudo e il respiro dell’amante, lì dove la sua pelle era più sensibile. Ciò non potè fare altro che provocarle una delicatissima sensazione di piacere tanto sensuale quanto dolce.
<< Insieme per sempre, mia signora? >> domandò la sua giovane creazione.
<< Anche oltre, piccola mia. Anche oltre >> rispose Auth, prima di lasciarsi andare al dolce sonno.
Ma ciò che sognò… fu atroce.
 
Con un boato capace di far tremare tutto il pilastro dell'essere, gli astri si spaccarono come uno specchio. Crepe si diramarono dal centro nel tutto, pulsando come un cuore vivente. Da quelle spaccature fuoriuscì del sangue; sangue nero, bollente e malvagio, dotato di una propria perversa coscienza, che esplose come un ordigno di pura energia in mezzo al creato, mandando tutto in pezzi .
Come lastre di vetro colpite dal maglio di un fabbro, i frammenti piovvero sulle galassie e si sparsero sugli astri.
Lo Scisma… era cominciato.

 
 
Terra – In un altro universo
 
https://youtu.be/c0XBTkC15DM
 
Vedendo un'ombra crescente incombere sul giardinetto di casa, una bambina levò lo sguardo al cielo, tenendo la mano del proprio fratellino. Spalancò la bocca, sgranando le palpebre al vedere una megalitica scheggia di astro cadere sulla sua città...
L'impatto fu apocalittico. Crollò sulla guglia, franando come se fatta di carta. Pietra, acciaio e calcinacci rovinarono al suolo, mentre l’onda d’urto frantumò le finestre nel raggio di diversi chilometri. Immensi palazzi caddero divelte sulle strade, rotolando lungo le marmoree scalinate e schiacciando sotto di loro civili e milizia, portando al cielo schizzi purpurei di sangue e cemento. I cocci si levavano dalle strade, fendendo i corpi degli ignari passanti.
Decine di figure andarono a spalmandosi sulle pareti delle case, con gli organi accentuati dal bianco dello stucco. Canali di scolo e fontane si tinsero di sangue. Pezzi di carne dilaniati da travi e chiodi vennero strappati da gambe e braccia.
A pochi metri da quella scena da incubo, una madre correva impazzita verso i piani più bassi, dove gli edifici si facevano più semplici.
Non si accorse che nella mano destra stringeva solo il braccio della figlia dilaniata dalle macerie.
 
In un altro pianeta, vari piani più in basso, fu il mare a portare il disastro.
Colonne d'acqua salmastra si levarono dagli oceani con rombi simili a ruggiti. Strida di mostri marini si levarono al cielo, mentre i loro corpi, sbalzati via dalla corrente, caddero a peso morto sulle metropoli. E dopo attimi di silenzio, spalancarono le fauci armate di denti acuminati. 
Tentacoli vischioso ricoperti di aculei saettarono verso l'esterno, ghermendo le vittime tra la folla che era andata formandosi attorno a loro. In preda al delirio e all’orrore, le persone si dispersero in pochi istanti in una follia suicida.
Poiché con la paura si susseguiva l'incapacità di ragionare, portando inevitabilmente all'errore. Ed ecco che decine di anime vennero squarciate dai denti di quelle bestie.
In tutto il globo, la situazione era simile e ugualmente catastrofica.
Poi, il pianeta si ruppe. Una perfetta linea lo divise in due parti uguali, a immagine e somiglianza di un tuorlo spezzato.
La forza che lo faceva fluttuare negli astri venne meno, e le due metà precipitarono nel vuoto, finendo addosso ad altri pianeti e altre civiltà.
 
Le infinite astronavi che solcavano lo spazio furono private di energia e sostentamento e caddero nell'oblio.
L’immenso pilastro fu percorso da crepe ed iniziò a scheggiarsi.
Deflagrazioni sub atomiche  cancellarono interi piani, mentre fulmini di morte consumarono la realtà così come questa era stata mirata per miliardi di anni dagli occhi di Auth.
 
Spalancando le palpebre, l’entità si accorse di quanto il sogno fosse reale. Si accorse di Kyrie che la scuoteva sempre più forte, cercando di svegliarla, il volto adornato da un’espressione di pura angoscia. Un urlo di orrore proruppe dalla sua gola, squarciando il silenzio di quel luogo incontaminato.
E con un poderoso tremore, anche Vanisya cominciò a disgregarsi.
Ammassi di scorie nere e scarlatte sostituirono gli steli d'erba. Il lontano palazzo variopinto cadde a pezzi, seguito  dagli alberi sparsi in tutta la radura. La lieve brezza divenne un vento impetuoso e malvagio. Torrioni di correnti omicida presero forma lungo l’intera vallata, scavando a fondo nella terra e nei campi erbosi.
<< MIA SIGNORA! >> esclamò Kirye, con un grido disperato.
E prima ancora che potesse rendersene conto, Auth vide la testa dell’amante staccarsi di netto dal collo, che sprizzò allegramente fluido cremisi, poco prima che il corpo della sacerdotessa venisse strappato dalla donna e disgregato nelle correnti.
<< FERMATI! FERMATI !>> ordinò Auth, levandosi sulle gambe e spalancando le braccia con un nuovo urlo di rabbia... ma non accadde nulla. Niente rispondeva al suo comando.
Riprovò, incanalando tutte le sue energie in quell’unica richiesta. Sentì i muscoli gonfiarsi e le vene dilatarsi... e provò dolore, per la prima volta dopo eoni.
Il dolore della mortalità e del panico si fecero strada nella sua anima.
Ben presto, Auth comprese che quelle pene erano sempre state lì. Aveva provato solo gioia e amore per milioni di ere, ed ora stava pagando il prezzo di quella compiacenza.
La felicità totale... e dopo il dolore. Era il ciclo che lei aveva provato a spezzare, fin dal primo momento in cui i pensieri di ogni esseri vivente del creato avevano dato forma alla sua natura.
Voleva solo che tutti fossero felici… e ora l'equilibrio si stava vendicando.
Giunse così anche un'altra consapevolezza. La perdita, la solitudine… e mentre tutto attorno a lei esplodeva, i suoi occhi rimasero fissi sulla testa mozzata di Kyrie accanto a lei, sull'espressione di puro terrore immortalata lungo viso dell’amante.
Anche così rimaneva bellissima. La sua stella perfetta… il suo eterno amore.
 

https://youtu.be/Gugu-o8vxow
 
In perfetto contrasto con la desolazione circostante, le montagne che circondavano la valle vennero inghiottite da voraci bocche fiammeggianti, le quali, con denti dalle proporzioni oltremodo ciclopiche, bevvero avidamente degli oceani confinanti come cammelli ai piedi di una pozzanghera.
Le afrodisiache foreste, sparse per tutta quella dimensione idilliaca, cominciarono a marcire. Il sole stesso precipitò al suolo, provocando un'onda d'urto che spazzò via in pochi istanti l'intero globo che costituiva quel mondo lontano, facendolo divorare dallo zolfo e dalla fuliggine. 
Nel mentre tutto quello accadeva, Auth strinse amorevolmente la teste di Kyrie fra le mani, osservandone il volto ora disteso e le labbra che via via si facevano più pallide e sottili.
Un attimo prima che tutto esplodesse e precipitasse nel buio, baciò delicatamente quella bocca ora fredda e senz'anima, chiudendo gli occhi e accettando la fine dei tempi.
Il pilastro del Multiverso si spezzò di netto, dalla vetta senza fine alla base senza principio e poi… vi fu il nulla, come se l'esistenza stessa non fosse mai stata reale.
Il nulla inghiottì ogni cosa, con parsimoniosa spietatezza.
Auth si lasciò andare verso il basso. Ormai non le importava più.
La sua anima andò in frantumi, mentre molteplici spire s'insinuarono nel suo corpo, le trafissero il petto, il cranio e il ventre, strappandole lo spirito, stuprandole la mente, facendola contorcere da un dolore tanto forte da impedirle alcun tipo di suono.
Vide davanti a se i ricordi della sua eterna esistenza, il volto di Kyrie, la sua più fedele creazione.
Si protese un attimo, prima che l'ultima visione dell'amata sparisse. Allungò compulsivamente il braccio in avanti, distendendo quanto poteva le dita per afferrare l'immagine residua, ma l'arto fu mozzato di netto e il suo corpo seguì poco dopo, fatto a pezzi e divorato dalla furia dello Scisma.
Tuttavia, nessuna entità di nessuna dimensione, per quanto potente, sarebbe mai stata in grado di cancellare completamente colei che tutto poteva. Fu così che, quasi per miracolo, Auth sopravvisse a quella catastrofe multiversale.
Una milionesima parte di un'altra millesima componente della sua mente sfuggì a quell'aborto di fenomeno, che morì assieme a tutto il creato. Quel piccolo frammento iniziò a vagare per il buio, poiché solo il buio restava.
Durante quel periodo che sembrò interminabile, Auth si chiese se il termine “restare”  fosse la scelta più consona per indicare la situazione attuale. Per usarlo, si disse, sarebbe stato necessario che qualcosa fosse o avanzato da un elemento precedente o che fosse il risultato di elementi già preesistenti.
Ebbene, quel buio non rispondeva certo a quelle caratteristiche, e neanche poteva dire che quel buio ci fosse davvero, visto che la concezione dell’oscurità avveniva solo grazie alla presenza della luce. Era tutto un discorso di opposti, dipendenti l'uno dall'altro.
Il suo opposto era Kyrie, e lei lo sapeva. Ora che non c'era più, lei si sarebbe presto trasformata in un avanzo di quello che era una volta, un ricordo per nessuno e niente.
Alla fine, si sarebbe dimenticata di se stessa, vagando in un ciclo imperituro in quella non realtà. Sospirò stanca… voleva solo dormire.
Sentì sotto di lei il rumore dell'acqua, il vento sulle spighe del grano che si piegavano sotto di lei. Un boato seguì questa visione, delle urla... poi, ancora una volta, il buio.
 
 
                                                                                                    * **
 
Nel frattempo, in un altro universo…
 
I campi intorno a Londra erano avvolti dalla nebbia, mentre il sole del mattino iniziava a farsi strada lentamente sopra gli alberi pieni di corvi.
D’un tratto, gli uccelli gracchianti furono sospinti a librarsi con un movimento spiraleggiante nell’aria, schiamazzando infastiditi, mentre un cigolio stridente e persistente mandava in frantumi il silenzio della campagna inglese.
La tozza sagoma del TARDIS apparve lentamente. Aveva l’aspetta di una consueta cabina telefonica della polizia inglese, risalente al 1969.
Nessuno avrebbe mai immaginato che un simile dispositivo, per quanto mondano, fosse in realtà una nave in grado di viaggiare nel tempo e nello spazio.
Nel momento in cui si materializzò completamente, la porta si spalancò di scatto e la testa del Dottore fece capolino nell’aria mattutina. In questa incarnazione, il Dottore era un uomo alto, con il volto squadrato e un ciuffo scompigliato di capelli argentati; il suo sguardo era intenso, incorniciato da un paio di sopracciglia disordinate ed espressive.
Soddisfatto per essersi ritrovato nel posto giusto, uscì dal TARDIS, desideroso di inspirare la brezza del mattino.
Poi, come dal nulla, un lampo di luce lo investì.
 
                                                                                                      * * *
 

Universo di Battleground
 
Remnant – pianeta sotto controllo imperiale
 

La tempesta fece calare l’oscurità prima del tempo, lungo tutta la costa oceanica. Lampi frequenti illuminavano i resti di quella giornata: pezzi d’ossa, membra organiche strappate via dai corpi a cui appartenevano, pezzi di Grimm che avevano divorati esseri umani, e altri appartenenti a quelli che avevano perseguito solo i loro spietati scopi. Sui resti in questione si muovevano solo le nuvole e i torrenziali rovesci di pioggia.
In mezzo a quella distruzione totale, si estendeva una macchia di fango. Delle sagome allungate, simili a vermi, emersero dal terreno umido e si levarono verso il cielo. Non erano serpenti o millepiedi… erano dita… attaccate a una mano, e questa a un polso, il polso a…
Emerse una figura coperta di fango e di detriti. Gli occhi azzurri erano spalancati, vitrei e scintillanti. Sconvolta dalla realtà circostante, si guardò intorno nella notte di tempesta. L'acqua lavò via il fango dal suo volto e dai suoi arti.
Bagnato e sotto shock, il Dottore ululò al cielo.
Quando il maltempo passò, cominciò a guardarsi intorno. Non udiva solo il ritmo calmo del proprio respiro, ma anche il mormorio oscillante del sangue che saliva verso il cervello da un lato del collo e discendeva verso i suoi due cuori dall'altro.
Poi, sentì qualcosa alle sue spalle. La presenza in questione era un essere che, presumibilmente portato da un'onda precedente, avanzava lentamente verso di lui. Trascinava faticosamente sulla sabbia il corpo bagnato e lucido. Era lungo più di un metro.
Fissò il Dottore con occhi inespressivi in cima a due antenne. Aprì il becco seghettato e cominciò a produrre un suono che lo turbò ,per quanto somigliava alla parlata umana, a una serie lamentosa, se non disperata, di interrogativi in una lingua sconosciuta.
Il Dottore conosceva le aragoste, ne aveva viste, ma non era un'aragosta quella, anche se non ricordava altra creatura alla quale potesse somigliare di più, seppure solo vagamente. Non dava l'impressione di avere minimamente paura di lui.
Quella creatura, in realtà, era un Grimm, ma questo l’uomo non poteva saperlo, poiché nella sua realtà tali bestie non esistevano.
Non c'era modo di sapere se fosse pericolosa. Il Signore del Tempo non si curò della sua confusione mentale, della sua temporanea incapacità di ricordare dove fosse o come vi fosse arrivato. Sapeva solo che doveva allontanarsi da quella creatura, prima che lo attaccasse.
Udì crescere il roco boato dell'acqua e distolse lo sguardo dall’animale per girarsi verso il frangente con la sua cresta di schiuma.
Cercò di camminare, ma le gambe troppo intorpidite lo tradirono. Vide un paio di quelli che sembravano cavalli galoppare verso di lui.
Poi, la testa gli venne meno … e svenne.

 

 
Personaggi
 
Auth
Opera: OC (Original Character)
Razza: Entità cosmica / manifestazione fisica dell’inconscio collettivo
Immagine: https://www.pinterest.cl/pin/575546027353616457/?send=true
Soundtrack: https://www.youtube.com/watch?v=iqezIu53OUQ
Autore: Elara Vlad Tepes

 
  
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